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A. Serrani, Ancora su Lorenzo Costa, Bernardino Orsi e le “Storie degli Argonauti”, in ‘Paragone. Arte’, LXXI, 150-151, 2020, pp. 21-34

PARAGONE Rivista mensile di arte figurativa e letteratura fondata da Roberto Longhi ARTE Anno LXXI - Terza serie - Numero 150-151 (841-843) Marzo-Maggio 2020 SOMMARIO EMANUELA FERRETTI: Luca Pitti, Leon Battista Alberti e le terme fiorentine di Montici - ALESSANDRO SERRANI: Ancora su Lorenzo Costa, Bernardino Orsi e le ‘Storie degli Argonauti’ ANTOLOGIA DI ARTISTI Il ‘Compianto’ Meniconi di Giannicola di Paolo e l’abbazia di San Pietro a Perugia (Mauro Minardi) - Jacopo da Empoli et la nature morte. Un nouveau dessin, un tableau retrouvé (Catherine Monbeig Goguel-Barbara Brejon de Lavergnée) - Un nuovo dipinto e un nuovo soggetto per Adam de Coster (Tommaso Borgogelli) - Un apice maturo di Pacecco de Rosa e le origini del purismo a Napoli (Stefano Causa) - Per Giovanni Battista Lenardi pittore: la pala ‘perduta’ per la chiesa di San Nicola dei Lorenesi e alcune novità (Antonio Marras) RICERCHE D’ARCHIVIO I bagni di Santa Margherita a Montici: documenti inediti e osservazioni su un disegno di Leon Battista Alberti (Emanuela Ferretti e Marco Di Salvo) Mandragora ALESSANDRO SERRANI ANCORA SU LORENZO COSTA, BERNARDINO ORSI E LE ‘STORIE DEGLI ARGONAUTI’ Il riferimento a Bernardino Orsi del ‘San Girolamo in cattedra’ della cappella Castelli nella basilica di San Petronio /tavola 7/, a lungo ritenuto di Lorenzo Costa sulla scorta del referto vasariano rilanciato nel 1958 da Carlo Volpe1, può essere considerato il punto di svolta per una corretta comprensione della personalità artistica del collecchiese, documentato a Bologna a partire dal 14882, nonché del suo reale apporto al contesto pittorico felsineo sul crinale del XV secolo3. Nell’operare tale spostamento attributivo, Andrea De Marchi annetteva al catalogo del pittore, fino ad allora limitato alla sola pala firmata e datata 1501 già nella cappella Canossa del duomo e ora nel Museo Diocesano di Reggio Emilia /tavola 17/, una tavoletta con la ‘Lamentazione sul corpo di Cristo’ della Gemäldegalerie di Dresda, già studiata come opera di un anonimo ferrarese da Longhi /tavola 16/4, e una ‘Flagellazione’ al momento nota soltanto attraverso una foto Reali /tavola 14b/5. L’anno seguente lo stesso studioso e Andrea Bacchi ampliavano ulteriormente il corpus del pittore annettendogli le sei tavolette superstiti della ben nota serie con ‘Storie degli Argonauti’ in origine collocate su due cassoni gemelli e oggi sparse fra vari musei e collezioni private6. A differenza delle altre opere menzionate, questi ultimi dipinti vantavano una letteratura assai nutrita. Già nel 1934 Roberto Longhi aveva infatti avvicinato due dei tre pannelli fino ad allora noti, il ‘Vascello degli Argonauti’ (ora Madrid, 22 ALESSANDRO SERRANI Museo Thyssen-Bornemisza) /tavola 12/ e la ‘Fuga’ degli stessi dalla Colchide (Padova, Musei Civici) /tavola 13/, a Lorenzo Costa, quale prova della sua iniziale vicinanza ai modi di Ercole de’ Roberti7. Dopo il riconoscimento a opera di Federico Zeri di un altro pezzo raffigurante il ‘Banchetto di re Eeta’ (Parigi, Musée des Arts Décoratifs) /tavola 8/8, Longhi era tornato sul problema nei Nuovi ampliamenti, annettendo alla serie una tavoletta in collezione Rucellai (ora Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze), il cui soggetto veniva identificato con la ‘Battaglia fra l’Istro e il Mar Cronio’ /tavola 9/9, e un frammento già citato nell’Officina come opera dello stesso Ercole (già Londra, collezione Peter Wilson) /tavola 11/10. In quest’ultima circostanza lo studioso si mostrava peraltro propenso a riconsiderare l’apporto diretto di Roberti all’intero gruppo: i segni della sua “crudeltà mentale” gli sembravano infatti evidenti nei “torsi di giada rossi di sangue coagulato” e nei “lini nervosamente stazzonati” della tavola fiorentina. Il reperimento dell’ultimo scomparto fin qui noto spetta ancora a Federico Zeri che nel 1965 pubblicava la tavoletta raffigurante ‘Giasone che conquista il vello d’oro’, fino agli anni venti del secolo scorso conservata nella collezione Houstoun-Boswall di Londra e di recente comparsa a una vendita nella stessa città, in occasione della quale è stato possibile apprezzarne le straordinarie qualità cromatiche /tavola 10/11. Oltre a confermare il ruolo progettuale svolto da Ercole, egli insisteva sulla presenza di più mani, “molto meno caratterizzate e dotate di qualità infinitamente più scarsa” rispetto a quella del maestro, intervenuto di persona in alcuni singoli passaggi. Se nel 1956 Longhi si era limitato a ravvisare la presenza nel ciclo di Ercole e di Costa, in