Lesa maestà
La lesa maestà è un crimine rivolto contro la maestà, cioè contro la suprema dignità dello Stato e, nei regimi monarchici, del sovrano.
Origine
La punizione degli atti rivolti contro il sovrano o contro l'autorità sono una pratica diffusa e antica, ma fu a Roma che venne specificatamente codificata formando la base del successivo concetto di lesa maestà.
Antica Roma
Nell'antica Roma, la maiestas era attributo tipico della Res Publica, cioè dello Stato romano. Come reati di lesa maiestatis, erano puniti tutti gli atti di violazione dell'autorità e della dignità statale, come ad esempio le offese alla Repubblica o alla divinità, l'aggressione a magistrati e la celebrazione di feste nei giorni di lutto pubblico. Si trattava, come ricordava il giurista Ulpiano, di una particolare forma di sacrilegio rivolta contro lo Stato:
«Sacrilegio crimen est quod maiestatis dicitur»
«È un [particolare] crimine di sacrilegio quello che viene chiamato "di lesa maestà".»
La lex Appuleia de maiestate, introdotta attorno al 100 a.C., puniva generalmente lo svilimento della dignità del Popolo Romano (maiestas minuta populi Romani), introducendo quindi la punizione di un gran numero di atti, compresa la codardia in ambito militare. Nell'81 a.C. il dittatore Lucio Cornelio Silla, con la lex Cornelia de maiestate introduceva poi la punizione come lesa maestà delle ribellioni contro l'autorità di Roma.
In età imperiale la lesa maestà venne regolata dalla nuova Lex Iulia maiestatis emanata nell'8 a.C. su impulso di Augusto. Questa configurava la lesa maestà non più solo come reato rivolto contro lo Stato, ma più in specifico nella persona dell'Imperatore, cui corrispondeva la comminazione di pene gravissime. Erano in particolare puniti come lesa maestà:
- con l'esilio gli atti contro la sacralità quali il sacrilegio della persona dell'Imperatore, lo Stato o le divinità;
- con la più grave interdictio aqua et igni ("interdizione dall'acqua e dal fuoco") gli atti di tradimento come la perduellio ("alto tradimento"), il tradimento col nemico, la sedizione, la ribellione e il suo incitamento, l'arruolamento di un esercito senza il consenso del Princeps;
- con la pena di morte i reati più gravi quali l'attentato alla vita dell'Imperatore, gli atti di empietà.
L'estensione del concetto di lesa maestà si fondava sull'attribuzione al Princeps di prerogative sacrali e di inviolabilità proprie della tribunicia potestas, la cosiddetta sacrosanctitas (sacralità e santità): pertanto, la violazione della sacralità dell'Imperatore chiamava in causa l'obbligo tutelare dello Stato nei confronti del sacro. L'applicazione della nuova legge raggiunse ampia estensione già durante il regno del successore Tiberio, divenendo una delle più potenti armi nelle mani dell'Imperatore.
Dal Medioevo ai giorni nostri
Applicazione
Veri e propri reati di lesa maestà sono tutt'oggi classificati nei codici penali di numerosi Stati a regime monarchico: Brunei, Danimarca, Regno Unito, Marocco, Paesi Bassi, Kuwait, Spagna, Thailandia[1], etc. A parte questi, paesi come Turchia e Iran tutelano con reati speciali la memoria dei propri fondatori, rispettivamente il padre della patria Ataturk e dell'ayatollah Khomeini.
Nella maggior parte dei paesi occidentali, inoltre, è tuttora previsto come reato l'insulto a capi di stato stranieri e ai simboli di nazioni estere.
Nella Repubblica Italiana la maestà statale e la sacralità sono tutelate dal reato di vilipendio, che punisce manifestazioni di pubblico disprezzo nei confronti del Presidente della Repubblica, della Repubblica, delle istituzioni costituzionali, delle Forze Armate, della Nazione, della Bandiera, di bandiera o emblema di Stato estero, della religione, delle tombe o di cadavere.