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Sul cd. Fragmentum Dositheanum

2021, VOL. 1 N. 1 (2021)

Through a special examination of some features of the text commonly referred to as Fragmentum Dositheanum, the author argues that, despite the reference in a paragraph to the knowledge of ‘regulae’, the classical jurisprudential work from which the fragment is taken was not a book of regulae, but an elementary work of a close scholastic nature; moreover, according to the author, this scholastic work might be Gaius’ Res cottidianae.

Volume 1 Number 1 June 2021 Specula Iuris doi.org/10.30682/specula0101h Vol. 1 n. 1 (2021) Sul cd. Fragmentum Dositheanum* Giuseppe Falcone Dipartimento di Giurisprudenza, Palermo, Italia Abstract (Italiano) Attraverso l’esame di alcune caratteristiche del testo comunemente indicato come Fragmentum Dositheanum, l’autore sostiene che, nonostante il riferimento, in un paragrafo, alla conoscenza di ‘regulae’, il lavoro giurisprudenziale classico da cui è tratto il frammento non era un libro di regulae, ma un’opera elementare di natura squisitamente scolastica; inoltre, secondo l’autore, quest’opera scolastica potrebbe essere identificata con le Res cottidianae di Gaio. Abstract (English) Through a special examination of some features of the text commonly referred to as Fragmentum Dositheanum, the author argues that, despite the reference in a paragraph to the knowledge of ‘regulae’, the classical jurisprudential work from which the fragment is taken was not a book of regulae, but an elementary work of a close scholastic nature; moreover, according to the author, this scholastic work might be Gaius’ Res cottidianae. Keywords: Fragmentum Dositheanum, regulae, libri regularum, Gaio, Res cottidianae 1. Com’è noto, la fonte tradizionalmente denominata Fragmentum Dositheanum (d’ora in poi: Fragm. Dosith.)1 consiste in un testo bilingue greco-latino che dipende da un’opera giurisprudenziale e che ci è giunto quale parte di un più ampio documento bilingue appartenente al genere degli Hermeneumata-Interpretamenta, funzionale ad esercizi, nelle scuole di grammatica, di traduzione tramite raffronti di vocaboli e testi greci con la corrispondente terminologia latina2. * Per ragioni contingenti non mi è riuscito di partecipare, come avevo programmato, alla recente raccolta di scritti offerti a Francesco Paolo Casavola in occasione dei suoi novant’anni. Al suo magistero, profuso anche ad impulso degli studia gaiana, dedico queste pagine. 1 Su di essa cfr. Lachmann 1837 = 1876, p. 196 ss.; Dirksen 1837 = 1871, p. 392 ss.; Voigt 1856, p. 617 ss.; Huschke 18743, p. 401 ss.; Karlowa 1885, p. 763 ss.; Savagnone 1896, p. 77 ss., 201 ss.; Jörs 1905, coll. 1603 ss.; Krüger 19122, p. 284 ss.; Schulz 1968, p. 309 ss.; Honoré 1965, p. 301 ss.; Nelson 1981, p. 360 ss.; Wieacker 2006, p. 119; Liebs 2008, p. 50 ss.; Dickey 2012, p. 28 ss. 2 La denominazione tradizionale del testo giuridico in questione deriva dal fatto che in uno dei manoscritti (ms. Sangallensis 902) che contengono gli Hermeneumata questi ultimi sono trascritti subito dopo l’Ars grammatica Dosithei magistri (del IV secolo). 203 Specula Iuris – Vol. 1 n. 1 (2021) In particolare, un ludimagister, volendo procurare uno strumento di esercizio linguistico ai suoi allievi anche con riguardo al lessico giuridico3, ha tradotto in greco una parte di uno scritto giurisprudenziale, la quale contiene – dopo alcuni cenni sull’esistenza di diverse sfere giuridiche, sulla nozione di ius civile e sulle parti di cui è composto il ius civile (§§ 1-2) e dopo una brevissima indicazione di natura programmatica (§ 3) – una esposizione in tema di manumissioni (§§ 4-17)4, e ne ha quindi approntato una retrotraduzione, parola per parola, in latino. Il testo originale non ci è, nemmeno aliunde, noto e il dettato a noi pervenuto delle due versioni elaborate dal maestro di grammatica presenta, purtroppo, numerosi errori e guasti derivanti da ricopiature ma anche dal costante riuso del materiale da parte di docenti e studenti: un riscontro che balza subito agli occhi consiste nella presenza, nei paragrafi iniziali, di passaggi introdotti da γάρ / enim che non hanno giustificazione nelle affermazioni che immediatamente precedono5 e per i quali può pensarsi a stravolgimenti legati al riuso del materiale, magari anche ad amputazioni compiute, ab origine o tramite interventi succedutisi nel tempo, per selezionare frasi che meglio si prestavano alle esigenze dell’apprendimento linguistico. In considerazione di ciò, naturalmente, occorre grande cautela nell’utilizzazione delle informazioni restituite, e massime del loro dato letterale, sia in vista della ricostruzione degli istituti giuridici menzionati nel testo sia in vista di valutazioni, come quella che qui si propone, concernenti l’originario scritto giurisprudenziale in quanto tale. Il Fragm. Dosith. è oggi restituito dal ms. Leid. Voss. Gr. 97 (X sec.) e, limitatamente ai §§ 2-4, dal ms. Paris. Lat. 6503 (IX sec.) degli Hermeneumata: il Parisinus, che nel XVI era integro (salvo la mancanza del § 1) fu utilizzato, per il tramite dell’apografo redatto da Claude Dupuy (dal quale è, ulteriormente, derivato un apografo vergato da Joseph Scaliger), per l’editio princeps curata da Pierre Pithou nel 1573 (i due manoscritti sono riprodotti in Goetz 1892 pp. 48 ss. e 102 ss.). Nel 1837 Lachmann (vd. nt. 1) ha compiuto una operazione di emendazione critica su base giuridica del frammento. Dopo l’ultima edizione bilingue di Böcking 1855, pp. 158-169, gli editori di fonti giuridiche hanno pubblicato solo il testo latino: più dell’edizione di Huschke (vd. nt. 1), ha avuto diffusione quella di Krüger 1878, p. 149 ss., che è seguita sia nei FIRA (II,2 617 ss.) sia nelle varie edizioni dei Textes de droit romain di Girard, Senn. In tempi recenti, l’edizione teubneriana degli Hermeneumata curata da Flammini 2004, pp. 92-103, riporta entrambe le versioni: da questa traggo il testo greco dei passaggi che di seguito saranno esaminati. Ἀλλ’ ἤδη, ἃ ὑπεσχόμην, τὰ ἀνήκοντα πρὸς τὴν ἀγορὰν ἢ ἐν βουλευτηρίῳ οὐδενὶ ἐμποδίῳ ἤδη ἄρξομαι / Nunc iam, quae promisi, quae pertinent ad forum aut in curiam, nullo impedimento iam nunc incipiam (92.326-328; 93.2337-39 nell’edizione degli Hermeneumata di Giuseppe Flammini, che qui si adotta [vd. infra, in questo §]). 4 Il maestro di grammatica parla di Συγγραμμάτιον περὶ ἐλευθερώσεων / Tractatus de manumissionibus (Flammini 92.2317 e 2329). 5 Cfr. fr. Dos. 1 (Sunt enim qui tradiderunt…); 2 (Ex eo enim consenserunt prudentiam…’; Lex enim Iulia et Papia…); 3 (Regulas enim exsequenti…; Nec enim sunt unius condicionis…). 3 204 Sul cd. Fragmentum Dositheanum Giuseppe Falcone Il testo giurisprudenziale scelto dal ludimagister presenta al suo interno un richiamo a Giuliano (§ 15)6, il che implica, naturalmente, che la sua redazione non può risalire più indietro della metà del II secolo. Non altrettanto netta, purtroppo, riesce l’individuazione di un termine ante quem. Nel libro VI degli Hermeneumata l’inserimento della Genealogia di Igino è accompagnato, nella praefatio, da una indicazione cronologica corrispondente all’11 settembre 2077 e sulla base di ciò si è pensato che il nostro scritto giurisprudenziale, presente nel libro V, sia stato composto anteriormente al 2078. La deduzione, però, non può considerarsi sicura, dal momento che non è certo che l’inserimento dell’opera di Igino presupponesse già un’avvenuta incorporazione di tutti gli altri testi che compaiono nei precedenti libri degli Hermeneumata9. Non può escludersi, per altro verso, che, come suggerito da Honoré10, il fatto che nel § 12 peregrinus è stato reso con ξένος e con ῾Έλλην sia da leggere quale spia di una risalenza della traduzione, e dunque a maggior ragione dell’opera del giurista, ad un momento in cui la maggior parte dei greci non erano cittadini romani e, cioè, ad una data anteriore alla constitutio Antoniniana. Senz’altro ingiustificata, invece, è la collocazione dello scritto del giurista più verso la metà del II secolo, che si è voluta argomentare11 dalla circostanza che nel § 17 la manumissio censu appare, come nelle Istituzioni di Gaio, quale istituto ancora vigente, laddove nel liber singularis regularum di Ulpiano di questo istituto si parla al passato12: è sfuggita, infatti, la circostanza che il medesimo dato della vigenza di questa forma di manumissio appare anche da un frammento dei libri responsorum di Papiniano13. Quel che può dirsi è, dunque, che il Fragm. Dosith. riflette uno squarcio di opera giurisprudenziale redatta dopo la metà del II secolo e, probabilmente, entro il primo decennio del III. Mentre il fatto in sé della conoscenza e utilizzazione da parte di un maestro di un’altra disciplina non contribuisce a risolvere l’alternativa tra l’aver costituito, lo scritto in esame, un’opera direttamente approntata dal suo autore per la pubblicazione o invece materiale didattico destinato a circolare esclusivamente fra gli allievi, del quale, poi, sia sopravvenuta una diffusione pubblica14. Il passaggio con la citazione di Giuliano è riportato infra, § 3 su nt. 37. Μαξίμῳ καὶ ᾿Άπρῳ ὑπάτοις πρὸ γ᾿ ἰδῶν Σεπτεμβρίων/Maximo et Apro consulibus tertio Id. Septembres. 8 Cfr. Karlowa 1885, p. 763 ss.; Honoré 1965, p. 303; Nelson 1981, p. 368 ss. 9 Cfr., ad es., Dickey 2012, p. 37 ss. 10 Honoré 1965, p. 310. 11 Da parte di Seckel, Kübler 1908, p. 419; Nelson 1981, p. 370 e nt. 57; Liebs 2008, p. 50 ss.; Nörr 2000, p. 200. 12 I testi di confronto sono, da un lato, Gai 1.17, 1.44 e 1.140, dall’altro lato, Tit. Ulp. 1.8: censu manumittebantur olim… 13 Si tratta di fragm. Paris. IX.1, in FIRA II2, 441. Cfr. Albanese 1979, p. 45 nt. 120 e, più di recente, Avenarius 2005, p. 177. 14 Liebs 2008, p. 51 ss. tende ad escludere una pubblicazione (il testo sarebbe da considerare «lediglich als Niederschrift durch die Hörer, jedenfalls kaum regulär veröffentlicht»), in ragione del tenore di alcuni passaggi che rivelerebbero un Gedankengang «locker gefügt»: oltre alle affermazioni dei §§ 3 e 4 che riporto di seguito nel testo, Liebs cita le parole … et manumissores ausi erant… per vim… Interveniebat praetor et non patiebatur… del § 5. Ma, a mio avviso, la sola illazione che può trarsi da affermazioni come quelle segnalate dall’illustre studioso è che lo scritto in esame aveva tono e finalità apertamente didascalici, come si dirà tra breve. 