questo modo Zeri si riallacciava piuttosto a precedenti considerazioni di Arslan e di Ortolani12, che andavano però a operare un discrimine proprio laddove l’identità di mano sembra più palmare, ovvero fra il pannello di Padova e quello oggi a Madrid. Da quel momento in poi la critica si sarebbe affannata nel tentativo di distinguere le mani di più pittori anche all’interno di uno stesso pannello, col risultato di arrivare a coinvolgere ben tre distinte personalità, tutte operan- LORENZO COSTA E BERNARDINO ORSI 23 ti nella bottega di Ercole e affiancate nell’esecuzione dei singoli scomparti. Così, se al maestro spetterebbero l’ideazione della serie e il frammento già in collezione Wilson13, Lorenzo Costa sarebbe l’autore del pannello Thyssen e di quello recentemente in vendita a Londra14, mentre un ipotetico “Maestro dei cassoni Manfredi” avrebbe coadiuvato Ercole nell’esecuzione di quello fiorentino ed eseguito in toto il dipinto parigino15. Quanto alla tavoletta padovana, si tratterebbe per alcuni di Costa16, mentre altri vi scorgono oltre alla sua mano anche quella del maestro17. Come si può ben capire, la proposta di riferire l’intero gruppo di opere al collecchiese Bernardino Orsi si collocava in una posizione diametralmente opposta non solo rispetto all’andamento tradizionale degli studi, propensi in base alle osservazioni di Longhi e Zeri a evidenziare le differenze di mano dei singoli pannelli, ma anche alla posizione di quanti avevano preferito ricondurre l’intera serie al giovane Costa, giustificando implicitamente le oscillazioni stilistiche notate fino a quel momento come il risultato di una personalità in crescita18. La nuova ipotesi va dunque esaminata sotto entrambi questi aspetti. Ipotizzare un’esecuzione a più mani anche per il piccolo frammento già in collezione Wilson19 o per quello oggi presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze20 costituisce un indubbio eccesso di acribia attributiva; ma certo, prima di sancire la definitiva uscita di scena di Lorenzo Costa, il nome del quale non è mai stato tenuto al di fuori della discussione, sembra utile procedere a un’ulteriore analisi. Di fatto, grazie all’annessione al catalogo del giovane ferrarese di questi e di altri dipinti fino ad allora riferiti a Ercole de’ Roberti, Longhi aveva mirato a conferire maggiore consistenza ai suoi esordi bolognesi, condotti nel solco di Ercole ma ancora memori della lezione di Cosmè Tura21, nella bottega del quale Costa doveva aver affinato la sua arte dopo aver appreso i primi rudimenti dal padre22. Ed è proprio il mancato reperimento di accenti turiani uno dei fattori che hanno spinto Bacchi e De Marchi a stornare la paternità delle ‘Storie degli Argonauti’ verso Orsi. A sostegno di tale ipotesi i due studiosi confrontavano i volti delle due figure femminili sedute al ‘Banchetto di 24 ALESSANDRO SERRANI re Eeta’ e quello della Vergine nella pala realizzata da Orsi per il duomo di Reggio Emilia, oppure il volto del San Giacomo in quest’ultima opera e quelli di due guerrieri nel pannello già Rucellai. Assai simile appare inoltre la fitta plissettatura che connota le vesti del ragazzo in abito viola nella tempera già Houstoun-Boswall e del Sant’Antonio abate nella pala del 150123. Tali confronti stabiliscono una relazione strettissima fra l’unica opera sicura del pittore collecchiese e i tre scomparti della saga argonautica di Parigi, di Firenze e di recente in vendita a Londra /tavole 8, 9, 10/24. In questi dipinti emerge chiaramente la singolare cultura di Orsi, aggiornata sull’Ercole bolognese ma di fondo imbevuta ancora di retaggi tardogotici che lo portano ad avvalersi di una cromia ricca e preziosa, a enfatizzare i gesti e le espressioni dei personaggi e a riecheggiare, in toni favolosi, architetture antiche negli edifici che convergono verso uno sfondo come slavato e appiattito sulla superficie. Si tratta di scelte che denotano una formazione eccentrica e che consentono all’artista di pervenire a esiti stravaganti ma di indiscutibile fascino. Questi ultimi caratteri non sembrano condizionare gli altri tre scomparti già in collezione Wilson, a Madrid e a Padova /tavole 11, 12, 13/25, che presentano un’adesione più letterale al mondo di Ercole, trovando non pochi punti di tangenza con l’attività di Lorenzo Costa attorno alla metà del nono decennio. Le tre figurette in piedi sulla poppa della nave Argo si confrontano infatti assai bene col soldato che compare alla base del giovanile ‘San Sebastiano’ già Costabili e ora a Dresda, firmato in caratteri ebraici e costantemente indicato dalla critica come prova della prima educazione turiana del pittore. D’altro canto, esse mostrano un raddolcimento che già prelude alle “figurine smilze” dei