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Prima guerra cecena

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Elicottero russo abbattuto dai ceceni presso Groznyj

Citazioni sulla prima guerra cecena.

Citazioni

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  • Come succede in tante guerre, era cominciata come risultato di un errore di calcolo da parte di entrambi i contendenti. Quando l'Unione Sovietica crollò, i ceceni pensarono di essere liberi, come le altre repubbliche sovietiche. [...] Ma la Cecenia non era una repubblica a pieno diritto dell'Unione Sovietica, come l'Estonia o la Georgia. Era solo una delle 86 circoscrizioni della Federazione Russa e una regione ad autonomia etnica. Secondo Mosca, non aveva il diritto alla piena sovranità. I ceceni protestarono e dichiararono l'indipendenza unilateralmente, come aveva fatto il Tatarstan, un'altra regione a prevalenza musulmana, circondata da terre russe. [...] A metà del 1994 [...] Eltsin non poteva permettersi di garantire a un'altra regione nemmeno una sovranità simbolica. Anzi, decise di spodestare Dudaev e di insediare un'amministrazione fedele a Mosca.
    Nell'estate del 1994 autorizzò un'operazione segreta in appoggio a forze ostili a Dudaev, comprendenti perlopiù espatriati ceceni con base a Mosca. Dudaev sconfisse gli insorti e catturò un gran numero di soldati russi che si erano camuffati da dissidenti ceceni. Li presentò in televisione, scegliendo l'NTV e denunciò pubblicamente Eltsin come impostore. Eltsin divenne furioso. Nel dicembre 1994 scatenò tutta la forza dell'esercito russo basandosi sulle assicurazioni del suo ministro della Difesa, Pavel Gračev, secondo il quale «un reggimento di paracadutisti avrebbe conquistato Groznyj in due ore». (Aleksandr Goldfarb)
  • Era sotto gli occhi di tutti. Strani aerei che bombardavano gli aeroporti sul territorio della Repubblica cecena e strani soldati (apparentemente estranei all'esercito russo) al comando dei carri armati che l'opposizione anti-Dudaev stava guidando verso Groznyj... Era palese che le forze armate russe stavano intervenendo. Noi in quel momento lavoravamo nel Caucaso settentrionale, nella zona del conflitto inguscio-osseto. Dopodiché con Sergej Adamovič Kovalëv, incaricato da El'cin di andare a capirci qualcosa, partimmo per Assinovskaja, in Cecenia. E trovammo un quadro spaventoso: la popolazione di lingua russa veniva in massa da noi a denunciare gli abusi. E smettemmo di vedere tutto rosa, nel regime di Dudaev. Di fatto, la violenza criminale contro la popolazione di lingua russa non era espressamente opera del regime di Dudaev, ma di un governo debole, incapace di garantire un ordine minimo e il rispetto dei diritti umani o di proteggere la popolazione dai banditi. Tutto ciò alzava ai massimi la possibilità di una guerra. (Oleg Orlov)
  • I ceceni avevano umiliato la potenza della Russia nella Prima Guerra Cecena (1994-96), iniziata da Eltsin in preda a un accesso di rabbia alcolica. L'esercito russo aveva combattuto con grande brutalità e ancora più grande incompetenza. I ceceni lo avevano fronteggiato fino a una sorta di stallo, raggiunto in parte perché Eltsin, una volta smaltita la sbornia, si era reso conto di essere stato stupido e crudele. (John Sweeney)
  • La guerra in Cecenia è il riflesso di uno scontro più generale che investe il futuro stesso della Russia, i suoi assetti istitituzionali, economici, gli equilibri tra i poteri. (Demetrio Volcic)
  • La prima guerra cecena fu una dura prova, e la dimostrazione che la macchina bellica del grande paese non era in grado di risolvere nemmeno una situazione locale. Una struttura ingombrante, mal organizzata, con enormi problemi logistici e corrotta fino al midollo: così si presentava l'esercito russo in quei primi anni Novanta. (Nicolai Lilin)
  • Non c'è più nessuna soluzione costruttiva. Il sangue versato è troppo. Sarà come il Libano, libanizzazione del Caucaso. Forse la fine della guerra sarà proclamata ufficialmente dal sesto presidente russo, nel 2012, quando sarà stato sotterrato l'ultimo ceceno. (Vladimir Žirinovskij)
  • Non pregheremo la Russia di prestarci soldi. Le chiederemo, invece, di risarcire il danno arrecato dalla guerra. La Russia porta la responsabilità diretta per la distruzione dell'economia nazionale, delle città, dei centri abitati, è giusto che paghi. (Aslan Maschadov)
  • Queste azioni militari hanno provocato un lugubre vicolo cieco. E la situazione post-bellica sarà estremamente difficile. Ma se non riconosciamo la loro indipendenza, che cosa sarà? Una confederazione? Vuol dire l'inizio della dissoluzione di tutta la Russia. Sottomettersi semplicemente la Cecenia significa innescare una guerra civile in tutto il Caucaso; significa accendere l'ostilità con tutto il mondo musulmano. (Aleksandr Isaevič Solženicyn)
  • Sarete d'accordo che la disfatta russa nella prima guerra cecena è stata in gran parte determinata dal morale della società. I russi non capivano per quali ideali stavano combattendo i nostri soldati. I militari davano la vita e in compenso venivano criticati. Morivano per gli interessi del paese ed erano pubblicamente umiliati. (Vladimir Putin)
  • Se fossimo stati noi al potere avremmo fatto diversamente. Si poteva convincere Dudaev, magari offrendogli un posto onorifico a Mosca. [...] Non fu fatto perché al potere c'erano i democratici, non per colpa mia. Se non avesse funzionato potevamo bloccare economicamente la Repubblica, soffocarla e costringerla a più miti consigli senza sparare un colpo. Non fu fatto. Infine si poteva semplicemente impacchettare le decine di migliaia di ceceni che girano per la Russia e portarli di forza nel loro Paese. Sarebbero stati loro a rovesciare Dudaev di fronte alla prospettiva di perdere i loro affari in Russia, inclusi quelli mafiosi. Questo è l'unico modo di trattare con i caucasici. (Vladimir Žirinovskij)