6 7 205 Specula Iuris – Vol. 1 n. 1 (2021) 2. Le pagine appositamente dedicate nella letteratura romanistica a questa fonte in sé considerata veicolano una pluralità di vedute con riguardo alla questione della paternità del testo giurisprudenziale, mentre un ampio (ma non unanime) consenso si registra in merito alla tipologia di opera alla quale il testo può ricondursi: segnatamente, sulla base dell’affermazione iniziale del § 3, Τοὺς γὰρ κάνονας ἐπεξιόντι μοι πρὸς ταῦτα τὰ μαθήματα ἀναγκαῖον πρὸ πάντων εἰδέναι / Regulas enim exsequenti mihi ad ea studia necessarium ante omnia scire15, la dottrina maggioritaria si è pronunziata senz’altro per una provenienza dell’estratto da una raccolta di regulae: liber o libri regularum16. Certo, questo riferimento a κάνονες / regulae a prima vista appare di notevole peso17. Come pure, colpiscono sia la presenza, tanto nel Fragm. Dosith. quanto nei libri regularum, di enunciati del tipo …potest, …non potest, riguardanti la legittimità o meno, il compimento efficace o meno di atti giuridici18, sia il fatto che in relazione ad un enunciato di questo tipo (nec solui ei sine tutoris auctoritate potest) Gaio discorre esplicitamente di regula19: 15 L’affermazione nel tenore pervenutoci non ha senso compiuto. Böcking 1855, p. 160, nt. 9, allo scopo di eliminare il contrasto tra il riferimento dell’autore a sé stesso (exsequenti mihi) e il cenno all’attività dei discenti (scire), ha persuasivamente proposto l’inserimento dopo necessarium di un visum est (confortato dalla presenza, «ex margine Scaligeriani codicis» del termine ἐφάνη. 16 Cfr., ad. es., Jörs 1905, p. 1604; Voigt 1856, p. 628 ss.; Krüger 1878, p. 149; 19122, p. 286; Karlowa 1885, p. 764; Savagnone 1896, pp. 88 e 201 ss.; Wenger 1953, p. 529; Stein 1966, p. 72; Honoré 1965, p. 312; Flammini 1990, p. 19; Avenarius 2005, p. 147. Per gli studiosi orientati diversamente cfr. nt. 43. 17 È il caso, però, di precisare subito che non può accogliersi la lettura che dell’immediato seguito del § 3 Nec enim sunt unius condicionis, sed variae: quae per singula, quae pertinent ad eam enarrationem, referenda sunt per ordinem (οὐδὲ γὰρ μιᾶς εἰσιν αἱρέσεως, ἀλλὰ ποικίλης˙ ἅτινα καθ’ ἕκαστον τὰ ἀνήκοντα πρὸς ταύτην τὴν ἐξήγησιν ἀνενεκτέα ἐστὶν τῇ τάξει) ha compiuto Stein 1966, p. 72. Questo studioso, assumendo che la pluralità di condicio cui allude il testo riguarderebbe le regulae, ha ritenuto che il giurista avesse precisato che vi sono vari tipi di regulae (analogamente, di recente, Avenarius 2005, p. 107 ss.). Questa lettura, invero, si fonda su due presupposti entrambi ingiustificati. Il primo è che il termine ‘enarratio’ abbia a che fare con il concetto espresso con le parole di D. 50.17.1 (Regula est quae rem quae est breviter enarrat), con le quali viene espressa una funzione della regula: sennonché, ammesso che fosse questo il termine anche nell’originale redazione latina (il ms. Paris., peraltro, riportava narrationem), esso indica, piuttosto, l’intera illustrazione che costituisce oggetto dell’opera e che il giurista si accinge a compiere. Il secondo presupposto è che le parole quae… referenda sunt per ordinem si riferiscano alle regulae: ma ciò è smentito dall’uso del neutro plurale, che, come il corrispondente greco ἅτινα … ἀνενεκτέα ἐστὶν, indica invece le cose che formano oggetto della (e)narratio-esposizione. Né a giustificare la lettura qui criticata potrebbe valere la presenza della congiunzione γάρ / enim che accompagna l’avvertenza della non unicità di condicio: cfr., infatti, quanto segnalato supra, § 1, su nt. 5, sulla ricorrenza, proprio nei §§ iniziali, di casi nei quali questa congiunzione non ha riscontro nel tratto che immediatamente la precede. 18 Per il Fragm. Dosith. cfr. i seguenti paragrafi: 11 (Proprietarius eum servum, cuius usus et fructus ad alium pertinet, non potest ex vindicta manumittere…); 12 (Peregrinus manumittens servum) non potest ad Latinum perducere…; 13 (Minor) viginti annorum manumittere neque ex vindicta potest neque testamento; itaque nec Latinum facere potest; tantum enim apud consilium potest manumittere servum suum causa probata; 15 Mulier sine tutoris auctoritate <manumittere non potest>, nisi ius liberorum habeat; tunc enim ex vindicta sine tutore potest manumittere…; 16 Servum pignori datum civem Romanorum facere debitor non potest… Per i libri regularum cfr. i seguenti riscontri: Nerazio: Pal. 65, 67.1; Gaio: Pal. 465; Scevola: Pal. 201; Paolo: Pal. 1425, 1426, 1427, 1430, 1431; Licinio Rufino: Pal. 1, 7, 9, 10, 12; Marciano: Pal. 253, 267, 269; Modestino: Pal. 183, 184, 190, 191, 198, 219, 225, 239, 264, 269.1; Tit. Ulp. 1.20; 1.23; 1.24; 2.7; 2.9-10; 2.12; 6.2; 8.5-7; 11.6; 11.16 e 17; 19.6; 19.11; 19.13; 20.3-5; 20.7; 20.10-15; 22.1-9; 22.12-13; 22.19; 22.30 e 32; 24.7-11; 24.15-18; 24.20-26; 24.28-29; 25.1-8; 25.10-11; 25.13 e 18. 19 È appena il caso di esplicitare che Gaio specifica iuris civilis regulas in chiave di contrappunto rispetto alla sfera dell’intervento pretorio (in tema di pacta) che stava commentando. 206 Sul cd. Fragmentum Dositheanum Giuseppe Falcone D. 2.14.28 (Gai. 1 ad ed. prov.): Contra iuris ciuilis r e g u l a s pacta conuenta rata non habentur: ueluti si pupillus sine tutoris auctoritate pactus sit ne a debitore suo peteret, aut ne intra certum tempus ueluti quinquennium peteret: n a m n e c s o l u i e i s i n e tutoris auctoritate potest. E tuttavia, occorre tener presente anche la circostanza che le indicazioni del tipo …potest, … non potest e, più in generale, le indicazioni attinenti a requisiti ed efficacia di una operazione negoziale (analoghe a quelle che si leggono in fr. Dos. 15 e 17) sono frequentissime nelle Istituzioni di Gaio, ne costituiscono, anzi, un elemento caratterizzante, talché può a buon diritto assumersi che il manuale gaiano costituisce un giacimento di ‘regulae’ di questo tipo20. Dal che sembra necessario desumere la conclusione che il semplice riferimento a regulae in fr. Dos. 3 non è, di per sé, stringente nel senso di una riconduzione dello scritto al genere dei libri regularum. D’altra parte, occorre mettere in evidenza e valorizzare un dato che, invece, non mi risulta sia stato fin qui tenuto in considerazione e cioè che il testo doveva far parte di un’opera avente una d i r e t t a e a p p o s i t a funzione didattica. In questa direzione orienta, anzitutto, la presenza di giunture tipicamente didascaliche. Così, nel § 3 compare un riferimento esplicito sia ad una gradualità e, dunque, organicità di apprendimento sia, in chiusura, ad un ordinato e razionale insegnamento: Regulas enim exsequenti mihi ad ea studia necessarium <visum est>21 a n t e o m n i a s c i r e. Nec enim sunt unius condicionis, sed variae: quae per singula, quae pertinent ad eam enarrationem, r e f e r e n d a s u n t p e r o r d i n e m22; così, nel § 4 si parla di scelte didattiche volte a far sì che le singole nozioni vengano meglio chiarite e che non sia necessario illustrare più volte uno stesso punto: … Sed u t m a g i s p o s s i n t s i n g u l a d e c l a r a r i , m e l i u s v i d e t u r i n c i p e r e a libertis adferre et primum de Latinis scribere, n e s a e p i u s e a d e m i n t e r p r e t a r i c o g a m u r. P r i m u m e r g o v i d e a m u s …23; così ancora, nel § 8, si afferma che determinate Si tenga conto, peraltro, che in un caso è lo stesso Gaio a rivelare come egli consideri quali regulae le istruzioni, frequentissime come si è detto, che riguardano il compimento di un atto. È quanto si desume chiaramente dal diretto collegamento che lo stesso giurista pone fra la trattazione sulla locazione e quella, subito precedente, sulla compravendita: Locatio et conductio s i m i l i b u s r e g u l i s constituitur… (§ 3.142). Coordinando le affermazioni gaiane su questi due contratti, risulta che Gaio assume quali regulae le indicazioni del § 3.140 (pretium certum esse debet) e del § 3.141 (pretium in pecunia consistere debet), nonché quelle che possono, nella sostanza, riconoscersi nel § 142, «la merces deve essere certa», e nel § 144, «la merces deve consistere in pecunia». Sul punto cfr., distesamente, Falcone 2015, spec. p. 51 ss. Vd. anche infra, § 6. 21 Cfr. supra, nt. 15. 22 Τοὺς γὰρ κάνονας ἐπεξιόντι μοι πρὸς ταῦτα τὰ μαθήματα ἀναγκαῖον πρὸ πάντων εἰδέναι˙ οὐδὲ γὰρ μιᾶς εἰσιν αἱρέσεως, ἀλλὰ ποικίλης˙ ἅτινα καθ’ ἕκαστον τὰ ἀνήκοντα πρὸς ταύτην τὴν ἐξήγησιν ἀνενεκτέα ἐστὶν τῇ τάξει. Non è possibile spingersi ad immaginare se il γάρ /enim con cui è avviata questa complessiva notazione (Nec enim sunt unius condicionis…) presupponga un solo passaggio saltato o caduto, alludente alla pluralità di condicio tra le persone (e perciò preparatorio del successivo § 4 Omnes enim vel ingenui sunt vel liberti…), o se l’originario testo giurisprudenziale contenesse, prima ancora, una o più partizioni più ampie e generali della materia (come ha ritenuto, ad es., Fuhrmann 1960, p. 187, il quale ha perfino immaginato una presenza della tripartizione personae-res-actiones). 23 …ἀλλ’ ἵνα μᾶλλον δυνηθῶσιν ἕκαστα (διασαφηθῆναι), βέλτιον δοκεῖ ἄρξασθαι ἀπὸ ἀπελευθέρων ἀναφέρειν, καὶ πρῶτον περὶ Ῥωμαικῶν γράφειν, μὴ πλεονάκις ταὐτὰ διερμηνεύειν ἀναγκαζώμεθα. Πρῶτον οὖν ἴδωμεν… 20 207 Specula Iuris – Vol. 1 n. 1 (2021) ipotesi verranno mostrate via via che l’esposizione andrà avanti: …sunt autem plures causae, in quibus non tueatur proconsul manumissionem, d e q u i b u s p r o c e d e n t e s o s t e n d e m u s 24. Nella medesima direzione è indicativa la circostanza che nel § 1, pur tra incongruenze e sicure lacune, si riconosce il richiamo ad una pluralità di vedute in merito alla definizione di ius civile, e si parla di definizioni che alcuni o che i più ‘hanno trasmesso’ (tradiderunt, παρέδοσαν): fr. Dos. 1. Omne enim iustum aut civile appellatur, aut naturale dicitur, aut gentile iustum: ab eo enim nominatur, et omnes nationes similiter eo sunt usae; quod enim bonum et iustum est, omnium utilitati convenit. Sed quod autem iustum civile proprium est Romanorum, et ab eis dictum, quoniam nostra civitas ea veritate utitur. Sed quidam praedicent hoc esse, quod omnibus civibus suis aut maiori parti expedit; sunt enim qui et tradiderunt quantitatem iustitiae esse plurimam, hanc autem definitionem veriorem esse tradiderunt, <quam> quae initio diximus25. Quali che fossero l’esatto dettato dell’originale e l’esatta portata della terza presa di posizione con il suo coinvolgimento della δικαιοσύνη / iustitia26, quel che conta è l’insistenza sulla diversità di nozioni e di spiegazioni lessicali del ius civile che sono state trasmesse nonché il confronto tra esse, che sfocia nella notizia che la maggior parte degli autori tradiderunt che è ‘più vera’ la definizione di ius civile indicata come prima. Il complessivo andamento di questo tratto e, più specificamente, l’insistenza sulla nozione di ius civile quale oggetto di un tradere depongono per una esposizione dal respiro e dalla destinazione teorico-didattici. Tanto più, poi, che la traduzione greca παρέδοσαν porta senz’altro a immaginare che anche nell’originale latino comparisse il verbo tradiderunt che leggiamo nella retroversione e questo verbo ben si presta ad alludere alla trasmissione di insegnamenti27: avremmo, così, anche un esplicito e …εἰσὶν μέντοι πλείονες αἰτίαι, ἐν αἷς οὐ φυλάξει ὁ ἀνθύπατος τὴν ἐλευθερίαν, περὶ ὧν προβαίνοντες ἐπιδείξομεν. Πᾶν γὰρ δίκαιον ἢ πολιτικὸν προσαγορεύεται ἢ φυσικὸν λέγεται ἢ ἐθνικὸν δίκαιον˙ ἀπὸ τούτου γὰρ ὠνομάσθη, καὶ πάντα τὰ ἔθνη ὁμοίως τούτῳ εἰσὶν κεχρημένα˙ ὃ γὰρ καλὸν καὶ δίκαιόν ἐστι, πάντων εὐχρηστίᾳ συμφωνεῖ. Τὸ δὲ δίκαιον πολιτικὸν κύριόν ἐστι Ῥωμαίων, καὶ ἀπὸ τούτων εἰρημένον, ἐπειδὴ ἡμετέρα πόλις ταύτῃ τῇ ἀληθείᾳ χρᾶται, ἀλλ’ ἔνιοι προλέγουσιν τοῦτο εἶναι, ὃ πᾶσι πολίταις ἰδίοις ἢ μείζονι μέρει συμφέρει˙ εἰσὶν γὰρ οἳ καὶ παρέδοσαν ὑπόστασιν δικαιοσύνης εἶναι πλείονα, τοῦτον δὲ τὸν ἀφορισμὸν ἀληθέστερον εἶναι παρέδοσαν, <ἤ> ὅσα ἐν τῇ ἀρχῇ εἴπαμεν. 