Persecuzione dei cristiani sotto Marco Aurelio
Durante il regno dell'imperatore Marco Aurelio si verificarono diversi episodi di persecuzione di cristiani, non tutti direttamente riconducibili alla volontà del Principe.[1]
Anche se, prima di diventare imperatore, Marco Aurelio seguì la linea indulgente degli imperatori Adriano e Antonino Pio (e la continuò nei confronti dei culti ammessi), è elencato dalla storiografia cristiana tra i persecutori, insieme a Nerone, Domiziano, Diocleziano, Galerio, Valeriano e Decio. Per la verità, intorno al 155, anche sotto Antonino Pio, morì martire il vescovo di Smirne Policarpo, come narrato in Atti ritenuti attendibili.[2]
Molti disordini si verificarono sotto il regno di Marco Aurelio, segnato da epidemie, carestie e invasioni. Più volte le folle in questi anni diedero la caccia ai cristiani, ritenuti responsabili di tutto, e i martiri furono numerosi. Eusebio ricorda tra gli altri l'apologeta e filosofo Giustino, condannato in un processo presieduto da Quinto Giunio Rustico, maestro di Marco, in qualità di Prefetto dell'Urbe.[3] A questo periodo risale anche un'invettiva dell'altro maestro dell'imperatore, Marco Cornelio Frontone, che accusa i seguaci della nuova religione di infanticidio, suscitando reazioni anticristiane in Asia e nelle Gallie.[4][5]
Rilievo della persecuzione antonina
[modifica | modifica wikitesto]Che la persecuzione sia attestata sotto il regno di Marco Aurelio, fomentata dall'odio eccitato del popolo, è testimoniato dalle apologie rivolte all'imperatore da parte di Atenagora, Melitone, Apollinare Claudio e Milziade, nonché dagli illustri martìri di Giustino a Roma, e di un gruppo di cristiani a Lugdunum (fra i quali il vescovo Fotino e la vergine Blandina)[6], mentre in Oriente perirono Publio di Atene e il vescovo di Laodicea, Sagari.[5][7]
Secondo la Historia Augusta, nel 177 Marco Aurelio emise un editto, con il quale ordinò sacrifici pubblici e riti purificatori per ottenere la protezione degli dèi contro un'invasione barbarica giunta fino ad Aquileia. Il rifiuto dei cristiani di praticare tali sacrifici provocò una violenta reazione popolare, la cui colpa non è però attribuibile all'imperatore.
La questione legale
[modifica | modifica wikitesto]Anche se non fu emanato un vero editto, poté avere valore di legge un rescritto imperiale del 176,[8] che minacciava di esilio la nobiltà romana e di morte i plebei che insistessero a diffondere nuovi culti.[5] I processi contro i cristiani si svolgevano inoltre in base alla normativa vigente dal tempo di Traiano (rescritto di Traiano del 112), a partire da denunce individuali e senza ricerca d'ufficio.[9]
I martiri di Lione
[modifica | modifica wikitesto]L'unica eccezione all'applicazione delle norme traianee si ebbe in occasione del processo lionese del 177, durante il quale il legato della Gallia Lugdunense agì, su disposizione dell'imperatore che avrebbe inteso calcare la mano contro i cristiani, in deroga dall'editto traianeo, non attenendosi al divieto della ricerca d'ufficio e riservando ugualmente la condanna anche agli apostati (per i quali era previsto il perdono).[9] Nel V libro della sua Storia Ecclesiastica , sempre Eusebio di Cesarea riporta i brani principali della "Lettera delle chiese di Vienne e di Lione alle chiese dell'Asia e della Frigia",[10] in cui vengono documentate le vessazioni nei confronti dei cinquanta cristiani lionesi (tra cui un cittadino romano, San Attalo di Pergamo, al quale non fu riservata la morte per decapitazione, nonostante il divieto dell'imperatore[11]), per lo più stranieri, e le loro esecuzioni capitali avvenute nell'anfiteatro e nel foro di Lione. La retata era avvenuta per mano del tribuno della coorte urbana di Lione, su disposizione del legato (che avrebbe richiesto la conferma della condanna all'imperatore) e di conserva con le alte cariche cittadine.[12]
Di questi cristiani, torturati e gettati in carcere, molti morirono per soffocamento. La folla, già pervasa di xenofobia[13] ed aizzata da false accuse (di cannibalismo e rapporti incestuosi, che nascevano dalla errata percezione del rito dell'eucaristia e delle agapi, ovvero dei banchetti eucaristici in uso presso gli Esseni) diffuse sul conto dei cristiani, infierì su di loro senza più alcun riguardo per l'età o per il sesso dei condannati come quelli citati in precedenza: il vescovo ultranovantenne Potino (o Fotino), linciato dalla folla, spirò in carcere; il quindicenne Pontico e la schiava Blandina, dopo essere stati costretti per giorni ad assistere all'esecuzione degli altri, furono essi stessi torturati e uccisi.[5]
La responsabilità dell'imperatore