  • Tutti i documenti per finire la guerra sono stati firmati da me o in mia presenza. Perciò il popolo stanco di questa guerra spera che io porterò la pace nella terra cecena, che non ci sarà più la guerra. Queste promesse sono legate al mio nome e in più il mondo si è accorto che sono uno propenso a compromessi accettabili, un uomo di parola. (Aslan Maschadov)
  • Un mio collega, un "giornalista liberale", aveva cominciato tutto a un tratto a descrivere con entusiasmo nei suoi articoli i "successi" dell'esercito russo in Cecenia e ad auspicare che la piccola repubblica fosse annientata ricorrendo, se necessario, anche al napalm. Io non riuscii a trattenermi molto a lungo e lo affrontai direttamente: «Ti prego, spiegami: non riesci proprio a capire che là i civili muoiono a centinaia? Davvero te la sentiresti di sganciare quelle bombe su dei villaggi indifesi, in cui sai benissimo che morirebbero soprattutto donne e bambini?».
    Il mio collega cominciò a strillare: «Donne e bambini? Ma non sai che cosa diventano poi quei bambini? Banditi e assassini! E le donne – prostitute! Per questo sarebbe meglio anche per loro se le sganciassi, quelle bombe...».
    Attualmente, nell'era di Putin, il mio interlocutore ha trovato finalmente il suo posto e lavora, come responsabile della propaganda ideologica del Cremlino, al primo canale della televisione. (Elena Tregubova)
  • «Ascolta, tu sei di Mosca,» continua Osipov «quindi sai tutto. Chi ha iniziato questa guerra?»
    Chissà perché Osipov è convinto che i moscoviti siano onniscienti.
    «Non ne ho idea. Chiedimi qualcosa di più facile.»
    «Be', ma tu che ne pensi?» insiste.
    «Il presidente, suppongo.»
    «Lui personalmente?»
    «No, prima si è consultato con me.»
    [...]
    «Ma il ministro della Difesa può cominciare una guerra senza fare rapporto al presidente?»
    «No, non può» risponde Zjuzik. «Il presidente per noi è il comandante supremo. Le guerre le può iniziare solo lui.»
    «E questa guerra com'è che è cominciata?» Osipov cerca di capire. «Di solito perché iniziano le guerre?»
    Bella domanda, perché iniziano?
    «Per il potere» risponde Zjuzik. A volte dimostra un acume raro. «Tutte le guerre cominciano solo per una questione di potere.»
    «Che cavolo vuol dire "per il potere"? Davvero si possono uccidere tante persone solo per il potere? Di che aveva bisogno ancora El'cin, è il presidente, più potere di così! O forse Dudaev voleva rovesciarlo?»
    «Che cazzo ne so, chi voleva rovesciare chi. Si vede che non sono riusciti a spartirsi qualcosa. Tanto, che differenza fa adesso?»
  • Due barattoli di latte condensato, un pacco di biscotti, una decina di caramelle e una bottiglia di limonata, ecco la nostra ricompensa per le montagne, per Groznyj, per quattro mesi di guerra e sessantotto morti. E non dallo Stato, ma dalle nostre madri, che hanno messo da parte, copeco dopo copeco, quel poco che rimane delle loro misere pensioni di campagna, decurtate da questo stesso Stato a vantaggio delle spese militari. Ma andatevene affanculo! Le vostre medaglie, appuntatevele sul didietro, così luccicherete come alberi di Natale.
  • Elmetti perforati e ammaccati, giubbotti antiproiettili sfasciati, fori nelle giacche a vento, schegge incastrate nei rinforzi, macchie marroni di sangue incrostato che cerchiamo di non toccare... Sono andati in Cecenia nel gennaio del '95, poi un sergente maggiore, di cui non sappiamo il nome, li ha tolti dai corpi ormai freddi e li ha buttati in un angolo del deposito. Ha bevuto per qualche mese.
  • La prima guerra cecena per me è stata una disperazione, un'angoscia totale, una "chernukha" assoluta. Mi ha persino stravolto la memoria – ero andato in guerra in estate, quando in Cecenia era un tripudio di colori, ma la ricordo solo in bianco e nero. Come nei fermo immagine della cronaca. I colori nella memoria non sono rimasti. Per niente. Solo un'attesa nera di morte.
  • Mi hanno messo un fucile in mano e mi hanno detto "Vai e muori per la patria". Avevo 18 anni. Non sapevo dove fosse la Cecenia, per me era lo stesso che dirmi Isole Figi. Non mi hanno neanche detto che mi mandavano in Cecenia. Non considero i ceceni miei nemici e non li ho mai considerati tali.
  • Nessuno, dal comandante del reggimento al soldato semplice, sa perché si trova qui. Nessuno vede un senso in questa guerra. Solo una cosa è chiara: questa guerra è stata venduta dall'inizio alla fine. Questa guerra è stata condotta da incompetenti fin dall'inizio e per gli errori dello stato maggiore, del ministro, del comandante supremo e di tutti gli altri, i soldati pagano con la vita. Nessuno è in grado di spiegare in nome di che cosa avvengono tutte queste morti. "Restaurazione dell'ordine costituzionale", "operazioni antiterrorismo": parole che non vogliono dire niente, invocate per giustificare l'omicidio di migliaia di persone.
  • «Per voi i ceceni sono nostri nemici o no?» insiste Osipov, cercando di venirne a capo. Con la sua voglia di sapere, sarebbe stato utile nei reparti speciali.
    «No, non combattiamo contro i ceceni. Combattiamo contro formazioni illegali armate» replica Zjuzik.
    «Ma queste bande armate sono ceceni o no?»
    «Ceceni.»
    «Quindi combattiamo contro i ceceni» conclude Osipov. «Ma loro cos'è che vogliono?»
    «L'indipendenza.»
    «E perché non possiamo dargliela?»
    «Perché nella Costituzione c'è scritto che nessuno può prendere e staccarsi dalla Russia così quando gli salta il ticchio, arrivederci e grazie» spiega Zjuzik, che sa tutto.
