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fRaNCESCa ORESTaNO alla ricerca di Virginia Woolf: Note sulla Letteratura inglese e sul Gattopardo di Giuseppe Tomasi di lampedusa Nel 1959, in una conferenza su le “Tre correnti del romanzo italiano d’oggi”, con la consueta lucidità, Italo Calvino faceva il punto sulla letteratura del dopoguerra, registrando il tacere delle voci di Pavese e Vittorini e l’avvento di nuovi scrittori sulla scena italiana.1 Secondo Calvino, al di là degli aspetti più immaturi del neorealismo, alcuni nuovi autori esprimevano un senso delle cose vibrante di ottimismo cosmico: altri, al contrario, seguivano una loro vena elegiaca, a volte lirica, sovente riflessiva e raziocinante. a questo gruppo Calvino associa “Giuseppe Tomasi di lampedusa, anziano e colto principe siciliano, di straordinaria finezza e modestia e mitezza”.2 Tralasciando le note di carattere, sulle quali sarebbe difficile pronunciarsi, vale invece la pena di soffermarsi sul giudizio critico. Il suo Gattopardo è un romanzo storico ambientato nella Sicilia del Risorgimento, un romanzo d’impianto ottocentesco ma che ha fatto proprie molte raffinate esperienze della letteratura moderna. l’anziano principe siciliano ci dice con intelligenza e finezza che non crede nel moto della storia, la sua elegia è tutta scetticismo e rinuncia.3 anche se in queste parole risuona l’eco del gran rifiuto del collega Elio Vittorini – condensato nell’icastica definizione “una seducente imitazione de I Viceré”4 – Calvino se ne discosta per rilevare, pur nell’impianto ottocentesco del romanzo storico, la presenza del moderno. Osserva, in contraddizione con quanto appena affermato, che Tomasi sembra non credere al “moto della storia”, e quindi a quell’idea di progresso che determina il farsi della trama narrativa e, nel romanzo storico, la concomitanza tra l’asse del tempo e gli eventi sociali che lo caratterizzano. queste note prendono le mosse da Calvino per ricercare le tracce (“esperienze”) del moderno nell’opera di Tomasi e, in particolare, per esaminare il suo dialogo con l’arte di Virginia Woolf. Il terreno che viene qui perlustrato è soprattutto quello delle lezioni di letteratura inglese tenute dal novembre 1953 al gennaio 1955,5 che poi 165 sono gli anni in cui il romanzo Il Gattopardo veniva concepito e in parte scritto,6 gli anni segnati dal convegno a San Pellegrino Terme, nel giugno del 1954, che coincide con la fine del “letargo dello scrittore”: dal 1954, infatti, e “nei trenta mesi che gli restavano da vivere, lampedusa scrisse quasi ogni giorno, indipendentemente dal successo, quello che la sorte in vita gli negò”.7 le lezioni di letteratura inglese avevano avuto inizio nel 1953, in una Palermo post-bellica, fitta di ruderi, vicoli ostruiti dalle macerie, palazzi e edifici scoperchiati, scale piranesianamente dirette al nulla, vigorosa vegetazione in crescita selvaggia così come triste e selvaggia sarebbe stata la cosiddetta ricostruzione e lo sviluppo di nuovi quartieri moderni. Nel 1943 una serie di esplosioni e bombardamenti aveva ridotto in briciole il palazzo lampedusa, e nel 1951 Giuseppe Tomasi ne aveva venduto i ruderi, per trasferirsi in Via butera 42. Nel 1953 “si lega d’amicizia con i giovani frequentatori della casa del barone Pietro Emanuele Sgadari di lo Monaco”8 e da novembre inizia a dare lezioni di lingua e letteratura inglese a francesco Orlando. al primo destinatario delle lezioni si erano gradualmente aggiunti altri ascoltatori, “un piccolo gruppo di fedeli” poi diradatisi, ma di nuovo presenti e attenti quando Tomasi affrontava nell’estate del 1954 Joyce ed Eliot, “autori circondati da un’aura mitica, anche se sostanzialmente sconosciuti ai ragazzi della nostra età”.9 Il corso raggiunse “eccellenti risultati didattici”.10 Tomasi faceva ricorso a The Concise Cambridge History of English Literature (1949) di George Sampson, a Fifty Years of English