MASSIMILIANO
SAVORRA
CARLO MOLLINO. LA VITA, L’ARCHITETTURA, LA MONTAGNA Esponente di un’eccentrica élite di protagonisti del-
la vita artistica e culturale torinese, interprete del gusto di
un’agiata classe sociale, «sciatore appassionato dall’estetica perfetta di curve mirabolanti», nonché abile fotografo
e audace sperimentatore in più campi, Carlo Mollino, oltre
che di architettura, si interessò di aviazione, di design e di
moda, senza escludere dalla sua ricerca anche il cinema,
la scenografia, la letteratura e soprattutto la montagna.
Quest’ultima divenne, a partire dagli anni trenta del Novecento, una passione che lo porterà – oltre che a concepire
arditi e originali progetti architettonici – a pubblicare nel
1950 il libro Introduzione al discesismo1.
Carlo Mollino nasce nel capoluogo piemontese il 6 maggio 1905 da Eugenio (1873-1953), ingegnere e affermato
professionista. Genovese, ma di formazione torinese, il
padre sarà un costante punto di riferimento per il giovane Carlo, con il quale avrà per tutta la vita un rapporto
totalizzante e registrato dai biografi come “estremamente
possessivo”. Presso lo studio professionale paterno, ancora studente, Carlo ha modo di compiere importanti esperienze formative e di tirocinio. A partire dal 1927, anno di
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iscrizione al Regio Politecnico di Torino, si susseguono per
circa un decennio documentate collaborazioni tra i due,
dove il progettista firmatario risulta comunque il padre
Eugenio; tra queste si ricordano il Teatro Alfieri (1927), il
complesso delle Missioni di San Vincenzo de’ Paoli (1932),
l’Ospedale Maggiore di San Giovanni Battista e della Città di Torino (1934), l’ampliamento della chiesa dell’Ospedale San Luigi per la Regia Opera Pia San Luigi Gonzaga
(1934), la Casa del Fascio di Voghera (1934), le case da reddito Boggio-Gualco (1929-30), Quaglino (1932), Calliano
(1934).
Tra linguaggi internazionalisti e riflessioni sull’architettura vernacolare alpina, i primi studi di Carlo si caratterizzano per una incessante ricerca dell’espressività e del
senso del fare architettonico. Un fare che – come ha scritto Carlo Olmo – «appare, in realtà, indissociabile da un
sapere che, ben più dell’origine sociale, testimonia la sua
appartenenza a una comunità dove la condizione di identità è il controllo dei codici, delle interazioni sociali e dei
valori condivisi che la definiscono, impliciti o formalizzati in regole»2. Già nel 1930, ancora allievo architetto, il giovane Mollino compie un reportage sul territorio valdostano, nelle valli di Gressoney e di Valtournenche, guardando alle costruzioni in legno tipiche della montagna, e registrando nei suoi appunti e nei suoi quaderni elementi e
oggetti d’uso quotidiano, così come particolari costruttivi
e configurazioni spaziali. In questo periodo avvia gli studi
per un albergo sul Cervino, che anticipano le soluzioni elaborate nel periodo successivo quando per la stessa località disegna il Centro Sportivo in verticale Quota 2600
(1945-47) e la Casa del Sole (1947-55).
In una fertile stagione torinese di rinnovamento, contrassegnata da vivaci dibattiti e feconde occasioni, nel
luglio 1931 Mollino si laurea in architettura presso l’Accademia Albertina, dopo aver abbandonato qualche anno
prima ingegneria. Richiamando le linee delle architetture
di Alberto Sartoris e di Gino Levi Montalcini, oltre che di
Erich Mendelsohn, il progetto di laurea – avente come
tema un palazzo per negozi e uffici da realizzarsi a Torino
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– segna l’adesione all’immaginario razionalista internazionale, declinato però nei «modi della cultura torinese e perciò arricchiti dalle raffinate soluzioni plastiche proprie del
secondo futurismo»3.