santi che ornavano i pilastri laterali della pala delle Rondini26. Vediamo ora se la spartizione su base stilistica delle tavolette appena proposta può conciliarsi con le vicende storiche che le interessarono e con i dati che la critica è stata finora in grado di desumere. Veniva comunemente ipotizzato, anzitutto, che esse derivassero dalla resezione in più parti delle fronti di due cassoni nuziali gemelli, ognuna comprendente tre storie, separate da eleganti colonnine dipinte27. Studi successivi hanno LORENZO COSTA E BERNARDINO ORSI 25 invece dimostrato come tali cassoni dovessero essere istoriati anche sui fianchi, così da comprendere almeno cinque episodi ciascuno28. Una prima frammentazione dei due cassoni si registra già nel Seicento, quando solo le fronti si trovavano nella collezione romana di Vincenzo Giustiniani, utilizzate come sovrapporte29. Seppur già separate dagli episodi che figuravano sui fianchi, esse risultano ancora integre nel 1802 quando se ne annota la presenza nell’inventario della raccolta di Antonio Canova30. Il loro smembramento avvenne in una data compresa fra l’inizio e la metà del XIX secolo resecando le storie lungo il fusto delle colonnine dipinte31. Da tale operazione si ricavarono sei tavolette, che non è detto coincidano con quelle a noi pervenute32: sembra anzi assai probabile che almeno due di esse abbiano in origine decorato i fianchi dei cassoni. Seguendo il racconto di Apollonio Rodio, la critica ha tentato a più riprese di stabilire la corretta sequenza degli episodi superstiti e dunque la loro spartizione fra i due cassoni33. Tuttavia, gli elementi che finora sono stati a tal fine utilizzati, ovvero la coincidenza fra i capitelli delle colonnine dipinte e il posizionamento degli stemmi, non offrono una soluzione univoca, tanto da sconsigliare un’ipotesi ricostruttiva per complessi giunti fino a noi in maniera tanto frammentaria. Troppo pochi sono infatti i punti fermi che siamo in grado di stabilire. Dal momento che in ognuna delle due fronti gli stemmi erano collocati sui plinti delle colonnine ai lati della scena centrale, è certo che il dipinto parigino, l’unico a recare mezzi scudi araldici su entrambi34, abbia figurato al centro della prima fronte. A chiusura della seconda, invece, era quasi sicuramente collocato il pannello dei Musei Civici di Padova poiché sulla destra, a differenza del lato opposto, è ancora visibile il legno nudo ove in origine batteva la cornice35. Stando così le cose, appare allora più prudente affidarci ai dati dello stile, per cui un cassone, quello con al centro il ‘Banchetto’ del Musée des Arts Décoratifs, andrà confermato a Bernardino Orsi, mentre l’altro, chiuso sulla destra dal dipinto padovano, andrà restituito a Lorenzo Costa. Resta a questo punto da verificare l’attendibilità di tale proposta sul versante della cronologia. L’identificazione del- 26 ALESSANDRO SERRANI lo stemma della famiglia Guidotti sul pannello di Parigi e su quello già Houstoun-Boswall e la decorazione con la sega bentivolesca della livrea del buffone con la scimmia al guinzaglio nel primo dei due hanno fatto collegare la commissione al matrimonio del 1486 fra Sallustio Guidotti e Griseide Bentivoglio, figlia naturale di Giovanni II36. Non si tratta però di un’acquisizione incontrovertibile: la presenza sul plinto di sinistra del pannello di Parigi di un altro stemma, “che non è quello dei Bentivoglio né, si direbbe, quello dei Guidotti”, ha infatti indotto a credere che sia stata un’altra la famiglia ad aver contratto il vincolo matrimoniale con i Guidotti e che la divisa bentivolesca del buffone vada piuttosto letta come un omaggio ai signori di Bologna37. Ciò non toglie che, per motivi stilistici, l’intervento di Costa deve precedere l’esecuzione della perduta pala di Santa Maria delle Rondini, che la critica pone in genere sul 148638. Per far rientrare l’intervento del collecchiese entro tale limite, sarà pertanto necessario ipotizzare che il documento del novembre 1488, con cui “Bernardinus quondam Lazari de Ursis de Regio pictor forensis” viene autorizzato dal Comune “arte sua exercendi”39, si riferisca alla sua attività pubblica e che tale permesso possa essere stato preceduto, com’è del resto logico immaginare, da un congruo periodo durante il quale, appoggiandosi alla bottega di un collega cittadino, egli abbia potuto farsi conoscere dalla committenza locale. Le stesse difficoltà che occorre superare per giustificare l’attribuzione a Orsi di tre storiette della saga argonautica riguardano anche l’annessione al suo catalogo della pala Castelli /tavola 7/. Tuttora al di sopra del proprio altare nella sesta cappella a destra della basilica di San Petronio, ma all’interno di un’ancona