Christian Crocetta
A partire da Dewey: didattica del diritto e cittadinanza democratica
ABSTRACT
La didattica del diritto appare chiamata, in particolare in questo momento storico, fluido e in
continuo movimento, ad accettare la sfida di attivare quel processo di conoscenza della cultura
giuridica e di maturazione di uno sguardo sul sé e sull’alterità, sotto la lente prospettica del diritto,
attraverso il quale può risultare possibile formare davvero cittadini e cittadine capaci di cogliere e
affrontare la complessità, sviluppando nel contempo una postura responsabile, solidale e attente
al bene comune. Partendo da una breve riflessione sui principali cardini del pensiero di John Dewey
in materia di educazione alla cittadinanza democratica, il presente contributo intende soffermarsi
sulle dimensioni metodologiche e sulle prospettive epistemologiche che il docente di diritto
dovrebbe integrare per riuscire a concretizzare la finalità educativo-solidale alla base della
didattica giuridica.
KEYWORDS
Didattica del diritto; John Dewey; Cittadinanza democratica; Responsabilità; Bene comune.
SOMMARIO
1. Le fondamenta giuridiche per educare alla cittadinanza democratica (a partire da Dewey). 2. Le
competenze-chiave in materia di cittadinanza e l’insegnamento del diritto nella scuola superiore.
3. Alcune riflessioni aperte in merito alla didattica del diritto
Christian Crocetta (PhD in Law) è Professore stabile di Diritto in IUSVE / Istituto Universitario Salesiano di Venezia.
Il presente contributo è frutto della rielaborazione di alcune riflessioni maturate durante il workshop “La prospettiva
socio-giuridica alle frontiere della didattica del diritto” organizzato all’interno del Convegno annuale promosso
dall’Associazione per lo Studio su Diritto e Società “Quale formazione, per quale giurista? Riflessioni sulla didattica del
diritto nella prospettiva socio-giuridica”, il 29 maggio 2019 presso il CIRSFID dell’Università di Bologna. Alcune prime idee
erano scaturite, in precedenza, grazie alla Tavola rotonda “Didattica del diritto e formazione dei docenti” promosso
sempre presso il CIRSFID il 14 giugno 2018, primo momento di una riflessione a più voci sulle tematiche trattate in questa
sede, a partire dalle nuove normative in materia di formazione iniziale e accesso al ruolo di docente di scuola secondaria
(d.lgs. 59/2017). Con questo provvedimento, infatti, si è previsto, al fine dell’accesso all’insegnamento, il necessario
possesso della laurea e di ulteriori 24 CFU in discipline antropo-psico-pedagogiche e metodologico-didattiche: nello
specifico, per la classe di concorso A46 (discipline giuridico-economiche), la formazione per l’acquisizione di questi
crediti è stata delegata al settore scientifico IUS 20 (DM Miur 616/2017). Esito del confronto realizzato nel giugno 2018
è il volume Marzocco, Zullo and Casadei 2019 (Prefazione di C. Faralli), che costituisce una base di riferimento per queste
pagine.
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A PARTIRE DA DEWEY: DIDATTICA DEL DIRITTO E CITTADINANZA DEMOCRATICA
1. Le fondamenta giuridiche per educare alla cittadinanza democratica (a partire da
Dewey)
In un tempo fluido e in continua evoluzione come quello attuale, ogni potenziale contributo di
riflessione e analisi sulla didattica del diritto e sull’educazione alla cittadinanza democratica è
chiamato necessariamente ad assumere un atteggiamento prudente e a tenere in considerazione
quanto sia difficile tratteggiare i contorni dei concetti e delle categorie propri del diritto senza
interrogarsi su un presente ricco di complessità e sugli ingredienti effettivamente necessari per
continuare a formare ad una postura civicamente consapevole e impegnata.
In questa cornice, infatti, la formazione del giurista (e del futuro insegnante di discipline
giuridiche) sembra chiamata ad assumere la sfida di sostare negli interstizi scomodi delle definizioni
non scontate, delle riflessioni da condividere e motivare, delle necessarie connessioni fra sapere
teorico e pratico, dei territori di confine fra la propria disciplina e quelle ad essa confinanti.
Per riuscire a formare a uno sguardo che sappia cogliere la complessità (Morin 2000; 2001; 2017)
e accolga la “sfida civica” (Morin 2000: 11) cui è chiamata la didattica del diritto, appare opportuno
riprendere in considerazione la riflessione, ancora estremamente attuale, di John Dewey sulla
necessità di formare “cittadini animati dal desiderio di migliorare continuamente la loro condizione
di vita” (Bacceli 2002: 23) e alimentare quella del contesto sociale in cui vivono, nonché
sull’assunzione della responsabilità verso il bene comune che ciò presuppone (Nussbaum 2011: 4243).
Si potrebbe dire, per certi versi, che su questi temi serva “tornare a Dewey” (Caione 2012: 103),
anche perché così sembrano richiedere, implicitamente, le “competenze-chiave di cittadinanza” da
realizzare nel contesto scolastico, previste dalle recenti normative in tema di formazione e, più
specificamente, di didattica del diritto.
Il pensiero di Dewey traccia ancora la strada verso una scuola che possa essere “forma di vita di
comunità in cui sono concentrati tutti i mezzi che serviranno più efficacemente a rendere il fanciullo
partecipe dei beni ereditati dalla specie e far uso dei suoi poteri per finalità sociali” (Dewey 1954:
10)1.
