Partito Popolare Italiano (1919)

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Partito Popolare Italiano
SegretarioLuigi Sturzo (1919–1923)
Alcide De Gasperi (1924–1925)
StatoItalia (bandiera) Italia
AbbreviazionePPI
Fondazione18 gennaio 1919[1]
Dissoluzione9 novembre 1926[1]
Confluito inDemocrazia Cristiana[2]
IdeologiaCristianesimo democratico
Popolarismo[3]
Cristianesimo sociale[4]
Autonomismo[5]
CollocazioneCentro
Seggi massimi Camera
108 / 535
(1921)
TestataCorriere d'Italia[6] (1919)
Il Popolo Nuovo[7] (1919–1924)
Il Popolo[8] (1924–1925)

Il Partito Popolare Italiano (PPI) è stato un partito politico italiano fondato il 18 gennaio 1919 da don Luigi Sturzo insieme a Giovanni Battista Bertone, Giovanni Bertini, Giovanni Longinotti, Achille Grandi, Angelo Mauri, Sebastiano Schiavon, Remo Vigorelli e Giulio Rodinò.

Ispirato alla dottrina sociale della Chiesa cattolica, il PPI rappresentò per i cattolici italiani il ritorno organizzato alla vita politica attiva dopo lunghi decenni di assenza a causa del non expedit conseguente alle vicende dell'unificazione nazionale.

Scioltosi nel 1926 a causa della dittatura fascista, il partito fu rifondato nel 1943 col nome di Democrazia Cristiana (a cui don Sturzo non aderì mai formalmente), che fu il primo partito italiano in tutte le elezioni nazionali dal 1946 al 1994[9]. Dopo lo scioglimento della DC nel 1994, fu rifondato il Partito Popolare Italiano.

L'idea di Romolo Murri di costituire una formazione operante in campo politico aveva trovato ostilità da parte del Vaticano: il suo mancato accoglimento poteva riferirsi a una contrapposizione dottrinale che investiva più il campo religioso che quello politico. Così, diversi democratici cristiani subirono la condanna insieme ai modernisti. In seguito il clima cominciò a cambiare e in questo contesto don Sturzo diede vita al PPI.

Nel PPI confluirono le varie componenti del variegato mondo cattolico e culturale italiano:

Tra novembre e dicembre 1918 don Sturzo riunì a Roma, in via dell'Umiltà 36, un gruppo di amici per alcune riunioni preparatorie.

Ideologia e simboli

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Lo stesso argomento in dettaglio: Appello ai liberi e forti.

Le direttive programmatiche del nascente partito furono esposte nell′Appello ai liberi e forti. L'Appello accettava ed esaltava il ruolo della Società delle Nazioni, difendeva "le libertà religiose contro ogni attentato di setta", il ruolo della famiglia, la libertà d'insegnamento, il ruolo dei sindacati. I proponenti ponevano particolare attenzione a riforme democratiche come l'ampliamento del suffragio elettorale (compreso il voto alle donne) ed esaltavano il ruolo del decentramento amministrativo e della piccola proprietà rurale contro il latifondismo[10].

Logo del PPI in una rivista nel 1919

Il PPI, però, secondo l'espressa volontà di Sturzo, era apertamente interconfessionale (partito di cattolici ma non cattolico), interclassista, che traeva la sua ispirazione dalla dottrina sociale cristiana, ma che non voleva dipendere dalla gerarchia cattolica. Durante il primo congresso del 1919 Sturzo, motivando la scelta di non avere riferimenti alla religione cattolica nel nome del partito, affermava: "È superfluo dire perché non ci siamo chiamati partito cattolico. I due termini sono antitetici; il cattolicismo è universalità; il partito è politica, è divisione. Fin dall'inizio abbiamo escluso che la nostra insegna politica fosse la religione, ed abbiamo voluto chiaramente metterci sul terreno specifico di un partito, che ha per oggetto diretto la vita pubblica della nazione". Questa iniziale confusione del ruolo del partito non contribuì a farne comprendere la vera natura, forse troppo moderna per l'Italia di quegli anni. Sturzo, infatti, faticò molto a mantenere l'autonomia del partito dalle gerarchie, anche perché il partito aveva raccolto anime tenute spesso insieme solo dalla comune ispirazione religiosa.

L'emblema scelto dal partito, conservato poi dalla Democrazia Cristiana, fu lo Scudo Crociato con il motto Libertas, rappresentante da un lato la difesa dei valori cristiani dall'altro il legame con i Liberi Comuni medievali italiani, da qui il forte impegno per il decentramento amministrativo ed uno Stato più snello.

Il partito, grazie alla buona diffusione dell'Azione Cattolica al Nord, delle leghe dei contadini in Italia centrale, delle società di mutuo soccorso al Sud e del Confederazione italiana dei lavoratori in tutto il paese, conobbe una rapida diffusione organizzativa. A questo si aggiunse il favore di molti sacerdoti che lo videro come il "partito cattolico" e per questo vicino alle posizioni del Vaticano.