26 Nel paragrafo vengono riportate due o tre nozioni di ius civile (la retroversione iustum, evidentemente, risente dell’ambivalente greco δίκαιον). La prima assume il ius civile come ius proprium civium Romanorum e aggiunge come spiegazione etimologica la circostanza che nostra civitas usa est. Quindi si afferma che alcuni sostengono che il ius civile è quello che è utile per tutti i cives o per la maggior parte dei cives. A questo punto, il testo si intorbida: parrebbe che vi venisse riferita una ulteriore posizione, introdotta però da un γάρ / enim: εἰσὶν γὰρ οἳ καὶ παρέδοσαν ὑπόστασιν δικαιοσύνης εἶναι πλείονα / sunt enim qui et tradiderunt quantitatem (quanti tamen) iustitiae esse plurimam. Forse si riportava una nozione che assumeva la δικαιοσύνη/iustitia come sostanza del ius civile? Si pensi, ad es., alla definizione ciceroniana del ius civile come aequitas constituta in eis qui eiusdem civitatis sunt ad res suas obtinendas. Non possiamo dir nulla al riguardo. Certo è, comunque, che la notazione conclusiva riporta la posizione di una maggioranza di autori che hanno trasmesso esser ‘più vera’ la definizione che l’autore del testo ha indicato all’inizio (εἶναι πλείονα, τοῦτον δὲ τὸν ἀφορισμὸν ἀληθέστερον εἶναι παρέδοσαν, <ἤ> ὅσα ἐν τῇ ἀρχῇ εἴπαμεν/plurimi hanc autem definitionem veriorem esse tradiderunt, <quam> initio diximus). 27 Ove fosse necessario addurre specifici riscontri, basti richiamare Gai 2.23 (superiore commentario tradidimus); 2.184 (suo loco trademus); 3.38 (superiore commentario tradidimus); 4.77 (primo commentario tradidimus); nonché I. 1.1.2, sul quale cfr. 24 25 208 Sul cd. Fragmentum Dositheanum Giuseppe Falcone ripetuto riferimento a prese di posizione formulate (già da altri giuristi) proprio in occasione e ai fini dell’insegnamento. 3. Ora, se, da un lato, è plausibile l’idea che anche i libri regularum avessero una finalità quantomeno lato sensu didattica – in particolare, a mio avviso, quali strumenti per istruire e guidare nell’espletamento delle competenze giuridiche i funzionari imperiali28 –, dall’altro lato, alcuni elementi portano senz’altro ad isolare rispetto a codeste opere29 il testo da cui deriva il Fragm. Dosith. Viene in considerazione, anzitutto, la già segnalata impostazione generale, palesemente didascalica nel ricorso a clausole di raccordo, a rinvii, a cenni all’opportunità di illustrare un punto in un certo modo (§ 4) o al fatto che un certo profilo sarà ripreso nel seguito dell’esposizione (§ 8). Si aggiunga il riferimento ad una (e)narratio nello stesso § 3 (…singula, quae pertinent ad eam (e)narrationem…): fosse o meno questo l’originario termine poi reso in greco con ἐξήγησις e quindi retrotradotto in latino30, il riferimento in questione rivela una raffigurazione del testo, da parte dello stesso autore, che mal si concilia con un repertorio di regole e che orienta più per una illustrazione complessiva dotata di organica unitarietà. Il confronto con il liber singularis regularum di Ulpiano, probante in quanto compiuto con un testo dalla sufficiente consistenza e lunghezza e, a differenza delle opere utilizzate dai compilatori giustinianei, non disarticolato in frammenti31, è illuminante: quand’anche si accolga la diffusa ipotesi, di mommseniana ascendenza, che su tale liber regularum sia intervenuto con accorciamenti un revisore nei primi decenni del IV secolo32, è del tutto inverosimile che l’asciuttezza estrema del dettato e della sequenza tra le formulazioni, come pure l’assoluta mancanza di clausole di passaggio, raccordo o rinvio e di cornici sistematizzanti, siano frutto di una mirata opera di scarnificazione successiva, che dovremmo immaginare talmente accurata e precisa da non aver lasciato la benché minima traccia di un originario impianto più arioso e discorsivo33. infra, § 6. Per un esempio, ex multis, tratto da altro ambito cfr. Sulp. Vict., Inst. orat. (Halm 313.2): Contuli in ordinem ea, quae fere de oratoria arte traduntur. 28 È questa la linea interpretativa di Stein 1966, p. 80 ss., seguita, ad es., da Mercogliano 1997, p. 101 ss.; 1998, p. 356; e da Mattioli 2012, pp. 101 e 111. Ad un insegnamento rivolto alla pratica, ma avente come destinatari gli avvocati, aveva pensato Mommsen 1855, p. 111 ss. = 1905, p. 49 ss. Dal canto suo, Schmidlin 1970, pp. 127 ss., 143 ss., immagina una destinazione ad un insegnamento scolastico, ma di superiore livello casistico (data l’innegabile connessione, in molti frammenti, con sottostanti fattispecie concrete). Ammette, in relazione alle singole opere, entrambe le funzioni, quella rivolta alla «pratica quotidiana di funzionari amministrativi» e quella ambientata nella scuola, Cossa 2018, p. 462 ss. 29 Quanto si dirà nel testo vale pur tenendo presente – secondo l’opportuno caveat a suo tempo formulato da Santalucia 1974, p. 273 e adesso rilanciato da Cossa 2018, p. 463 – che non sarebbe corretto appiattire su uno schema tipologico eccessivamente unificante tutte le opere che vanno sotto la designazione di libri regularum. 30 Cfr. supra, nt. 17. 31 La possibilità di ricondurre i contenuti dei cd. Tituli ex corpore Ulpiani alla scrittura del liber singularis regularum ulpianeo è, pur con vari distinguo e precisazioni, generalmente ammessa: da ultimi, Mattioli 2012, p. 90 ss. (che parla di «sovrapponibilità» fra i due testi); Cossa 2018, p. 457 ss. 32 Cfr., sul punto, le recenti pagine di Sperandio 2011, p. 387 ss. e di Mattioli 2012, p. 113 ss. 33 E invero, quel che la dottrina appare generalmente orientata ad ammettere è il compimento, da parte dell’ipotizzato revisore, di una eliminazione, qua e là, di singole informazioni. 209 Specula Iuris – Vol. 1 n. 1 (2021) Un indizio più circoscritto, poi, è il respiro chiaramente teorico delle informazioni iniziali e, segnatamente, del riferimento all’esistenza di diverse nozioni di ius civile che sono circolate e circolano nell’insegnamento: la rassegna stessa di questa pluralità di nozioni sul ius civile e la precisazione conclusiva circa la maggiore correttezza, per molti autori, di una di esse, sono evidenti segni di un’attenzione e di una destinazione teorico-didascaliche, e non pratico-operative, della comunicazione. Infine, è significativa la presenza di riferimenti a divergenti prese di posizioni giurisprudenziali. Si tratta di tre casi, riguardanti, rispettivamente, il ius adcrescendi in caso di manumissio inter amicos compiuta da uno dei soci, il momento in cui occorre l’interpositio auctoritats per l’efficacia di una manumissio per epistulam compiuta dalla donna priva di ius liberorum34 e il momento a partire dal quale acquista efficacia una manumissio censu (subito o quando si compie il lustrum condere?):. fr. Dos. 10 …quam<vis>35 Proculus existimaverit … qua sententia utimur…36; fr. Dos. 15: …quaesitum est… Iulianus negat; existimat enim … Sed Neratius Priscus probat … cuius sententiam et constitutione principali confirmata est37; fr. Dos. 17: …Magna autem dissensio est inter peritos, utrum…. an … Sunt enim qui existimant…: existimant enim…38. Anche a questo proposito è significativa la difformità rispetto al materiale proveniente da libri regularum. In effetti, se passiamo in rassegna questo materiale – dallo scritto più antico di cui abbiamo traccia, quello di Nerazio, al più recente, di Modestino, passando per i frammenti di Pomponio, Gaio, Scevola, Paolo, Licinio Rufino, Ulpiano, Marciano –, constatiamo agevolmente che si tratta di enunciati che indicano una direttiva, un assetto, una possibilità, senza lasciare spazio a prese di posizione contrastanti; e che, piuttosto, quando compare la menzione di giuristi, essa ha lo scopo di rafforzare un assetto o una possibilità giuridica, di contribuire a costruire ed approntare soluzioni e discipline indiscusse39, che possiamo leggere, Secondo Giuliano l’auctoritas del tutore deve essere interposta al momento in cui il servo viene a conoscenza della volontà della donna, e cioè al momento dell’arrivo dell’epistula; secondo Nerazio, invece, è sufficiente che l’auctoritas venga prestata al momento della redazione dell’epistula. 35 La correzione (comunemente adottata dagli editori, tranne che da Flammini) è necessaria sia per dare un significato compiuto all’affermazione sia perché il testo greco riporta εἰ καὶ (Προκουλὸς δοκιμάσῃ…), in cui può agevolmente vedersi una inversione di καὶ εἰ legata a vicende della tradizione manoscritta. Forse, più che il quamvis proposto da Lachmann, Krüger e Baviera (nei FIRA), potrebbe esservi stato un originario quamquam, che ancora più facilmente possiamo immaginare come ridotto a quam per svista di amanuense. 36 …εἰ καὶ Προκουλὸς δοκιμάσῃ…, οὗ τῇ γνώμῃ χρώμεθα… 37 …ἐζήτηται τοῦτο, … Ἰουλιανὸς ἀρνεῖται, ὑπολαμβάνει γὰρ … Ἀλλὰ Νηράτιος Πρίσκος δοκιμάζει … οὗ ἡ γνώμη καὶ διατάξει αὐτοκρατορικῇ ἰσχυροπεποίηται… 38 …Μεγάλη μέντοι ἀμφισβήτησίς ἐστιν ἐν τοῖς ἐμπείροις, πότερον … ἢ … Εἰσὶν γὰρ οἱ ὑπολαμβάνοντες … ὑπολαμβάνουσιν γὰρ… 39 Pomponio: Pal. 373; Paolo: Pal. 1430.1; Licinio Rufino: Pal. 1; 5; 14 (plerique existimaverunt); 17 (quidam); Ulpiano (libri VII regul.): Pal. 2377 (a plerisque respondetur); 2379 (secundum omnium sententiam); Tit. Ulp. 1.12 (<Cassius> [Caesaris]: cfr. Avenarius 2005, p. 183); 13.2; Modestino: Pal. 187; 276; una controversia ambientata nel passato è in Mod., Pal. 208 34 210 Sul cd. Fragmentum Dositheanum Giuseppe Falcone a mio avviso, quali elementi di un ius receptum messo a disposizione di funzionari imperiali40. Particolarmente evidente è questo stato di cose nei frammenti superstiti dei V libri regularum di Marciano: al loro interno si contano ben 15 casi di citazioni giurisprudenziali, le quali sono t u t t e congegnate in siffatta prospettiva41. L’unica eccezione nella documentazione di cui disponiamo è costituita dal noto passaggio del liber singularis regularum di Ulpiano (Tit. Ulp. 11.28) in cui si menzionano le contrapposte posizioni dei Cassiani e dei Proculiani e l’intervento di Priscus (Iavolenus? Neratius?)42 in ordine al tempus del raggiungimento della pubertà: ma in questo caso si trattava di una disparità di posizioni che, re ipsa, non poteva certo essere sottaciuta e che, d’altra parte, non si sarebbe potuta superare se non attraverso un intervento autoritativo, che si è fatto attendere fino all’età giustinianea (C. 5.60.3; I. 1.22pr.). Per converso, è appena il caso di ricordare che l’intreccio fra l’esposizione di possibilità e di effetti giuridici e il richiamo al ius controversum è un elemento non solo ricorrente, ma davvero peculiare di un testo didascalico-isagogico quale il manuale di Gaio. In definitiva, alla luce degli elementi che precedono ritengo che debba concludersi, con sufficiente tranquillità, nel senso che il Fragm. Dosith. presenta i caratteri propri di un’opera nata nell’ambiente della scuola e, precisamente, che il testo escerpito dal maestro di grammatica deriva da uno scritto giurisprudenziale didattico di natura scolastica43. 