La pesante eredità delle basi militari aleggia sul voto in Sardegna

La candidata Todde dice di avere un piano per rendere sostenibili le servitù militari, che da decenni segnano lo sviluppo dell'isola con la loro scia di inquinamento e di malattie
Una base militare abbandonata a Tempio Pausania
Una base militare abbandonata a Tempio PausaniaEmanuele Perrone/Getty Images

A pochi giorni dal 25 febbraio, quando in Sardegna si vota per le ragionali, la candidata presidente Alessandra Todde, appoggiata dal centrosinistra italiano e vari partiti indipendentisti, ha dichiarato di avere un piano serio e articolato per rendere le servitù militari presenti sul territorio “sostenibili. Un annoso problema per l'isola, più volte sotto i riflettori ma mai affrontato.

Le servitù militari sono enormi aree di territorio che, insieme ai territori propriamente militari, fanno della Sardegna un gigantesco scenario in cui sperimentare armi, a opera della Nato e dei suoi alleati. La Regione ha un milione e mezzo di abitanti, 5 province e trentuno basi militari: il 65 per cento di quelle presenti in tutta Italia. L’80 per cento del munizionamento italiano, come reso noto dal resoconto stenografico della Commissione d’inchiesta sull’utilizzo dell’uranio impoverito, è stato sparato nell’isola, che ospita, tra i tanti, due dei poligoni più grandi d’Europa: il Poligono sperimentale e di addestramento interforze di Salto di Quirra (Pisq), posto a sud est, che si aggiudica il primo posto per estensione, e, al secondo posto, Capo Teulada a sud ovest.

Le basi militari in Sardegna

A Salto di Quirra il territorio interdetto alla popolazione è di tredicimila ettari. A cui devono essere aggiunti i duemila di Capo San Lorenzo e un braccio di mare. I calcoli sono contenuti nell’indagine conoscitiva delle basi sarde effettuata all'inizio dei lavori della prima Commissione d’inchiesta parlamentare sull’utilizzo dell’uranio impoverito. In tutto parliamo di circa centoventi chilometri quadrati: quasi quanto la città di Parigi. Ma al posto della Tour Eiffel c’è una collina alta 600 metri, denominata “zona torri”, dove venivano esplosi da vari eserciti Nato materiali obsoleti della Seconda guerra mondiale. La zona torri ora è sterile. Nel territorio si sperimentano nuove tecnologie militari nazionali e internazionali e si calcolano gli effetti distruttivi su un bersaglio.

In quella zona sono state lanciate le prime generazioni di missili Milan, risalenti agli anni precedenti alla Guerra dei Balcani e caratterizzate da un'alto concentrazione di torio radioattivo (componente più dannosa dell’uranio impoverito), e missili Nike, di fabbricazione statunitense che ancora adesso provocano seri problemi di salute alla popolazione che ci abita a ridosso. Conseguenze accertate scientificamente dall’inchiesta del 2008 di Domenico Fiordalisi, procuratore di Lanusei, che tuttavia si è chiusa senza l'individuazione dei responsabili dei lanci dei missili e dell'affitto degli impianti per i test.

Anche se la presenza dell’uomo è limitata, le attività militari hanno provocato conseguenze nefaste. Una è la Sindrome di Quirra, con cui si indicano malformazioni animali e della popolazione di Escalaplano, paese alle pendici della base militare, che ha registrato negli anni un incremento di Linfomi di Hodgkin e non Hodgkin. L'altro l'inquinamento a Teulada della Penisola Delta, giudicata imbonificabile dal 1970.

Inquinamento e bonifiche

La zona Delta, presente nel Poligono di Capo Teulada, detta anche zona di “arrivo colpi”, è stata bombardata ininterrottamente per 65 anni da navi, aerei ed elicotteri. Le esercitazioni a Teulada sono state interrotte solo una volta nel 2015 a causa di un’inchiesta della Procura di Cagliari che ha portato all’imputazione di cinque generali per disastro ambientale, ancora in corso. L’inchiesta del procuratore Fiordalisi, come nel caso di Quirra, ha messo in luce numeri agghiaccianti. L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ha individuato 235 ordigni inesplosi e 13 misurazioni di arsenico e piombo fuori scala. Emerge dalle audizioni conclusive della Camera che la superficie ripulita è dell’1,4 per cento.

Si può rendere una servitù militare sostenibile? Nel 2018 i vertici della Difesa italiana hanno presentato un progetto di ammodernamento delle caserme, detto “Caserme verdi”, con la proposta di piantare “alberi per compensare la CO2 prodotta dai carri armati”. Quanti alberi valgono un carro armato? Per capirlo occorre fare ricorso al mercato dei crediti del carbonio, certificati che le aziende che inquinano meno del previsto vendono sul mercato a quelle che sforano i limiti e vogliono ”compensare" la loro posizione. Non è chiaro, però, il conto effettuato dai vertici militari italiani per “Caserme verdi”.

Come possiamo essere sicuri dell’impatto ambientale se non ci sono dati e studi pubblici sul terreno all’interno delle aree interdette?, commenta Alberto Tanda, dottorando in Agraria all’Università di Sassari ed esperto di bonifiche sul terreno. E aggiunge: “Se il ministero della Difesa volesse risultare trasparente, o perlomeno sostenibile, non può fare delle analisi interne e non condividerne i dubbi. Per poter bonificare quel territorio bisognerebbe cessare le attività”. Ricercatori e cittadini attivi chiedono perché non si hanno dati aggiornati sullo stato di salute di quelle aree. Le ultime analisi conosciute sono state quelle riservate al processo di Capo Teulada per disastro ambientale del 2016. E non è chiaro neanche lo stato di avanzamento delle bonifiche. La prima è stata proposta nel 2000. Per rendere “sostenibili” le servitù militari, a Todde conviene partire dai dati ambientali mancanti.