cinquecentesca, essa fu commissionata dagli eredi di Baldassarre Castelli in adempimento delle sue volontà testamentarie40. La sua realizzazione è stata a più riprese messa in relazione alla data 1485 che compare sulla transenna marmorea d’accesso al sacello41. Piuttosto che un terminus ante quem per l’esecuzione della pala42, tale data sembrerebbe però suggellare l’inizio dei lavori, quando cancellate in ferro battuto o transen- LORENZO COSTA E BERNARDINO ORSI 27 ne marmoree venivano innalzate per chiudere e separare le cappelle laterali dalla navata43. Ad avvalorare tale ipotesi concorre il fatto che la concessione ufficiale del patronato a Baldassarre Castelli avvenne solo il 21 aprile 148344 e sembra improbabile che l’allestimento fosse già stato ultimato a meno di due anni di distanza; basti pensare che per la cappella assegnata al canonico Donato Vaselli sul lato opposto della basilica si oltrepassarono addirittura i dieci anni previsti dal contratto stipulato con i fabbriceri45. Ci chiediamo allora se il completamento dei lavori nella cappella Castelli non possa essere sancito dalla data 1500 iscritta sulla lastra tombale di Baldassarre, che, in effetti, non può avere alcun legame con la morte di quest’ultimo avvenuta più di quindici anni addietro46. Svincolato dunque dallo scomodo quanto immotivato ante quem del 1485, il ‘San Girolamo in cattedra’ della cappella Castelli può essere ricondotto più agevolmente all’interno del catalogo del collecchiese in una data compresa, anche alla luce del documento sopra richiamato, fra il 1488 della ‘Madonna col Bambino in trono e la famiglia Bentivoglio’ di Lorenzo Costa in San Giacomo Maggiore47, della cui architettura presenta una versione più secca e meno controllata, e gli anni immediatamente successivi. Oltre agli evidenti rapporti con l’opera del ferrarese, in questa fase della sua attività Bernardino dimostra di essere attratto da suggestioni nordiche: le stesse, forse, che dovevano aver interessato l’esordiente Francesco Francia alle prese con l’‘Annunciazione’ dell’antistante cappella Vaselli48. Ciò è quanto in particolare si coglie nei piccoli spiragli di paesaggio innevato alle estremità laterali del dipinto. Nel contempo, Orsi mostra di subire il fascino esercitato dall’arte dell’intarsio, che proprio in questi anni toccava a Bologna uno dei suoi vertici qualitativi grazie alla collaborazione di Francesco del Cossa con il legnaiolo cremasco Agostino De Marchi. Tuttavia, più che dalle due tarsie raffiguranti ‘San Petronio’ e ‘Sant’Ambrogio’ eseguite da quest’ultimo su disegno fornito da Cossa nel 1473, Orsi sembra essere attratto dalle prospettive con nature morte nei postergali dello stesso coro della cappella maggiore di San Petronio, riprodotte con uno 28 ALESSANDRO SERRANI spirito del tutto affine nei vani dipinti che compaiono ai lati del trono di San Girolamo49. Questa spiccata sensibilità nei confronti della tarsia può trovare una spiegazione nella dimestichezza che Bernardino dovette maturare nella bottega paterna: a partire dal 1461, quando partecipa al rinnovamento del palazzo del Comune di Reggio, “Lazarus de Ursis alias de Colechio” è infatti documentato come maestro legnaiolo50. Anche se non sappiamo se Lazzaro padroneggiasse la tecnica dell’intarsio, ci si deve aspettare che il figlio abbia mosso i primi passi nella sua bottega, per lasciarne dopo la sua morte le redini al fratello Prospero e avviare un’attività per conto proprio51. Ora che si è delineato in modo più chiaro il profilo artistico del pittore collecchiese, non ci resta che valutare le altre annessioni al suo catalogo proposte negli ultimi anni. Al gruppo viene solitamente legata la ‘Corsa di Atalanta e Ippomene’ della Gemäldegalerie di Berlino (inv. 113 A) /tavola 14a/, anch’essa riferita a Orsi da Bacchi e De Marchi52 dopo che Daniele Benati vi aveva scorto, sostenendo però l’attribuzione a Costa, “la medesima inquadratura architettonica e una del tutto analoga immaginazione paesistica” rispetto sia alla pala Castelli sia alle ‘Storie degli Argonauti’53. In realtà essa sembra potersi meglio accostare al “fare un tantino sfiancato, dinoccolato proprio del Costa” che qui, come negli scomparti della saga argonautica a lui restituiti, procede “incrocicchiando o incavicchiando fra loro figurette a birillo e a stecco sur un fondo i cui ritagli occupan troppo spazio, ma non giocano attivamente nell’opera, fungendo semmai da base neutrale”54. Per quanto riguarda la cronologia, essa dovrà riferirsi al primo tempo bolognese del pittore55, in stretta dipendenza se non in leggero anticipo rispetto alle stesse ‘Storie degli Argonauti’. Ancora più dubbia sembra essere la ‘Flagellazione’ di ubicazione ignota /tavola 14b/ già ritenuta di