4. Orbene, quale fosse questo scritto didattico credo che, nonostante il carattere frammentario e il tenore testuale non di rado infelice e malcerto, quel che ci è pervenuto consenta egualmente di riconoscere con un alto grado di probabilità. (inter Brutum et Scaevolam varie tractatum est). Difficile è immaginare che questo stato di cose dipenda da mera casualità o da una sistematica opera di soppressione di citazioni di controversie da parte di eventuali epitomatori postclassici o da parte dei commissari giustinianei: con riguardo a questi ultimi, del resto, non si vede perché solo in questi casi l’intervento di sfrondamento non avrebbe lasciato tracce, a fronte dei numerosissimi riscontri di dispute giurisprudenziali rimasti nei testi escerpiti da altri tipi di opere. 40 Secondo quella che a me appare la più plausibile funzione dei libri regularum: supra, su nt. 28. 41 Si tratta di Pal. 239; 246 (…plerisque placet…); 247; 254; 254.1; 256; 262; 264; 267 (Sunt qui putant…: qui, per vero, non può escludersi che, nell’originario contesto, Marciano avesse proseguito riferendo anche posizioni differenti né, al contempo, che avesse, magari, concluso il discorso con l’indicazione di un successivo superamento della disputa); 268.1; 270; 274; 276; 279; in un caso, Pal. 225, viene richiamato un dubbio interpretativo da parte di un giurista, seguito però da un’affermazione che chiude l’incertezza: …an una auctoritas sufficiat eo animo, ut ad utrumque pertienat? Pomponius dubitat, sed fortiter defenditur sufficere unam auctoritatem. 42 Cfr., recentemente, Leesen 2010, p. 48 ss. È ben probabile che la posizione di Priscus fosse ricordata anche nella parte non più leggibile di Gai 1.196. 43 A fronte della dottrina maggioritaria (riferita supra, in nt. 16), che assume senz’altro il Fragm. Dosith. come tratto da un liber regularum, Schulz 1968, p. 310 ha ritenuto possibile trattarsi sia di una raccolta di regulae sia di un testo di Institutiones, mentre Wieacker 2006, p. 119 ha scartato con decisione l’appartenenza dell’opera al genere dei libri regularum, considerandola, piuttosto, un «elementar Unterrichtswerk» (ma sulla base di un indizio inadeguato e cioè la sequenza iniziale ‘fonti del diritto - status delle persone’ e la presenza di una divisio riguardante quest’ultimo, che richiama il «Darstellungsprinzip» di Gaio: la non concludenza di questa rilevazione deriva dal fatto che essa può esser compiuta anche con riguardo al liber singularis regularum di Ulpiano). Di «Elementarlehrbuch» e «Anfängerlehrbuch» parla Liebs 1997, p. 207 (cfr. anche Liebs 2008, p. 50 ss.). Dal canto suo, Nelson 1981, p. 367 e nt. 53 ha pensato ad un «Lehrbuch» ma senza escludere che il titolo fosse Regulae. 211 Specula Iuris – Vol. 1 n. 1 (2021) Va anzitutto detto che i diversi tentativi di individuazione di un giurista fin qui compiuti dagli studiosi risultano, a monte, condizionati dal convincimento che il testo in questione appartenesse alla tipologia dei libri regularum e, oltretutto, si basano su indizi intrinsecamente davvero labili: il che ha determinato la stessa, emblematica pluralità di proposte alternative44. Queste, in particolare, le identificazioni che sono state proposte in relazione ad autori di libri regularum, in ordine di apparizione in letteratura (citata per esteso in nt. 1): 1) Paolo (Lachmann 1837 = 1876, p. 213): ma la corrispondenza concettuale tra il cenno al bonum et aequum di fr. Dos. 1 e il testo di Paolo conservato in D. 1.1.11 non è sicura né, comunque, escluderebbe che due diversi giuristi potessero coltivare una medesima concezione; il coordinamento o, addirittura, l’integrazione di fr. Dos. 16 con Paul. Sent. 4.12.2 è, poi, frutto di valutazione arbitraria e gratuita45; 2) Gaio quale autore di Regulae aureae, pretesa vera intitolazione delle Res cottidianae o libri aureorum (Dirksen 1837 = 1871, p. 396): su questa proposta cfr. infra, § 5; 3) Cervidio Scevola (Huschke 18743, p. 401 ss.): ma né la presenza di numerosi vocaboli greci nelle opere di Scevola né l’attenzione per le province in fr. Dos. 1, 12 e 17 sono probanti, giacché gli stessi elementi si ritrovano, ad es., notoriamente, nella produzione gaiana; l’uso di nationes in un testo di Scevola per indicare gentes non ha alcun rilievo, posto che è pressoché certo che il termine nationes non compariva nell’originale latino corrispondente a fr. Dos. 146 e posto che, comunque, esso è usato, nuovamente, anche da Gaio; il dato della citazione di determinati giuristi non implica alcunché; la locuzione tot annos habere di fr. Dos. 17, che Huschke considera un grecismo e della quale segnala la presenza in due testi di Scevola, era in realtà «current in the purest of Roman Latin»47; 4) Pomponio (Voigt 1856, p. 628 ss. e Karlowa 1885, p. 764): ma che i giuristi citati nel frammento siano richiamati anche da Pomponio e che anche nell’Enchiridion compaia la locuzione partes iuris non sono argomenti decisivi né idonei ad escludere altri possibili autori; 5) Marciano (Savagnone 1896, pp. 88 e 201 ss.): ma la tracciata vicenda evolutiva della manumissio censu, che implicherebbe l’esigenza di pensare ad un autore cronologicamente intermedio tra Gaio e Ulpiano, è smentita dalle fonti (supra § 1, su nt. 13); la corrispondenza sostenuta tra l’impostazione tricotomica ius naturale-gentium-civile (essa stessa, però, non sicura: infra, § 5) e la nozione di ius civile sposata in fr. Dos. 1, da un lato, e le posizioni che sarebbero riconoscibili in I. 1.2.2 e I. 1.2.10-1148, dall’altro, dà per scontato che i compilatori giustinianei abbiano tratto questi Lo notava già, limpidamente, Lombardi 1947, p. 247. Cfr. la critica in Savagnone 1896, p. 84 ss. Del resto, oltre all’inadeguatezza degli stessi indizi segnalati da Lachmann, contro l’attribuzione a Paolo vi sono specifici elementi: cfr. infra, su ntt. 57-58. 46 Cfr. infra, nt. 67. 47 Così, con riscontri, Avery 1974, p. 623. 48 Rispettivamente, nei seguenti passaggi: …Ius autem gentium omni humano generi commune est. nam usu exigente et humanis necessitatibus gentes humanae quaedam sibi constituerunt… e Sed naturalia quidem iura, quae apud omnes gentes peraeque servantur, […] ea vero quae ipsa sibi quaeque civitas constituit… 44 45 212 Sul cd. Fragmentum Dositheanum Giuseppe Falcone §§ da Marciano, il che è tutt’altro che certo, come ha mostrato Ferrini nella sua palingenesi delle Institutiones imperiali49; ancora, che la «profonda erudizione» e la «freschezza di forma» di Marciano si prestassero ad attirare l’attenzione di un maestro di grammatica è argomento che lascia il tempo che trova50. 6) Gaio (Honoré 1965, p. 312 ss.): tuttavia, le rilevazioni statistiche lessicali sono rese, alla base, assai discutibili dal fatto che possediamo solo la retroversione della traduzione greca; la presenza di un «explanatory style», quale si riconosce dalla frequenza degli impieghi di γάρ / enim, nam e di δέ / autem, tamen, varrebbe anche per altri giuristi, come ammette lo stesso Honoré51; l’interesse storico, che giustificherebbe la considerazione anche di controversie concernenti istituti obsoleti, come avverrebbe nel § 17 in tema di manumissio censu, è argomentato dall’erroneo convincimento che il predetto istituto non fosse più in vigore (supra, su nt. 13); che il maestro di grammatica non avesse citato il nome dell’autore del testo escerpito in quanto si sarebbe trattato di un giurista non abbastanza famoso gli inizi del III secolo, quale, appunto, Gaio, è deduzione ardita. Una volta ammesso trattarsi, invece, di un’opera squisitamente scolastica, si impone evidentemente, come prima cosa, il compimento di una verifica con riguardo ai giuristi per i quali è attestata la redazione di Institutiones. Ebbene, a tal proposito, non solo non sussistono, in positivo, indicazioni che consentano, pur cautamente, di prospettare una concreta e plausibile ipotesi di attribuzione, ma vi sono elementi che portano ad escludere tutti codesti giuristi, ad eccezione di uno solo. In particolare: che possa trattarsi di una diversa versione delle Istituzioni di Gaio – versione, la cui esistenza in sé è legittimo astrattamente immaginare – appare in concreto da escludere recisamente giacché, a fronte di una corrispondenza di fondo tra l’impostazione del Fragm. Dosith. e quella del Gaio veronese (in entrambi i casi, la fissazione iniziale di una distinzione tra sfere del ius è seguita da una elencazione dei fattori di produzione del diritto privato romano e, quindi, da una trattazione sulle personae), troppo marcate sono, poi, le differenze fra le due esposizioni, molteplici e qualificanti essendo le questioni affrontate in Fragm. Dosith. delle quali non vi è traccia alcuna nel manuale gaiano52; il manuale di Fioren- C. Ferrini 1901 = 1929, pp. 331 ss.; 334. Ove, poi, si volesse ammettere che l’utilizzazione del testo giurisprudenziale da parte del ludimagister sia anteriore, se non al 207, alla constitutio Antoniniana (supra, § 1), creerebbe qualche difficoltà anche la collocazione, puntualizzata dallo stesso Savagnone 1896, p. 208 ss., dei libri regularum marcianei durante il regno di Caracalla. 51 In effetti, Honoré 1965, p. 322 ss. ammette: «All in all, then, Gaius is the most likely author for our work. But there is nothing which decisively excludes the hypothesis that the fragment is taken from an early work of Ulpian or even Paulus». 52 Si tratta, in particolare, delle seguenti tematiche: voluntas del dominus manumissor (§ 7); precisazione sulla necessità di tutela del praetor o del proconsul; cenno all’esistenza di molteplici casi in cui il proconsul non offre difesa e rinvio ad una successiva trattazione apposita (§ 8); ius adcrescendi nel caso di manumissio inter amicos del servo comune (§ 10); impiego di una manumissio vindicta da parte del nudo proprietario (§ 11); effetti di una manumissio compiuta da un peregrinus (§ 12); compimento della manumissio inter amicos da parte della donna senza l’auctoritas del tutore; (§ 15); ipotesi di un servo dato in pegno e manomesso dal debitore (§ 16); disputa sul momento a partire dal quale la manumissio censu ha efficacia (§ 17). 