Literature 1900-1950 (1953) di R. a. Scott-James, alla Vie de Byron (1930) di andré Maurois per coprire il periodo che va da Beowulf alla letteratura contemporanea. Ciò che stupisce tuttavia, al di là degli utili e necessari manuali, è l’estensione delle sue letture, onnivore, alte e basse, come spesso dichiara; la prodigiosa memoria per titoli e nomi; la visione ampia, spaziosa, europea, capace di ospitare fulminee correlazioni illuminanti tra autori spesso distanti (Tomasi legge in francese, inglese, spagnolo, tedesco, russo); il calore dell’impronta personale che ravviva sempre il cadenzato snodarsi del corso, con giudizi spesso controcorrente, formulati con notevole sense of humour, che poi è anche una delle categorie portanti di un testo dove, in buona compagnia, “l’erudizione si accoppia alle scopiazzature e alle balle”.11 le lezioni di letteratura inglese si concluderanno nel gennaio del 1954, quando ha già avuto inizio la gestazione del Gat166 topardo. Infatti, “concluso il suo romanzo della letteratura inglese Tomasi […] elaborava già il progetto del Gattopardo. Dalla fiction storico-letteraria a quella vera e propria, senza soluzione di continuità”.12 Chi scrive ha esaminato in particolare la risposta di Tomasi a Charles Dickens, trovando che insieme a Shakespeare è Dickens l’autore preferito, quello che offre uno standard di giudizio per valutare ogni altro autore inglese, quello che costituisce “il vero biglietto d’accesso per chi voglia comprendere la singolarità del fenomeno lampedusa”.13 In Dickens, Tomasi trova oltre allo humour implacabile, un linguaggio gergale e ammiccante, un tipo di narrazione “costruita per accostamento di aneddoti”, e un “procedere ‘alla carlona’” che “desunto dall’analisi dell’amato Dickens resterà il tratto stilistico più costante della sua opera narrativa”.14 Ma oltre alla congenialità elettiva, nata molti anni prima, quando un giovane Tomasi, autodefinitosi il Mostro, perlustrava londra, la sua diletta “Mostropoli”, in cerca di pub dickensiani e pickwickiane locande,15 il giudizio su Dickens illumina un aspetto della strumentazione critica di Tomasi, che conferma l’estensione delle sue letture e l’ampiezza del panorama letterario cui fa riferimento. Dickens è uno dei più insigni creatori di mondi. […] Il regno di Dickens è il realismo magico. Regno di infinita attrattiva, regno difficilissimo da governare. kafka soltanto ne ha avuto uno simile; ma il riso di Dickens rende il suo più bello.16 Se la propensione dickensiana non fosse di per sé segnale sufficiente, basterebbe questa citazione a diradare ogni sospetto di adesione alle norme del realismo, e a proiettare Tomasi su uno scenario internazionale che in Italia era stato inaugurato da Massimo bontempelli (1878-1960), nel 1926, con la fondazione di ‘900’: Cahiers d’Italie et d’Europe.17 E nel 1928 Tomasi aveva scritto alcuni articoli per la rivista genovese Le opere e i giorni che contava bontempelli tra i suoi critici.18 Realismo magico – come Tomasi perfettamente intende – definiva quella creazione artistica che nell’apparente adesione al realismo e alla sua logica rivela il magico del quotidiano, e degli umili oggetti che lo compongono. frutto di un’impostazione teorica cosmopolita, che agilmente superava lo Strapaese ideologico della propaganda fascista,19 il realismo magico di Dickens è la formula che può dar vita alle care macerie, far parlare gli oggetti inutili, 167 strani, pieni di tarme e polvere, dimenticati in vecchi armadi o in stanze vuote e muffite. Come non vedere nella casa di Miss havisham, in Great Expectations, e nel mummificarsi del mancato banchetto nuziale, la prefigurazione di quei cibi che al ballo di casa Ponteleone si disfano sul buffet nelle ore dell’alba, sin dall’inizio votati al funereo sfaldarsi e liquefarsi come le “beccacce disossate recline su tumuli di crostoni ambrati decorati delle loro stesse viscere triturate” e “altre