Meuccio Ruini
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Meuccio Ruini, diminutivo di Bartolomeo (1877 – 1970), politico italiano.
Citazioni di Meuccio Ruini
[modifica]- La guerra ha rinvigorito la fibra nazionale. Gli italiani debbono abituarsi sempre più a dir noi, e non soltanto io. Qualcosa del passato si attarda ancora, l'antica faziosità che Nitti chiamò la seconda povertà italiana, e v'è chi specula sul malcontento del dopoguerra, e chi fa della guerra una speculazione partigiana; cose spregevoli l'una e l'altra. Ma il popolo in complesso è ottimo. E non si deve temere che renderlo più disciplinato significhi perderne lo scatto e le risorse geniali. Non si può contare con sicurezza sulle improvvisazioni, ma sul sistematismo ordinato. Disciplina non è contraria, ma la stessa cosa di iniziativa, come sono la stessa cosa spirito inquieto di critica e paura di assumere responsabilità. L'arrobustimento del carattere nazionale è l'arma più efficace del dopoguerra.[1]
Il pensiero di Wilson
[modifica]- Rimpiccioliscono la figura di Wilson coloro che lo vedono come «l'idealista, lo studioso, il tranquillo e severo universitario che passò difilato al governo della Repubblica», e dimenticano la sua passione politica. Egli pensò giovinetto di diventare capo dello Stato; più che storico e giurista fu in ogni suo scritto uomo politico; e contò esser candidato del suo partito sino dall' elezione di Taft. Delle due carriere politiche aperte nel suo paese rifiutò bensì la più minuta ed immediata di membro del congresso, e non volle passare attraverso la routine parlamentare e politicante; ma fin da principio scelse la carriera di più difficile elezione, di coloro che si preparano e si mettono in vista, nei tribunali, nelle università, nell'opinione, senza logorarsi, con un'aureola di uomini nuovi; ed attendono che il suffragio universale li porti in cima, dove i presidenti han più potere che i Re. (p. 5)
- Con sangue celta nelle vene – come il gallese Lloyd George ed il vandeano Clemenceau – Wilson ereditò dai suoi avi un alto patrimonio di valori morali. Dal nonno suo presbiteriano[2], emigrato dall'Ulster, tipografo, giornalista e poi giudice; dal padre pastore; dalla madre che era pur essa figlia di un pastore e sorella di un pastore. Fu quest'ultimo darwiniano e modernista, che invitato dai superiori a ritrarsi, rispose: «Voi mi chiedete una menzogna in luogo di una convinzione sincera. Signori, non meritate più la confidenza d'un uomo onesto. Addio». E se ne andò. Il presidente ne ebbe, come nome di battesimo, il cognome; e qualcosa passò nel suo petto di quel ferreo animo scozzese. (pp. 6-7)
- Le idee di Wilson sono fuori delle due mentalità, largamente diffuse nel mondo, allor che la guerra[3] è scoppiata; il materialismo economico e la rettorica nazionalista. Sembrano come un suono di campane lontane. Roba vecchia, che ricorda il linguaggio di una vecchia democrazia ormai derisa. E sembrano insieme troppo giovani: musica dell'avvenire.
Chi quegli accenti balbettò fin dall' inizio del conflitto e della strage, è grato a Wilson di avere, con la sua grande statura, vinta la derisione. Al di sopra delle sante rivendicazioni nazionali di ogni paese in guerra, si è ormai affermata quella che Orlando chiamò «coscienza dell'Internazionale di guerra formulata da Wilson con parole nuove come un nuovo Vangelo». (p. 84)
Note
[modifica]- ↑ Da Problemi di guerra e di dopoguerra, Casa tipografico-editrice Giov. Colitti e Figlio, Campobasso, p. 59.
- ↑ Nel testo "prebisteriano".
- ↑ La prima guerra mondiale.
Bibliografia
[modifica]- Meuccio Ruini, Il pensiero di Wilson, Nicola Zanichelli Editore, Bologna, 1918.
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