Il contesto scolastico, quindi, interpretato come prioritaria “istituzione sociale” (Dewey 1954: 10)
che, insieme alla famiglia e alla comunità, può formare allievi che possano rendersi conto della loro
eredità e delle loro possibilità. Ancora, una scuola contemporaneamente pronta ad accettare la sfida
educativa di formare allievi in grado di ‘ereditare’, consapevoli di essere inseriti in un contesto
sociale e in una storia e che li precede, e disponibili a ‘restituire’ e agire nella società portando il
contributo di cui sono capaci (Dewey 1991).
Una scuola che sappia guardare e preparare alla “prospetticità” (Alcaro 1997: 73), cioè alla
capacità di proiettarsi nel futuro, di orientare pensiero e azione, riflessione e comportamento, di
porsi nell’attitudine della ricerca, dell’investigazione, del curiosare, della creatività. Una scuola in
grado di creare un legame fra scuola e vita quotidiana, ovvero con quanto accade nel contesto di
1
Cfr. Faralli 1990. Sul rilievo di Dewey per la riflessione giusfilosofica nella direzione della didattica del diritto si veda,
in particolare, Zullo 2019: 49-87.
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vita dell’alunno/a e, per esteso, nel mondo (Dewey, 1949), realizzando un’azione educativa che
dovrebbe così riuscire a formare “all’autonomia, alla partecipazione attiva e consapevole, ad
un’etica della responsabilità” (Caione 2012: 105).
In un contesto scolastico siffatto, l’insegnamento del diritto, proprio per le potenzialità dialogiche
che potrebbe attivare a partire da alcuni suoi contenuti (dignità, uguaglianza, cittadinanza, diritti e
doveri, ecc.) può essere il luogo propizio, eventualmente in connessione interdisciplinare con altre
materie, per alimentare e mantenere viva la democrazia, che “è in se stessa un principio educativo,
un metodo e una struttura educativa” (Dewey 1950: 59). La democrazia è, del resto, nella
prospettiva deweyana, non solo una forma di governo ma “prima di tutto un tipo di vita associata”
(Dewey 1992: 133), un esperimento di vita comunitaria (Dewey, 1991: 93), il principio teleologico di
ogni attività educativa, anche nel contesto scolastico; un ideale di convivenza sociale (Bellatalla
1999; Casadei 2000: 143-159).
Così intesa, allora, la scuola diviene ‘palestra di democrazia’, comunità di apprendimento
trasformativo (Mezirow 2003; Mezirow 2016; Romano 2016). Trasformativa, infatti, può essere
quell’azione didattica che avvii un percorso di riorganizzazione delle conoscenze iniziali dello
studente e degli schemi interpretativi già presenti, che metta in moto in lui un processo di
riflessività, di risignificazione delle categorie conosciute e utilizzate e delle prospettive di senso, fino
ad arrivare a un cambiamento profondo della sua persona. In più, nella prospettiva già richiamata
di Dewey, un apprendimento che trasformi il contesto sociale, perché la trasmissione del sapere
diventa occasione di esperienza generativa di un’etica della responsabilità2.
L’orientamento pedagogico di Dewey appare, quindi, fondamentale per delineare il ruolo dello
studioso e futuro insegnante di discipline giuridiche e per formare studenti ad un habitus (Bourdieu
1980) democratico, partecipativo, responsabile e solidale.
A questo habitus sembra davvero riferirsi la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza (CRC, 1989), quando, all’art. 293, descrive le finalità di ogni azione educativa e
sembra ritagliare un ruolo prioritario all’insegnamento delle discipline giuridiche: la maturazione di
una conoscenza e di una coscienza specifica relativa al rispetto dei diritti umani e delle libertà
fondamentali e la maturazione di quella postura adulta necessaria per l’assunzione della
“responsabilità della vita” e per la vita, propria e altrui: responsabilità umana, sociale, politica, di
impegno civico, di rispetto, cooperazione e promozione dell’uguaglianza (sostanziale) in prospettiva
di genere, culturale, religiosa, ecc.
2
La prospettiva richiamata è precisamente quella esemplarmente messa a punto in Weber 2001: 97-113 e, in
seguito, riproposta da Jonas 2009. Per alcune recenti riflessioni sul tema, con riferimento alla sola letteratura italiana:
Foddai 2005; Mangini 2013; Vergani 2015.
3
Art. 29 CRC: “(a) favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo nonché lo sviluppo delle sue facoltà e delle sue
attitudini mentali e fisiche, in tutta la loro potenzialità; (b) sviluppare nel fanciullo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali e dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite; (c) sviluppare nel fanciullo il rispetto dei
suoi genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del paese
nel quale vive, del paese di cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla sua; (d) preparare il fanciullo ad assumere
le responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra
i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religioni e delle persone di origine autoctona; (e)
sviluppare nel fanciullo il rispetto dell’ambiente naturale”.
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A PARTIRE DA DEWEY: DIDATTICA DEL DIRITTO E CITTADINANZA DEMOCRATICA
2. Le competenze-chiave in materia di cittadinanza e l’insegnamento del diritto nella
scuola superiore
Si è detto dell’opportunità di ‘tornare a Dewey’ in merito alla necessità di una “didattica del
diritto, in grado di formare insegnanti all’interno della cornice ‘scuola e democrazia’ e educare gli
alunni alla cittadinanza e partecipazione democratica” (Zullo 2019: 57).