crudeli colorate delizie”?20 E che dire di bendicò imbalsamato, che pare uscito dalla bottega di Mr Venus in Our Mutual Friend, con gli occhi di vetro pieni “dell’umile rimprovero delle cose che si scartano, che si vogliono annullare”?21 Non solo nell’immaginazione di Tomasi, ma nella stagnante “backwater” della Palermo di allora, e tra i suoi giovani accoliti, il realismo magico deve aver funzionato come lo Spirito del Natale futuro, erogando quel minimo di speranza necessaria a superare orgoglio e scettico fatalismo: emblematico il lavoro di francesco Orlando, che consacra Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura: rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti (1993),22 ma anche la ricerca di antonio Pasqualino, che nelle polverose botteghe dei pupari scovava i relitti del romanzo cavalleresco23 – entrambi appassionati a quelle macerie che facevano ormai parte integrante della vita del loro inusuale maestro. È dunque Dickens la via verso il Gattopardo, l’autore “nel cui ambito si svolge il periodo di apprendistato dello scrittore”: e il curatore ribadisce che “[s]e gli italiani leggessero si sarebbero potuti risparmiare i vari e falsi collegamenti siciliani (De Roberto, brancati)”.24 Nelle lezioni di letteratura inglese si mettono a punto strategie narrative poiché “l’esercizio critico sollecitava in lampedusa anche elucubrazioni da narratologo”.25 Insomma, “il laboratorio del narratore è già tutto nelle lezioni”26 e in particolare nelle riflessioni sulla letteratura inglese, che stimola il talento del critico, del moralista, del narratologo e romanziere, e trova lievito nella sua personale anglomania. Ma come trarre dalle reliquie del passato non un saggio critico, non un museo di oggetti o le figure imbalsamate di un nostalgico ‘come eravamo’, ma il romanzo moderno? E come scrivere il romanzo moderno senza ricadere nel melodramma gotico, o nelle prospettive dell’eterno progresso della storia, e senza perdere tuttavia di vista l’ostinata eloquente vita (e sopravvivenza) delle vecchie 168 cose, dei relitti del passato, in contrappunto all’inesorabile rintocco dell’orologio? E qui, con Dickens, entra in scena Virginia Woolf. l’ambizione alla scrittura moderna era dichiarata fin dal primo progetto narrativo, “saranno 24 ore della vita di mio bisnonno il giorno della sbarco di Garibaldi”;27 dopo qualche tempo però confessa: “non so fare l’Ulysses”.28 Tomasi abbozza uno schema di tre tappe di 25 anni, distanziate nel tempo, una “histoire sans nom” che lo porta lontano dalla storia e verso la narrativa moderna, che Woolf, più di altri autori, aveva praticato in modo continuo e consistente. I romanzi della Woolf, nella loro diversa vocazione sperimentale che propone sempre nuovi punti di vista e nuovi criteri di misurazione del tempo, di rappresentazione del personaggio, di registrazione della sua voce, attraverso dettagli apparentemente minori – falene, lumache, atomi e schegge catturati dalla rete della coscienza – sottopongono il biografismo e l’autobiografismo ai più diversi metodi di disgregazione e di poetica ricomposizione dei frammenti. Nell’elaborare la tecnica narrativa del Gattopardo Tomasi parte dalla modernità di Dickens ma studia anche gli autori delle avanguardie, e tra loro Eliot, Joyce e particolarmente la Woolf. a Virginia Woolf, ai suoi romanzi e alla sua arte, Tomasi dedica varie pagine in Letteraura inglese,29 in un capitolo che la vede protagonista con due autrici che dalla Woolf prendono le mosse, Rosamond lehmann e Elizabeth bowen. Per prima cosa formula un giudizio sulla scrittrice nel quadro della letteratura contemporanea: anche se il suo rango canonico non è “stabilmente designato”, la Woolf viene posta sullo stesso piano di Joyce, perché “con maggior gusto e minore impeto aggressivo, ha creato un nuovo modo di narrare, tutto allusioni e riferimenti intimi, associazioni spontanee e pitture non di cose ma dei