scuola piemontese del XV secolo e attribuita a Orsi da De Marchi nel citato articolo del 1994. Anche se può colpire la somiglianza tra la posa dello sgherro alla destra di Cristo e quella delle figure all’estrema destra nell’episodio della ‘Lotta tra Giasone e i giganti spuntati dai denti di drago’, il panneggio del perizoma di Cri- LORENZO COSTA E BERNARDINO ORSI 29 sto ha ben poco a che fare con le pieghe fitte e strette che connotano solitamente le vesti dei personaggi nelle storiette degli ‘Argonauti’ del primo cassone56. Tralasciando altre proposte attributive che in alcuni casi sono state accantonate dagli stessi studiosi che ne avevano proposto l’annessione al catalogo di Orsi57, merita soffermarsi sul rapporto che intercorre fra il ‘San Girolamo’ Castelli e una tavoletta della Pinacoteca Nazionale di Bologna raffigurante ‘San Michele Arcangelo’ /tavola 15/58. Nonostante la notevole differenza di scala e lo stato di conservazione non ottimale, non possono essere ignorate le molteplici affinità che legano, pur nell’ovvia differenza di età, i volti delle due figure: le acciaccature sotto gli occhi del santo petroniano, tanto rimarcate da conferirgli quella particolare espressione corrucciata, sono le stesse che connotano il volto del santo guerriero. A confortarci circa la validità di tale confronto sembra sopraggiungere una nota di Bacchi e De Marchi che, riferendosi proprio al frammento della Pinacoteca, si chiedevano se non possa sussistere una qualche relazione “con gli ‘Argonauti’, e quindi con il tempo bolognese dell’Orsi”59. Si noti, in effetti, come il panneggio della manica del ‘San Michele’ presenti quella medesima pronunciata plissettatura che abbiamo ormai individuato come tratto distintivo delle vesti delle figurine che abitano i pannelli degli ‘Argonauti’ dipinti dal collecchiese. A rendere meno lacunoso il percorso di Orsi prima della bella pala di Reggio, datata come si è detto 1501, potrebbe poi intervenire la ‘Lamentazione sul corpo di Cristo’ della Pinacoteca di Dresda /tavola 16/60. In questo caso si è puntato in particolar modo sul paesaggio, che in effetti sembra potersi associare bene a quelli ideati da Orsi negli scomparti degli ‘Argonauti’ di sua competenza. Confronti non meno significativi possono inoltre istituirsi con la pala del Museo Diocesano /tavola 17/, ove sia le fisionomie caricate dei volti dei personaggi sia il particolare trattamento del panneggio trovano precise corrispondenze nel dipinto di Dresda convalidandone la paternità del collecchiese negli ultimi anni del XV secolo. 30 ALESSANDRO SERRANI NOTE Crediti fotografici: tavola 14b: © Firenze, Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi; tavola 15: su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Polo Museale dell’Emilia Romagna, è vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo; tavola 16: © Gemäldegalerie Alte Meister, Staatliche Kunstsammlungen Dresden, Elke Estel/Hans-Peter Klut; tavola 17: su concessione dell’Ufficio per i Beni Culturali della Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla. 1 G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori et architettori, Firenze, 1568, ried. in Le opere di Giorgio Vasari, a cura di G. Milanesi, Firenze, III, 1981, p. 133; C. Volpe, Tre vetrate ferraresi e il Rinascimento a Bologna, in ‘Arte antica e moderna’, 1, 1958, pp. 23-37, ried. in idem, La pittura nell’Emilia e nella Romagna. Raccolta di scritti sul Trecento e Quattrocento, a cura di D. Benati e L. Peruzzi, Modena, 1993, pp. 152-168, in part. p. 162. 2 F. Filippini, G. Zucchini, Miniatori e pittori a Bologna. Documenti del secolo XV, Roma, 1968, p. 35. 3 A. De Marchi, Bernardino Zaganelli inedito: due “Facies Christi”, in ‘Prospettiva’, 75-76, 1994, pp. 124-135, in part. pp. 132-133 nota 9, che raccoglie una comunicazione orale di Giovanni Romano. L’attribuzione è stata accolta dubitativamente da M. Molteni, Ercole de’ Roberti, Cinisello Balsamo, 1995, p. 185, n. 48 e con più decisione sostenuta da R. Bentivoglio Ravasio, Costa, Lorenzo, voce in Saur Allgemeines Künstler-Lexicon, München-Leipzig, 21, 1999, pp. 439-441, in part. p. 440; C. Cavalca, La pala d’altare a Bologna nel Rinascimento: opere, artisti e città, 1450-1500, Cinisello Balsamo, 2013, pp. 185-186, 344, n. 32. 4 Nr. 149 A, 68,2 x 50,8 cm. R. Longhi, Officina ferrarese, Roma, 1934, ried. in idem, Officina ferrarese 1934, seguita dagli Ampliamenti 1940 e dai Nuovi Ampliamenti 1940-1955, Firenze (Opere complete, V), 1956, pp. 5-109, in part. p. 65. Inoltre: J. Gottschalk, in Il trionfo di Bacco. Capolavori della scuola ferrarese a Dresda, 1480-1620, catalogo della mostra a cura di G.J.M. Weber (Ferrara-Dresda), Torino, 2002, pp. 96-98, n. 8. 