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Il ruolo inclusivo dell'educatore professionale socio-pedagogico

2019

It Il seguente lavoro propone una riflessione sull'attuale normativa che regolarizza l'educatore professionale socio-pedagogico e gli attribuisce un ruolo collaborativo e di promozione del dialogo con i diversi attori coinvolti nei processi educativi. Nello specifico, l'articolo ha l'obiettivo di orientare l'attenzione su una proposta di formazione volta a promuovere un profilo inclusivo dell'educatore, in linea con il modello bio-psico-sociale della salute. In quest'ottica, l'educatore, oltre ad equipaggiarsi di competenze teorico-pratiche, necessita di acquisire quelle competenze trasversali, come l'osservazione e l'analisi, per la costruzione di un quadro descrittivo dell'educando, comprensivo di "barriere" o "facilitatori" per la progettazione dell'agire educativo inclusivo. En The following work proposes a reflection on the current legislation that regularises the socio-pedagogical professional educator and att...

View metadata, citation and similar papers at core.ac.uk brought to you by CORE provided by ESE - Salento University Publishing AMELIA LECCE; ILARIA VIOLA; DIANA C. DI GENNARO1 Il ruolo inclusivo dell’educatore professionale sociopedagogico Università degli Studi di Salerno Riassunto. Il seguente lavoro propone una riflessione sull’attuale normativa che regolarizza l’educatore professionale socio-pedagogico e gli attribuisce un ruolo collaborativo e di promozione del dialogo con i diversi attori coinvolti nei processi educativi. Nello specifico, l’articolo ha l’obiettivo di orientare l’attenzione su una proposta di formazione volta a promuovere un profilo inclusivo dell’educatore, in linea con il modello bio-psico-sociale della salute. In quest’ottica, l’educatore, oltre ad equipaggiarsi di competenze teorico-pratiche, necessita di acquisire quelle competenze trasversali, come l’osservazione e l’analisi, per la costruzione di un quadro descrittivo dell’educando, comprensivo di “barriere” o “facilitatori” per la progettazione dell’agire educativo inclusivo. Parole chiave: Educatore professionale socio-pedagogico, inclusione, professionalità Abstract. The following work proposes a reflection on the current legislation that regularises the socio-pedagogical professional educator and attributes to him a collaborative and promotion role of the dialogue with the various actors involved in the educational processes. Specifically, the article has the objective of directing attention to a training proposal aimed at promoting an inclusive profile of the educator, in line with the bio-psycho-social model of health. In this perspective, the educator, in addition to equipping themselves with theoretical-practical skills, it needs to acquire those transversal skills, such as observation and analysis, for the construction of a descriptive framework of the learner, including "barriers" or "facilitators" for the design of inclusive educational action. Keywords: Socio-pedagogical professional educator, inclusion, professionalism 1 Amelia Lecce è dottoranda di ricerca in Scienze del Linguaggio, della Società, della Politica e dell’Educazione presso il Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione dell’Università degli Studi di Salerno. Ilaria Viola è dottoranda di ricerca in Scienze del Linguaggio, della Società, della Politica e dell’Educazione presso il Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazionedell’Università degli Studi di Salerno. Diana Carmela Di Gennaro è ricercatrice a tempo determinato di Didattica e Pedagogia speciale presso il Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione dell’Università degli Studi di Salerno. Mizar. Costellazione di pensieri ● n° 10 2019 ● Pedagogia ● pp. 77-95 ● e-ISSN: 2499- 5835 ● DOI: 10.1285/i24995835v2019n10p77 1. Introduzione L’Organizzazione delle Nazioni Unite,nel delineare l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, individua nell’educazione “di qualità, equa e inclusiva, un’opportunità di apprendimento per tutti” (ONU, 2015, p. 17). Le condizioni di estrema difficoltà economico-sociale in cui versa l’Italia, l’incertezza nel futuro delle giovani generazioni (Bauman, 2011), la “diffidenza altrettanto estrema nei confronti del