ricordi delle cose.” quanto al confronto con l’altro gigante moderno, Proust, Woolf lo conosce ma risulta più notevole in un ambito dove “non si tratta di valori estetici ma di metodi di analisi”.30 Sono questi i fattori in gioco nella presentazione dell’autrice, nell’analisi della sua opera, insieme al consueto impegno di trasmettere ai giovani accoliti palermitani i motivi della sua modernità. la riflessione di Tomasi sul metodo narrativo della Woolf lo vede coinvolto in prima persona, perché nella scrittrice britannica ravvisa “l’urgenza di tutta una generazione di esprimersi in quel modo”.31 169 I primi romanzi – The Voyage Out (1915) e Night and Day (1919) – vengono liquidati come prove intelligenti e di elegante scrittura, ma ancora inquadrabili nel romanzo ben fatto tardo vittoriano. Si giunge poi a Jacob’s Room (1922) dove Tomasi ravvisa l’esperimento narrativo condotto per sequenze di immagini e soprattutto l’esistere di Jacob solo per, e tramite, coloro che lo conoscono, lo vedono, lo incontrano, secondo un illusorio sviluppo temporale che si dipana su due piani: “lo spettacolo della vita [che] procede attraverso gli anni verso la morte” e, in parallelo, il fatto che la Woolf “non ci lascia dimenticare la morte”32 – morte che di fatto segna tutto il romanzo, dal teschio di pecora che Jacob bambino trova sulla spiaggia, al granchio in agonia nel secchiello, agli oggetti persi, i tumuli, e i riti funebri di civiltà antiche che sotto l’azzurra cupola della british library vengono esumati dalle pagine dei libri studiati. la stanza di Jacob, vuota se non per i suoi libri e pochi oggetti lasciati sul tavolo, contiene tutto, anche la sua assenza. “Il libro, si capisce, non lo ho più; né vi è, qui, speranza di riaverlo.” E poi vengono i cinque capolavori. Mrs Dalloway (1925), To the Lighthouse (1927), Orlando (1928), The Waves (1931), The Years (1937) e Between the Acts, pubblicato postumo. l’ironica minaccia bonaria ai discepoli, forse meno attenti del previsto, ce lo rivela invece immerso in attentissima rilettura: Mi duole per voi, ma dovrò parlarvi con una certa insistenza di ciascuno di essi. Me li sono riletti tutti adesso, e ne sono abbagliato. Scrivo per mio piacere e forse vi farò leggere soltanto un sunto che farò per non rubare troppo tempo alle vostre occupazioni.33 le lezioni di letteratura inglese si concludono nel gennaio 1955: alla fine del 1954 si toccano i narratori contemporanei. Sarebbe suggestivo sostenere che la rilettura di tutta l’opera di Woolf si traduca in quel momento “verso la fine del 1954” in cui “lampedusa prende a scrivere il primo capitolo della sua opera”.34 lettura e stesura sono comunque vicine nel tempo, e le note per le lezioni sono esplicitamente motivate da un interesse personale, dal piacere che Tomasi deriva leggendo una scrittrice di “insinuante malìa”, allo stesso tempo coltissima, capace di leggerezza e crudeltà, non piagnucolosa, “un’artista di importanza europea, un grande poeta”.35 Sebbene Tomasi avesse tra le mani Fifty Years of English Literature 1900-1950 di R. a. Scott-James per la sezione sui contemporanei,36 l’analisi dei 170 testi woolfiani offre una serie di giudizi critici tanto più rilevanti quanto più vicini ai propri particolari interessi. È possibile enuclearne alcuni passi sintomatici: di Mrs Dalloway osserva che è la narrazione di dodici ore in un giorno di giugno: “un periodo completo di vita luminosa, vita mostrata in un singolo giorno, […], mostrata come un campione di eternità”.37 Di To the Lighthouse coglie attraverso il banale tema della gita in barca, e la scialba, implacabilmente monotona esistenza della famiglia, punteggiata da futili conversazioni, i segnali indicatori del “lento, inavvertito insinuarsi della morte”38 che sempre si approssima, come la destinazione prevista da un orario ferroviario. Orlando è apprezzato per lo stupefacente effetto di concentrazione dei costumi secolari