    «Io però non capisco: i ceceni sono cittadini della Russia o suoi nemici? Se sono nemici, allora bisogna ammazzarli tutti senza tanti complimenti. Ma se sono cittadini russi, come si fa a combattere contro di loro? È così o no?»
  • Prima della partenza per la Cecenia, il reggimento due volte a settimana usciva fuori dalla caserma in riga, e lì, a gruppi, stavamo con le chiappe al vento, dopo esserci messi sotto dei fogli di carta. Fra i ranghi camminava un giovane medico donna, di bell'aspetto, mentre noi dovevamo defecare davanti ai suoi occhi e porgerle i nostri escrementi, per verificare che non avessimo la dissenteria. Il bestiame deve andare al macello sano, a nessuno importava che ci vergognassimo o meno.
  • Questa guerra è costruita sul furto e va avanti per amore del furto. I soldati vendono le cartucce, gli autisti vendono carburante, i cuochi la carne in scatola. I comandanti ci rubano il rancio a pacchi interi: ecco lì la nostra carne in scatola, è lì sul loro tavolo, la accompagnano alla vodka e non se ne vergognano nemmeno. I comandanti dei reggimenti ne rubano a carichi interi, i generali rubano direttamente i mezzi. Sono noti casi di blindati per trasporto truppe nuovi di zecca, appena lubrificati, venduti direttamente dalla fabbrica. Ancora oggi, per la Cecenia, circola attrezzatura diventata merce all'epoca della prima guerra, che figura come perdita in combattimento. Gli intendenti inviano a Mozdok dalla Cecenia intere colonne piene zeppe di oggetti rubati, si appropriano di tutto: tappeti, televisori, materiali edili, mobilio. Smantellano le case e le portano via a blocchi. Gli aerei da trasporto traboccano di cianfrusaglie, non rimane spazio per i feriti. Cosa sono due o tre scatole di cartucce in questa guerra venduta dall'inizio alla fine? Noi siamo già stati venduti con tutte le viscere: io, Arkaša, Pinča, il comandante di battaglione e questi due che stanno massacrando, già venduti tutti e registrati come perdite. Le nostre vite sono il saldo versato per le villette dei generali, che spuntano come funghi lungo il Rublëvskoe Šosse, lo stradone dei vip.
  • «Sarei curioso da sapere» chiede Anrjucha «se El'cin pesta Gračëv. È il più alto in grado. Come ad esempio Ciak con i sottufficiali. Ve lo immaginate: il ministro della Difesa gli fa un rapporto inesatto e lui, sbam, un pugno sul muso. Eh?»
    «Sapete cosa sarebbe davvero forte?» interviene Zjuzik. «Piazzare El'cin e Dudaev lì sulla pista, a darsele loro due, di brutto. Chi mette l'altro al tappeto vince. Secondo te, chi stende chi? El'cin Dudaev o viceversa?»
    «Secondo me è Dudaev che stende El'cin. Non è alto, è sveglio e deve avere un montante niente male.»
    «El'cin ha le braccia più lunghe, ed è molto più alto e possente, deve avere un jab a effetto.» Osipov non è d'accordo.
    «È anche grosso e goffo. Poi tracanna così tanto che farà fatica di sicuro a muoversi in fretta. No, io punterei su Dudaev» dico.
    «Anch'io.» Passante mi appoggia.
    «Io invece su El'cin» sorride Zjuzik «giusto per fargli un po' di tifo. Spero che si riempiano di botte il più a lungo possibile. Da solo El'cin mi va in depressione e non le prende come si merita. E neanche Dudaev le prenderebbe. Che se le diano fra loro.»
    Scoppiamo a ridere. Immagino la scena: due presidenti che come due veri sottufficiali si pichiano sulla pista. Le maniche dei loro costosi abiti si strappano, i pantaloni di rappresentanza si lacerano. E tutti in cerchio a fare il tifo: noi per il nostro, i ceceni per il loro. E nessuna guerra. Nessun cadavere.
  • I prigionieri vanno via da noi che già sono cambiati, la propaganda russa – la brutalità dei ceceni, le torture... – sconfessata dall'esperienza. Vivono come noi, senza differenze. Noi speriamo che a casa raccontino la verità.
  • I russi non hanno conquistato nemmeno un villaggio combattendo, entrano quando noi andiamo via. Lasciamo prima che i civili se ne vadano. Quelli che vogliono restare vengono uccisi o deportati.
  • Ieri sono arrivate le madri, le ospitiamo, dicono che dagli ufficiali russi non riescono nemmeno a farsi ricevere. Sono 21 madri. Sono venute pagando mezzo milione i taxi da Grozny. I russi hanno cercato di dissuaderle: vi tortureranno, umilieranno... Nelle nostre tradizioni gli ospiti, anche i nemici giurati, sono sacri. Se sapessero esattamente dove sono, loro bombarderebbero per uccidere insieme madri e figli.
  • In 14 ceceni, senza usare le armi, abbiamo preso 31 russi, dopo che loro avevano sparato sul miting. Ora ci sono i genitori russi per riprendersi i figli, vivono nel villaggio presso le famiglie. Li abbiamo accolti sporchi, disperati. È stata la Croce Rossa a portare i genitori. Stanno aspettando lo scambio uno a uno, ma coi bojeviki, non con povera gente rastrellata a caso. I prigionieri russi da noi sono trattati bene. I nostri tornano senza un rene, torturati, coi fili elettrici collegati all'occhio e alle gambe, li filmavano dopo averli drogati. I soldati russi hanno paura dello scambio, di essere ammazzati dai loro, per questo hanno chiesto la presenza dei genitori.
  • L'Europa non deve essere così spaventata dalla Russia, qui hanno usato tutte le armi, tranne la bomba atomica, e tutti i tipi di soldati – solo gli astronauti non li hanno ancora precettati.
  • Se volessimo solo uccidere russi, ci vorrebbe poco ad andare a Mosca: non è il nostro scopo.
  • Tutto quello che abbiamo è dei russi. Abbiamo le armi necessarie a prendere le altre armi dai russi. Hanno infilato qualche congegno negli anticarro a un solo colpo per identificarne la provenienza, così possono tirarci addosso. Ne abbiamo messo uno su un cane e hanno sparato al cane. Così abbiamo capito.