futuro” (Benasayag, Schmit 2003, p. 18), generano un diffuso pessimismo nelle istituzioni. Infatti, la crisi economica interviene in ogni settore di potenziale crescita tanto da parlare di “stagione dell’incertezza” (SVIMEZ, 2018, p. 5), determinata da un rallentamento dell’economia mondiale che ha portato alla creazione di una générationprecaire (Bourdieu, 1998). In questo scenario di criticità appare quanto mai urgente parlare di educazione in un’ottica inclusiva. È in questa atmosfera culturale caratterizzata da molteplici incertezze sociali, economiche e culturaliche ha visto luce l’approvazione dellalegge 205/17 a favore degli Educatori e dei Pedagogisti. La legge identifica nella figura dell’educatore socio-pedagogico e del pedagogista “un operatore capace di uno sguardo unitario e complesso, che sappia intervenire a supporto della crescita e della piena umanizzazione delle persone, lungo l’intero arco di vita e nei molteplici contesti in cui l’educazione si realizza” (Iori, 2018, p. 11). La normativa, in linea con le direttive europee, disciplina le professioni di Educatore e Pedagogista ai fini di armonizzare i servizi e gli interventi educativi su tutto il territorio nazionale (Iori, 2018). A conferma di ciò, le Università italiane, rispettando il comma 597 della suddetta legge, si avviano a predisporre un corso intensivo di formazione per un totale di 60 crediti formativi per tutelare coloro i quali svolgono un lavoro educativo pur non avendo una qualifica in tal senso, a differenza del periodo antecedente all’approvazione della legge, in cui in Italia non era necessario aver conseguito un titolo e dunque tutti potevano improvvisarsi educatori (Iori, 78 2018). Infatti, il Consiglio Universitario Nazionale, in linea con gli obiettivi formativi previsti dalla Classe di Laurea L-19 (Scienze dell’educazione e della formazione), ha espresso parere in merito ai contenuti formativi del corso intensivo di formazione per la qualifica di “educatore professionale socio-pedagogico”. Il corso dovrebbe essere strutturato considerando la formazione sulle conoscenze di base nelle scienze dell’educazione, con un programma che contempli le diverse dimensioni delle problematiche educative, ela formazione sulle conoscenze teorico-pratiche per l’analisi della realtà. L’obiettivo del percorso, delineato dal CUN, è quello di equipaggiare il futuro educatore di competenze adeguate alla crescente domanda educativa “competenze espressa dalla realtà pedagogico-progettuali, comunicativo-relazionali e sociale, nello specifico metodologico-didattiche, organizzativo-istituzionali” (Consiglio Universitario Nazionale, Sessione n. 232, Adunanza del 3/7/2018). Gli ambiti disciplinari del percorso universitario dovrebbero, quindi, esser volti a formare professionisti capaci di risolvere problemi di vita quotidiana, tramite una conoscenza sistemica e scientifica (Schön, 2006). Per raggiungere tale obiettivo diventa nevralgica la riflessione sul lavoro educativo, nello specifico, sarebbe opportuno saldare il rapporto tra dimensione teorica e sfera pratica (Schön, 2006), al fine di “restituire alla circolarità prassi-teoria-prassi quella continuità che troppo spesso corre il rischio di essere discretizzata” (Sibilio, 2014, p. 62) La riduzione del divario faciliterebbe la destrutturazione della credenza negli educatori che “l’esperienza non ha bisogno della teoria”, in ragione di una bassa considerazione delle potenzialità e delle criticità di ogni teoria (Fabbri et al., 2018, p. 104). L’approccio funzionale alla costruzione di un agire educativo di senso è quello di riuscire a generare una circolarità necessaria affinché ci sia una pratica informata dalla teoria e viceversa. Da qui deriva la strutturazione dei contenuti curricolari che prevede una quota di conoscenze scientifiche 79 disciplinari di base, seguite dalle conoscenze applicate e dalle attività tecniche e pratiche, quest’ultime acquisibili anche tramite le attività di tirocinio (Premoli, 2017). L’educatore professionale socio-pedagogico diventa, pertanto, una figura strategica per lo sviluppo di quelle abilità e di quelle competenze educative utili nella relazione con l’extra-scuola e nell’inserimento dei soggetti nei progetti di rete territoriale. Da diversi anni, la riflessione pedagogica ha rivolto l’attenzione all’analisi