Ciò appare ancora più evidente riprendendo le competenze-chiave di cittadinanza recentemente
adottate dal Consiglio dell’Unione Europea nella sua Racc. 9009/18 relativa alle ‘competenze chiave
per l'apprendimento permanente’, che richiamano fortemente quelle precedentemente indicate
dalla Racc. 2006/962/CE4 e dalla Charter on Education, Democratic Citizenship and Human Rights
del Consiglio d’Europa del 2010 (Marzocco 2019: 27).
La Racc. 9009/18 prevede (al punto 2.7) che uno degli obiettivi che gli Stati dovrebbero sostenere
riguarda la promozione dello “sviluppo di competenze in materia di cittadinanza al fine di rafforzare
la consapevolezza dei valori comuni enunciati nell'articolo 2 del trattato sull'Unione europea e nella
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea”, ovvero, come recita l’art. 2 TUE:
i “valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza,
dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone
appartenenti a minoranze […], in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non
discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne
e uomini”.
Per raggiungere tali finalità, gli insegnamenti che concorrono allo sviluppo delle competenzechiave di cittadinanza devono incentivare nei discenti, ragazzi e ragazze, la consapevolezza delle
dimensioni valoriali di dignità, libertà, democrazia, eguaglianza, pluralismo, giustizia, solidarietà,
insieme agli altri vettori di sviluppo di uno Stato di diritto e in una società giusta e solidale. Devono
quindi far maturare la “capacità di agire da cittadini responsabili e di partecipare pienamente alla
vita civica e sociale, in base alla comprensione delle strutture e dei concetti sociali, economici,
giuridici e politici oltre che dell'evoluzione a livello globale e della sostenibilità”5.
Tutto questo implica la necessità che l’insegnamento delle discipline giuridiche - prima ancora
che gli specifici istituti giuridici relativi ai singoli indirizzi di studio che caratterizzano l’articolazione
disciplinare dei trienni specialistici di scuola secondaria (es. diritti reali e obbligazioni; diritto
applicato all’economia; legislazione turistica; legislazione sociale, ecc.) - metta a fuoco una solida
base relativa a valori, fattori e categorie che caratterizzano gli assi portanti del diritto, in modo tale
da riuscire a riflettere “su alcune questioni di fondo che costituiscono, in qualche modo, l’orizzonte
all’interno del quale collocare poi problematiche più specifiche” (Casadei 2019: 89).
La situazione si presenta, tuttavia, in modo differente a seconda che i destinatari di queste
riflessioni siano gli studenti del biennio o del triennio della scuola secondaria di secondo grado.
Le classi quinte, spesso, là dove le indicazioni ministeriali lo prevedano, si trovano in chiusura del
loro percorso di studio delle superiori ad affrontare uno studio di carattere giuspubblicistico, che le
prepara ad uscire dal contesto scolastico con quella maggiore consapevolezza della dimensione
Racc. 2006/962/CE: ‘Raccomandazione del Parlamento europeo e Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa alle
competenze-chiave per l’apprendimento permanente’. Cfr. Zullo 2019: 70-79.
5
Cons. UE, Racc. n. 9009/18, Allegato, p. 22.
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fattiva della cittadinanza democratica e delle responsabilità, o meno, che potrebbero assumersi
nella propria comunità sociale di appartenenza.
L’approfondimento dei principi fondamentali della Costituzione6 permette di inquadrare e
dialogare intorno ai pilastri fondanti la nostra società italiana. Lo studio dei diritti-doveri, poi, chiede
ai docenti di far dialogare il testo costituzionale con le disposizioni internazionali, in particolare con
il testo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 19487, tracciando quelle
imprescindibili connessioni che non sono scontate per uno studente e che gli permettono, in questo
modo, di cogliere l’arco globale e complessivo in cui si innestavano e crescevano le riflessioni
politico-giuridiche sull’umanità uscita dal Secondo conflitto mondiale.
Per finire, il corredo dello studio degli organi che caratterizzano il nostro assetto repubblicano
incentiva ulteriormente a formare ragazzi e ragazze non solo a conoscenze che saranno ovviamente
necessarie per affrontare l’esame conclusivo del suo percorso scolastico, ma soprattutto, come già
sottolineato, per sviluppare la “capacità di pensiero critico e abilità integrate di risoluzione dei
problemi, nonché la capacità di sviluppare argomenti e di partecipare in modo costruttivo alle
attività della comunità” indispensabili per “impegnarsi efficacemente con gli altri per conseguire un
interesse comune o pubblico, come lo sviluppo sostenibile della società”8.
La ripresa di questi contenuti permette di soffermarsi, in chiave di comprensione storica, oltre
che giusfilosofica, sull’attualità di quei principi e sulla portata di quei diritti-doveri, nonché di creare
preziose occasioni per ‘pensare il diritto’, meta-riflettere sulla cultura giuridica italiana, formare alla
democrazia attraverso il confronto e la discussione.