Elezioni del novembre 1919

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Appena fondato, il PPI poté contare in Parlamento su 19 deputati, eletti in precedenza con il cosiddetto Patto Gentiloni. Alle elezioni del 16 novembre 1919 (le prime dopo la riforma elettorale in senso proporzionale) raccolse il 20,5% dei voti, cioè 1.167.354 preferenze, e 100 deputati, dimostrando di essere una forza indispensabile per la formazione di qualsiasi governo.

Nel suo programma il PPI ricalcò sostanzialmente i principi-cardine della Dottrina sociale della Chiesa Cattolica sostenendo, fra l'altro:

  • l'integrità della famiglia,
  • il voto alle donne,
  • la libertà di insegnamento,
  • il riconoscimento giuridico e la libertà dell'organizzazione di classe nell'unità sindacale,
  • la legislazione sociale nazionale ed internazionale,
  • l'autonomia degli enti pubblici ed il decentramento amministrativo (Regioni),
  • la riforma tributaria sulla base dell'imposta progressiva,
  • il sistema elettorale proporzionale,
  • la libertà della Chiesa,
  • la Società delle Nazioni,
  • il disarmo universale.

in particolare il PPI si prefisse di svolgere e svolse un'azione antitrasformista ed antimoderata.

Nel campo politico nazionale del primo dopoguerra il PPI esercitò una funzione di equilibrio combattendo gli estremismi ed i privilegi di classe. Tale azione, peraltro a causa del massimalismo del Partito socialista (PSI) e della diffidenza verso questi di Sturzo, impedì la collaborazione tra PSI e PPI, che avrebbe garantito al Paese un governo stabile e che avrebbe impedito la conquista del potere del fascismo. In ciò incisero, da una parte l'anticlericalismo socialista, dall'altra la forte diffidenza verso il PSI sia della gerarchia ecclesiastica che della destra del PPI.

Elezioni del 1921

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Don Luigi Sturzo con alcuni congressisti al congresso PPI di Venezia (20-23 ottobre 1921).

Alle elezioni del 15 maggio 1921 il PPI confermò la sua forza elettorale con il 20,4% dei voti e 108 deputati. Nel frattempo le squadre fasciste cominciarono ad attaccare non solo le sedi socialiste, ma anche quelle popolari e quelle delle associazioni cattoliche. Al 3º Congresso, a Venezia, il partito influenzato dalla paura verso i socialisti e condizionato dal clima generale di "moralizzazione" della vita del Paese, preferì assumere una posizione attendista nei confronti del fascismo.

Dopo la marcia su Roma (28 ottobre 1922), per frenare l'irrompere dello squadrismo fascista e l'azione di asservimento dello Stato da parte del partito fascista e nell'illusione di una normalizzazione, il PPI accettò, contro il parere di don Sturzo (il quale si era espresso invece a favore di una collaborazione con i socialisti proprio in chiave antifascista), che alcuni suoi uomini entrassero, nell'ottobre del 1922, nel governo Mussolini: Vincenzo Tangorra ministro del Tesoro e Stefano Cavazzoni ministro del Lavoro e Previdenza Sociale. Nell'aprile del 1923, però, la collaborazione venne meno perché il 4º Congresso del partito, svoltosi a Torino, chiedendo il mantenimento del sistema elettorale proporzionale e l'inserimento del fascismo all'interno del quadro istituzionale, provocò le ire di Benito Mussolini. Il partito visse una crisi interna perché la destra del partito si allineò sulle posizioni filo-fasciste e di fatto abbandonò il partito. L'unico deputato del Partito Popolare a negare il suo voto alla legge Acerbo fu Giovanni Merizzi di Sondrio.[11]

Elezioni del 1924

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I delegati dell'ultimo congresso del Partito Popolare (Roma, 1925), riuniti attorno al ritratto di don Sturzo, in esilio a Londra.

Nelle elezioni del 6 aprile 1924, svoltesi in un clima di violenze e brogli elettorali perpetrati dai fascisti, il PPI riuscì comunque ad ottenere il 9,0% dei voti e 39 deputati e divenne il primo tra i partiti non-fascisti. Visto vano ogni tentativo di impedire l'instaurazione della dittatura, dopo l'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti (1924), il PPI partecipò alla secessione dell'Aventino e passò all'opposizione, dove rimase fino al suo forzato scioglimento avvenuto il 9 novembre 1926. Tutti i maggiori esponenti furono costretti all'esilio (don Sturzo, Giuseppe Donati, Francesco Luigi Ferrari) o a ritirarsi dalla vita politica e sociale (Alcide De Gasperi).