inglesi in un unico personaggio, che incarna la “inscindibile unità fra una generazione e l’altra, all’infinito”: osserva che il metodo abituale “delle piccole immagini interiori ricollegate”39 funge da impalcatura per un testo che può apparire, al contempo, come narrativa fantastica, satira, e descrizione di costume. Tomasi passa quindi a The Years: e qui, anche se il debito con R. a. Scott-James è del tutto documentato, occorre rilevare come il discorso critico persistentemente si orienti verso quegli elementi tematici e di metodo che presto verranno affrontati nel suo romanzo. a me [The Years] sembra il più penetrantemente poetico di tutti. Sono episodi staccati di quattro momenti della vita di una famiglia, dal 1880 ad oggi. ben s’intende non momenti cruciali ma momenti qualsiasi, carichi però come sempre di una celata fatalità.40 Nel caso del giudizio su The Years è possibile risalire direttamente al testo di R. a. Scott-James, come ci viene diligentemente mostrato dalla “Premessa”, che documenta la transizione da Fifty Years of English Literature 1900-1950 alle pagine di Letteratura inglese e infine il riversarsi del tema del tempo nel Gattopardo e nell’episodio della morte di Don fabrizio.41 Il critico inglese sottolineava in The Years il graduale svuotarsi della casa dei Pargiter, un tempo abitata, le impressioni transitorie e ripetitive suggerite dal costante operare di un orologio, e infine “the recurrence of death and the dissolution of families”42 che per Tomasi si traducono nell’orologio a sabbia e nella pendola che segnano la coscienza della fine per Don fabrizio, tanto come individuo quanto come ultimo esponente di una grande famiglia. Il curatore 171 giustamente rileva che Tomasi “nell’illustrare il concetto del tempo in Virginia Woolf scoprirà il ritmo che accompagna la morte di Don fabrizio”.43 Di Between the Acts infine Tomasi rileva la natura di pageant fantastico, una specie di moderno Midsummer Night’s Dream che ha luogo in un caldo pomeriggio d’estate: nota l’uso “dei materiali più dimessi”, nota l’assenza di veri e propri “protagonisti” su cui la scrittura indugi, in un livellarsi tra gli abitanti della “vecchia e bella casa di campagna”44 e i meschini attori che contribuiscono alla impennacchiata messinscena. Inoltre osserva che “il tutto [è] espresso per mezzo di immagini interiori di visioni e di suoni che schiudono lunghe prospettive psicologiche”,45 il che indica un’attenzione specifica al metodo che permette di superare le assiologie del realismo e i punti di fuga del resoconto storico. E’ evidente, dalle lezioni di letteratura inglese, che il fattore che stimola l’indagine sulla Woolf e sul suo metodo narrativo non è orientato verso il metodo dello storico, ma piuttosto verso la questione del tempo, che ne contiene tutte le rappresentazioni, tempo moderno, ben distinto dal tempo della memoria, dal temps passé di Proust, ma piuttosto continuo scorrere di atomi e ticchettìo dell’orologio vitale, flusso eterno e limitata serie di istanti. Nei romanzi della Woolf Tomasi trova il tempo degli orologi, quello delle stazioni ferroviarie e quello del battito irremissibile delle onde, che l’autrice empiricamente fissa in diagrammi simili a quelli che dicono la febbre del malato. Nozione che risponde alla condizione umana più congeniale allo scrittore moderno: “la nostra epoca attuale è divenuta sensibilissima al Tempo che continuamente udiamo rombare come il frastuono della cascata che ci inghiottirà e verso la quale, senza scampo, fluiamo”.46 Insieme al tema del tempo, decantato in orologi e clessidre, Tomasi risponde al tema della mutevole identicità delle generazioni, e della famiglia umana, modernamente colta nella sua darwiniana prevedibilità, il che farà del Gattopardo un romanzo intessuto di osservazioni che riguardano il futuro dei personaggi, dei luoghi che essi abitano, e del progresso tecnologico, osservazioni tanto frequenti