dell’agire educativo differenziando i diversi contesti di vita, considerandoli come luoghi di incontro e di scambio tra le agenzie formali e non formali. Da qui la convalida da parte delle istituzioni educative del Sistema Formativo Integrato comemodello che “si struttura grazie all’evoluzione del significato di territorio e di comunità locale, che supera l’accezione fisico-geografica per adottare un’interpretazione socioculturale, in cui si intrecciano dimensioni produttive, sociali, educative, familiari, associazionistiche” (Bonometti in Perla, Riva, 2016, p. 99). L’azione educativa è diversa in base alle varie rappresentazioni e credenze presenti nei contesti per cuiemergela necessità di delineare come l’idea di efficacia dell’azione educativa “debba rapportarsi non tanto a valori generali, ma a valori condivisi almeno da una comunità e allineati alle reali possibilità di cambiamento degli attori coinvolti” (Fabbri et al., 2018, p. 104). In questo sistema di relazioni l’educatore socio-pedagogico può rappresentare una figura deputata ad interpretare le esigenze territorialiea leggere i bisogni delle persone, per fornire risposte efficaci, in particolare nelle situazioni in cui sono presenti “ostacoli” o “barriere” tali da impedirelo sviluppo delle potenzialità del soggetto. In altre parole, l’educatore socio-pedagogico si dimostra essere una figura di raccordo tra le agenzie formali e non formali presenti sul territorio, in grado di promuovere un’educazione inclusiva in quanto si presenta come mediatore all’interno di in un sistema formativo integrato. 80 2. L’attuale ruolo dell’educatore professionale socio-pedagogico La legge 205/17 affida all’educatore professionale socio-pedagogico le conoscenze, le abilità e le competenze educative e formative dedicate alla progettazione, programmazione, realizzazione e valutazione di interventi educativi e formativi nei servizi diretti alla persona. In questa prospettiva, l’educatore diventa accompagnatore e facilitatore dei processi di apprendimento nei contesti di educazione permanente e di formazione professionale, nonché trait d’union a favore dell’inserimento lavorativo. Infine, gli viene riconosciuto un ruolo di mediatore nella definizione delle politiche formative, di pianificazione e gestione di servizi di rete nel territorio in una visione collaborativa, per l’attivazione di sistemi integrati, per la gestione e la valorizzazione delle risorse (L. 205/17, D. Lgs. 2443). A tal proposito, occorre sottolineare che “Le professioni educative si differenziano sia per il tipo di competenze, sia per la dimensione sociale a tensione etica. Parlare di educatore usando questo termine non solo come titolo professionale ma per esprimere un’attitudine, un’identità, un impegno esistenziale concreto significa credere nell’educazione, nelle sue ragioni, nei suoi significati” (Calaprice in Sibilio e Aiello, 2018, p. 84). In questa visione, gli insegnanti, gli educatori, i pedagogisti, gli studiosi e i ricercatori di discipline pedagogiche, i genitori e tutti i professionisti che intervengono nel processo educativo “sono chiamati ad assumere una prospettiva capace di tenere in considerazione l’interconnessione delle dimensioni temporali, relazionali ed esperienziali, che determinano l’intero arco di vita degli educandi, nonché di se stessi” (Camedda, 2019, p. 180). Tuttavia, sussiste la differenza di due percorsi universitari che orientano l’agire educativo in due diversi settori di intervento: un corso di area 81 medica, caratterizzato da un approccio tecnico-scientifico, tipico delle professioni sanitarie; un corso di formazione “umanistica”, caratterizzato da una base di conoscenza teorico-pratica delle scienze dell’educazione a cui vengono affiancati insegnamenti di storia, di filosofia, di letteratura (Cornacchi, Madriz, 2017). L’articolo 594 della Legge 205/17 differenzia gli ambiti in cui gli educatori lavorano: formativi ed educativi, scolastici, socio - sanitari e socio assistenziali, culturali, giudiziari, ambientali, di cooperazione internazionale. L’agire professionale dell’educatore, infatti, può rivolgersi ad una pluralità di interlocutori di età diverse e con background differenti (Iori, 2018). In effetti, gli si attribuisce unruolo strategico sociale nella costruzione di un dialogo significativo non