49 50 213 Specula Iuris – Vol. 1 n. 1 (2021) tino va scartato, in quanto in esso la trattazione dello status dei servi era affrontata nel libro IX, dunque, diversamente dal Fragm. Dosith., a grandissima distanza rispetto alle nozioni introduttive sul ius53; quanto a Callistrato54, se vi sarebbe piena compatibilità tra i riferimenti al proconsul e alle provinciae in fr. Dos. 2, 8 e 17 e l’attenzione nel corpus callistrateo per le realtà provinciali55, tuttavia la topografia dei frammenti delle Institutiones a noi pervenuti rende assai problematico ritenere che, all’interno di quest’opera, la trattazione sulle personae seguisse immediatamente, come nel fragm. Dosith., un discorso di apertura sulle diverse sfere del ius e sulle fonti di produzione: invero, pur in mancanza di excerpta dal I libro, il fatto che i frammenti a noi giunti dal II trattano di adoptio, di sepulchrum e di acquisto della proprietà e i frammenti del III riguardano le obligationes, suggerisce come supposizione più naturale che il I libro (o la prima parte di esso) fosse dedicato alla materia ereditaria e che l’ambito del ius personarum fosse affrontato nel II libro (o, magari, già nell’ultima parte del I)56; delle Institutiones di Ulpiano, poi, conosciamo proprio i passaggi, assai differenti nei contenuti rispetto a fr. Dos. 1, che riguardano la tripartizione ius naturale, ius gentium, ius civile, la nozione di ius naturale e l’individuazione del ius civile rispetto al ius naturale e al ius gentium (D. 1.1.1.2; 3; 6); ad impedire un’attribuzione alle Institutiones di Paolo sono almeno due circostanze che attengono ai contenuti: da un lato, la seconda delle tre nozioni di ius civile riferite in fr. Dos. 1 (Sed quidam praedicent hoc esse, quod omnibus civibus suis aut maiori parti expedit) corrisponde nella sostanza a quella fornita da Paolo in D. 1.1.11 (quod omnibus a u t p l u r i b u s in quaqua civitate utile est), ma non è, evidentemente, caldeggiata dal giurista autore del nostro testo57; dall’altro lato, mentre Paolo si fa interprete di una visione che considera irrilevante per il ius civile il metus, espressa nella celebre affermazione quamvis si liberum esset noluissem, tamen coactus volui (D. 4.2.21.5), in fr. Dos. 7 si legge, con orientamento opposto, non intellegitur voluisse, qui coactus est58. D. 1.5.4, in cui sono contenute affermazioni assolutamente propedeutiche sul tema (le definizioni di libertas e di servitus), che impediscono di immaginare trattarsi di una ripresa di una materia già in precedenza svolta. La diversità di schema tra le Institutiones di Fiorentino e la sequenza dei primi §§ del Fragm. Dosith. è stata sottolineata da Nelson 1981, p. 372 ss. Più di recente, Querzoli 1996, p. 56 ss. 54 Le cui Institutiones si collocherebbero all’interno anche degli eventuali termini ante quem più su richiamati: cfr., infatti, sulla cronologia dell’opera i recenti rilievi di Puliatti 2020, p. 18 ss. 55 Anche su questo punto rinvio a Puliatti 2020, p. 8 ss. 56 Cfr., dubitativamente, Lenel 1889.I, col. 97 nt. 1; con maggior decisione, di recente, Querzoli 1996, p. 52 e, ultimamente, Cossa 2018a, p. 118 nt. 114. In effetti, è assai difficile immaginare che, con abnorme sproporzione, alle personae fosse dedicato l’intero I libro e parte del II e che, essendo occupato il libro II anche dai modi di acquisto del dominium, la materia ereditaria fosse compattata nel libro III insieme con le obligationes (o, addirittura, insieme anche con le actiones). Non è appagante, già in sé presa, l’obiezione al suggerimento di Lenel formulata da Bonini 1964, p. 17 e nt. 25, secondo cui l’anticipazione della materia ereditaria rispetto alle personae costituirebbe una deviazione rispetto al rapporto tra le due tematiche che si riconosce in Gaio, Fiorentino, Ulpiano e Marciano. Da ultimo, ritiene invece «non da escludere» (sulla scorta di Kotz-Dobrž 1916, col. 1568 e del citato Bonini) una presenza dello schema (gaiano) personae-res-actiones Puliatti 2020, p. 86 ss. 57 Lo notava già Savagnone 1896, p. 84, in critica alla proposta di attribuzione al liber regularum di Paolo avanzata da Lachmann (supra, nel testo, in questo stesso §). Per le nozioni di ius civile riferite nel Fragm. Dosith. cfr. supra, nt. 26. 58 Fr. Dos. 7: In eis, qui inter amicos manumittuntur, voluntatem domini spectant; lex enim Iunia eos fieri Latinos iubet, quos dominus liberos esse voluit. Hoc tamen sic habens, debet voluntatem manumittentis habere dominus, unde si per vim coactus, 53 214 Sul cd. Fragmentum Dositheanum Giuseppe Falcone Il solo giurista, al quale accennavo, per cui non si profilano specifiche ragioni ostative di ordine contenutistico è Marciano. E tuttavia, a parte il dubbio che, in ragione della verosimile composizione delle sue Istituzioni dopo la constitutio Antoniniana59, l’opera possa essere successiva rispetto al probabile momento in cui si è svolto l’intervento del ludimagister degli Hermeneumata (supra, § 1), resta il fatto che, a parità di assenza di indizi di ordine positivo, la soluzione in via residuale di Marciano non ha, in definitiva, più chances di avvicinarsi al vero di quante non possa averne, ad esempio, la congettura della provenienza del Fragm. Dosith. da qualche opera ‘istituzionale’ a noi non altrimenti nota, composta da questo o quel giurista operante fra la metà del II e i primi anni del III secolo o, magari, come si è anche pensato, da un magister iuris di minore levatura60. Sennonché, a fronte di siffatte eventuali candidature ‘per esclusione’ e prive di supporto probatorio, a mio avviso sussistono più elementi che, c o n g i u n t a m e n t e c o n s i d e r a t i, suggeriscono in modo apposito la conclusione che il nostro testo derivi da un’opera di natura scolastica di cui siamo ben a conoscenza: le Res cottidianae di Gaio61. 5. Un’attribuzione del frammento alle Res cottidianae era stata, a suo tempo, proposta da Dirksen62, ma con argomentazione assai debole e inappagante, in quanto degli indizi addotti verbi gratia ab aliquo populo vel a singulis hominibus, manumiserit, non perveniet servus ad libertatem, quia non intellegitur voluisse qui coactus est (…οὐ νοεῖται ἠθεληκέναι ὁ ἀναγκασθείς…). Sulle posizioni di Paolo e del giurista di fr. Dos. 7 quali espressioni di disparità di vedute giurisprudenziali cfr. Schulz 1922, p. 182 e nt. 1; p. 184 ss.; Hartkamp 1971, p. 118 ss.; Zoz 1973, p. 124 ss. 59 È questa, infatti, la più probabile collocazione cronologica dell’opera: cfr. De Giovanni 2006, p. 487 ss. 60 È quest’ultimo il convincimento di Liebs 2008, p. 52. 61 A proposito della paternità gaiana dell’opera, mi sia consentito di riproporre quanto affermato in Falcone 2017, p. 13 ss.: «Il punto di partenza è costituito dal fatto che disponiamo di due dati assai importanti: 1) la salda attribuzione delle Res cottidianae a Gaio sia nelle inscriptiones del Digesto sia nell’elenco delle opere classiche utilizzate nel Digesto, redatto dagli stessi compilatori (Index Florentinus), sia, ancora, nella costituzione introduttiva delle Istituzioni imperiali (cost. Imperatoriam § 6); 2) l’evidente fortissima impronta gaiana della scrittura dell’opera. Di fronte a questi due solidi elementi, l’attribuzione a Gaio deve tenersi ferma fino a prova contraria. Ebbene, questa prova non è stata finora fornita. Nessuno degli indizi che sono stati fino ad oggi utilizzati per negare l’attribuzione a Gaio dichiarata dagli stessi commissari giustinianei è attendibile. Intanto, non di rado è stata trascurata l’esigenza metodologica di tener separate la questione della genuinità di un singolo passo o di una singola parola e la diversa e più ampia questione della classicità dell’intero scritto: non è legittimo desumere automaticamente da una (eventualmente dimostrata) non classicità di un passaggio la non gaianità dell’opera nel suo complesso. In secondo luogo, singole difformità di ordine contenutistico o dogmatico o sistematico tra le Institutiones gaiane e le Res cottidianae possono ben spiegarsi, anziché in termini di provenienza da due distinti autori, in chiave di diversità di valutazione, di impostazione e di ‘taglio’ espositivi impressi da uno stesso autore a due propri scritti e/o in chiave di raggiungimento di una diversa maturazione di pensiero in relazione ad un dato istituto o fenomeno da parte dello stesso giurista». Ebbene, finora, a mia conoscenza, non sono apparse indagini che, condotte nel rispetto dei suddetti canoni di ordine metodologico, siano state in grado di ribaltare i segnalati dati positivi di partenza. Per la letteratura orientata nel senso della paternità gaiana dello scritto rinvio a Falcone 2003, p. 30 nt. 73. Successivamente a questo studio, nella medesima direzione si sono pronunziati in modo apposito Cenderelli 1998-1999, p. 68 ss.; Martini 2012, p. 173 ss.; Wegmann Stockebrand 2019, p. 89 (ove sono riproposte le considerazioni che ho richiamato in questa nota); Platschek 2020, spec. p. 291 ss. (il quale, a p. 296, conclude: «Mangels stichhaltiger Gegenargumente ist an den Aussagen der Quellen festzhalten: Bei den so gen. Res cottidianae sive aurea handelt sich um ein Werk des Gaius»). Recentemente, ha sostenuto sic et simpliciter la paternità gaiana dell’opera Mantovani 2018, p. 221 ss. 62 Dirksen 1837 = 1871, spec. p. 402 ss. Questo studioso, peraltro, ha voluto raccordare una delle intitolazioni tràdite dello scritto gaiano, libri aureorum, con il cenno di fr. Dos. 3 a regulae immaginando l’opera come una raccolta di regulae aureae. 215 Specula Iuris – Vol. 1 n. 1 (2021) solo uno risulta appropriato63, gli altri essendo o intrinsecamente inconsistenti64 o non tali da orientare verso Gaio con esclusione di altri giuristi65. È, tuttavia, anche vero che gli elementi che antichi studiosi, in critica all’ipotesi di Dirksen, hanno chiamato in causa per escludere un’attribuzione alle Res cottidianae non hanno alcuna efficacia e lasciano, pertanto, sussistere l’astratta possibilità di pensare a quest’opera. In particolare, Voigt66 ha fatto leva sulla (pretesa) differenza tra la dicotomia di sfere giuridiche fissata in Gai 1.1 e la tripartizione ius civile-naturale-gentium, quale sarebbe attestata in fr. Dos. 1: Omne enim iustum aut civile appellatur, aut naturale dicitur, aut gentile iustum: ab eo enim nominatur, et omnes nationes67 similiter eo sunt usae: quod enim bonum et iustum est, omnium utilitati convenit. Sennonché, anche ammesso che questo dettato restituisca realmente una tripartizione68 e non, invece, un dualismo tra ius civile e ius naturale al quale si aggiunga la precisazione che il ius naturale è chiamato anche ius gentium69 – nel qual caso, evidentemente, verrebbe a configurarsi una piena corrispondenza con la sostanza delle affermazioni di Gai 1.1, ove è posto un dualismo tra il ius che ciascun popolo ipse sibi constituit e il ius quod naturalis ratio constituit inter omnes homines ed è precisato che quest’ultimo è chiamato ius gentium in ragione della sua utilizzazione da parte di tutte le gentes –, rimarrebbe comunque legittimo e plausibile pensare che lo stesso Gaio fosse pervenuto, in un’opera successiva, ad una messa a punto ulteriore in ordine all’individuazione delle varie sfere giuridiche e dei rapporti tra le stesse: ciò, analogamente ad altri casi di evoluzioni o ripensamenti o comunque diversità di soluzioni concettuali e sistematiche quali si riscontrano confrontando i commentarii ‘istituzionali’ e le Res cottidianane70. Dal canto suo, Savagnone ha opposto la circostanza che l’autore di Si tratta della corrispondenza (p. 404), che si profila tra fr. Dos. 2 e Gai 1.7, del riferimento al consentire tra le posizioni dei giuristi: cfr. infra, su nt. 81. 64 Ciò è da dirsi con riferimento alla presentazione dei cives Romani in coloniam Latinam deducti quale «Vorbild» dei Latini Iuniani sia in Gai 1.22 e 3.56 sia in fr. Dos. 6 (p. 409 ss.): questa presentazione, infatti, riproduceva un’informazione oggettiva (che, pertanto, nulla impedisce di pensare fornita con identica o simile terminologia in qualsiasi trattazione sulla materia); come pure con riferimento alla considerazione (p. 408) secondo cui lo spazio dedicato in Fragm. Dosith. alle manumissioni pretorie rifletterebbe un caratteristico interesse dell’autore delle Res cottidianae «per l’applicazione del diritto vigente», considerazione che appare vaga e, per altro verso, arbitraria (secondo Dirksen, si sarebbe trattato di verificare in qual misura le disposizioni della lex Iunia Norbana, che dovremmo immaginare non risolutiva di tutte le questioni giuridiche coinvolte, si sarebbero potute integrare da parte dell’interpretatio anche attraverso le antiche elaborazioni circa il trattamento dei servi inter amicos manumissi). 