Tosto à l’altezza malagevol poggia,
Onde di nubi, e nebbie il mondo ingombra,
E di neve, e di grandine, e di pioggia,
Di tutto quel, ch’al Sol soglion far’ombra;
Ma la trovò con nova, e strana foggia
Tutta dal foco esser bruciata, e sgombra,
E ’l luogo, onde credea spegner Vulcano,
Ritrovò tutto dileguato, e vano.
A la maggior’altezza irato ascende,
Onde trà le saette, accende i lampi;
Un mortifero folgore in man prende,
Poi fa, che ’l cielo in quella parte avampi,
Lancia, e tornando impetuoso scende
L’ardente stral, che giunge vampi à vampi.
Quel tolse al miser l’alma, e ’l corpo accense,
Onde foco per foco allhor si spense.
Dal foco, dal gran colpo, e dal romore
Sbigottiti i cavalli un salto fanno
Contrario l’uno à l’altro, e ’l collo fuore
Tolgon dal giogo, e vagabondi vanno.
Spargonsi i raggi, e quel chiaro splendore,
Le rotte rote in quella parte stanno,
Qui l’asse, ivi il timon, la ’l seggio cade,
Per gli arsi campi, e ’ncenerite strade.
Si volge in precipitio il corpo estinto,
Ardendo l’aureo crin doppia facella,
E per l’aria à l’ingiù gran tratto spinto,
Sembra quando dal ciel cade una stella,
E se non cade, e quel cadere è finto,
Pur par, che cada, e che dal ciel si svella.
Lontan da la sua patria il Pò l’accoglie,
E lava lui con l’infiammate spoglie.
Le ninfe de l’Italia, il foco spento,
(Che ’l corpo anchora ardea) nel maggior fiume
Gli dier sepolcro; e fer su’l monimento
Così notar da le fabrili piume;
Fetonte giace quì, c’hebbe ardimento
Del carro esser rettor del maggior lume,
E se reggere al fin ben no’l poteo,
Pur osando alte imprese arse, e cadeo.
Il mesto volto il suo padre infelice
Al mondo ascose, e tutto sol si dolse,
E se creder vogliam quel, che si dice,
Un dì passò, ch’egli girar non volse.
L’incendio, ch’ogni piano, ogni pendice
Ardeva, al mondo il suo splendor non tolse:
Tutto ’l mondo allumò l’incendio, e ’l foco,
Tanto, che pur giovò quel danno un poco.
Poi, che la madre Climene hebbe detto
Quel, ch’in tanto infortunio era da dire,
Stracciando i crini e percotendo il petto
Fè noto à tutto ’l mondo il suo martire.
Come insensata uscì del patrio tetto
Spargendo amare lagrime per gire
Per tutto ’l mondo tapinando tanto,
Che potesse al figliuol morire à canto.
Ó Dio, che disse, e fe, quando fu giunta
A la terra lontana, e peregrina,
Dove il Pò fende in due parti la punta,
E ne và per due strade à la marina.
Da soverchio dolor trafitta, e punta
Sopra il novo sepolcro il volto china;
Legge, e sparge di pianto il dolce nome,
Stracciando le canute inculte chiome.
Alzando al cielo poi gli humidi rai
Disse dal dolor cieca, e da lo sdegno,
Deh perche Giove un figlio tolto m’hai
Degno de la tua corte, e del tuo regno?
Qual’huom, qual Dio fra voi si trovò mai,
Che s’alzasse con l’animo à quel segno?
Dunque un cor sì magnanimo, e sì forte,
Dovea per premio haver da voi la morte?
Non hebbe intention d’ardere il mondo
Quando s’accinse à sì magnanim’opra;
Non ornò di quei raggi il suo crin biondo
Per far’oltraggio à voi, che state sopra.
Per saper quel viaggio obliquo, e tondo,
Che fa, che vario il giorno à noi si scopra
V’andò, perche sapendol far’egli anco:
Potea giovar talhora al padre stanco.