5 A. De Marchi, op. cit., pp. 132-133 nota 9. Oltre che presso il Kunsthistorisches Institut di Firenze (Inst. Neg. 28856), la foto è presente nella cartella dedicata al “prob. Bugatto” della fototeca della Fondazione Longhi di Firenze. 6 A. Bacchi, A. De Marchi, Francesco Marmitta, Torino, 1995, pp. 17-18, 51-52. 7 R. Longhi, op. cit., 1934, ed. 1956, pp. 51-52. 8 F. Zeri, Il terzo pannello degli “Argonauti” di Lorenzo Costa, in ‘Proporzioni’, II, 1948, pp. 170-172. 9 Oggi si tende invece a identificare il soggetto del pannello con la ‘Lotta tra Giasone e i giganti spuntati dai denti di drago’ (o di serpe): P. Tosetti Grandi, in Da Bellini a Tintoretto. Dipinti dei Musei civici di Padova dalla metà del Quattrocento ai primi del Seicento, catalogo della mostra a cura di A. Ballarin e D. Banzato (Padova), Roma, 1991, p. 75, n. 11; A. Bacchi, A. De Marchi, op. cit., p. 18 nota 44; V. Balzarotti, Tracce per un percorso di Bernardino Orsi da Collecchio, in ‘Contesti d’arte’, 1, 2017, pp. 94-109, in part. p. 100. 10 R. Longhi, Nuovi ampliamenti, in idem, op. cit., 1956, pp. 173-195, in part. p. 181. LORENZO COSTA E BERNARDINO ORSI 31 11 F. Zeri, Appunti per Ercole de’ Roberti, in ‘Bollettino d’arte’, 50, 1965, pp. 72-79, in part. pp. 74-75. Il dipinto è stato presentato a un’asta Christie’s a Londra, il 2 luglio 2013, n. 1136. 12 E. Arslan, Review of Officina Ferrarese by Roberto Longhi, in ‘Zeitschrift für Kunstgeschichte’, 5, 1936, pp. 174-183, in part. p. 180; S. Ortolani, Cosmè Tura, Francesco del Cossa, Ercole de’ Roberti, Milano, 1941, p. 199. 13 R. Longhi, op. cit., 1956, p. 181; F. Zeri, op. cit., 1965, p. 75; P. Tosetti Grandi, “Favole tolte da Ovidio e da altri poeti”: per tre coppie di cassoni nuziali bolognesi, in ‘Bollettino del Museo Civico di Padova’, 79, 1990, pp. 223-253, in part. p. 241; M. Molteni, op. cit., p. 172, n. 36 (con un aiuto, “forse il Costa”). 14 M. Molteni, op. cit., pp. 172-173, nn. 35, 37. 15 P. Tosetti Grandi, op. cit., 1990, pp. 241-245; eadem, in Da Bellini a Tintoretto, cit., p. 77, n. 11; M. Molteni, op. cit., pp. 171-172, n. 34, 175, n. 39. 16 P. Tosetti Grandi, op. cit., 1990, p. 241; eadem, in Da Bellini a Tintoretto, cit., p. 77, n. 11. 17 M. Molteni, op. cit., pp. 174-175, n. 38. 18 M.G. Diana, Alcune precisazioni per il percorso giovanile di Lorenzo Costa, in ‘Paragone’, 431-433, 1986, pp. 45-53, in part. pp. 46-48. Rendendo note le conclusioni della studiosa, a tale opinione si attiene A. Bacchi, Vicende della pittura nell’età di Giovanni II Bentivoglio, in Bentivolorum Magnificentia. Principe e cultura a Bologna nel Rinascimento, a cura di B. Basile, Roma, 1984, pp. 285-335, in part. p. 316. 19 M. Molteni, op. cit., p. 172, n. 36. 20 R. Longhi, op. cit., 1956, p. 181; P. Tosetti Grandi, op. cit., 1990, p. 242; eadem, in Da Bellini a Tintoretto, cit., p. 77, n. 11; M. Molteni, op. cit., pp. 171172, n. 34. 21 R. Longhi, op. cit., 1934, ed. 1956, pp. 51-54. 22 Per le notizie documentarie su Giovanni Battista Costa, padre di Lorenzo: E. Negro, N. Roio, Lorenzo Costa 1460-1535, Modena, 2001, pp. 155-156, 163, con ulteriore bibliografia. Un primo ma attualmente ingiustificabile tentativo di ricostruirne la personalità artistica si deve ad A. Ugolini, Antonio Rimpatta e alcuni comprimari del peruginismo a Bologna, in ‘Arte Cristiana’, XCVIII, 2010, pp. 2134, in part. p. 32 nota 47. 23 A. Bacchi, A. De Marchi, op. cit., p. 52 nota 56. 24 Pe gli episodi raffigurati: Apollonio Rodio, Argonautiche, rispettivamente III, 299-301, 1354-1398; IV, 103-166. 25 Ivi, IV, 210-230 (Padova, Musei Civici). La frammentarietà delle altre due tavolette impedisce di stabilirne con sicurezza il soggetto. 26 Ancora in queste piccole figure di santi Longhi ravvisava “un fondamento turiano in qualche residuo nodello anatomico”: R. Longhi, op. cit., 1934, ed. 1956, p. 54. Sulla pala, la cui tavola centrale andò distrutta durante il secondo conflitto mondiale: E. Negro, N. Roio, op. cit., pp. 83-85, n. 5Pa-h; C. Cavalca, op. cit., pp. 341-342, n. 27, con ulteriore bibliografia. 27 Ogni fronte misurava circa 45 x 159 cm. In precedenza, M.G. Diana, op. cit., p. 48 aveva supposto che le tavolette avessero costituito le parti dipinte di spalliere, un’eventualità esclusa da P. Tosetti Grandi, in Da Bellini a Tintoretto, cit., p. 76, n. 11. 28 A. Bacchi, A. De Marchi, op. cit., p. 18 nota 44. 32 ALESSANDRO SERRANI 29 L. Salerno, The Picture Gallery of Vincenzo Giustiniani III. The Inventory, Part II, in ‘The Burlington Magazine’, CII, 685, 1960, pp. 135-148, in part. p. 141; S. Danesi Squarzina, La collezione Giustiniani, Milano, 2003, I, pp. 76, 122-125, nn. 55-56, 423, nn. 97-98; II, p. 57, nn. 163-164. La loro presenza nella collezione di Vincenzo Giustiniani era stata intuita già da R. Longhi, op. cit., 1934, ed. 1956, p. 105 nota 100, poiché oggetto di componimenti poetici da parte di I.M. Silos, Pinacotheca sive Romana Pictura et Sculptura, Roma, 1673, ed. a cura di M. Basile Bonsante, Treviso, 1979, I, p. 110. 