Citazioni in ordine temporale.

  • Bisognava negoziare con Dudaev quando lo chiedevo io, l'estate scorsa. [...] È un conflitto personale tra Dudaev, clan mafiosi locali che si arricchiscono con il petrolio ceceno e il traffico d'armi e narcotici, e il popolo ceceno e russo. È un conflitto artificiale che, sotto la bandiera dell'indipendenza, mira a depredare la Cecenia delle sue risorse.
  • Io sapevo fin da agosto che il Cremlino pianificava l'intervento militare. Sapevo che c'era una lotta furibonda attorno a Eltsin. Andai in Cecenia proprio per scongiurare la scelta militare. E invitai i deputati della Duma a venire a vedere con i loro occhi. Ne arrivò uno solo, del partito di Zhirinovskij. Adesso alcuni giocano abbastanza cinicamente le loro carte sul fallimento di questa operazione.
  • Hanno giocato diversi fattori [che condussero alla guerra]. Ma uno è stato determinante: il Cremlino voleva dimostrare la sua forza, proprio mentre diventava sempre più debole nel Paese. Certo che hanno sbagliato i calcoli. Pensavano di vincere in pochi giorni e con poche perdite. Il loro comportamento dimostra che non conoscono il Paese che pretendono di governare.
  • Il regime autoritario finirà per uscirne rafforzato, anche perché tutti quelli che gli si oppongono, pur maggioritari, non sono organizzati, né uniti, né hanno un programma chiaro. Ma sarà una svolta autoritaria a tempo definito. Poiché si accompagnerà a una forte destabilizzazione sociale, economica, nazional-territoriale. La disintegrazione della Russia si accentuerà. Conservare a lungo il potere in queste condizioni sarà impossibile.
  • Ci sono principi che non consentono ad un intero popolo di vivere secondo l'immagine e la somiglianza di un altro. I ceceni sono preparati a vivere secondo la propria immagine e somiglianza, non quella dei russi.
  • È in atto un saccheggio di massa da parte dei russi, un saccheggio che è diventato un fatto politico, praticato da tutti gli ufficiali compresi i più alti ranghi. Laboratori mobili russi recuperano i cadaveri per asportare organi e se i corpi sono ceceni vengono poi rivenduti ai familiari.
  • Il mio cuore sanguina per quegli sfortunati che non sono stato capace di proteggere contro tutto questo vandalismo.
  • Mai nella storia dell'umanità il pericolo dell'impiego dell'arma nucleare è stato così forte come ora.
  • Non andremo a nessuna trattativa fino al completo ritiro delle truppe federali. In caso contrario la guerra continuerà fino all'ultimo ceceno.
  • Questa guerra potrebbe durare 50 anni. Non posso fermare i ceceni, che al momento hanno due sole alternative: combattere o morire.