quanto quelle che ne raccolgono frammenti di passato. la complessa nozione di tempo e l’immutabile varietà delle generazioni si ancorano, tanto per Woolf come per Tomasi, alla immagine e nozione di casa, sia quando essa è abitata da una famiglia, 172 visitata da ospiti e amici, ma anche quando è vuota, venduta, disabitata e abbandonata alla lenta devastazione degli agenti atmosferici. la casa di Mrs Dalloway è il luogo dove si terrà, a fine giornata, una grande festa con ospiti illustri, durante la quale si ode l’annuncio, mondanamente casuale, della morte di un giovane paziente; in To the Lighthouse la casa è dapprima il luogo di molte estati che vedono la famiglia al completo, poi ambiente chiuso e vuoto, invaso da sabbia e ragnatele, e infine luogo dove i vivi ritornano con i loro cari fantasmi; in Orlando la casa è la gloria tangibile della famiglia e del suo passato illustre, che il tempo moderno espropria per farne un sito visitato da turisti; in The Years è l’immagine di una casa un tempo occupata, ora vuota e in affitto; in Between the Acts è Pointz hall, vecchia e bella casa di campagna ma sulla quale si scorgono già le nere sagome dei bombardieri tedeschi in volo. Il tema della casa, che nei brevi esempi dati evidenzia quanto rilevante possa essere l’arte della Woolf all’esperienza personale di Tomasi e alla creazione del Gattopardo, funziona come un contenitore atto a ospitare le diverse misure del tempo prescelte dai due scrittori. E’ l’oggetto per eccellenza, sempre magicamente vivo e presente, anche quando perduto e in rovina. E la casa è per Tomasi (così come la casa dell’infanzia e la casa delle vacanze per Woolf, e la casa a Tavistock Square distrutta da una bomba nel 1940) un fantasma così inquietante che, per placarlo, abbandona la stesura del romanzo nel giugno 1955, per stendere i suoi “Ricordi d’infanzia” dove il distrutto Palazzo lampedusa a Palermo, la casa di S. Margherita, con i cortili e il giardino, sono amorosamente e minuziosamente descritti con tutti i loro oggetti, mobili e arredi, e le luci i suoni gli odori che un tempo contenevano.47 anche i “Ricordi d’infanzia”, in modo ancor più tangibile che le lezioni di letteratura inglese, straripano per ogni dove nel romanzo. Infatti mobili e oggetti “vengono incontro a due esigenze primarie: a) ritrovare gli oggetti amati e ahimé perduti; b) fornire un materiale di base per la parte centrale del Gattopardo”.48 Resta tuttavia da chiarire un ultimo punto. Dalla lettura critica dei romanzi maggiori della Woolf, stranamente cade, si perde, è tralasciata l’opera The Waves, che pure era stata inizialmente citata come uno dei cinque capolavori. Ci chiediamo il perché di questa dimenticanza, se intenzionale o involontaria, e forse la risposta sta nel giudizio di Tomasi su Elizabeth bowen, poche pagine dopo, dove si legge che l’autrice in un saggio critico fa esplicito riferimento ai suoi 173 maestri, che nomina, “ma come sempre in questi casi cela il suo vero modello”.49 forse questo esile filo giustifica quanto si espone qui di seguito, riguardo all’esclusione di The Waves dall’attenta disamina delle maggiori opere woolfiane. Non che il romanzo funga da modello per il Gattopardo: il suo formidabile e arduo sperimentalismo è inimitabile, e frutto di una condizione dello scrivere cui si approda dopo una serie di prove diverse, che sono anche i romanzi già presi in considerazione. Tra il 1929 e il 1931 Woolf concepisce un’opera che dia conto del moderno conflitto epistemologico tra verità poetiche e verità scientifiche, tra la verità (e tempo) della umana natura e il perdurare (e tempo) della natura, ad essa insensibile.50 la vicenda è narrata in otto parti, separate da nove interludi dove non i personaggi appaiono, ma la descrizione del ciclo del giorno e della notte, dal momento in cui l’alba preannuncia la luce, sulla riva del mare battuta dal ritmo uguale delle onde, sino al mezzogiorno, e