30 G. Pavanello, Sulla collezione di Antonio Canova: i cassoni degli Argonauti di “Ercole da Ferrara”, in ‘Bollettino del Museo Civico di Padova’, 82, 1993 (1995), pp. 265-286, in part. pp. 272-275, 280. 31 Nel 1855, almeno una delle due fronti era già stata tagliata poiché in quell’anno la tavoletta padovana viene menzionata da sola all’interno della collezione del conte Ferdinando Cavalli: A. De Marchi, Nuova guida di Padova e i suoi dintorni, Padova, 1855, pp. 192-193. È altamente probabile tuttavia che entrambe le fronti siano state resecate nello stesso momento, in occasione cioè della vendita successiva a quella che ne aveva determinato l’ingresso nella raccolta di Antonio Canova: V. Balzarotti, op. cit., p. 99. 32 Tre tavolette sono pervenute in maniera pressoché integra (Parigi, Musée des Arts Décoratifs: 45,5 x 55 cm; già Londra, collezione Houstoun-Boswall: 45,7 x 53,2 cm; Padova, Musei Civici: 46 x 53 cm), due hanno subito una vistosa mutilazione sul lato destro (Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza: 35 x 26,5 cm; Firenze, Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze: 45,1 x 35,3 cm: con lieve decurtazione anche sul lato sinistro) e una ci è pervenuta allo stato di frammento (già Londra, collezione Peter Wilson: 15,1 x 11,2 cm). 33 Proposte contrastanti sono state fornite in: P. Tosetti Grandi, in Da Bellini a Tintoretto, cit., pp. 75-76, n. 11; A. Bacchi, A. De Marchi, op. cit., p. 18 nota 44; V. Balzarotti, op. cit., pp. 99-103. 34 In seguito allo smembramento dei due cassoni, gli stemmi che figuravano sui plinti delle colonnine vennero tagliati a metà. Ai lati del dipinto parigino sono presenti, sulla destra, lo stemma della famiglia Guidotti (M.G. Diana, op. cit., pp. 47-48) e sul lato opposto un mezzo scudo che ancora non è stato possibile identificare. Sempre lo stemma Guidotti venne riconosciuto da David Carritt (P. Tosetti Grandi, in Da Bellini a Tintoretto, cit., p. 76, n. 11) sulla destra del dipinto già Houstoun-Boswall. A causa di una pulitura troppo aggressiva oggi non è più visibile il mezzo scudo che fino a poco tempo fa figurava, abraso e probabilmente ridipinto, sulla sinistra del pannello del Museo di Padova (come si evince da vecchie foto, tra cui quella qui pubblicata). 35 A. Bacchi, A. De Marchi, op. cit., p. 18 nota 44. 36 M.G. Diana, op. cit., p. 48. 37 A. Bacchi, A. De Marchi, op. cit., p. 18 nota 44. Posizione condivisa da V. Balzarotti, op. cit., pp. 98-99. 38 Una datazione compresa fra il 1485 e il 1486 per la pala delle Rondini è ormai condivisa dalla maggior parte della critica: C. Volpe, op. cit., p. 164; A. Bacchi, A. De Marchi, op. cit., pp. 16-17; E. Negro, N. Roio, op. cit., pp. 83-85, n. 5Pa-h. 39 Archivio di Stato di Bologna, Ufficio delle Bollette e delle presentazioni dei forestieri, busta 3.6, 20 novembre 1488. 40 I.B. Supino, L’arte nelle chiese di Bologna, Bologna, II, 1938, p. 200; C. LORENZO COSTA E BERNARDINO ORSI 33 Cavalca, op. cit., pp. 185, 344, n. 32. Una descrizione anteriore al restauro del 1896, in occasione del quale fu posta in essere l’attuale cornice, ci informa che in precedenza la tavola era collocata “entro una ancona di mattoni intonacata e dipinta a finto marmo”: F. Cavazza, I restauri compiuti nella basilica di S. Petronio dal 1896 ad oggi, in ‘Il comune di Bologna’, XIX, 7, 1932, pp. 9-20, in part. p. 16. 41 Per il testo completo dell’iscrizione sulla transenna: C. Cavalca, op. cit., p. 344, n. 32, che tuttavia coglieva la necessità di svincolare l’esecuzione della pala dal 1485 in essa iscritto. 42 R. Varese, Lorenzo Costa, Milano, 1967, p. 67, n. 26; E. Negro, N. Roio, op. cit., pp. 13, 86-87, n. 8. 43 In questo senso anche M. Molteni, op. cit., p. 185, n. 48. 44 F. Filippini, Ercole Grandi da Ferrara. Pittore ed architetto del ’400, in ‘Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Provincie di Romagna’, serie quarta, IV, 1914, pp. 414-449, in part. p. 433 nota 2; E. Negro, N. Roio, op. cit., p. 86, n. 8. 45 Per una rassegna dei documenti finora noti riguardanti la cappella Vaselli in San Petronio: C. Cavalca, op. cit., pp. 381-383. Ulteriori notizie in merito alla cronologia dei lavori nella cappella e al committente Donato Vaselli saranno fornite da chi scrive in un articolo di prossima pubblicazione. 46 Il 7 dicembre 1484: C. Cavalca, op. cit., p. 344, n. 32. 