Nonostante la sua incessante attività artistica e letteraria – è autore di racconti e romanzi autobiografici4 – segnata da importanti frequentazioni (Mino Maccari, Italo Cremona, Giorgio Devalle), porta a termine il suo primo incarico, autonomo rispetto al padre, per la sede della Federazione fascista degli agricoltori a Cuneo (1933-34), progettata e costruita con la collaborazione dell’ingegner Vittorio Baudi di Selve. Realizzato in seguito a un concorso,
l’edificio – seppur modificato in fase d’opera – si riallaccia
a un linguaggio di ispirazione mendelsohniana e al razionalismo europeo diffuso in questi anni dalle maggiori riviste. Tuttavia, l’opera che gli offre l’opportunità di farsi
conoscere e che viene considerata come un suo capolavoro dell’anteguerra è la sede della Società Ippica Torinese
(1936-40, demolita nel 1960). Apprezzato da Giuseppe
Pagano nel 1941 sulle pagine di «Costruzioni-Casabella»
come uno dei migliori esempi di architettura moderna,
dove Mollino «riesce veramente a raggiungere il limite della disgregazione dello spazio e a rendere funzionale la poesia negando tutti i valori di un convenzionalismo formale», il complesso, progettato sempre con la collaborazione
di Vittorio Baudi di Selve, comprendeva quattro fabbricati indipendenti, la sede vera e propria della società, il
maneggio coperto per la scuola di equitazione, le scuderie
e un edificio di servizio.
Un libro per lo sci
Intanto, incoraggiato dal padre, nell’inverno del 1934 a
Claviere Mollino impara a sciare5. Alla scuola estiva del
Livrio, al passo dello Stelvio, incontra il campione del
mondo austriaco di velocità su sci, Leo Gasperl, impegnato ad allenare la nazionale per le Olimpiadi di Garmisch
del 1936. L’incontro sarà decisivo per il giovane torinese il
quale collaborerà, con sue fotografie e una tavola fuori
testo, al libro sul discesismo che lo sciatore austriaco darà
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alle stampe nel 1939 per la Hoepli, con l’obiettivo di divulgare la pratica dello sci. Con la prefazione di Gianni Albertini, il manuale Leo Gasperl. Scuola di sci. Discesismo avrà
una enorme fortuna. Nell’ultima edizione del 1955, il libro
di Gasperl contiene diciassette disegni originali di Mollino e una nota biografica che l’architetto dedica al suo amico sciatore, riconosciuto come il “creatore” del discesismo
italiano.
L’occasione di pubblicare autonomamente un libro sul
discesismo viene offerta a Mollino dalla Federazione Italiana Sport Invernali (FISI), intenzionata ad aggiornare il
Manuale di sci delle Truppe Alpine. L’opera non viene edita, ma l’architetto persegue la sua idea, anche grazie all’incontro con Ermanno Scopinich, impegnato per la rivista
«Domus» a realizzare un annuario di fotografia. Mollino
coinvolge Scopinich nel suo progetto editoriale, che viene
presentano alla casa editrice Chiantore (ex Loescher) – per
la quale Mollino pubblicherà nel 1949 Messaggio della
Camera Oscura – e, in un secondo tempo, alla Hoepli e alla
Longanesi. Con l’incalzare degli eventi bellici, tuttavia, nessuno degli editori interpellati è in grado di concretizzare
l’iniziativa; soltanto nel 1950 Mollino riesce a pubblicare
con l’Editrice Mediterranea di Roma le 334 pagine di
Introduzione al discesismo6.
Stampato in tremila copie e con la prefazione di Piero
Oneglio, presidente della FISI, il libro che porta come sottotitolo Tecnica e stili, agonismo, discesa e slalom, storia,
didattica, equipaggiamento: con 212 disegni originali dell’autore e 200 fotografie, venne letto, al suo apparire, come
una “favola”, quella dell’essere umano e del suo sogno di
sfidare la natura; una sfida fronteggiata da Mollino con la
passione che lo accompagna nelle sue tante attività. Il
discesismo, come il volo leonardesco, divenne infatti
espressione di una profonda metafora per l’architetto che
si proponeva di «Avviare lo sciatore a trovare se stesso»
mediante i diversi modi di controllare, governare e al contempo creare, lo stile di discesa.
