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Prudenza

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Piero del Pollaiolo, Prudenza (1470)

La prudenza è una delle quattro virtù cardinali della morale occidentale, sin dall'antichità greca e romana. Nella filosofia platonica è detta "saggezza", ed è la virtù propria dell'anima razionale. La prudenza è interpretata come "la capacità di discernere il comportamento meno rischioso".

La prudenza dispone l'intelletto all'analisi accorta e circostanziata del mondo reale circostante, ed esorta la ragione a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene, scegliendo i mezzi adeguati per compierlo. Per questo fu considerata da Aristotele una sorta di «saggezza pratica» (phronesis), un saper agire rettamente, un'attitudine che «valuta ciò che è bene per l'uomo».[1]

La prudenza è la «retta norma dell'azione», scrive quindi san Tommaso d'Aquino sulla scia di Aristotele. Essa non si confonde con la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione. È detta auriga virtutum, cioè cocchiere delle virtù: essa dirige le altre virtù indicando loro regola e misura. È la prudenza che guida immediatamente il giudizio di coscienza. L'uomo prudente decide e ordina la propria condotta seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare.

La prudenza è appunto virtù regina, perché permette a un’azione di essere perfetta, raggiungendo un fine buono, con mezzi buoni. I vizi opposti alla prudenza: imprudenza, negligenza, falsa prudenza.[2]

  1. ^ Tommaso d'Aquino, Commento all'Etica nicomachea di Aristotele: libri 6-10, pag. 36, Edizioni Studio Domenicano, 1998.
  2. ^ Le virtù cardinali: la prudenza – Il testo del video, su lanuovabq.it. URL consultato il 26 maggio 2024.

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