47 Sulla tela di Lorenzo Costa e, più in generale, sulla cappella Bentivoglio in San Giacomo: A. Ottani Cavina, La cappella Bentivoglio, in Il tempio di San Giacomo Maggiore in Bologna, a cura di C. Volpe, Bologna, 1967, pp. 117-131; C. Cavalca, op. cit., pp. 55-60, 190-193, 344, n. 31, con ulteriore bibliografia. 48 Da ultimi, sull’‘Annunciazione’ Vaselli: E. Negro, N. Roio, Francesco Francia e la sua scuola, Modena, 1998, pp. 132-133, n. 6a-b; D. Benati, Gli altri Aspertini: il padre Giovanni Antonio e il fratello Guido, in Amico Aspertini 14741552, artista bizzarro nell’età di Dürer e Raffaello, catalogo della mostra a cura di A. Emiliani e D. Scaglietti Kelescian (Bologna), Cinisello Balsamo, 2008, pp. 37-43, in part. p. 40; C. Cavalca, op. cit., pp. 52, 198-199, 352-353, n. 45. 49 Quest’ultimo confronto è stato già istituito da C. Cavalca, op. cit., pp. 186187, figg. 175-176. 50 V. Nironi, Il palazzo “inferiore” del Comune nella seconda metà del secolo XV, in ‘Bollettino storico reggiano’, XIX, 63, 1988, pp. 15-36, in part. pp. 21, 23. 51 V. Balzarotti, op. cit., p. 96. L’attività di Orsi a Reggio Emilia è documentata a partire dal 2 aprile 1485 quando, firmando e datando un perduto ‘San Pietro martire’ destinato alla chiesa di San Domenico (G. Saccani, Notizie sul pittore Bernardino Orsi, in ‘Rassegna d’arte’, XVI, 1916, pp. 46-48, in part. p. 47), dimostra di essere un maestro autonomo e dunque con una bottega già avviata da qualche tempo. 52 A. Bacchi, A. De Marchi, op. cit., pp. 51, 52 nota 56. D’accordo con tale attribuzione si è recentemente mostrata V. Balzarotti, op. cit., p. 104. 53 D. Benati, La pittura rinascimentale, in La basilica di San Petronio in Bologna, Cinisello Balsamo, II, 1984, pp. 143-194, in part. p. 180. 54 R. Longhi, op. cit., 1934, ed. 1956, p. 51. 55 Come già rilevato da Longhi (ivi, pp. 54, 105 nota 103), che tuttavia qualche anno dopo si mostrerà più incerto circa l’attribuzione a Costa: R. Longhi, Ampliamenti nell’Officina ferrarese, in ‘La Critica d’arte’, IV, 1940, ried. in idem, op. 34 ALESSANDRO SERRANI cit., 1956, pp. 123-171, in part. p. 170 nota 8. 56 Significativo è che lo stesso De Marchi, tornando a distanza di solo un anno sull’argomento con Andrea Bacchi (A. Bacchi, A. De Marchi, op. cit.), non abbia riproposto tale attribuzione. 57 Il ‘San Giovannino’ del Louvre (R. F. 200) accostatogli in maniera dubitativa da D. Benati, Francesco Bianchi Ferrari e la pittura a Modena fra ’4 e ’500, Modena, 1990, p. 164; la lunetta affrescata raffigurante la ‘Madonna col Bambino’ oggi presso la Pinacoteca Civica di Reggio Emilia (inv. 4) ma proveniente dalla chiesa dei Battuti: A. Bacchi, A. De Marchi, op. cit., p. 51 nota 50; i dodici ‘Apostoli’ della cappella Vaselli e un ‘San Girolamo’ conservato presso la Compagnia dei Lombardi riferitigli da E. Negro, Dal Tardogotico padano al Classicismo del Francia, in E. Negro, N. Roio, op. cit., 1998, pp. 7-60, in part. pp. 28, 53 nota 77. L’ultimo dipinto menzionato è riprodotto in: W. Bergamini, Dipinti appartenenti alla Compagnia dei Lombardi, in La Compagnia dei Lombardi in Bologna. VIII Centenario 11701970, Faenza, 1970, pp. 145-163, in part. p. 163. Sulla ‘Madonna dei Battuti’: M.C. Cavazzoni, in La Galleria Antonio Fontanesi nei Musei Civici di Reggio Emilia, a cura di M. Mussini, Reggio Emilia, 1998, pp. 62-63, n. 13; A. Rovetta, Cesariano a Reggio e gli Uomini d’arme di palazzo Fossa, in A. Rovetta, E. Monducci, C. Caselli, Cesare Cesariano e il Rinascimento a Reggio Emilia, Cinisello Balsamo, 2008, pp. 47-97, in part. p. 95 nota 52. 58 Inv. 603, 17,3 x 13,5 cm. M. Molteni, op. cit., p. 187, n. 49; L. Ciammitti, in Pinacoteca Nazionale di Bologna. Catalogo generale, 1. Dal Duecento a Francesco Francia, a cura di J. Bentini, G.P. Cammarota e D. Scaglietti Kelescian, Venezia, 2004, p. 262, n. 101. 59 A. Bacchi, A. De Marchi, op. cit., p. 51 nota 48. 60 V. Balzarotti, op. cit., pp. 104-105, che riferisce del non mutato avviso da parte di De Marchi insieme a Bacchi. S U M M A RY A recent article has suggested that Bernardino Orsi da Collecchio was the author of six small-scale panels, surviving elements of a cycle dedicated to the Stories of the Argonauts; these were originally set into a pair of bridal cassoni and are now housed in various public and private collections. It is proposed here that the execution of the cassone decoration was divided between two painters: Orsi can be accepted as one of them, while the other attribution confirms Roberto Longhi’s belief in the authorship of Lorenzo Costa during his youthful phase in Bologna. Defining Orsi’s participation in this cassone commission provides an opportunity to reconsider other works recently ascribed to him by scholars, and to clarify his role in the multi-faceted Bolognese artistic milieu of the end of the fifteenth century.