La meccanica del processo fisico, gli sforzi delle parti
del corpo coinvolte, l’armonia del movimento, le fluide traX
iettorie segnate sulla carta come sulla neve sono gli argomenti che contraddistinguono i capitoli del libro e i numerosi disegni tracciati da Mollino per descrivere parabole e
cambi di direzione, accompagnati dalle figure snelle che
scorrono sulle piste argentee immortalate in uno straordinario bianco e nero. Le parole marcate in grassetto nel
primo capitolo del volume – «lo stile plasma la tecnica»7
– sembrano finanche adattarsi alla definizione del senso
stesso dell’architettura molliniana. Non a caso, l’interesse
per lo sci e la montagna farà sempre da sfondo all’attività
professionale di Mollino, sia che si tratti di studi per abitazioni unifamiliari, sia che si tratti di progetti per grandi
complessi turistici.
Architetture e progetti per la montagna
Tra i disegni di sofisticati e surreali arredi per interni di
case borghesi (scrive Fulvio Irace: «Progettava mobili come
proiettili cui aggrapparsi per l’abituale viaggio attorno alla
luna») e gli schizzi di architetture concepite per luoghi
alpini (tra questi si ricordano la ricostruzione del rifugioalbergo Capanna Kind, l’albergo Biancaneve e il rifugio
Capanna Mautino), il progetto della Stazione slittovia Lago
Nero (1946-47) realizzata a Sauze d’Oulx emerge con forza per le sue forme irregolari e aerodinamiche. Ideata nel
momento in cui era previsto un ampio programma di valorizzazione della Val di Susa e della zona di Clotes, la stazione viene costruita su committenza dell’industriale e
finanziere Piero Dusio, ma – non ancora entrata in esercizio – è presto abbandonata per lo spostamento degli interessi generali verso la zona sottostante. Perfetto connubio
di cemento armato e strutture di rivestimento in legno, la
costruzione si presentava come sintesi tra innovazione dettata da un uso non banale dei materiali e tradizione locale della baita. «Librato sulla neve quasi come un apparecchio, alleggerito e reso scattante verso il sole dove si apre
in chiarezza con la struttura in cemento armato», per usare le parole dello stesso Mollino, l’edificio – letto addirittura come «l’esercitazione più virtuosa sui diversi registri
della intertestualità»8 – appariva come sospeso grazie al
XI
bianco del basamento confuso con il candore della neve,
emergendo all’improvviso «dopo una curva della pista,
dopo un dosso della risalita»9.
Nell’ambito delle realizzazioni alpine, anche la già citata Casa del Sole per la Società delle Funivie del Cervino
si contraddistingue per l’impiego non convenzionale dei
materiali, legno e pietra, tipici delle architetture montane. Nelle intenzioni parte di un villaggio, non realizzato,
la Casa del Sole sorge a pochi minuti di distanza dalla
funivia che collega il paese a Plan Maison e a Fürggen,
dove Mollino avrà modo di progettare la stazione di arrivo della funivia per la Cervino Spa (1950-53), ideata dal
conte Dino Lora Totino – ingegnere biellese promotore
dello sviluppo di Breuil-Cervinia – e in seguito ampiamente alterata durante la fase dei lavori senza il parere di
Mollino.
Titolare della cattedra di Composizione architettonica
al Politecnico di Torino dal 1953, Mollino continua a interessarsi alle architetture di montagna, insieme a incarichi
di ville private ed edifici per la villeggiatura a Courmayeur,
a Cervinia, sull’altopiano di Agra (qui tra il 1952 e il 1953
realizza la nota villa Cattaneo), anche grazie alle occasioni che si presentano, come quella offertagli dalla rivista
«Domus» con il concorso Vetroflex (1951) per una casa
unifamiliare per vacanze10. In quest’ultimo caso, riprendendo il tema della casa-capriata, sviluppato fin dai primi
anni quaranta e messo a punto in seguito per la X Triennale (1954), Mollino riflette sul rapporto forma e struttura della baita, in cui la tecnologia della tradizione, rielaborata, diventa linguaggio espressivo. Mollino intende
«affrancare le nuove case da sovrapposizioni artificiosamente e astrattamente imposte dal superficiale sentimento di conservare “il colore locale della zona”, e che in definitiva si riduce alla apparente riproduzione di tecniche
oggi ripetibili», come afferma in occasione del terzo convegno di Architettura montana svoltosi a Bardonecchia nel
195411.
Per di più, nella Triennale egli affronta, su invito di Tommaso Ferraris12, il tema della struttura lignea per un’abitaXII
zione prefabbricata, giungendo a risultati formali eccezionali, dove la costruzione leggera in legno costituita da tre
capriate a catena portante gli orizzontamenti ha le pareti
laterali formate dalla falda stessa del tetto interamente
esteso a tutto il lato inclinato della capriata.