solo con l’utente, ma anche con il territorio e le comunità professionali in esso operanti (ChiappettaCajola, Traversetti, 2017). Il legislatore attribuisce all’educatore un ruolo collaborativo e di promozione del dialogo nelle relazioni tra le parti per cui i servizi educativi e scolastici rappresentano il contesto per eccellenza in cui essi operano. A tal proposito, secondo l’ordinamento giuridico italiano, il Regolamento sull’autonomia delle istituzioni scolastiche (DPR 275/1999) garantisce gli interventi educativi di istruzione e formazione in coerenza con i programmi nazionali, nel rispetto delle libertà di insegnamento e del pluralismo culturale, provvedendo a progettare e realizzare, singolarmente o in accordo con altre istituzioni scolastiche, le prassi educative. In tale contesto l’educatore è costruttore attivo di pratiche innovative, facilitatore di best practice in accordo tra i vari stakeholder che partecipano al piano di intervento educativo (ChiappettaCajola, Traversetti, 2017). Il lavoro educativo, pur mantenendo una sua specificità, resta molto eterogeneo perché opera nel complesso sistema dei servizi e delle istituzioni, occorre quindi una posizione riflessiva (Cambi, 2014) che ne 82 definisca le competenze all’interno di un contesto di difficile interpretazione. Si delineano in questo framework, specchio di un funzionamento complesso delle istituzioni, le competenzedi tipo interpretativo e metodologico pragmatico, cui l’educatore deve tendere. La competenza interpretativa ha l’obiettivo di “far sorgere le interpretazioni dell’esperienza vissuta come educatori insieme agli educandi, sapendo che sono sempre ipotesi da mettere alla prova nell’esperienza stessa” (Iori, 2018, p. 51). L’educatore non si confronta quasi mai con “evidenze immediate, ma con tracce che rinviano ad altro, con elementi di apparente marginalità e li studia affinché possano assumere una fisionomia riconoscibile” (Perla, Riva, 2016, p. 43). L’educatore con una buona competenza interpretativa rappresenta l’esperienza dell’alunno in modo non stabile e modificabile nel tempo (Moscovici, 1989), consapevole che lo sviluppo della conoscenza è un processo e non è mai definitivo (Palmieri, Prada, 2008). L’educatore è un ricercatore che identifica le tecniche e i modi utili per costruire la conoscenza (Schon, 1987; Mortari, 2003) e si avvale della competenza interpretativa e riflessiva per conoscere il mondo (Gadamer, 1986). La competenza metodologica e pragmatica si riferisce “all’agire con metodo”, cioè alla prassi educativa (Perla, Riva, 2016): “Non si tratta di possedere un metodo da applicare aprioristicamente a persone e situazioni, ma di sapersi orientare nella gamma di azioni che il compimento di un’esperienza educativa richiede, scegliendo cosa fare e come agire” (Iori, 2018, p. 51). Risulta, quindi, indispensabile adottare un atteggiamento comprensivo e analitico delle situazioni esperite al fine di trarne vantaggio per ulteriori progettazioni. 83 3. L’educatore professionale socio-pedagogico in una prospettiva inclusiva L’educazione nella sua natura life-long e life-wide richiede un impegno costante dei soggetti coinvolti nella vita della persona sia nei vari contesti e sia in una prospettiva longitudinale. L’impegno costante porta ad una riformulazione dei “principi di funzionamento, delle regole e delle routines del contesto” (Gaspari, 2011, Vasquez, Oury, 2011 in Pavone 2014, p. 162) in un’ottica life-wide,e dovrebbe coinvolgere ogni elemento con la propria specificità. La specificità è tale quando si rispetta la genesi del concetto di inclusione, quando “la persona portatrice di diversità entra nella comunità a pieno titolo, alla pari di tutti gli altri” (Pavone, 2014, p. 162). L’inclusione è il modello alla base dell’expertise professionale delle figure di cura ed i suoi principi andrebbero declinati nei vari contesti della vita del soggetto. L’educatore, quindi, si dovrebbe configurare come esperto dei temi legati all’inclusione e, a tal proposito, il CUN ha fornito parere in merito alla distribuzione dei 60 CFU nei vari ambiti disciplinari, riconoscendo il valore inclusivo dell’educazione tra i settori scientificodisciplinari (Consiglio Universitario Nazionale, Sessione n.232, Adunanza del 3/7/2018). La European Agency for Development in Special NeedsEducation, in un documento del 2012, sottolinea come la dimensione valoriale degli educatori e degli insegnanti sia assolutamente fondamentale per favorire i processi di inclusione in quanto connessa alle aree di competenza che possono riguardare le opinioni personali sull’integrazione e sull’inclusione (EADSNE, 2012). Partendo dalla dimensione dei “valori dell’inclusione sociale e il principio della valorizzazione delle potenzialità individuali”, la formazione iniziale degli educatori dovrebbe permettere, dunque, l’acquisizione della capacità di tradurre opinioni e conoscenze in azioni inclusive (Aiello, 2018, p. 25). 