quindi al suo declinare nel pomeriggio e nell’oscurità. I personaggi, sin dalla prima infanzia, esistono lungo un loro ciclo vitale, eppure anche come oggetti immobili, colti dal moto delle onde che li attraversano, ma senza spostarli. fin dall’infanzia il carattere dei sei personaggi di The Waves è distinto e fissato, e sebbene il loro vivere sembri governato dalla progressione cronologica, la loro natura profonda e personalità tornano al passato, perché in realtà nulla accade loro che non fosse già presente dall’infanzia. In questo schema di movimento e sostanziale fissità, i sei personaggi, tre uomini e tre donne, sono individuati come parti diverse di un fregio continuo, secondo un ritmo cadenzato, e non secondo una trama. le qualità che li distinguono si dispongono su uno spettro iridato di colori diversi, passibili d’analisi tanto scientifica quanto poetica. alcuni di loro brillano di luce infrarossa, calda, sensuale, altri occupano la parte centrale dello spettro, e altri infine sono freddi, vespertini, cupamente ultravioletti. la luce degli interludi ne è il correlativo. Così disposti, i personaggi femminili sono Jinny, allegra e sensuale, narcisisticamente innamorata del suo corpo; Susan, possessiva, gelosissima, tradizionalista, nata per sposarsi e per essere madre; Rhoda, fuori posto ovunque, incapace di fronteggiare la realtà. Tra i personaggi maschili, louis viene dall’australia ed è considerato rozzo, e sebbene abbia ambizioni culturali sarà destinato a far soldi nel commercio; bernard è consapevole, colto, acuto osservatore di se stesso e dei destini altrui, 174 scrutatore delle stelle; Neville è uno studioso, un flebile esteta innamorato dei suoi compagni. Tutti e sei, in vario modo, saranno innamorati di Percival, un solare, radioso e apollineo compagno di scuola che li tiene avvinti con il suo fascino e scompare con una morte del tutto casuale. Nove scene li vedono dapprima bambini in un giardino, Elvedon, dove louis spia gli amici da dietro una siepe; Jinny lo trova e lo bacia; Susan li vede ed è gelosa; bernard se ne accorge e vuole consolarla; Rhoda è persa nel suo mondo immaginario e Neville va in cerca di bernard. Negli episodi successivi, narrati più come quadri staccati che in modo cronologicamente sequenziale, i sei affrontano la vita scolastica, e conoscono Percival. Il sole sale verso lo zenith e le vite adulte dei personaggi hanno inizio. Jinny ha un’intensa vita sessuale; Susan è passionale moglie e madre; Rhoda vorrebbe imitare entrambe, ma fallisce e si toglie la vita. bernard si sposa, lavora, immagina storie, louis lavora nella City, Neville accetta la sua inclinazione omoerotica, e vuole diventare un “don” all’università. quando Percival muore, inizia la parabola discendente. alla fine si incontrano tutti a hampton Court, invecchiati e segnati dal tempo, eppure sempre uguali a se stessi, ai loro colori, alla loro lunghezza d’onda. In un ultimo soliloquio bernard, il raccontatore di storie, traccia per ciascuno di loro una parabola vitale in cui, a dispetto della storia, “of story, of design, I do not see a trace”.51 Ma se non ci sono storie, “what end can there be, or what beginning? life is not susceptible perhaps to the treatment we give it when we try to tell it”.52 bernard deve riconoscere il mistero della vita, ammettere che ogni spiegazione è illusoria poiché in realtà tutto sfugge ed è lontanissimo, come “the light of the stars falling, as it falls now, on my hand after travelling for millions upon millions of years”53: luce fredda e misteriosa che bernard connette alla sconfitta dinnanzi alla natura, e alla morte, “what is unescapable in our lot; death; the knowledge of limitations; how life is more obdurate than one had thought it”.54 Il soliloquio di bernard si chiude nella solitudine e nel momento finale della morte, quando ode il rombo della cascata, “the shock of the falling wave which has sounded all my