Il ritratto

Chi è William Gibson, l’uomo che ha inventato il cyberspazio

Quarant’anni fa ha immaginato il mondo in cui avremmo vissuto, dando vita a uno dei filoni narrativi più affascinanti dello scorso secolo: il cyberpunk
Il romanziere William Gibson
Il romanziere William GibsonChristopher Morris/Corbis via Getty Images

A volte si verificano degli intrecci di date che, per quanto casuali, si dimostrano rivelatori. Nel 1948, George Orwell pubblica 1984: l’opera distopica più importante di tutti i tempi. Il 1948 è anche l’anno in cui nasce William Gibson, che proprio nel 1984 – esattamente 40 anni fa – pubblicherà il suo capolavoro del genere fantascientifico e distopico. Un romanzo che influenzerà i decenni successivi come Orwell aveva influenzato quelli precedenti: Il Neuromante.

“Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione, sintonizzata su un canale morto”: è il celebre incipit del romanzo che proiettò Gibson verso un’istantanea fama globale e in cui condensò un immaginario che – seppur in parte anticipato da Philip K. Dick (soprattutto nella versione cinematografica del suo racconto più famoso, portato al cinema da Ridley Scott con Blade Runner) e altri – non poteva non colpire nel segno durante gli anni della nascente rivoluzione digitale.

La prima volta del “cyberspazio”

È in questo romanzo che compare per la prima volta il termine “cyberspazio” (oggi praticamente sinonimo di internet), in cui gli hacker si collegano ai computer tramite una presa innestata nel cranio, in cui luci al neon illuminano megalopoli sporche, decadenti e preda di traffici di ogni tipo, in cui i sistemi informatici connessi tra di loro danno vita alla “matrice”, in cui le intelligenze artificiali iniziano a minacciare la società umana, in cui il potere delle corporation tecnologiche supera il livello di guardia.

La capacità di Gibson di tratteggiare a tinte fosche il mondo in cui oggi siamo immersi ha fatto sì che venisse più volte considerato una sorta di profeta. Ovviamente, le cose non stanno così: “Gibson lo racconta spesso”, scrive Francesco Guglieri nella postfazione al volume Cyberpunk – Antologia Assoluta (pubblicato da Mondadori). “Tra le varie suggestioni che lo hanno ispirato c’è l’aver osservato un ragazzino che giocava a un videogioco arcade, concentrato, fuso con la macchina, impenetrabile dall’esterno mentre nella sua testa esplodevano le immagini, i suoni, le scene generate dal gioco. Essere assenti, altrove, anche quando si è fisicamente presenti e immobili […]: il cyberspazio e internet erano già lì, in quel ragazzino intento a sparare a degli alieni pixelati”.

Non hanno previsto il futuro, prosegue Guglieri. “No, Gibson e soci hanno semplicemente prestato attenzione al loro presente, hanno fatto quello che fanno i bravi scrittori: hanno guardato attentamente. Hanno concentrato lo sguardo, magari su un particolare, e hanno ‘sentito’ il futuro che era già lì, il futuro che era già presente.

L'influenza contemporanea

Niente conferma l’importanza di William Gibson (e del suo sodale Bruce Sterling, oltre che di Neal Stephenson, ideatore del termine “metaverso” nel romanzo Snow Crash di qualche anno successivo) di quanto non faccia il ritorno che nell’ultimo decennio ha vissuto il cyberpunk: Black Mirror, Her, Ex Machina, Westworld, Blade Runner 2049, Devs, Ready Player One. Le opere recenti che si richiamano al cyberpunk sono innumerevoli: un ritorno che si è reso inevitabile, mano a mano che il mondo immaginato da Gibson si rivelava sempre più simile a quello in cui, oggi, viviamo.

E pensare che l’approdo alla narrativa e alla fantascienza di Gibson ha seguito un percorso talmente tortuoso che avrebbe potuto portarlo praticamente da ogni altra parte. Nato nel South Carolina, Gibson si avvicina alla fantascienza da giovanissimo: all’età di sei anni perde infatti il padre e torna a vivere – dopo anni di costanti traslochi a causa del lavoro paterno – nella città nativa dei genitori, nella Virgina del sud. “È stata questa esperienza di improvviso esilio, in un posto che sembrava il passato, che ha fatto cominciare la mia relazione con la fantascienza.

All’età di 14 anni si avvicina ancora di più al genere e inizia a scoprirne le varianti controculturali, decidendo di diventare uno scrittore di fantascienza. Fin qui, sembra un percorso lineare. Ma poi tutto deraglia: la madre muore quando Gibson è nel pieno dell’adolescenza, lui lascia la scuola senza diplomarsi e pochi anni dopo scappa in Canada per non essere arruolato per il Vietnam.

In tutto ciò, le sue ambizioni da scrittore vengono completamente abbandonate. Ma non quelle di diventare un artista di qualche tipo: un pittore o forse un regista. A Toronto entra a contatto con la cultura hippie, prova senza successo a studiare arte e a produrre qualcosa, ma senza mai concludere nulla.

Gli esordi letterari

A questo punto, Gibson ha 25 anni e si è trasferito a Vancouver per seguire la carriera accademica della fidanzata, con la quale nel frattempo ha avuto un figlio. Ed è proprio il fatto di diventare padre, inaspettatamente, a farlo tornare alla sua prima passione: “Restavo a casa per prendermi cura del bimbo”, ha raccontato tempo fa al Guardian. “Non potevo lasciare casa e mi sentivo intrappolato in una situazione in cui mi sembrava che l’unica cosa che potessi fare fosse scrivere. E così, mentre il bambino dormiva, io mi misi a scrivere fantascienza.

Ancora più inaspettato è il fatto che i suoi primi racconti vengono subito acquistati da editori, permettendogli di guadagnare i suoi primi veri soldi e trasformando improvvisamente in un lavoro ciò che era iniziato perché non sapeva che altro fare. Gibson pubblica qualche storia e poi, nel 1982, arriva la prima raccolta di racconti cyberpunk della storia: La notte in cui bruciammo Chrome, dove per la prima volta compare il termine cyberspazio.

Due anni dopo seguirà Il Neuromante e poi gli altri due romanzi della cosiddetta Trilogia dello Sprawl: Giù nel cyberspazio e Monna Lisa Cyberpunk. Il suo stile richiama il classico noir a tinte cupissime della narrativa americana (alla Raymond Chandler), ma aggiungendoci tutto l’hi-tech, la distopia, le droghe psichedeliche, le piogge acide e le ambientazioni squallide che caratterizzeranno il genere.

Gibson in quegli anni diventa una sorta di guru nei nascenti ambienti della internet culture. Eppure, rapidamente, si allontana dal cyberpunk strettamente inteso a cui proprio lui ha dato vita: la sua trilogia successiva, battezzata “del ponte”, è ambientata in un futuro molto più vicino e così anche le opere successive, in cui si concentra sul presente segnato da derive politiche, dal consumismo, dalla crisi climatica e altro (pur mantenendo un chiaro interesse verso la tecnologia e uno sguardo verso il futuro). È un passaggio che molti cultori del “primo Gibson” non hanno mai del tutto digerito. Ma forse era inevitabile: dopo aver immaginato il futuro, l’inventore del cyberpunk ha deciso di cimentarsi in un’opera ancora più difficile: decifrare il presente.