Queste possibilità di dialogo e approfondimento sono significative nel contesto scolastico e lo
sarebbero anche nel contesto extrascolastico. In prospettiva più strettamente didattica, infatti,
queste occasioni di confronto non è detto che siano attivabili in altre materie o quando vengono
Per far ‘respirare’ a studenti e studentesse il pensiero da cui la Costituzione è sorta, appare utile e opportuno, a
commento delle disposizioni costituzionali studiate, riprendere alcuni stralci dei discorsi dei Padri costituenti che più
hanno dialogato intorno ai pilastri fondamentali del nostro assetto costituzionale. Si potrebbero, per esempio, ricordare
i passaggi di discussione in Assemblea Costituente, intorno all’art. 2 della Costituzione, in particolare uno degli interventi
di Aldo Moro sui valori fondanti la nostra democrazia: “Uno Stato non è veramente democratico se non è al servizio
dell’uomo, se non ha come forma suprema la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso
di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria
personalità” (4 marzo 1947). Oppure, ancora, sempre su quei temi, un brano del discorso, dai forti toni evocativi, di Lelio
Basso: “Perché noi non facciamo, e non vogliamo fare, una Repubblica di individui, ma vogliamo fare non una Repubblica
di individui astratti, una Repubblica di cittadini che abbiano solo una unità giuridica, vogliamo fare la Repubblica, lo
Stato in cui ciascuno partecipi attivamente per la propria opera, per la propria partecipazione effettiva, alla vita di tutti.
E questa partecipazione, questa attività, questa funzione collettiva, fatta nell’interesse della collettività, è appunto il
lavoro; e in questo, penso, il lavoro è fondamento e la base della Repubblica italiana. […]. Noi pensiamo che la
democrazia si difende, che la libertà si difende non diminuendo i poteri dello Stato, non cercando di impedire o di
ostacolare l’attività dei poteri dello stato, ma al contrario, facendo partecipare tutti i cittadini alla vita dello Stato,
inserendo tutti i cittadini nella vita dello Stato; tutti, fino all’ultimo pastore dell’Abruzzo, fino all’ultimo minatore della
Sardegna, fino all’ultimo contadino della Sicilia, fino all’ultimo montanaro delle Alpi, tutti, fino all’ultima donna di casa
nei dispersi casolari della Calabria, della Basilicata. Solo se noi otterremo che tutti effettivamente siano messi in grado
di partecipare alla gestione economica e politica della vita collettiva, noi realizzeremo veramente una democrazia” (6
marzo 1947).
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Ex multis, cfr. Viola 2000; Pastore 2003; Zanichelli 2005; Pariotti 2013; Facchi 2013; Sartea 2018; Pongiglione 2019;
Curcio 2019.
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Cons. UE, Racc. n. 9009/18, Allegato, p. 23.
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A PARTIRE DA DEWEY: DIDATTICA DEL DIRITTO E CITTADINANZA DEMOCRATICA
affrontate altre tematiche previste nella programmazione disciplinare, che si prestano magari meno
a sperimentare modalità dialogiche.
Guardando, poi, al contesto scolastico come ‘palestra di democrazia’ e, quindi, in ottica di
‘educazione alla cittadinanza’, se la scuola (e in particolare l’insegnamento del diritto, quando
previsto nei curricula scolastici) non assume su di sé il compito di favorire “esperienze dirette di
partecipazione, come fondamentale banco di prova per l’esercizio di quell’attitudine relazionale che
rende esistenzialmente completi, non è assicurato che lo studente trovi altrove, nell’“extrascuola”
(Gentili 2002; Mortari 2017) questa possibilità di riflettere su temi fondanti la dimensione
democratica.
Lo studio degli stessi argomenti, affrontato nel biennio di scuola superiore, comporta certamente
una diversa modulazione, concettuale e metodologica.
La dimensione di ‘educazione alla cittadinanza’ che si può realizzare in quest’ultimo caso, infatti,
attraverso l’approfondimento di dimensioni fondamentali come quelle appena richiamate, risulta
ben diversa di fronte allieve ed allievi che si affacciano allo studio del diritto per la prima volta e in
una fase di maturazione personale e scolastica come quella dei primi due anni di scuola superiore.
In questo caso, infatti, il diritto che, per così dire, finisce nello zaino dello studente principiante è
un ‘diritto faticoso’, in quanto apparentemente distante dalle dimensioni di apprendimento che
hanno caratterizzato la sua storia scolastica fino a quel momento. Tuttavia, lo sforzo deve essere
proprio quello (e qui c’è la necessità di una taratura metodologica adeguata) di aiutare a
comprendere quanto la dimensione giuridica sia molto più vicina alla vita sociale di quanto si creda.
Per farlo, la necessità che si deve inevitabilmente mettere in conto, almeno in una iniziale unità
didattica introduttiva, è quella di “partire dalle conoscenze spontanee dell’allievo e, attraverso un
processo di negoziazione di significati, pervenire a una organizzazione mentale del giuridico […] più
articolata. […] Ciò di cui c’è necessità riguarda l’avvicinamento graduale agli oggetti di studio”
(Bacceli 2012: 73) per “accendere negli studenti una genuina curiosità […] perché il pericolo più
grande che si corre in questa fase è quello di spegnere l’interesse” (Bacceli 2012: 74).
È necessario, quindi, partire dalle conoscenze spontanee, dal ‘sapere giuridico ingenuo’, e
considerare che “nessuna persona, a qualsiasi età, si accosta al sapere giuridico come se fosse un
vaso vuoto da riempire di cose nuove” (Bacceli 2012: 3).