65 È quel che vale per i richiami (p. 409) alle modalità di citazione di precedenti giuristi, alla menzione di Proculo non in quanto esponente di una controversia tra scuole e all’uso di ‘populus’ per indicare ogni comunità organizzata. 66 Voigt 1856, p. 627. 67 Che, al posto di questo termine, nell’originario testo latino comparisse gentes, come proposto da Lachmann, deve a mio avviso ritenersi sicuro, dal momento che l’intera frasetta era stata appositamente formulata per spiegare l’origine della designazione ius gentium. 68 Come, oltre a Voigt, hanno in tempi recenti ritenuto, ad es., Waldstein 1988, p. 709 ss.; 1994, p. 7 ss.; Kaser 1993, p. 73. 69 Così, ad es., Lombardi 1947, p. 249 ss., accogliendo la proposta di restituzione dell’originale latino di Lachmann: Omne enim iustum aut civile appellatur aut naturale. Naturale dicitur etiam ius gentium. 70 Cfr. infra, nel testo, su ntt. 72-73. Con riguardo a questa tematica, peraltro, non sono purtroppo risolutivi i frammenti del Corpus iuris tratti dalle Res cottidianae. Confrontando, infatti i testi escerpiti da quest’opera nel Digesto e nelle Istituzioni in tema di modi di acquisto del dominium, si osserva una divergenza in ordine alla riconduzione al ius gentium (nei primi) 63 216 Sul cd. Fragmentum Dositheanum Giuseppe Falcone fr. Dos. 6 con riferimento ai Latini Iuniani usa l’espressione inter amicos manumissi, laddove Gaio «preferisce la formula quos praetor tuebatur (Gai 3.56)71: ma la differenza è ancor meno probante di quella segnalata da Voigt, dal momento che la locuzione di Gai 3.56 poté benissimo dipendere, assai semplicemente, dal fatto che, in quello svolgimento espositivo, il giurista puntava specificamente l’attenzione sul profilo dell’auxilium del pretore. Detto questo, è il caso di notare preliminarmente che la circostanza poc’anzi accennata (su nt. 52) che il Fragm. Dosith. nel suo svolgimento complessivo presenta sia una analogia con lo schema delle Istituzioni di Gaio sia deviazioni nei contenuti della trattazione è, palesemente, del tutto compatibile con il dato di fondo che emerge dal confronto tra le Istituzioni di Gaio e le Res cottidianae e al quale pure si è fatto riferimento: vale a dire, con il fatto che, a fronte di evidenti analogie di contenuti e formulazioni tra i due scritti, essi divergono, poi, con riguardo ad angolazioni prospettiche in ordine a specifici argomenti72 e con riguardo all’adozione di scelte sistematiche (tanto all’interno di singoli ambiti tematici quanto rispetto al complessivo impianto dell’opera)73. Ma, al di là di questa circostanza che rileva soltanto in chiave di generale ammissibilità, in favore della provenienza del Fragm. Dosith. dalle Res cottidianae soccorrono indizi concreti. Segnalo, anzitutto, quelli che risultano di più diretta ed evidente riconoscibilità. Un indizio di tal natura è costituito dalla locuzione del § 17: Magna autem dissensio est … (Μεγάλη μέντοι ἀμφισβήτησίς ἐστιν…). A rilevare non è il termine in sé dissensio, dal momento che il greco ἀμφισβήτησις, dal quale discende il termine latino a noi pervenuto, potrebbe invece aver tradotto indifferentemente vari altri vocaboli che, oltre a dissensio, i giuristi classici utilizzano per indicare diversità di opinioni, quali quaestio, controversia, dubitatio74. o al ius naturale (nei secondi), senza però che possa con certezza desumersi quale delle due impostazioni concettualisistematiche corrisponda all’originario dettato delle Res cottidianae: sulla questione cfr., appositamente, Falcone 1998, p. 316 ss. (oggi, peraltro, sarei meno deciso nell’ascrivere ai compilatori delle Institutiones i riferimenti al ius naturale e, dunque, specificamente, la prima parte di I. 2.1.11, che potrebbe più direttamente rilevare – per via dell’affermazione …iure naturali, quod, sicut diximus, appellatur ius gentium… – sulla questione qui considerata). 71 Così Savagnone 1896, p. 90 (anch’egli in critica al Dirksen), il quale adduce erroneamente anche 1.22. 72 Segnatamente, in materia di obligationes, per le quali è possibile instaurare un adeguato confronto tra i due scritti, si osserva nitidamente come nelle Res cottidianae l’attenzione si sposta dal piano del compimento dell’operazione negoziale, che costituiva il centro d’interesse nei commentarii istituzionali, a quello del regime del rapporto obbligatorio (obblighi, responsabilità, tutela) e del fondamento, per dir così, economico-sociale del rapporto: cfr. Falcone 2011, p. 47 ss.; 2017, p. 109 ss.; 133 ss. 73 Per il primo aspetto si considerino: in tema di acquisto del dominium, la sostituzione del coordinamento tra le distinzioni res corporales-res incorporales e res mancipi-res nec mancipi con la cornice ordinante costituita dalle sfere giuridiche alle quali si riconducono i modi di acquisto (Falcone 1998, p. 285 ss.; 2011, p. 49 ss.); in materia di obligationes, l’introduzione di una summa divisio anch’essa calibrata sulle diverse sfere giuridiche che riconoscono giuridicità agli atti obbliganti, il ricorso alla categoria delle variae causarum figurae, il completamento delle obligationes re e lo spostamento della indebiti solutio tra le variae causarum figurae: rinvio a Falcone 2017, p. 103 ss. Dal secondo punto di vista, viene in questione la diversa collocazione, che sembra necessario desumere, della materia ereditaria rispetto alle obligationes: cfr. Lenel 1889.I, col 251 nt. 4; Schulz 1968, p. 297; Cannata, 2007, p. 104; Falcone 2017, p. 104 nt. 138. 74 Ciò è stato trascurato da chi, come Honoré, facendo affidamento su rilevazioni statistiche lessicali – supra, § 4 sub 6) – ha segnalato che dissensio compare una volta in Gaio e una volta in Pomponio. Per poter trarre uno specifico argomento da un termine della retroversione a noi giunta occorre poter contare su elementi che assicurino la corrispondenza tra questo termine e il vocabolo presente nell’originario testo giurisprudenziale (vd., ad es., infra, nt. 76 a proposito del termine lex del § 12). 217 Specula Iuris – Vol. 1 n. 1 (2021) Piuttosto, è l’idea di ‘grandezza’ del dissenso ad essere significativa. Infatti, pur in presenza di una assai ricca documentazione relativa a controversie giurisprudenziali conservata nel Digesto e in fonti pregiustinianee, solamente in tre testi di Gaio incontriamo la concettualizzazione magna dubitatio e magna quaestio (Gai 3.184; D. 35.2.73.1 [Gai. 8 ad ed. prov.]; Gai 3.149) e per di più, in due di essi con identica posizione incipitaria rispetto al complessivo discorso e con identica struttura interna (Magna dubitatio fuit; Magna autem quaestio fuit) che si osserva nel Magna autem dissensio est di fr. Dos. 7. Ai tre citati riscontri, peraltro, può aggiungersi, quale espressione di un medesimo ordine di idee, ancora un quarto testo di Gaio, in cui figura il grado comparativo maior: Gai 2.215, Maior illa dissensio in hoc legato intervenit… (ove torna anche la coincidenza di posizione iniziale nel discorso). Un altro è offerto dal § 12, in cui si afferma che il servo manomesso da un peregrinus non può acquisire lo status di Latinus previsto dalla lex Iunia Norbana e si aggiunge che, tuttavia, il pretore non consentirà che egli torni in una situazione di asservimento, nisi aliter lege peregrina caveatur / εἰ μὴ ἄλλως νόμῳ Ἑλλήνων χειρογραφηθῇ. Invero, la segnalazione dell’eventualità che una statuizione peregrina regoli diversamente un determinato fenomeno trova corrispondenza nell’analogo atteggiamento di apertura ad eventuali peculiarità giuridiche dei peregrini mostrato in Gai 3.120 (…nisi si de peregrino fideiussore quaeramus, et alio iure civitas eius utatur) e in Gai 3. 96 (…utique cum quaeritur de iure Romanorum. Nam apud peregrinos quid iuris sit, singularum civitatium iura requirentes aliud intellegere poterimus)75; mentre il riferimento in sé ad una ‘lex’76 peregrina richiama l’impiego di lex in Gai 1.193 per indicare un disciplinamento esistente, in tema di tutela, apud peregrinos (la lex Bithynorum)77. E ancora, nel § 5 il riferimento agli acquisti compiuti dal soggetto manomesso inter amicos (che, anteriormente alla lex Iunia Norbana, andavano al patronus) è affidato alle parole velut si quid stipulabatur vel mancupio accipiebat vel ex quacumque causa alia adquisierat78: parole che ricalcano l’affermazione di Gai 2.86 quod servi nostri mancipio accipiunt vel ex traditione nanciscuntur, sive quid stipulentur vel ex aliqualibet causa adquirunt e che a buon diritto possono aggiungersi ai casi di formulazioni già presenti nei commentarii gaiani e riproposte, spesso quasi immutate, nelle Res cottidianae. Su questo atteggiamento di Gaio, con richiamo ai tre testi qui segnalati, cfr., per tutti, di recente, Quadrato 2006, p. 1129 ss. = 2010, p. 297 ss.). 76 Che anche l’originale termine latino tradotto con νόμος fosse lex, anziché ius (come astrattamente possibile, specie di fronte a Gai 3.96 e 120), risulta dall’abbinamento al verbo cavere, il quale non poteva che reggere, come di consueto nei testi giurisprudenziali, l’ablativo lege; e d’altra parte, che il verbo cavere facesse parte della scrittura originaria sembra necessario ammettere in ragione del curioso impiego del verbo χειρογραφέω: mi pare, infatti, che quest’ultimo possa giustificarsi solo alla luce della presenza di un originario cavere maldestramente associato (riterrei, per intervento di un traduttore successivo) alla figura della cautio (χειρόγραφoς). 77 Sull’impiego di lex in Gai 1.93 cfr., ottimamente, Goria 1981, p. 279 nt. 105 contro le considerazioni addotte da David, Nelson 1960, p. 220 per sostenere che si sarebbe trattato, non già di una statuizione dei peregrini, bensì di una norma della lex Pompeia del 63 che ha organizzato la provincia della Bitinia. Più di recente, il corretto riferimento ad una statuizione dei peregrini è ribadito, ma su diverse basi, da Mancinetti 2007, p. 492 nt. 29 e da Forster 2018, p. 14. 78 …ἢ εἴ τι ἐπηρώτα, <ἤ> κατὰ γραφὴν εἰλήφει, ἢ εἰ ἐξ οἵας δήποτε δίκης ἄλλης προσεκέκτητο… Incidentalmente, si noti l’uso di γραφή quale attestazione del corrente ricorso al documento scritto in relazione al compimento della mancipatio. 75 218 Sul cd. Fragmentum Dositheanum Giuseppe Falcone D’altra parte, per quanto le affermazioni del § 2 consistano in sgraziate lacinie di un più articolato discorso, esse contengono, però, un paio di specifici elementi che convergono anch’essi, ulteriormente, verso un’attribuzione alla mano di Gaio: fr. Dos. 2. Iuris civilis **** appellatur, quia ex pluribus partibus constat. Sed edicta imperatoria similiter honorandum, quod est et praetoris edictum similiter vel proconsulis; ex eo enim consenserunt prudentiam et receptum est responsis et summatim solemus haec dicere. Lex enim Iulia et Papia ceterae partes iustitiae appellantur79. In particolare, mentre l’indicazione ex pluribus partibus constat può esser letta come un’accentuazione di una rappresentazione in chiave di elementi che compongono il complessivo assetto giuridico, insita nella descrizione di Gai 1.2-780; dall’altro lato, le parole ex eo enim consenserunt prudentiam et receptum est responsis, pur grammaticalmente insensate, lasciano intravedere una corrispondenza con l’informazione fornita in Gai 1.7 circa il consentire delle prese di posizione (responsa, sententiae)81 dei prudentes82. 