Citazioni in ordine temporale.

  • La Russia degli zar ci mise secoli ad assoggettare la Cecenia, e ci volle la spietatezza di Stalin per spegnerne del tutto la resistenza. Che tuttavia è ricominciata dopo il crollo dell'Urss. La minuscola provincia cecena ha dichiarato l'indipendenza dalla Russia, e ha vissuto come uno stato separato e sovrano. Per due anni, Eltsin ha preferito ignorare il problema piuttosto che affrontarlo. Ha le sue ragioni. I ceceni sono poco numerosi, ma combattono come grandi guerrieri. E la mafia cecena è la più potente di Mosca: c'era il rischio che i secessionisti, se sfidati dal Cremlino, commissionassero alla "loro" mafia un attentato contro il presidente.
  • La guerra tra Russia e Cecenia è stata paragonata a un "piccolo Afghanistan", o alla sfida di qualche mese fa tra Stati Uniti e Haiti. Ma a Mosca si comincia a dire che il parallelo da tracciare è un altro: con la "Baia dei Porci", il mal riuscito tentativo americano di rovesciare Fidel Castro; o con lo scandalo "Iran-contras" dell'era Reagan.
  • Il paese non esiste quasi più. Non c'è una sola casa, un solo edificio di Grozny, che sia sfuggito ai 21 mesi di raid, di bombe, di cannoneggiamento. Le fabbriche sono ferme. Nessuno lavora. L'acqua viene distribuita con le autobotti, quando possibile. Il governo non ha un rublo. I telefoni non funzionano. Non c'è insomma più niente. La guerra è stata vinta, ma a un prezzo esorbitante: un terzo della popolazione è fuggita, un decimo è morta, e i sopravvissuti si aggirano ora tra gli scheletri dei palazzi rimasti in piedi come zombie in uno spettrale, immenso cimitero.
  • Le immagini della tv non bastano a trasmettere l'entità della distruzione. Non bastano, tuttavia, neppure le parole. Rimani presto a corto di aggettivi. Puoi solo ripetere "terribile". E riandare con la memoria a quelle foto in bianco e nero della seconda guerra mondiale che tutti abbiamo visto: Berlino dopo la caduta del Reichstag. Dresda. Coventry. Delle case ancora in piedi è rimasto solo il teschio. Fai fatica a credere che quello che vedi sia vero: sembra una scenografia cinematografica.

Citazioni in ordine temporale.

  • Sarebbe un'importante vittoria del partito della guerra, un errore tragico che avrebbe conseguenze gravissime per la democrazia in Russia. Porterà vittime e terrore.
  • Faccio appello a Eltsin affinché non permetta una escalation militare in Cecenia. L'intervento è stato un tragico errore. Conquistare Grozny costerà enormi perdite umane. Farà peggiorare la situazione politica interna in Russia, sarà un colpo all'integrità della nazione, alle nostre conquiste democratiche, a tutto ciò che abbiamo ottenuto negli ultimi anni.
  • Un crimine di guerra e una catastrofe militare. [...] Dal 31 dicembre il conflitto ceceno ha smesso di essere un affare interno della Russia e impone l'attenzione della comunità internazionale.
  • L'avventurismo del potere che ha scommesso su una vittoria militare, rende ancora più grave la minaccia dell'instaurazione di un regime poliziesco nel Paese.
  • La sanguinosa sconfitta in Cecenia non è una sorpresa. È il risultato inevitabile di un regresso della politica russa, evidente fin dall'inizio del '94, verso una mentalità imperiale e il cosiddetto «rafforzamento dello Stato».
  • In apparenza, non è rimasto nessuno nella cerchia del Presidente ad ammonirlo che, quando qualcuno in Russia parla con voce flebile di «rafforzare lo Stato», di solito prepara un bagno di sangue, specialmente quando vuol dire che il governo intende risolvere complessi e delicati problemi etnici con la forza. Ora quegli stessi consiglieri rifiutano ogni responsabilità per quello che è accaduto.
  • La guerra in Cecenia è, innanzitutto, un duro colpo all'unità della Russia. Appena sei mesi fa, si poteva dire che tutti gli allarmi sulla dissoluzione della federazione russa fossero speculazioni irresponsabili di gente che aveva capito poco. Oggi, questa minaccia è diventata drammaticamente seria.
  • Ho sperato a lungo che Eltsin potesse essere il candidato per il nostro schieramento. Sapevamo perfettamente quali erano i suoi punti deboli, ma egli rappresentava la stabilità ed una diga contro il pericolo della restaurazione del comunismo. Dopo la Cecenia però sarà molto difficile per me credere che Eltsin possa essere e voglia essere il candidato dei democratici.
  • Quando Eltsin ha imboccato la strada dei militari per risolvere la questione cecena, ha portato la democrazia russa su una via molto pericolosa, siamo quindi costretti a schierarci contro di lui. Ed io non provo alcuna gioia per questo. Anzi la vado come una grande sconfitta per la giovane democrazia russa.
  • Furono Eltsin e i suoi uomini a consegnare le armi a Dudaev, violando tutte le leggi e creando un buco nero nel corpo della Russia da cui fuoriusciva ogni tipo di bruttura, dalle macchinazioni finanziarie alla droga e al banditismo. Mosca e il Cremlino usarono la Cecenia ai propri fini, per il potere, e quando questa uscì dal loro controllo scatenarono la guerra. E la perdettero.
  • La guerriglia non si combatterà nella capitale ma sulle montagne. E non solo sulle montagne della Cecenia ma in tutto il Caucaso del Nord. E non c'è esercito di occupazione che possa vincere una guerra del genere, perché mai un esercito regolare è riuscito a vincere contro un popolo.
  • Solo ignorando la storia del popolo ceceno e dei popoli del Caucaso in generale si poteva inviare l'esercito.
  • Tutto ciò che succede è un gran male per la Cecenia, ma è anche un gran male per la Russia intera. Le ripercussioni di questo intervento giungeranno presto fino a Mosca, destabilizzandone gli equilibri già precari.