In verità, gli originali appoggi a forcella, le insolite sagome dei pilastri, le forme dei suggestivi balconi a mensola,
i tamponamenti a blockbau, la facies dei rascard valdostani servono a materializzare la sua predilezione, come è stato recentemente sostenuto, «per i progetti da realizzare in
condizione estreme: l’aviatore acrobata, lo sciatore provetto e il pilota di vetture da corsa era evidentemente sedotto dalle opportunità che la costruzione in situazioni difficili offriva alla teatralizzazione dell’invenzione strutturale
e alla messa in scena della funzione. Le complessità tecniche, il clima ostile, lo strapiombo, le temperature d’alta
quota gli fornivano un forte supporto-pretesto dell’ideazione espressiva»13.
Eternato negli scatti strabilianti, negli icastici scritti, nei
progetti di architetture (la casa realizzata tra il 1963 e il
1965 per Clotilde Garelli a Champoluc va ricordata per la
straordinarietà dell’intervento) e urbanistici (fino alla fine
dei suoi giorni si occuperà di studi, rimasti irrealizzati,
come i piani di Cervinia, della Valtournenche e di Sauze
d’Oulx), il paesaggio alpino è stato in realtà per Mollino
un luogo dell’anima, prima che spazio delle tante occasioni professionali. Posto dove fuggire, ritrovarsi, ispirarsi,
divertirsi, la montagna sarà sempre fonte di tormento e
gratificazione, di desiderio e forte attrazione.
Un interesse, un amore che non verrà mai meno, nonostante i tanti impegni professionali. Tra questi si ricordano i progetti presentati ai concorsi per il nuovo Palazzo delle Regione di Trento del 1953, per il Palazzo del Lavoro a
Torino nell’ambito delle celebrazioni di Italia ’61, per il teatro comunale di Cagliari del 1964, e le fortunate occasioni progettuali, concretizzatesi nelle importanti opere realizzate a Torino negli anni della maturità, quali l’auditorium della Rai (con Aldo Morbelli, 1950-52), la sala del
Lutrario (1959), il nuovo Palazzo degli Affari per la CameXIII
ra di commercio, industria e agricoltura (con Carlo Graffi, Alberto Galardi e Antonio Migliasso, 1964-73) e il Teatro Regio (con Carlo Graffi e gli ingegneri Marcello e Adolfo Zavelani Rossi, 1965-73).
Facce della stessa medaglia, la montagna e il discesismo, come l’aeronautica e l’automobilismo, resteranno
una passione sempre accesa, mantenuta fino alla morte
avvenuta il 27 agosto 1973. Restituendo le parole che
Pagano dedicò a Mollino nel 1941, Bruno Zevi nel necrologio apparso sulle pagine de «L’Espresso» lo ricordava
come colui in grado di ricomporre «lo spazio in rapporti
nuovi, irrequieti, saturi di strane ed espressive tensioni
interiori, come se si trattasse di una cosa animata e indipendente dalla volontà dell’artista, o di un pretesto scenografico di luci e di ombre senza consistenze fisiche assolute». Nell’appassionato ritratto, che merita di essere qui
di seguito riportato in un passo esteso, Zevi scrive di lui
come di «un incorreggibile “ragazzaccio”, scontroso, spesso addirittura incomunicabile. Chiuso nell’ottocentesco
studio paterno di via Pamparato, ne profanava le nobili
cadenze accademiche con disegni turbolenti e fotografie
blasfeme. Per scaricare la sua incredibile energia, si dedicava poi a imprese spericolate come pilota acrobatico,
campione di sci, corridore ebbro. Quasi giocava con la
morte, si nutriva di emozioni e ne trasfondeva l’empito in
immagini architettoniche di spazi sconfinati e flessuosità plastiche. Linguaggio anomalo, tra razionalista e organico, estremamente solido e insieme sinuoso, elegante e
ambiguo. Guardava Le Corbusier con l’animo di Guarini;
ma si adirava quando lo tacciavano di neobarocco, perché
la sua libertà dal geometrismo cubista seguiva l’evoluzione delle automobili da corsa e degli aeroplani, passati da
forme scatolari a involucri “a stampo”, privi d’ogni angolarismo […] Sconcertava tutti, nostalgici e ultramoderni,
perché non obbediva a nessuna moda. Il “caso” Mollino
resta problematico, ermetico, fuori d’ogni classifica, da
studiare a lungo. Ha sbalordito persino la morte improvvisa: non in aeroplano o sciando ma senza traumi, nel
deserto del suo atelier»14.