6. A questo punto, una volta che, grazie al convergere degli elementi fin qui raccolti, l’ipotesi di una derivazione del nostro frammento dalle Res cottidianae ha acquisito una autonoma e credo sufficiente plausibilità83, è il caso di rilevare come con questa conclusione ottimamente Δικαίου πολιτικοῦ **** προσαγορεύεται, ὡς ἐκ πλειόνων μερῶν συνέστηκεν. Ἀλλὰ διατάξεις αὐτοκρατορικαὶ ὁμοίως τιμητέον, ὅ ἐστιν καὶ τοῦ πραίτορος διάταγμα ὁμοίως ἢ ἀνθυπάτου˙ ἐκ τούτου γὰρ συγκατέθεντο τὴν ἐμπειρίαν καὶ παρείληπται τῶν ἀποκριμάτων καὶ κεφαλαιωδῶς εἰώθαμεν ταῦτα λέγειν. Νόμος γὰρ Ἰούλιος καὶ Πάπιος τὰ λοιπὰ μέρη τοῦ δικαίου προσαγορεύονται. 80 A far inclinare il discorso di Gai 1.2-7 verso la prospettiva delle ‘partes’ è il fatto che l’apposita descrizione degli elementi elencati in Gai 1.2 (Constant autem iura populi Romani ex legibus, plebiscitis, senatus consultis, constitutionibus principum, edictis eorum, qui ius edicendi habent, responsis prudentium) è compiuta direttamente sul piano contenutistico dei regimi o disciplinamenti: con particolare evidenza, ad es., la constitutio principis è «ciò che l’imperatore ha disposto tramite decretum o edictum o epistula» (§ 5) e quel che, nel § 7, legis vicem optinet è id quod ita sentiunt. 81 Ove si tenga presente la terminologia di Gai 1.7 (Responsa sunt sententiae…; si in unum sententiae concurrunt…; …iudici licet quam velit sententia sequi), risulta evidente che quel che osservo nel testo vale anche qualora si immaginasse che il termine greco ἀποκρίματα, retrotradotto con responsa, avesse, invece, a sua volta tradotto un originario sententiae. 82 È il caso di precisare che l’affermazione conclusiva di fr. Dos. 2 – Νόμος γὰρ Ἰούλιος καὶ Πάπιος τὰ λοιπὰ μέρη τοῦ δικαίου προσαγορεύονται / Lex enim Iulia et Papia ceterae partes iustitiae appellantur – non autorizza a ritenere che nel testo originale l’elencazione si chiudesse, all’opposto di quanto avviene in Gai 1.2-7, con la figura della lex: invero, la presenza di ὁμοίως / similiter che accompagna la menzione delle costituzioni imperiali (Ἀλλὰ διατάξεις αὐτοκρατορικαὶ ὁμοίως τιμητέον / Sed edicta imperatoria similiter honorandum) mostra che queste dovevano esser precedute da un altro elemento, che non poteva che essere la lex (e il senatusconsultum?). Troppo precipitosamente, pertanto, Wibier 2019, p. 97 ss. immagina che fr. Dos. 2 raffigurerebbe le costituzioni imperiali «as the most important sources of law» e, in tal modo, attesterebbe la circolazione, all’epoca di Gaio, di «more emperor-centric texts». Il richiamo greco-latino alla Lex Iulia et Papia dovette esser stato aggiunto, maldestramente e fuori posto, nel corso delle vicende di riutilizzazione scolastica della raccolta, e una spia di ciò è la versione di δίκαιον con iustitia, la quale, oltre ad essere insensata, è difforme rispetto alle precedenti retrotraduzioni di δίκαιον; e può pensarsi che tale aggiunta sarà stata compiuta o allo scopo di esemplificare con uno specifico provvedimento legislativo un discorso imperniato (come quello di Gai 1.2-7) sulla lex quale astratta figura tipologica o, magari, allo scopo di sopperire ad una mancanza di riferimento alla lex venutasi a creare a seguito di incidenti nella trasmissione del testo giunto nelle mani del glossatore. 83 Questa ipotesi è, evidentemente, alternativa rispetto all’opinione di Nelson, secondo cui la compresenza, più su richiamata (§ 4, su nt. 52), di analogo schema di fondo e di deviazioni tematiche quale appare sia dal confronto tra 79 219 Specula Iuris – Vol. 1 n. 1 (2021) si coordinano sia l’attenzione per la realtà delle provinciae e per i peregrini, quale appare in fr. Dos. 2, 8, 12 e 17 e che, notoriamente, ricorre anche nelle Istituzioni come in altri scritti di Gaio; sia il parallelismo tra gli svolgimenti complessivi di fr. Dos. 1-2 e di Gai 1.1-7, entrambi descriventi una iniziale distinzione tra sfere giuridiche (supra, § 5) alla quale segue una presentazione delle componenti dello specifico assetto giuridico romano; sia, ancora, la presenza di una narrazione storica come quella svolta in fr. Dos. 5-6 in tema di status giuridico dei manumissi nelle forme pretorie84, la quale, oltre ai numerosi esempi nelle Istituzioni di Gaio, trova riscontro anche nelle stesse Res cottidianae, ove si ammetta, come a me pare necessario85, che da quest’opera derivi il racconto storico, analogamente impostato, in tema di fedecommessi che leggiamo in I. 2.23.186. Per altro verso, è opportuno segnalare che, non solo, tanto in Gai 3.14287 quanto nel corrispondente brano delle Res cottidianae (D. 19.2.2)88 vengono esplicitamente designati come regulae enunciati indicanti, come si è detto (§ 2), il modo di procedere che assicura la sussistenza e l’efficacia di un atto giuridico, ma altresì la denominazione regula è attestata, anche questa volta sia nelle Istituzioni di Gaio sia nel corrispondente luogo delle Res cottidianae, pure con riguardo ad un disciplinamento o regime giuridico, assunto quale oggetto di consolidata elaborazione-approvazione da parte di una corale tradizione (giurisprudenziale): Fragm. Dosith. e il Gaio veronese sia tra quest’ultimo e il liber singularis regularum di Ulpiano, mostrerebbe che il ‘sistema istituzionale’ adottato da Gaio non fu da questo inventato e che, piuttosto, esso risaliva ad un archetipo (di I secolo) al quale si sarebbero ispirati sia Gaio sia l’(imprecisato) autore del Fragm. Dosith. sia Ulpiano: Nelson 1981, pp. 335381 e spec. 370 («Gaius kann nicht der Erfinder des Institutionensystems gewesen sein; im Gegenteil, es lassen sich auch heute noch für die Zeit der Antoninen und der Severer zumindest drei voneinander unabhängige Varianten jenem Systems nachweisen»). La complessiva ricostruzione di Nelson, peraltro, oltre a complicare il quadro di riferimento con una non necessaria e indimostrabile congettura circa l’esistenza di un archetipo, si espone all’obiezione (ultimamente, Mantovani 2018, p. 232 ss.) che il liber singularis regularum – anche a prescindere dalla questione della sua attribuibilità o meno direttamente a Ulpiano – potrebbe, piuttosto, dipendere dalle Istituzioni di Gaio (o almeno, aggiungo, anche dalle Istituzioni di Gaio). 84 Fr. Dos. 4. Ante enim una libertas erat, et libertas fiebat ex vindictis, vel ex testamento, vel in censu, et administratio Romana competebat manumissis: quae appellatur iusta libertas. Hi tamen, qui domini voluntate in libertate erant, manebant servi, et manumissores ausi erant in servitutem denuo eos per vim perducere. Interveniebat (praetor) et non patiebatur manumissum servire. Omnia tamen quasi servus adquirebat manumissori; vel si quid stipulabatur <vel> mancupatione accipiebat, vel si ex quibuscumque causis aliis adquisierat, domini hoc fiebat, id est manumissi omnia bona ad patronum pertinebant. 5. Sed nunc habent propriam libertatem inter amicos manumissi, et fiunt Latini Iuniani, quoniam lex Iunia, quae libertatem eis dedit, exaequavit eos Latinis colonariis, qui cum essent cives Romani liberti, nomen suum in coloniam dedissent. 85 Cfr. Falcone 2003, pp. 50 ss. e spec. 60 ss.; 2017, p. 14 ss. 86 Sciendum itaque est omnia fideicommissa primis temporibus infirma esse, quia nemo invitus cogebatur praestare id de quo rogatus erat: quibus enim non poterant hereditates vel legata relinquere, si relinquebant, fidei committebant eorum, qui capere ex testamento poterant: et ideo fideicommissa appellata sunt, quia nullo vinculo iuris, sed tantum pudore eorum qui rogabantur continebantur. Postea primus divus Augustus semel iterumque gratia personarum motus, vel quia per ipsius salutem rogatus quis diceretur, aut ob insignem quorundam perfidiam iussit consulibus auctoritatem suam interponere. Quod quia iustum videbatur et populare erat, paulatim conversum est in adsiduam iurisdictionem: tantusque favor eorum factus est, ut paulatim etiam praetor proprius crearetur, qui de fideicommissis ius diceret, quem fideicommissarium appellabant. 87 Supra, nt. 20. 88 Locatio et conductio proxima est emptioni et uenditioni isdemque iuris regulis constitit: nam ut emptio et uenditio ita contrahitur, si de pretio conuenerit, sic et locatio et conductio contrahi intellegitur, si de mercede conuenerit. rell. 220 Sul cd. Fragmentum Dositheanum Giuseppe Falcone Gai 2.68 In iis autem animalibus, quae ex consuetudine abire et redire solent, ueluti columbis et apibus, item ceruis, qui in siluas ire et redire solent, t a l e m h a b e m u s r e g u l a m t r a d i t a m, ut si reuertendi animum habere desierint, etiam nostra esse desinant et fiant occupantium: rell. D. 41.1.5.5 (Gai. 2 rer. cott.) … in his autem animalibus, quae consuetudine abire et redire solent, t a l i s r e g u l a c o m p r o b a t a e s t, ut eo usque nostra esse intellegantur, donec reuertendi animum habeant, quod <si> desierint reuertendi animum habere, desinant nostra esse et fiant occupantium. rell. Evidentemente, anche gli altri enunciati descrittivi di regimi giuridici che sono contenuti nelle sezioni di appartenenza di questi due brani89 e che presentano un analogo andamento espositivo, ci appaiono come implicitamente assunti da Gaio quali regulae. Ma la stessa deduzione può legittimamente trarsi con riguardo alla generalità delle affermazioni di carattere oggettivo-descrittivo che, insieme con le indicazioni-regulae del primo tipo, compongono la trama di fondo delle due opere. Di fronte a questo stato di cose, è chiaro che il κάνονας εἰδέναι / regulas scire di fr. Dos. 3 risulta compatibile e calzante anche rispetto ai contenuti dei frammenti a noi giunti delle Res cottidianae90. E infine, su un piano testuale ancora più concreto, con l’attribuzione alle Res cottidianae si coordina anche il contenuto di un brano che i compilatori delle Istituzioni imperiali hanno tratto, con verosimiglianza assoluta, da quest’opera: Rispettivamente, Gai 2.67-68 e D. 41.1.3; 5 (Pal. 491). Il che, però, non implica caldeggiare l’eventualità, ultimamente prospettata da Platschek 2020, p. 298, che le Res cottidianae siano da identificare con i libri regularum di Gaio di cui abbiamo traccia nel Digesto (D. 50.17.100 [= Pal. 483] e 47.10.43 [= Pal. 484]). Da un lato, infatti, va rimarcato il fatto che gli impieghi di regula che ho or ora segnalati nel testo sono presenti, come si è visto, anche nelle Istituzioni di Gaio. Dall’altro lato, la distanza e la non sovrapponibilità tra l’asciuttezza d’impianto e di formulazioni che contraddistingue, in generale, i libri regularum, da un lato, e l’impostazione apertamente didattica di un testo di natura scolastica, dall’altro lato, che ho richiamate in relazione al Fragm. Dosith. (supra, § 3), vanno ribadite anche in sede di confronto tra i libri regularum e le Res cottidianae in sé considerate (a prescindere, cioè, dalla suggerita provenienza da quest’opera del Fragm. Dosith.): i frammenti pervenutici di