Citazioni in ordine temporale.

  • Ho guardato la TV: lo scontro contro i russi era condotto dal generale comunista Dzhokhar Dudaev, o almeno così lo immaginavamo. Credevamo fosse un conflitto tra comunisti, non vedevamo prospettive islamiche in Cecenia.
  • Alcuni tra i miei fratelli avevano un’opinione diversa dalla mia. Dicevano: "Perché vai in Cecenia? Ti sei affezionato alle battaglie e per te non fa differenza con chi combattere?" È Haraam per te combattere con queste persone, Sufi con un leader comunista, un generale sovietico? Verserai il tuo sangue invano. [...] Ho discusso con loro, dicendo [...] "Se Allah ha predeterminato che faremo qualcosa, allora lo faremo. Siamo venuti qui per Allah, non per i comunisti. Non supporteremo loro. Stiamo lavorando per Allah e la nostra ricompensa è con lui, quindi siate pazienti. Entriamo e diamo un'occhiata alla situazione." [...]. Questo è stato l'inizio della mia storia in Cecenia.
  • Ho visto persone sincere e, giuro su Allah, ho pianto quando ho chiesto ad una donna anziana: "Per quanto tempo sopporterete queste difficoltà?" e lei ha risposto: "Vogliamo sbarazzarci dei russi". Le ho chiesto "Per cosa combattete?" e lei ha risposto: "Vogliamo vivere come musulmani e non vogliamo vivere con i russi". Allora le ho chiesto. "Cosa potete dare ai Mujahideen?" E lei: "Non ho che questa giacca addosso". Ho pianto: se questa donna anziana può aiutare avendo solo questo, perché noi ci permettiamo di avere paura e dubbi? Da quel giorno decisi con i miei fratelli di iniziare a preparare le persone alla battaglia, come primo passo.

Citazioni in ordine temporale.

  • Il governo di Mosca non vi dice che menzogne su quello che sta accadendo. [...] nemmeno in 70 anni di comunismo si era mai visto un potere così bugiardo.
  • Non ne ho visto nemmeno l'ombra [di mujaheddin afgani in Cecenia]. I tre giordani presi dai russi come mercenari erano in realtà tecnici della raffineria.
  • I ceceni non sono dei suicidi. Ma temo che questa bugia [sull'utilizzo di armi chimiche da parte dei ceceni] serva per giustificare in seguito l'uso di gas tossici da parte dei russi.
  • Temo che [El'cin] non venga informato di quello che accade. Ma è comunque responsabile per essersi circondato di bugiardi e canaglie.
  • La guerra in Cecenia non era affatto inevitabile. Mosca aveva le possibilità di risolvere il conflitto usando la trattativa.
  • Il governo sostiene che le vittime, tra i militari, siano state appena 957. Vi posso assicurare che sono state molto di più. Quello che ho visto con i miei occhi è terribile e in molti posti hanno impedito che ci andassi, salvo poi dichiarare che non ci sono arrivato io. Stanno istituzionalizzando, di nuovo, le bugie. Solamente tra i civili morti sono più di 25mila. E tutto questo per una guerra che è condannata almeno dal settanta per cento della popolazione.

Citazioni in ordine temporale.