84 Le opinioni personali sull’inclusione, insieme ai comportamenti messi in atto in un contesto educativo, possono essere condizionati dagli atteggiamenti, che possono risultare dei facilitatori o delle barriere. Nello specifico,alcuni studi hanno evidenziato che gli atteggiamenti degli educatori rappresentano un facilitatore nei contesti scolastici soprattutto per i bambini con Bisogni Educativi Speciali (ChiappettaCajola&Traversetti, 2018). Dunque, le opinioni sull’inclusione promuovono comportamenti positivi verso le specificità delle persone e possono condizionare quelle rappresentazioni, sottese agli atteggiamenti, derivanti da una cornice di riferimento condivisa a livello sociale (Ramel, 2016). Se l’inclusione è un modello che si sviluppa nelle dinamiche sociali, diventa essenziale analizzare le rappresentazioni della disabilità delle figure di cura in quanto fattore protettivo per favorire azioni educative realmente inclusive. La sfida educativa posta dal paradigma dell’inclusione sta anche nella formazione di persone che condividono modelli interpretativi della disabilità, con una cornice di riferimento in continua evoluzione, ai fini di costruire un mondo più inclusivo. Per rispettare l’obiettivo dell’educazione e quindi per favorire l’inclusione scolastica e sociale si rende necessario adottare delle misure adeguate per eliminare gli ostacoli che impediscono l’evoluzione della persona. Questo concetto è ben espresso nel sistema di Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute- Versione per bambini e adolescenti (ICF-CY, WHO, 2007) e nella versione unificata (WHO, 2017). L'ICF-CY offre un linguaggio comune, una cornice di riferimento per descrivere le “funzioni e strutture corporee, attività e partecipazione” e gli ambienti “attraverso le varie fasi di sviluppo” (ICF-CY, 2007, p. 12) che possono limitare o favorire la specificità di bambini e adolescenti. Il modello su cui si basa l’ICF è quello bio-psico-sociale della salute e ha lo 85 scopo di rilevare “se sono state messe in atto le condizioni più adeguate per attualizzare le potenzialità individuali nell’ottica del successo personale e formativo e del diritto allo studio” (ChiappettaCajola, 2018, p. 126). Il modello bio-psico-sociale della salute è volto a fornire informazioni utili sullo sviluppo del soggetto così da arricchire e modulare i criteri interpretativi della specificità della persona, condivisi dalla società nei vari contesti. In tale modello il contesto è costituito dagli atteggiamenti, dall’ambiente fisico e sociale e dal background in cui la persona vive. Nello specifico, un ambiente negativo, pieno di ostacoli, è la principale causa della non “partecipazione” dell’individuo nei vari contesti, al contrario un ambiente positivo, con un gran numero di facilitatori, risponde alle esigenze del soggetto in modo efficace ai fini di accogliere e promuovere le specificità di ciascuno (Ianes, 2019). In questo senso, tra i diversi fattori contestuali, le rappresentazioni sociali della disabilità possono costituire, quindi, una “barriera” o un “facilitatore” rispetto ai processi di inclusione (Pattanaik, 2010) partendo dall’assunto che le rappresentazioni sociali sono “i meccanismi attraverso i quali una comunità costruisce intorno un fatto sociale, un sistema di valori, d’idee e di comportamenti tali da inserire quel fatto all’interno di un contesto preesistente, rendendolo così vero per tutti” (Palmonari et al., 2002, p. 39). Tali rappresentazioni categoriali vengono indagate in una ricerca del 2006 (Federici et al, 2006) ai fini di rilevare quali modelli rappresentazionali della disabilità sono prevalenti tra i diversi attori coinvolti nei processi