quest’opera, invero, restituiscono tratti tipici di un testo scolastico, quali un complessivo andamento descrittivo del discorso, un ricorso a schemi classificatori per inquadrare e giustificare fattispecie e regimi (cfr., su ciascuna delle variae causarum figurae, i testi conservati in D. 44.7.5 = Pal. 506) e apposite illustrazioni della ratio e delle esigenze, anche di natura economico-sociale, sottese a istituti e disciplinamenti (D. 40.9.10 = Pal. 489; D. 17.1.2 = Pal. 503; D. 44.7.5.1 = Pal. 506). D’altra parte, non mi pare giustificata la valutazione di Platschek, secondo cui uno dei due escerti dei libri regularum di Gaio (D. 47.10.43 = Pal. 484) e quello superstite del liber singularis regularum dello stesso giurista (D. 1.7.21 = Pal. 485) mostrerebbero che tali opere non si limitavano a un catalogo di regole bensì comportavano «eine synthetische und erläuternde Darstellung». E ancora, gli altri due spunti addotti da questo studioso, oltre che intrinsecamente poco significativi, risultano sprovvisti di salda consistenza: infatti, quanto alla circostanza che i libri regularum di Ulpiano si aprono con un discorso de iustitia et iure, è da dire che un analogo discorso non è attestato per le Res cottidianae (altro, infatti, sarebbe un riferimento alle diverse sfere giuridiche: ius gentium, o ius naturale, e ius civile); quanto al confronto con la sequenza delle materie di altri libri regularum, è opponibile il fatto che, ad esempio, in quelli di Paolo, diversamente che nelle Res cottidianae, la trattazione sui testamenti precede quella sull’acquisto del dominio, e che nelle Res cottidianae la trattazione sulle obligationes precedeva, con ogni verosimiglianza, quella sulla materia ereditaria (supra, nt. 73). 89 90 221 Specula Iuris – Vol. 1 n. 1 (2021) I. 1.1.2 His generaliter cognitis et incipientibus nobis exponere iura populi Romani ita maxime videntur posse tradi commodissime, si primo levi ac simplici, post deinde diligentissima atque exactissima interpretatione singula tradantur. alioquin si statim ab initio rudem adhuc et infirmum animum studiosi multitudine ac varietate rerum oneraverimus, duorum alterum aut desertorem studiorum efficiemus aut cum magno labore eius, saepe etiam cum diffidentia, quae plerumque iuvenes avertit, serius ad id perducemus ad quod leniore via ductus sine magno labore et sine ulla diffidentia maturius perduci potuisset. La provenienza di questo brano dalla mano di Gaio, già sostenuta da Ferrini91 e ultimamente riaffermata in modo persuasivo da Mantovani92, si desume dai seguenti elementi: quanto alla terminologia, da due coincidenze particolarmente qualificanti, e cioè la peculiare espressione statim ab initio (presente in Gai 2.123 [due volte]; 143; 146; 148; 4.63) e la formulazione duorum alterum, aut… aut, la quale in tutta la letteratura latina appare solo in questo brano e in un altro di Gaio (D. 35.2.73.1)93; quanto alla sostanza, dalla consapevolezza ivi espressa che un’accurata diligentia nella interpretatio (nel senso di illustrazione) non può essere proposta in occasione del primo contatto degli studenti con la materia, idea che trova piena corrispondenza, peraltro anche con identico ricorso sia al termine interpretatio nel suddetto senso sia alla semantica della diligentia, nelle notazioni svolte in Gai 1.188 e 3.5494. A rincalzo, segnalo inoltre la perfetta corrispondenza, pur in relazione a questioni diverse, tra la coppia in sé diligentissima atque exactissima (scil. interpretatione) di I. 1.1.2 e la coppia diligentius exactiusque (scil. causam cognoscit) di Gai 1.93. Si è pensato che ci troviamo di fronte alla praefatio delle Res cottidianae95. L’ipotesi, però, postula la necessità di assumere le parole iniziali His generaliter cognitis come non facenti parte del testo classico e, piuttosto, come aggiunte dai compilatori96 a mo’ di cucitura di questo excerptum con quanto è trascritto subito prima in I. 1.1.1 e, cioè, con le definizioni di iustitia e di iuris prudentia. Sennonché, a me sembra che codeste parole, più che riferirsi a due enunciati essi stessi, in sé, ‘generali’ (quali sarebbero le definizioni di iustitia e di iuris prudentia), portino a pensare che subito prima alcune nozioni fossero state fornite (e quindi, apprese dagli studenti) ‘in termini generali’, ‘da un punto di vista generale’. Ora, se teniamo presente che nelle Ferrini 1901 = 1929, p. 330 ss. Mantovani 2018, p. 224 nt. 80. 93 Gli altri elementi che, accanto a quelli or ora valorizzati nel testo, erano stati segnalati da Ferrini – e cioè, l’uso di tradere «nel senso di esporre» e il ricorso all’avverbio commode (-ius) – sono compatibili con l’usus loquendi di Gaio, ma non esclusivi di esso (oltretutto, per una svista Ferrini adduce le parole commodius erat… distingui di Gai 2.146 quale riscontro di un uso dell’avverbio «per indicare l’opportunità dell’esposizione», laddove il riferimento è ad una consolidata distinzione terminologica, risalente alla tradizione). 94 Gai 1.188 …de ea re ualde ueteres dubitauerunt nosque diligentius hunc tractatum exsecuti sumus et in edicti interpretatione et in his libris, quos ex Quinto Mucio fecimus. Hoc tantisper sufficit admonuisse, quod…; Gai 3.54 Hactenus omnia iura quasi per indicem tetigisse satis est. Alioquin diligentior interpretatio propriis commentariis exposita est. 95 Mantovani 2018, p. 222 ss. 96 Non a caso, Mantovani trascrive il testo facendolo senz’altro cominciare con le parole Incipientibus nobis exponere etc. (laddove, però, sarebbe stata opportuna un’apposita avvertenza). 91 92 222 Sul cd. Fragmentum Dositheanum Giuseppe Falcone Istituzioni di Gaio la trattazione analitica dei concreti iura populi Romani è preceduta da una descrizione panoramica degli elementi di cui codesti iura populi Romani ‘constant’ (Gai 1.27)97, si può legittimamente supporre che anche nelle Res cottidianae figurasse una presentazione ‘in termini generali’ di leges, senatusconsulta, constitutiones imperiali, edicta praetorum, responsa prudentium e che siffatta descrizione fosse seguita dalla dichiarazione (oggi conservata in I. 1.1.2) che è opportuno ed efficace che la specifica esposizione dei iura – la quale avrebbe mostrato nel loro concreto operare gli elementi subito prima accennati ‘in termini generali’ – venga sviluppata gradualmente, per evitare le conseguenze negative che lo svolgimento di una esposizione fin da subito troppo dettagliata avrebbe causato. Ebbene – ecco il punto che incrocia la questione dell’attribuzione del Fragm. Dosith. –, nell’indicare tali conseguenze negative, il testo di I. 1.1.2 parla di studia: … aut desertorem studiorum efficiemus …. Ma di studia si parla anche in fr. Dos. 3 (regulas… ad ea studia necessarium…), con un riferimento a ‘questi studi’ (in greco, ταῦτα τὰ μαθήματα) che, stando al testo a noi pervenuto, non trova appiglio alcuno nelle affermazioni che precedono (fr. Dos. 2), le quali, come si è visto, hanno per oggetto le varie partes iuris (in corrispondenza alla descrizione svolta in Gai 1.2-7). Quanto precede si presta, allora, a suggerire che il brano conservato in I. 1.1.2 possa essere proprio il segmento intermedio che consente di legare tra loro il tratto di fr. Dos. 2, riguardante le partes iuris, e fr. Dos. 3, in cui si parla di regulae che riguardano ea studia98. In quest’ottica, potremmo supporre che l’originario maestro di grammatica (o un successivo riutilizzatore degli Hermeneumata), di fronte ad un discorso programmatico che non conteneva alcuna locuzione adatta all’addestramento linguistico dei propri studenti alla terminologia del diritto, si fosse limitato a riproporre (o, rispettivamente, a risparmiare da Gai 1.2 Constant autem iura populi Romani ex legibus, plebiscitis, senatus consultis, constitutionibus principum, edictis eorum, qui ius edicendi habent, responsis prudentium. 3. Lex est, quod populus iubet atque constituit. plebiscitum est, quod plebs iubet atque constituit. … 4. Senatus consultum est, quod senatus iubet atque constituit; … 5. Constitutio principis est, quod imperator decreto uel edicto uel epistula constituit. … 6. Ius autem edicendi habent magistratus populi Romani… 7. Responsa prudentium sunt sententiae et opiniones eorum, quibus permissum est iura condere… Conclusa questa presentazione panoramica, prende avvio la trattazione del complesso giusprivatistico del populus Romanus, attraverso la coordinata sistematico-programmatica del § 8: Omne autem ius, quo utimur, uel ad personas pertinet uel ad res uel ad actiones. sed prius uideamus de personis. 98 È appena il caso di esplicitare che non è di ostacolo a questa ipotesi la circostanza che nel testo conservato nel manuale imperiale ricorre la prima persona plurale, mentre in fr. Dos. 3 il singolare (ἐπεξιόντι μοι / exsequenti mihi). Intanto, la differenza potrebbe derivare da un intervento dei compilatori giustinianei, i quali, notoriamente, si sono appositamente impegnati a rendere il singolare dei verbi che compariva nelle fonti classiche escerpite in plurale maiestatis, in ragione della formale riferibilità del dettato del manuale alla voce dell’imperatore; oppure da una opposta trasformazione di un plurale in singolare, intervenuta sul testo del Frag. Dosith. nel corso e in conseguenza delle successive e ripetute sue riutilizzazioni scolastiche, come potrebbe anche suggerire il fatto che altre affermazioni di questo testo concernenti lo svolgimento dell’esposizione sono formulate al plurale (§ 1 diximus; § 4 ne interpretari cogamur, videamus; § 8 ostendemus). Ma, in realtà, non è nemmeno strettamente necessario immaginare simili vicende modificative, ché nulla vieta di pensare che il giurista, pur avendo impostato la prima parte del discorso programmatico al plurale, si fosse poi risolto a passare alla prima persona singolare, come accade in luoghi programmatici di altri autori, nei quali è presente un contestuale ricorso al plurale e al singolare: mi limito a riportare gli esempi di Colum. r.r., praef. 1 Non me praeterit, si, quem desideramus agricolam, quemque d e s c r i b i m u s, e x e g e r o a participibus agrestium operam, tardatum iri studia discentium …; e del seguente svolgimento in Vitruv., arch. 4.2.6 … de ionicis et corinthiis institutionibus supra dixi; nunc vero doricam rationem summamque eius speciem breviter e x p o n a m – 4.3.1 Nonnulli antiqui architecti negaverunt… – 4.3.3 Nos autem e x p o n i m u s, uti ordo postulat, quemadmodum a praeceptoribus a c c e p i m u s … 97 223 Specula Iuris – Vol. 1 n. 1 (2021) uno sfrondamento del testo) il passaggio in cui Gaio, volgendosi a realizzare concretamente la generale direttiva programmatica formulata (e trascritta in I. 1.1.2), sembra affermare che, nel compiere la trattazione, gli appare necessario (exequenti mihi necessarium <visum est>99) che i giovani prima di ogni cosa apprendano regulae (regulas ante omnia scire)100, le quali, nelle due configurazioni che ho poc’anzi indicate101, avrebbero fornito gli strumenti di base per una successiva illustrazione ‘più accurata e diligente’ (condotta, possiamo immaginare, in chiave di approfondimento casistico-problematico). 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