Dalla seconda unità didattica in avanti si potrà, invece, cominciare a tracciare il percorso di
conoscenza dei concetti e categorie che fondano il sapere giuridico e permettono, poi, di addentrarsi
nello studio di quegli istituti più specifici con cui lo studente dovrà via via familiarizzare.
In particolare nel biennio, poi, in ottica interdisciplinare interna, si è chiamati normalmente a
confrontare trasversalmente le dimensioni giuridiche di alcune delle categorie affrontate anche
rispetto alla prospettiva economica (Marzocco 2019: 22; Bacceli 2002: 71-92)9.
Se è vero che l’articolazione disciplinare è collegata allo specifico indirizzo di studio, vi sono
concetti che necessariamente debbono caratterizzare trasversalmente le linee generali dei bienni
di ogni tipologia di scuola: il significato e la funzione della norma giuridica come fondamento della
9
Nel sistema scolastico italiano, da decenni, in particolare nel biennio, lo studio del diritto è previsto in connessione
all’economia e richiede, quindi, una capacità del docente di saper collegare in modo trasversale alcuni argomenti in
prospettiva giuridica ed economica. Si pensi, a titolo di esempio, alla possibilità di arricchimento interdisciplinare che
può dare, se ben articolata, la trattazione del tema ‘soggetti di diritto’, da una parte, e ‘soggetti economici’ (famiglia,
Stato, impresa, resto del mondo), dall’altra, affrontandone le potenziali connessioni concettuali e di collegamento con
la realtà attuale.
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convivenza civile, la distinzione tra norma giuridica e norme prive di rilevanza normativa; il ruolo e
funzioni dell’individuo, dei nuclei affettivi e familiari e delle organizzazioni collettive nella società
civile; i diritti e doveri fondamentali della persona umana; il concetto di cittadinanza italiana ed
europea, nonché l’inquadramento delle diverse forme di Stato e di governo e dei principali organi
dello Stato italiano e dell’Unione Europea. Questi contenuti si ritrovano, per esempio, sia nelle
indicazioni nazionali relative al Liceo delle Scienze Umane sia in quelle degli Istituti tecnici e
professionali, trattandosi di nozioni imprescindibili per sviluppare quelle abilità e competenze per
collocare l’esperienza personale all’interno del sistema di regole e nel quadro di diritti e doveri
riconosciuti e garantiti dalla Costituzione e dalla normativa italiana ed europea, nonché per
sostanziare quelle competenze-chiave di cittadinanza di cui si è già parlato.
3. Alcune riflessioni aperte in merito alla didattica del diritto
Alla luce di quanto osservato finora, tuttavia, non è indifferente l’orizzonte epistemologico nel
quale il docente si orienta e si muove: a titolo di esempio, un approccio che ritenga fondamentale
“che l’accento delle lezioni debba essere posto sulle definizioni teoriche perché ritiene che il diritto
sia essenzialmente tecnica sociale”, con la conseguenza che “in questo caso la società sarà
mantenuta sullo sfondo (per non dire ai margini) delle trattazioni” (Casadei 2019: 92), porta a uno
sviluppo disciplinare diverso rispetto alla scelta di “guardare con più attenzione ai problemi evocati
da un determinato istituto giuridico” e coltivare, così, “una visione del diritto come fenomeno
storico e sociale” (Casadei 2019: 92). Lo stesso Paolo Grossi ricordava la differenza fra un approccio
epistemologico che riduce il diritto a “mancipio del potere politico” e a manifestazione di “regole
generali astratte rigide rispetto alla formazione delle quali la comunità non è chiamata a dare alcun
contributo” (Grossi 2003b: 30) e il recupero di una concezione del diritto che “esprime la società
prima ancora che lo Stato” (Grossi 2003b: 36).
La scelta che il docente opera in merito al maggiore accento su alcuni concetti e categorie, più
che su altri, come anche lo sbilanciamento maggiormente su un crinale teorico-definitorio piuttosto
che di riflessione critica, comportano un certo modo di ‘abitare’ il diritto e di farlo concepire agli
studenti. Di questo il corpo docente deve essere consapevole.
Lo studente principiante che frequenta il biennio ha bisogno certamente che si dia sicurezza al
suo procedere ancora incerto, inquadrando i connotati fondamentali della materia: lo manifesta,
per esempio, quando il docente procede in modo troppo induttivo e non delinea in modo preciso il
quadro di riferimento concettuale degli argomenti che sta trattando, o quando troppe parentesi di
approfondimento non permettono allo studente di definire, nei suoi appunti e nella sua mappa
mentale, i contorni precisi dei temi che l’insegnante gli sta proponendo.
Il procedere induttivo porta necessariamente a un lavoro maggiore di riflessione e ragionamento,
rispetto al semplice studiare quanto descritto dal docente su un piano puramente teoretico.
L’approfondimento di alcuni temi, poi, comporta un arricchimento concettuale e prospettico, ma
necessita di sapere ‘sostare’ bene dentro alla ‘stanza giuridica’ che così si va arredando
ulteriormente.
Vi è, poi, una dimensione relazionale che fin qui non è stata toccata, ma che incide in modo
determinante sulla didattica giuridica: saper tradurre il sapere giuridico anche agli studenti e
studentesse che lo vedono come un insieme di categorie astratte, faticose, distanti, e che se fosse
possibile eviterebbero di studiare.