di inclusione scolastica. Le figure professionali coinvolte nel seguente studio sono gli insegnanti curriculari e di sostegno, i genitori di bambini disabili e di bambini con sviluppo tipico, gli operatori socio-sanitari e gli educatori. I modelli di riferimento considerati per rilevare l’atteggiamento dei diversi attori sono: il modello medico della disabilità in cui l’individuo che ha delle menomazioni funzionali e strutturali viene considerato per ruoli secondari, all’interno della società, decisi su una base biomedico-individuale, con fini 86 classificatori e certificativi. In contrapposizione a questo modello tradizionale viene indagato il modello sociale in cui viene attribuita una grande responsabilità alla società che tende a rendere disabile la persona con limitazioni (Oliver, 1983), infatti “la disabilità è qualcosa che viene imposta sulle nostre menomazioni mediante il modo in cui noi siamo isolati ed esclusi, in una maniera non necessaria, dalla piena partecipazione alla società” (UPIAS, 1976, pag. 3). A differenza del modello tradizionale che affronta le disabilità con la riabilitazione e la normalizzazione, il modello sociale mira ad individuare quelle condizioni che producono l’esclusione dalla cittadinanza attiva. Il soggetto con disabilità diventa da “oggetto di studio” a conduttore degli studi scientifici che lo “vedono indagato” (Medeghini, D’Alessio, 2013). Il focus delle ricerche sulla disabilità si sposta, quindi, dalla patologia della persona alle “barriere politiche, culturali, sociali” e un’ulteriore barriera è ascrivibile ai comportamenti della popolazione davanti alla disabilità (D’Alessio, 2015). L’ultimo modello indagato nello studio del 2006 è quello bio-psico-sociale della salute. A differenza del modello biomedico e del modello sociale, la comprensione della disabilità viene sintetizzata secondo una life-spanperspecitve non lineare di interdipendenza tra i vari livelli biologici, psicologici e sociali. Dall’analisi delle narrazioni degli attori coinvolti nello studio del 2006 si è rilevata un’adesione al modello sociale quasi in tutti i gruppi. Un dato interessante è la presenza del modello biopsico-sociale della salute nelle opinioni della maggioranza del gruppo di educatori professionali (Federici et al, 2006). In linea con l’osservazione che vi è una bassa frequenza del paradigma del modello bio- psico- sociale tra i vari gruppi della vita del soggetto, e che l’educatore, nella sua rappresentazione mentale della disabilità, rispetta la genesi della sua funzione inclusiva, quindi, si può asserire che già agli inizi della diffusione del modello bio-psico-sociale l’educatore possedeva nella sua expertise professionale azioni finalizzate all’inclusione. 87 In una ricerca più recente (Savarese, Cuoco, 2015) gli insegnanti di sostegno, curriculari e i genitori hanno espresso opinioni non riconducibili al modello medico della disabilità, mostrando però modalità rappresentative contrastanti. Se da una parte si può osservare una diminuzione dell’adozione del modello medico, dall’altra parte diventa evidente un rapporto scarso e quindi disfunzionale per i processi inclusivi tra gli attori coinvolti. Alla luce di tale risultato sarebbe interessante indagare le rappresentazioni mentali secondo i tre modelli della disabilità nella cultura attuale, per rilevare se è presente un cambiamento delle opinioni di tutte le figure di cura della persona. Considerando che le competenze di osservazione e di analisi acquisite dall’educatore nel corso della formazione universitaria risultano indispensabili ai fini di una comprensione della realtà circostante, l’educatore professionale oggi si può configurare come mediatore sensibile ai temi inclusivi tra la scuola e la comunità che potrebbe ancora oscillare tra la visione medica e sociale. Tali competenze facilitano la costruzione di un quadro descrittivo, comprensivo dei qualificatori che indicano il grado in cui un fattore può rappresentare un facilitatore o una barriera, ai fini della progettazione di un agire educativo inclusivo (Sibilio, Aiello 2018; Ianes, 2019). Partendo, quindi, dalla considerazione che l’educatore dovrebbe avere una formazione iniziale su competenze di osservazione ed analisi e concludendo che possiede già, rispetto ad altre figure di cura, una rappresentazione della disabilità più inclusiva, diventa importante rinforzare tali competenze sulla base del modello bio-psico-sociale, così da delineare meglio la sua funzione di ponte tra le varie agenzie formative. 