  • Guardate la Cecenia. Si sono scontrati contro il recinto ceceno come un toro e si sono incastrati le corna. Ora stanno impazzendo per la loro impotenza ed incompetenza.
  • Questa operazione è stata innescata o da dilettanti o da pazzi.
  • Quei ragazzi non addestrati furono gettati a volontà per poi uscirne traumatizzati, avendo varcato una linea che nessun essere umano dovrebbe varcare. Per vincere, devi pianificare attentamente e poi fare la guerra tempestivamente. In questo caso, non pianificarono affatto. Sono stufo di contare il numero di volte in cui hanno dichiarato di aver preso Groznyj.
  • Gli esseri umani non sono spazzatura. Il sangue umano non è acqua da versare. Questa guerra, di cui nessuno ha bisogno, va fermata a qualsiasi costo, prima che dilaghi nell'intera regione, nella Russia propriamente detta.
  • È uno stato di affari abnorme quando le madri rapiscono i loro figli dalle forze armate. L'assurdità dice molto sul livello di leadership militare e politico nel Paese. Ma poi, questa guerra è contro la Costituzione. Il Presidente ha mai firmato un decreto per iniziare le ostilità? C'è soltanto un ordine dal Ministro della difesa. Quindi, indipendentemente da quello che qualcuno può fare, non può essere chiesto conto dinanzi alla legge. Tutto questo affare è stato politicamente inetto sin dall'inizio.
  • Non ci può essere un vincitore nel tipo di gerra che stanno facendo ora nell'ex Unione Sovietica, solo orde di sconfitti.
  • Andrei a combattere in Cecenia solo alla guida di un reggimento composto dai figli di ministri e pezzi grossi del Cremlino. Ma quelli, naturalmente, se ne stanno a casa.
  • Nel '91 si permise a Dudaev di prendere il potere, usufruire del 100 per cento degli armamenti sovietici rimasti in Cecenia, godere di piena libertà di traffico aereo e di dogana, cosicché la regione diventò una formidabile base per il traffico di armi, droga e petrolio. Adesso che Dudaev non c'è più, la Russia si trova a combattere contro gente che se ne frega di Dudaev ma lotta per vendicare le proprie mogli e i propri figli trucidati, che è quello che un vero uomo deve fare. Per prima cosa, occorre eliminare le radici economiche del conflitto, poi pensare al resto. La guerra è una cosa brutale, che non si ferma né con lo sterminio, né con il gesto di una mano.
  • Tutte le guerre, anche quelle che durano cento anni, prima o poi si concludono con trattative e colloqui di pace. Perché aspettare allora a intavolare queste trattative?
  • Sono convinto al 95 per cento di essere riuscito a strappare la radice della guerra. Era una guerra stupida, senza idee, senza ideologia, senza scopo. Non avevamo né armi, né munizioni, i militari non venivano pagati per 3-4 mesi. Ci facevamo a pezzi a vicenda, ma in nome di che cosa?
  • Ho capito che nel nostro Paese non esiste un meccanismo di decisione nello Stato. L'ho visto ad agosto, quando ho ricevuto due ordini: il primo di fermare la guerra in Cecenia, l'altro di ricominciarla. Entrambi avevano un facsimile della firma di Eltsin.
  • In Cecenia io sono riuscito a ottenere la cosa essenziale: dimostrare che la pace è più vantaggiosa della guerra, per tutti. Il resto viene da sé, se ne può occupare chiunque.
  • [«Allora non ci sarà più guerra in Cecenia?»] Non ci sarà, parola di Aleksandr Lebed.
  • Non c'era modo di vincere la guerra in Cecenia, che era diventata una guerra totale. Qualsiasi leader militare di talento può vincere una battaglia contro un esercito nemico. Ma quando un intero popolo comincia a combattere, un leader militare non può fare nulla. Qualsiasi popolo – sia in Transnistria, sia in Cecenia, o in Abcasia, o in Karabakh – costretto a combattere una guerra totale è invincibile. Chiunque si trovi dalla parte sbagliata di una guerra del genere – Napoleone e Hitler, per esempio – perde. Gli americani dovevano ritirarsi da una guerra come quella in Vietnam, e le truppe sovietiche dovevano ritirarsi dall'Afghanistan. Combattere dalla parte sbagliata di una guerra del genere è come cercare di abbattere un muro sbattendoci contro la testa.
  • Ho preso la decisione politica di porre fine alla guerra in Cecenia e ne sono orgoglioso. Il presidente, come sempre, non c'entrava niente. Allo scoppio della guerra ebbe problemi al setto nasale. Quando ho posto fine a tutto ciò, aveva problemi di cuore e, spero, di coscienza.
  • Bisogna chiarire questa storia: il 17 giugno del '96, dopo il primo turno delle elezioni, quando l'esito sembrava già chiaro, sono andato dal presidente. In quel momento, sia Eltsin che il primo ministro, che tutti gli altri erano nella merda fino alle labbra a causa della guerra in Cecenia. Allora ho detto al presidente: mi impegno a risolvere il problema ceceno. Il problema l'ho risolto in diciannove giorni. Ma a questo punto il seguito presidenziale ha avuto paura. E si sono inventati un consiglio di difesa, e hanno escogitato l'accusa totalmente assurda nei miei confronti di aver preparato un golpe. Così la Russia ha perso l'occasione di risolvere il problema ceceno non con i pugni ma con la ragione.

Citazioni in ordine temporale.