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A PARTIRE DA DEWEY: DIDATTICA DEL DIRITTO E CITTADINANZA DEMOCRATICA
Nella testa di questo studente, ‘approfondire’ significa aggiungere ancora più materiali a quelli
‘standard’ che il libro di testo propone e, utilitaristicamente, aumentare la mole da studiare per
l’interrogazione. Vi sono studenti che, nemmeno tanto velatamente, dichiarano che i contenuti
presentati dal libro di testo potrebbero di per sé bastare. I testi scolastici attuali hanno vesti grafiche
e presentazioni molto efficaci degli argomenti, studiate in modo puntuale dagli autori in chiave
didattica e psicopedagogica, con definizioni incorniciate, annotazioni sintetiche a bordo pagina,
sottolineature delle frasi più importanti che aiutano a orientarsi. Caratteristiche che aiutano lo
studio ma che, paradossalmente, potrebbero indurre i più pigri ad assopire ancora di più la loro
capacità di mettere il loro segno specifico intorno alle principali parole-chiave degli argomenti
studiati, di glossare loro a margine del libro con i suoi appunti e le sue riflessioni, di crearsi lui le
mappe concettuali negli spazi bianchi a piè di pagina o nel foglio bianco del suo quaderno.
Quello ora richiamato non vuole essere un giudizio definitorio. Anzi, entro la prospettiva freiriana
dell’apprendimento condiviso (Freire 2004: 12), lo studente ha certamente bisogno, soprattutto se
affronta lo studio del diritto nel biennio, di avere quella sicurezza che gli può permettere di
addentrarsi nel linguaggio tecnico-specialistico giuridico e nella forma mentis e culturale del diritto,
che prima di allora potrebbe non aver mai praticato. Dal canto suo, quindi, il docente di discipline
giuridiche è chiamato a stare sul delicato crinale di chi, da un lato, è consapevole che non deve
perdere di vista il bisogno dell’allievo di ‘comprendere’ (cum-prehendere, cioè ‘prendere insieme’,
‘contenere in sé’), e quindi ‘far diventare suo’ il sapere che si va maturando insieme nel percorso di
riflessione didattica, e, dall’altro, deve contemporaneamente accettare la sfida continua di
stimolare il pensiero critico e la presa di coscienza, in ottica trasformativa.
L’equilibrio vorrebbe che la didattica seguisse lo sviluppo armonico di una partitura giuridica che
ha come finalità ultima, come si è argomentato, la formazione dei cittadini e delle cittadine
responsabili, solidali e attenti al bene comune.
Quindi, provando ad esemplificare, si potrebbero sviluppare e approfondire alcuni concetti e
categorie in una prospettiva differente da quella ancora troppo spesso seguita dalla didattica
giuridica ‘tradizionale’ utilizzata in classe, che mantiene ancora una forte valenza ‘informativa’
(Moro 2015: 90-92)10:
(a) La distinzione tra norma giuridica e regole prive di rilevanza normativa non può
necessariamente restare solamente sul livello di inquadramento teorico delle tipologie di norme e
sulle dimensioni astratte e di carattere tecnico (si pensi alle spiegazioni delle modalità di
interpretazione della norma) (Viola and Zaccaria 1999; Pino 2010; Pastore, Viola and Zaccaria 2017),
senza che poi si possa attivare una dimensione pratica, concreta, più vicina all’esperienza degli
studenti, magari proprio attraverso il collegamento con le modalità quotidiane attraverso le quali ci
si imbatte con una regola che assume una rilevanza giuridica.
(b) L’inquadramento del concetto di famiglia, intesa come formazione sociale intermedia;
“cellula germinale” (Honneth 2015 [2011]: 233) fondante il tessuto sociale; “tessuto connettivo di
una società democratica” (Amato 2016: 31), può essere delineata con approccio induttivo (e magari
con metodologia comparativa), a partire dall’esperienza di famiglia che gli allievi possiedono (‘come
10
Cfr. Moro 2015: 85-96, in part. 90-92. Paolo Moro annota negativamente (in merito alla formazione nei corsi di
laurea in Giurisprudenza) una didattica giuridica ancora troppo spesso ‘informativa’, connotata da ‘dogmatismo
metodologico’ volto a formare “‘matematici’ della norma” ovvero, all’opposto, “autentici ingegneri legali”, mentre
invita a una ‘didattica giuridica performativa’, non limitata alla mera conoscenza della regola ma pensata per coinvolgere
i discenti nell’apprendimento, per sviluppare il pensiero critico, la capacità argomentativa, la competenza cooperativa.
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definiresti la famiglia?’) o da una loro ricostruzione in chiave sociologica di ciò che osservano intorno
a loro (‘quali tipologie di famiglie esistono secondo voi?’), per poi arrivare, attraverso una
condivisione del loro punto di vista, a ciò che il diritto prevede in materia, sia all’interno delle
disposizioni costituzionali (artt. 29/31 Cost.), sia in quelle codicistiche, magari inquadrando
brevemente proprio le norme in materia di filiazione (artt. 315 ss. c.c.) , che riguardano gli studenti
da vicino, trattandosi di minori di età (ex multis: Marella and Marini 2014; Moro 2014; Lenti 2018).