[modifica | modifica wikitesto]Queste persecuzioni, sebbene non sempre imputabili a Marco Aurelio in persona, impegnato allora su fronti diversi, furono conseguenza della politica generale tenuta dagli imperatori adottivi a partire da Traiano e Adriano, secondo la quale i cristiani venivano ignorati e tollerati fino alle denunce non anonime, che spesso il popolo stesso faceva nelle province (i cristiani erano assimilati agli ebrei, che spesso causavano tumulti nazionalistici e atti di violenza contro cittadini romani, anche dopo la guerra giudaica e la distruzione del Tempio di Gerusalemme)[14], ma venivano processati se, dopo regolare denuncia con prove (in quanto culto non riconosciuto e considerato anti-romano), rifiutavano una prova di sacrificio o adorazione agli dei, ovvero alla statua dell'imperatore (gettando grani d'incenso davanti a essa, di solito).[15]
Marco Aurelio, personalmente, non mostra esplicito disprezzo per i cristiani, né li considera un vero pericolo, ma non ne condivide le idee e li considera dei fanatici[16], in particolare avendo in mente la setta dei montanisti (bersaglio diretto di Celso), un gruppo poi dichiarato eretico; essi si gettavano volontariamente nelle arene e si auto-denunciavano con l'obiettivo di divenire dei martiri, ed erano stati tra i responsabili dei disordini di Vienne, che avevano portato a una delle repressioni citate.[17]
Tra gli storici vi sono anche intellettuali che hanno comunque ridimensionato la persecuzione antonina, in particolare autori di area illuminista come, nel Settecento, Edward Gibbon[18] o Voltaire che scrisse "ancor meno darò il nome di persecutori a Traiano o agli Antonini: mi sembrerebbe di bestemmiare", elogiandone invece la tolleranza. Voltaire sostenne a più riprese che tutti gli imperatori romani, e specificatamente Marco Aurelio e Antonino Pio, non perseguitarono mai i cristiani per la loro religione, ma per l'atteggiamento anti-imperiale tenuto da molti di essi, quindi per un crimine politico.[19][20]
W.H.C. Frend sostiene che nei primi due secoli le autorità agissero come “passivi destinatari delle richieste del popolo per la distruzione dei cristiani”[21]. Conformemente al rescritto di Traiano i cristiani non erano infatti ricercati e le loro comunità, pur costantemente minacciate, ebbero modo di continuare a crescere. Come già in precedenza, l'eroismo dei martiri indusse molti all'ammirazione ed alla conversione, tra i quali Tertulliano, che diventerà apologeta e scriverà che “il sangue dei martiri fu la semente dei cristiani”[22]. In seguito Tertulliano si avvicinò ai montanisti, un gruppo estremista disapprovato dall'ortodossia che esaltava il martirio spingendo all'autodenuncia ed alla provocazione delle autorità. Si è anche sostenuto[23] che le idee montaniste sul martirio furono probabilmente tra le cause delle repressioni avvenute sotto Marco Aurelio.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Henry Wace sottolinea la rivalità tra i nascenti intellettuali cristiani e gli stoici, a cui l'imperatore apparteneva e la dicotomia tra filosofo e imperatore, che spesso gli impose scelte che non avrebbe voluto fare, causandogli un'amarezza personale a cui diede espressione nei Colloqui con sé stesso; l'atteggiamento anti-cristiano dei romani dell'epoca di Marco è attribuito al verificarsi di calamità naturali, che la popolazione attribuiva alla collera degli dèi contro coloro che li hanno negati, e che i cristiani vedevano invece come segni della fine del mondo. Vd. Wace 1911, p. 162
- ^ Eusebio, Storia ecclesiastica, IV, 15; Cfr. Lepelley, p. 245.
- ^ Frend 1965, p. 509.
- ^ Sordi 2004, p. 232.
- ^ a b c d Bihlmeyer e Tuechle 1960, pp. 108-109; qui disponibile il testo: "Le persecuzioni dei cristiani da Nerone alla metà del III secolo" Archiviato il 15 maggio 2011 in Internet Archive..
- ^ Eusebio, 5, 1-2.
- ^ Eusebio, 4.23,2; 26,3.
- ^ Digesta, I, 18, 13 pr.
- ^ a b Sordi 2004, pp. 103 ss.
- ^ Eusebio, Storia ecclesiastica, V, 1. La lettera è in greco, a prova ulteriore dell'elemento prevalente greco della comunità lionese, dove lo stesso Potino e numerosi altri martiri hanno nomi greci. Lo stesso Ireneo, che successe a Potino, era greco.
- ^ Baus, pp. 211 e 214.
- ^ Colin M. Wells, L'impero romano, Il Mulino, Bologna [1984], 2004, p. 313
- ^ Meeks, p. 301.
- ^ Jossa 1977, pp. 81 e ss.
- ^ Come raccomanda Traiano nel rescritto a Plinio il Giovane (X, 97).
- ^ Marco Aurelio, 11.3.
- ^ 1999, pp. 90-91.
- ^ Gibbon 1776-1789, p. 244.
- ^ Voltaire, Dizionario filosofico, voce Persecuzione; voce Martiri.
- ^ Voltaire, Trattato sulla tolleranza, capitolo VIII: "Se i Romani siano stati tolleranti"; capitolo IX: "Dei martiri".
- ^ Frend 2005, p. 511.
- ^ Lepelley, p. 225.
- ^ Lepelley, p. 250.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]Fonti primarie
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