  • Questa guerra richiedeva la mobilitazione di risorse e aumentava i budget delle agenzie militari e di polizia, dei dipartimenti governativi e dei ministeri. Aumentava l'importanza e l'influenza degli uomini in uniforme, trascurando o rendendo irrilevante ogni sforzo compiuto dai sostenitori della pace, della democrazia e dei valori liberali per mantenere lo slancio delle riforme economiche in direzione dell'Occidente. [...] Sappiamo chi trasse vantaggio da tutto ciò, chi erano le persone a cui Eltsin cedette il potere. Sappiamo come venne raggiunto il risultato: per mezzo della guerra in Cecenia. Resta da scoprire chi ha messo in moto il processo.
  • Il riconoscimento della Cecenia come stato sovrano avrebbe potuto rappresentare una vera minaccia di disintegrazione per la Russia. Ma si poteva permettere di scatenare una guerra civile nel nord del Caucaso? Il "partito della guerra", basato sulle forze armate e sugli organi di polizia, sosteneva che poteva permetterselo a condizione che il popolo fosse preparato a una simile evenienza, e riteneva che sarebbe stato abbastanza facile influenzare l'opinione pubblica se i ceceni avessero fatto ricorso a tattiche terroristiche nella loro battaglia per l'indipendenza. Bastava organizzare una serie di attacchi terroristici a Mosca e lasciare una traccia che riconducesse alla Cecenia.
  • C'era il fondato timore che il conflitto fra le due nazioni, che i servizi segreti avevano faticato tanto a provocare, potesse concludersi con un accordo di pace; a quel punto, Eltsin avrebbe potuto persino tornare al proprio programma di riforme liberali. Per compromettere i negoziati di pace l'FSB organizzò una serie di attacchi terroristici a Mosca. Ma attacchi terroristici senza spargimento di sangue e poco eclatanti non suscitavano alcuna impressione e fu così che l'FSB iniziò a compiere azioni mirate a uccidere e a ferire gravemente. Si noti con quanto tempismo i sostenitori della guerra abbiano organizzato gli attacchi terroristici per danneggiare in seguito i fautori della pace e gli stessi ceceni.
  • I combattenti sono per lo più fra i 25 e i 30 anni, gli altri vengono rinviati, si scelgono i fratelli minori perché non hanno la famiglia di cui prendersi cura. In genere alla famosa (leggendaria?) longevità fa riscontro una scarsa stima della precocità, anche nei matrimoni, mi pare di capire, e nelle paternità e maternità.
  • In alcuni dei blocchi i soldati che vengono a controllare sono ubriachi fradici. Lì l'azzardo è totale. Non gli danno da mangiare, dice la madre russa, e li lasciano ubriacarsi. Poi a Grozny, di notte, ubriachi, sparano.
  • Loro hanno fatto la deportazione, ora questo genocidio, ma i russi che violentano ora le donne avranno 45 anni quando i bambini di ora ne avranno 25, e li scoveranno e li ammazzeranno. A Mosca ci sono già russi che spariscono nel niente, dopo essersi vantati in qualche bar delle loro imprese in Cecenia.
  • Nella guerra di due anni che ha decimato le famiglie e ridotto le case in macerie, i ragazzi di 15 anni hanno combattuto fieramente e hanno dimenticato la vita normale, e ora devono impararla senza vestiti civili, senza una scuola restata in piedi, senza l'abitudine ai pensieri sul futuro. Ragazzi pasoliniani, scandalizzati d'esser ripresi in mutande. Siccome nelle case di Grozny l'acqua non arriva ed è inverno, vanno a fare la doccia a cielo aperto sotto i tubi sforacchiati dell'acqua calda che corrono accanto alle tubature del petrolio, e si fanno gli scherzi come nello spogliatoio di una palestra cittadina.
  • Non è un conflitto fra due nazioni, ma fra due mafie moscovite, i ceceni sono il pretesto.
  • Pensando alla ex Jugoslavia ho chiesto dovunque delle violenze compiute contro le donne. Che ci siano state e frequenti tutti lo sanno, ma è difficile andare oltre. Ogni donna che ha accettato di rispondermi mi ha detto che di fronte a quell'onta non c'è che il silenzio e il suicidio. Questo rende la cosa ancora più tragica che nella ex Jugoslavia.
  • Si va in Cecenia come a un doppio incontro fatale: quello con un'assurda guerra di sterminio condotta da una grande potenza spaventata contro un piccolo popolo coraggioso, e quello col Caucaso, culla dei miti delle leggende e delle lingue dell'umanità. L'incontro con l'antichità favolosa e con la modernità nel punto della sua barbarie estrema. Nei villaggi dalle alte torri di pietra su cui vola l'aquila reale le persone stanno accovacciate a lume di candela a parlare e ascoltare. Parlano anche di notizie nuove appresse chissà come. Parlano della Russia che mentre bombarda e incendia quei villaggi è stata accolta nel Consiglio d'Europa. Parlano del capo della Banca Mondiale che è andato a Mosca a consegnare di persona enormi crediti alla Russia di Eltsin. Come è possibile, si chiedono quei pastori e contadini di montagna, e il visitatore non saprebbe rispondere. Di notte si sente il rombo dei bombardieri, quando fa giorno portano il visitatore a vedere le case colpite, i luoghi in cui sono cadute bombe destinate a esplodere a tempo quando la temperatura si alzerà fino a 10-15° sopra lo zero, sarà salutata così qui la primavera.
  • Tre, quattro volte per secolo i russi fanno la guerra al Caucaso. Uccidono, bruciano villaggi e boschi, deportano, saccheggiano. Li chiamano banditi, soprattutto i ceceni, i più fieri e irriducibili fra i popoli della montagna. Ero venuto, in febbraio, a vedere e a dire che quei «banditi» erano in realtà un popolo martoriato – le vittime di due anni di guerra, civili i più, sfioravano già il 10 per cento della popolazione – e pieno di prodezza.

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