(c) Un ulteriore esempio potrebbe venire dal concetto di soggetto giuridico (Casadei 2019: 98100), che non può essere inquadrato oggi solamente nella veste di ‘persona fisica’ e soggetto
astratto11, come spesso i testi scolastici ancora si fermano a delineare, senza addentrarsi
maggiormente in tutto il profilo che oggi caratterizza la dimensione concreta, il soggetto-persona,
l’intersoggettività, la relazionalità12 e, nel contempo, la fragilità/vulnerabilità (Giolo and Pastore
2018; Zanetti 2019)13 su cui il mondo dei giuristi è andato approfondendo di recente le sue
riflessioni, che non possono restare fuori dalla discussione d’aula, soprattutto allorquando si
formino studenti delle scuole di area delle scienze umane e sociali.
(d) Un’ultima categoria-chiave da richiamare potrebbe essere ancora quella di cittadinanza, che
necessariamente non potrebbe limitarsi all’inquadramento relativo alle modalità di acquisto
previste dalla normativa vigente, ma dovrebbe anche riuscire ad argomentare il concetto di
cittadinanza come ‘polisemico’ (Delanty 2000: 4), ‘polifonico’ e ‘strategico’ (Zolo 1999: IX), centrale
in “una concezione della democrazia che sia fedele ai principi della tradizione liberaldemocratica […]
non puramente formalistica o procedurale” (Zolo 1999: X). Una nozione di cittadinanza, quindi, da
intendere in senso non solo formale, come titolarità del documento di identità in possesso, ma in
senso sostanziale14, come luogo di “fabbricazione sociale del cittadino democratico” (Barcellona
1993: 39).
Tutte queste esemplificazioni possono aiutare a sottolineare l’importanza di “far comprendere
le evoluzioni della sintesi giuridica” (Casadei 2019: 98) e come il diritto sia in continua evoluzione,
in un “perpetuum mobile” (Ferrari 2004: VI). Tutto questo permette anche di precisare, in
prospettiva sociologico-giuridica, la distinzione fra law in the book e law in action, ovvero come il
diritto sia strumento della società e di come, viceversa, anche la società si sia trasformata e
modificata a partire dall’intervento giuridico (Viola 1990; Grossi 2003b; Ferrari 2004; Barcellona
2003; Santoro (ed.) 2010; D’Alessandro 2018).
Questi esempi (selezionati tra altri possibili) permettono di evidenziare l’imprescindibilità di un
approccio integrato nella didattica del diritto, a fronte di una modalità ‘tradizionale’ di
11
Su questo punto, come rispetto ad altri argomenti, come già sottolineato altrove (Crocetta 2019: 187-203), la
didattica potrebbe essere supportata dall’uso delle humanities, attraverso la metafora degli uomini senza volto di René
Magritte o dai dipinti di persone dal volto sfigurato o deformato di Francis Bacon, per precisare l’approccio del diritto
alla persona umana come soggetto astratto e indeterminato, che Francesco Galgano avvicina, invece, con una
similitudine fra diritto e pittura astratta. Cfr. Galgano 2009; Galgano 2010.
12
Cfr., per alcune prospettive interpretative diversamente orientate: Cotta 1989; Amato 1990; Cotta 1991; Viola
1999; Greco 2012; Amato 2012; Cascavilla 2015; Rodotà 2007. Alcune fondamentali argomentazioni, in chiave civilistica,
sono quelle contenute in Perlingieri (ed.) 1997; Stanzione 1997; Perlingieri 2005.
13
Si consenta il rinvio anche alla riflessione contenuta in Crocetta 2020: 71-85.
14
Cfr. fra le molteplici prospettive di approfondimento sul tema: Barbalet 1992; Zolo 1999; Raciti 2004; Della Torre
2004; Costa 2005; Zanfrini 2005; Mantovan 2007; Porena 2011; Balibar 2012; Margiotta 2014; Ferrajoli 2017: 123-147;
Calore and Mazzetti (eds) 2019; Aglietti (ed.) 2019.
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insegnamento giuridico, ancora oggi prevalente, caratterizzata da una forte vocazione
giuspositivistica (Greco 2018: 49-51).
L’insegnamento del diritto nella scuola superiore, in effetti, appare troppo spesso orientato e
limitato - dopo un breve inquadramento di teoria generale (es. definizioni di ‘ordinamento’, ‘norma
giuridica’, ‘soggetto di diritto’, ‘fattispecie’, ‘tipologie di sanzioni’, ecc.) nell’arco del biennio all’approfondimento normativo degli istituti specifici dei diversi indirizzi scolastici (es. trust,
locazioni, brevetti industriali), “senza trasmettere – contestualmente – una visione d’insieme,
un’attitudine a cogliere la ratio sottesa a quegli stessi istituti, la relazione che essi stabiliscono con
le altre discipline e, soprattutto, con l’ambiente sociale complessivo” (Casadei 2019: 96).
Risulta fondamentale, al contrario, che la didattica giuridica integri anche la riflessione
giusfilosofica e la prospettiva di osservazione socio-giuridica, per intercettare i territori di frontiera
(Faralli 2002; Andronico 2012; De Giorgi (ed.) 2018) del diritto che si sono aggiunti alle categorie e
alle questioni disciplinari classiche (es. bioetica/biogiuridica15, diritto e nuove tecnologie16,
dimensioni interculturali17, ecc.) e per riuscire a sviluppare con gli studenti, accanto al ‘sapere’,
anche il ‘saper fare’ (ovvero la capacità di comprensione critica e applicata18), il ‘saper essere’19 e
l’‘imparare a vivere insieme con gli altri’20, che devono comporre il quadro di ogni azione formativa,
in particolare di quella orientata all’educazione alla cittadinanza democratica.