XIV
1
Favorita dall’occasione del centenario della nascita, la biografia di
Mollino è stata di recente ampiamente ricostruita. Cfr. G. Brino,
Carlo Mollino. Architettura come
autobiografia 1928-1973, Milano
1985 (2005); R. Colombari, Carlo
Mollino. Catalogo dei mobili,
Milano 2005; F. e N. Ferrari (a cura
di), Carlo Mollino arabeschi, catalogo della mostra (Torino, 12 ottobre
2006-7 febbraio 2007), Milano
2006; F. e N. Ferrari, Carlo Mollino
Photographs 1956-1962, Torino
2006; F. e N. Ferrari, I mobili di
Carlo Mollino, London 2006; S.
Pace (a cura di), Carlo Mollino
architetto 1905-1973. Costruire le
modernità, catalogo della mostra
(Torino, 12 ottobre 2006-7 febbraio
2007), Milano 2006; N. Ferrari,
Mollino. Casa del Sole, Torino 2007;
M. Ternavasio, Carlo Mollino. La
biografia, Torino 2008.
2
C. Olmo, L’impossibile cittadino.
Un’introduzione a Carlo Mollino
architetto, in S. Pace (a cura di),
Carlo Mollino architetto 1905-1973.
Costruire le modernità, cit., p. 16.
3
F. Mangone, Prima della
Cavallerizza. L’insegnamento scolastico, la tradizione familiare, il
milieu torinese, in S. Pace (a cura
di), Carlo Mollino architetto 19051973. Costruire le modernità, cit., p.
55.
4
Sulla sua attività letteraria, da ultimo si veda C. Mollino, Architettura
di parole. Scritti 1933-1965, a cura
di M. Comba, Torino 2007.
5
L’amore per la montagna lo porta,
nel 1942, a prendere il diploma di
maestro di sci, e a diventare dopo la
guerra presidente della
Commissione Scuole Maestri di Sci
(Coscuma) della Federazione
Italiana Sport Invernali.
6
N. Ferrari, Mollino. Casa del Sole,
cit., pp. 28-36.
XV
C. Mollino, Introduzione al discesimo,
Roma 1950.
8
B. Reichlin, Mollino sulle Alpi, in
«Casabella», 588, marzo 1992, p. 30.
9
E. Tamagno, Carlo Mollino. Esuberanze
soft, Venaria 1996, p. 50.
10
Riallacciandosi al filone di ricerca sui
prototipi abitativi per la montagna,
Mollino, in collaborazione con Giovanni
Luisoni, vince nel 1951 la sezione del
concorso Vetroflex organizzato dalla rivista «Domus» con un progetto di casacapriata o casa-triangolo. Sull’interesse
dell’architetto per la tradizione “montanina” si veda F. Irace, Incanto e volontà
di Carlo Mollino, in Carlo Mollino 19051973, catalogo della mostra, Milano
1989, pp. 43-50.
11
Sui convegni di Bardonecchia cfr. R.
Tamborrino, Paesaggi moderni d’alta
quota: insistenze e resistenze nei convegni di Bardonecchia e in alcuni esempi
di architetture del Dopoguerra in
Piemonte, contributo presentato al convegno “Architettura e paesaggi della villeggiatura. Luoghi in Italia e in Trentino
Alto Adige nell’Ottocento e nel
Novecento”, Madonna di Campiglio 2628 marzo 2009.
12
Sulla vicenda della mancata costruzione della “casa capriata” (giunta in fase
avanzata di realizzazione) per motivi
legati a equivoci con gli sponsor, si veda
M. Savorra, La X Triennale di Milano e
la casa prefabbricata, in F. Irace (a cura
di), Casa per tutti. Abitare la città globale, catalogo della mostra, Milano 2008,
pp. 115-116.
13
M. Ternavasio, Carlo Mollino… cit., p.
55.
14
B. Zevi, La scomparsa di Carlo
Mollino. L’antiaccademico a trecento
all’ora, in «L’Espresso», 9 settembre
1973.
7