Nonostante la breve vita (sette anni in tutto), l'esperienza del PPI incise a fondo nella società italiana. Lo storico Federico Chabod definì la comparsa del PPI come "l'avvenimento più notevole della storia italiana del XX secolo"[12] e il comunista Antonio Gramsci ebbe a scrivere che con il PPI "avrebbe assunto una forma organica e si sarebbe incarnato nelle masse il processo di rinnovamento del popolo italiano".[13]

  • I Congresso - Bologna, 14-16 giugno 1919
  • II Congresso - Napoli, 8-11 aprile 1920
  • III Congresso - Venezia, 20-23 ottobre 1921
  • IV Congresso - Torino, 12-13 aprile 1923
  • V Congresso - Roma, 28-30 giugno 1925

Risultati elettorali

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Elezione Voti % Seggi
Politiche 1919 1.167.354 20,53
100 / 508
Politiche 1921 1.347.305 20,4
108 / 535
Politiche 1924 645.789 9,01
39 / 535
  1. ^ a b Portonera, p. 113.
  2. ^ Ricostituito come Democrazia Cristiana il 19 marzo 1943.
  3. ^ Giuseppe Portonera 2013, p. 114, 115.
  4. ^ Francesco Occhetta, La Civiltà Cattolica, 2019, p. 117, 118.
  5. ^ Agostino Raso, Nascita del Partito popolare italiano, su fattiperlastoria.it, 14 gennaio 2021.
  6. ^ Da gennaio a maggio 1919.
  7. ^ Fu diretto da Giulio Seganti (1919–1921), Giulio De Rossi (1921–1924) e Igino Giordani (1924).
  8. ^ Dal 9 ottobre 1924 al 19 novembre 1925.
  9. ^ Con la sola eccezione delle elezioni europee del 1984, in cui la DC fu superata, anche se di poco, dal Partito Comunista Italiano
  10. ^ Bisogna rammentare che molte di queste posizioni non erano del tutto accettate dalla società di inizio Novecento. Il ruolo delle donne nella società, come quello dei sindacati o dei comuni non era patrimonio comune della nazione. Soprattutto da parte della gerarchia il ruolo dei sindacati, nonostante l'enciclica Rerum novarum di papa Leone XIII, continuava ad essere poco gradito.
  11. ^ Dizionario biografico: L-P Archiviato il 5 marzo 2014 in Internet Archive. Provincia di Sondrio
  12. ^ Andrea Ciampani, Carlo M. Fiorentino e Vincenzo G. Pacifici, La moralità dello storico: indagine storica e libertà di ricerca : saggi in onore di Fausto Fonzi, Rubbettino Editore, 2004, p. 254, ISBN 978-88-498-0773-8.
  13. ^ Il Nuovissimo Centone: Dizionario dell'elettore Democratico, D.C. Spec., 1963, p. 172.
  • Giulio De Rossi, Il Partito Popolare Italiano dalle origini al Congresso di Napoli, Francesco Ferrari, Roma 1920.
  • Igino Giordani, La politica estera del Partito Popolare Italiano, Ferrari, Roma, 1924.
  • Stefano Jacini, Storia del Partito popolare italiano, con la prefazione di Luigi Sturzo, Garzanti, Milano 1951.
  • Giulio Andreotti, De Gasperi e il suo tempo, Mondadori, Milano 1956.
  • Gabriele De Rosa, Storia del Partito Popolare Italiano, Laterza, Bari 1966.
  • Gli atti dei congressi del Partito Popolare Italiano, a cura di Francesco Malgeri, Brescia, Morcelliana, 1969
  • Francesco Malgeri, Il Partito Popolare Italiano attraverso i suoi congressi nazionali, in Saggi sul Partito Popolare Italiano. Nel cinquantenario della sua fondazione, Roma, Istituto Luigi Sturzo, 1969, pp. 21–94
  • Pietro Scoppola, La proposta politica di De Gasperi, Il Mulino, Bologna 1977.
  • Francesco Malgeri, Il Partito Popolare Italiano, in Storia del movimento cattolico in Italia, a cura di Francesco Malgeri, vol. III, Roma, Il Poligono, 1980, pp. 3–201
  • G. Vecchio, Il Partito Popolare, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia. 1860-1980, vol 1. I fatti e le idee, a cura di Francesco Traniello e Giorgio Campanini, Casale Monferrato, Marietti, 1981, pp. 68–79
  • Alcide De Gasperi, Le battaglie del Partito popolare. Raccolta di scritti e discorsi politici dal 1919 al 1926, a cura di P. Piccoli e A. Vadagnini, pref. di F. Malgeri, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1992.
  • Nico Perrone, Il segno della DC, Dedalo Libri, Bari 2002.
  • Francesco Malgeri, Il Partito Popolare Italiano, in Cristiani d'Italia. Chiese, società, stato (1861-2011), a cura di A. Melloni, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2011: Partito popolare italiano in "Cristiani d'Italia"

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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