Solo attraverso un approccio didattico ‘integrato’, infatti, appare possibile attivare quel processo
di conoscenza della cultura giuridica e di maturazione di uno sguardo sul sé e sull’alterità (ex multis:
Ricoeur 1993; Lévinas 2002; Lévinas 2016), sotto la lente prospettica del diritto, che costituiscono
15
Cfr. fra le molteplici prospettive di approfondimento sul tema: Zanuso (ed.) 2009; Zanuso 2009: 9-54; Moro 2009:
131-153; Amato 2011; Faralli 2013; Poggi (ed.) 2013; Zanuso (ed.) 2015; Sommaggio 2016; Turco 2017; Palazzani 2017;
Amato 2017: 217-230; D’Agostino 2019; Sartea 2019.
16
Cfr., ex multis: Amato Mangiameli 2000; Moro 2006; Faralli and Finocchiaro 2007; Rodotà 2007; Moro (ed.) 2009;
Talacchini 2012: 145-170; Faralli 2015; Pomarici 2015:141-170; Sartor 2015:71-92; Brighi and Zullo 2015; Moro 2015:
525-544; Moro and Sarra (eds) 2017; Faralli 2018.
17
Cfr. rispetto alle molteplici riflessioni in materia, in ottica giusfilosofica o sociologica: Macioce 2014; Ambrosini
2014; Allievi and Dalla Zuanna 2016; Ambrosini 2017; Giolo, Macioce and Rigo (eds) 2018: 5-72; Ambrosini 2020.
18
Si tratta delle applying knowledge and understanding indicate anche dai c.d. ‘descrittori di Dublino’. A tal
proposito, se nell’ambito dei corsi universitari di area giuridica si sta diffondendo l’uso delle cliniche legali, nella didattica
scolastica si dovrebbe incentivare almeno l’uso di case studies che (nelle modalità in cui sarà possibile realizzare un
approccio di questo tipo nella ‘quotidianità didattica’) attivino un processo di conoscenza, analisi e riflessione su un
problema reale, permettendo agli studenti di porsi domande, di far abitare nel proprio ragionamento dubbi e
interrogativi, di interrogarsi (individualmente o in gruppo) sulle possibili risposte alla questione sottoposta, secondo una
prospettiva cooperativa che potremmo semplificare come “operare pensando, riflettendo, discutendo con se stessi e
con gli altri” (Marcone 2017: 167), ovvero un processo di learning by thinking. Contemporaneamente, risulta incisiva la
possibilità per gli studenti di “imparare facendo”, di apprendere in modo incisivo attraverso l’esperienza (learning by
doing): si pensi alla possibilità di riflettere su realtà concretamente approcciate nelle attività di alternanza scuola/lavoro
oppure tramite altre esperienze realizzate nel quadro delle reti di collegamento territoriale che la scuola (ma parimenti
nel contesto universitario, nell’ambito della “terza missione” accademica) è in grado di attivare e sviluppare (enti locali,
associazionismo, volontariato, mondo professionale, ecc.). Si rimanda in questo al fondamentale contributo di Dewey
in “Esperienza e Educazione” (Dewey 2014). Cfr. ex multis Mortari 2004.
19
Presenti fin dal ‘Rapporto Faure’ del 1972 e ribaditi dal ‘Rapporto Cresson’ del 1995. Cfr. Faure (ed.) 1972; Cresson
1995.
20
Competenza aggiunta dal ‘Rapporto Delors’ del 1997. Cfr. J. Delors (ed.) 1997. Cfr. Unesco and Università Cattolica
del Sacro Cuore 2019.
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la base imprescindibile per sviluppare l’attitudine cooperativa (Dewey 1992: 6)21 e la consapevolezza
dell’intersoggettività sociale (Dewey 1961)22, condizioni indispensabili del vivere comunitario.
In questo modo, si può sperare di seminare nell’adolescente di oggi la consapevolezza che “gli
elementi distintivi della democrazia (libertà, uguaglianza e fratellanza) non sono solo parole, ma
simboli del più alto valore etico mai raggiunto dall’umanità” (Dewey 1991: 244)23 e, nel tempo, far
maturare una postura adulta dai tratti solidali, in grado di assumere una responsabilità attenta al
bene comune, così come prevedono valori e principi della democrazia costituzionale.
21
Una comunità cooperativa e cosciente, come Dewey sosteneva comparando la cooperazione fra le parti di una
macchina e quella fra i membri di comunità: “Le parti di una macchina lavorano con un massimo di cooperazione, per
un risultato comune, eppure non formano una comunità. Però se fossero tutte consce di questo fine comune e vi fossero
tutte interessate in modo da regolare la loro attività specifica verso di esso allora formerebbero una comunità”, in
Dewey 1992: 6. Cfr. Lucisano 2017: 133-141; Biagi 2020.
22
Cfr. Honneth and Farrell 1998: 763-783, in part. p. 771.
23
Cfr. Striano 2017: 77-98, spec. 79.
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