88 4. Conclusioni L’approvazione della normativa vigente è il frutto di una lunga contrattazione tra le varie parti sociali orientate ad un ripensamento del concetto di educazione (Iori, 2018). Alla luce della “identità difficile” dell’educatore e in ragione di “un aumento della domanda sociale in ordine alla competenza educativa” si è generata la necessità di regolarizzare la figura, proprio perché “contiene in sé, dal punto di vista pedagogico, dei punti di forza, delle opportunità” (Triani in Perla, Riva, 2016, p. 48). Se nel periodo antecedente alla riforma, in Italia, non era previsto l’obbligo universitario per la figura dell’educatore professionale, oggi la laurea in Scienze dell’Educazione ne garantisce un’identità definita. La legge 205/17 identifica gli educatori professionale socio-pedagogico come figura che promuove conoscenze, abilità, competenze educative e formative rivolte alla persona nel suo insieme. In tal senso, l’agire educativo deve essere necessariamente integrato e sistemico per rispondere alle logiche di un Sistema Formativo Integrato che per sua natura ha un respiro inclusivo. L’educatore dovrebbe portare a sensibilizzare gli attori della vita del soggetto a competenze diffuse così da instaurare alleanze educative nei vari ambienti: “bisogna, dunque, sviluppare un ecosistema educativo, frutto delle sinergie tra contesti formali, non formali ed informali” (Moliterni, 2006, pp. 223-236). Dalla lettura degli articoli della legge si rileva che, se da una parte si professionalizza l’educatore nel ruolo e nella formazione, dall’altra parte non si valorizza in modo esplicito la genesi della funzione inclusiva. Se l’obiettivo dell’educazione è favorire l’inclusione scolastica e sociale non si può svincolare tale costrutto dalla natura e dalla formazione dell’intervento educativo. I commi 594-601 della legge 205/17 non promuovono apertamente l’azione inclusiva ma ne sottendono implicitamente il valore. Per tale ragione, 89 sarebbe auspicabile che la didattica universitaria per la formazione dei futuri educatori orientassei programmi degli specifici corsi di laurea allo studio e all’applicazione di metodologie che favoriscono ed implementano un agire educativo inclusivo, in linea con il modello bio-psico-sociale della salute. L’educatore professionale socio-pedagogico, grazie alle competenze acquisite, può confermare e migliorare l’efficacia di un agire inclusivo in una prospettiva sia life-long sia life-wide, in tal senso può svolgere la propria funzione di osservazione avvalendosi “proficuamente di strumenti conoscitivi specifici di tipo teorico e metodologico” (ChiappettaCajola, 2018, p. 126). Nella prospettiva life-long della specificità dell’individuo i professionisti possono diventare agenti del cambiamento e di interscambio riflessivo con la situazione (Schön, 1983). Infatti, da facilitatore della continuità scolastica e sociale l’educatore si candida ad essere testimone del cambiamento dell’individuo nel rapporto professionale con tutte le figure di cura (Sisti, 2018) e con l’utenza in generale. Nello specifico, l’educatore, con una formazione universitaria adeguata ai temi dell’inclusione, potrebbe rappresentare una figura di mediazione sensibile tra la scuola e la comunità che ancora oscilla tra la visione medica e quella sociale. Se il legislatore attribuisce all’educatore un ruolo collaborativo e di promozione del dialogo nelle relazioni tra le parti, le università hanno, quindi, l’incarico di assicurare una formazione iniziale volta allo sviluppo di quegli atteggiamenti e rappresentazioni legati all’inclusione e alle competenze trasversali per l’agire educativo. Infatti, per professionalizzare l’educatore è necessaria anche un’articolazione delle attività didattiche universitarie che supportino e favoriscano il ruolo inclusivo degli educatori nella loro azione professionale predisponendo curricoli ad hoc che rinforzino le competenze di osservazione ed analisi per la progettazione dell’agire educativo inclusivo. 90 Riferimenti bibliografici Anderson, G. &Herr, K. (2015). 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