life”55 e l’onda lo inghiotte, insieme al disgusto per le briciole, i fazzoletti sporchi, il sordido soffrire patito e inflitto. E’ opinione di chi scrive che The Waves, il lavoro della Woolf annunciato ma non presentato da Tomasi ai discepoli, contenga ele175 menti suggestivi, che strutturano il mondo socialmente deterministico e insieme fondamentalmente avverso all’idea di storia del Gattopardo, con il suo svolgersi ineluttabile nel e contro il tempo. Sei personaggi bastano a coprire uno spettro di umanità vario ma coeso, e tale da conferire solidità formale e struttura al racconto, senza disperderlo nelle molte figurine di un affollato affresco storico. Susan è il tipo della Principessa Stella, madre e moglie gelosissima, Jinny è la sensuale angelica; Rhoda è Concetta, dalla personalità incerta se non nella negazione di tutto, non concretamente suicida alla fine, ma consapevole di essere stata a sé nemica; a questa triade femminile corrisponde quella dei personaggi maschili. Neville, lo studioso freddo e insieme infervorato da sotterranee passioni, è padre Pirrone; l’australiano louis, dalla pronuncia volgare, destinato al commercio, è Calogero Sedara; e infine bernard, lo “story teller” personaggio centrale e scrutatore delle stelle, è il principe Don fabrizio. a lui nella parte finale è affidato il redde rationem delle vite che crede di aver guidato o assecondato, ma che forse in realtà – ed egli ne è ben consapevole – hanno risposto sin dall’inizio e sempre ad una propria ineluttabile conformazione. E infine a Tancredi spetta il ruolo solare e centrale di Percival: a lui tutti guardano, con amore, possesso, invidia, infatuazione. questa ipotesi non vuole sminuire la portata dell’ispirazione che guida Tomasi verso la selezione dei suoi personaggi, e l’impalcatura che ne governa le vite nel suo romanzo, ma semmai rendere tale scelta più problematica suggerendo la complessità epistemologica che i nessi con The Waves lasciano immaginare. Dalle lezioni di Letteratura inglese e particolarmente dalla contemporanea Virginia Woolf, Tomasi trae una varietà di stimoli e soluzioni narrative che lo portano a dialogare con la scrittrice che più d’ogni altro si era avventurata nei mari estremi della narrazione, tra lo Scilla e Cariddi della nozione di tempo e della nozione di personaggio. 1 Italo Calvino, “Tre correnti del romanzo italiano d’oggi” [1959], in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Torino, Einaudi, 1980, pp. 46-57. 2 Ibid., p. 53. 3 Ibid. 4 Intervista rilasciata da Elio Vittorini nello stesso anno a Il Giorno, 24 febbraio 1959: si veda andrea Vitello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il Gattopardo 176 segreto. Nuova edizione riveduta e aggiornata, Palermo, Sellerio, 2008, p. 337, e particolarmente il capitolo sulle traversie editoriali de Il Gattopardo, “alla ricerca di un editore”, pp. 340-373. 5 Tomasi di lampedusa, Giuseppe, Letteratura inglese, a cura di Nicoletta Polo in Gioacchino lanza Tomasi, in Tomasi di lampedusa, G., Opere, Milano, Mondadori, 2006, pp. 617-1421. 6 Polo, N., “Cronologia”, p. lXV, in Tomasi di lampedusa, G., Opere, pp. lXI-lXVI. 7 lanza Tomasi, G., “Premessa”, pp. 5-6, in Tomasi di lampedusa, G., Opere, pp. 5-25. 8 Polo, N., “Cronologia”, p. lXV, in Tomasi di lampedusa, G., Opere, pp. lXI-lXVI. 9 lanza Tomasi, G.,“Introduzione”, p. XlVI, in Tomasi di lampedusa, G., Opere, pp. XV-lVIII. 10 Ibid., p. XlV. 11 Ibid. 12 lanza Tomasi, G., “Premessa” a Letteratura inglese, in Tomasi di lampedusa, G., Opere, pp. 619-669, p. 667. 13 lanza Tomasi, G., “Premessa” a Letteratura inglese, in Opere, p. 654. f. Orestano, “Magic lantern, Magic Realism. Italian Writers and Dickens, from the End of the XIX century to the 1980’s” in Michael hollington, ed., Charles Dickens, The Reception of British Authors in Europe Series, Continuum Press, forthcoming. 14 Ibid., p. 652. 15 Così si firma nelle lettere da londra: si veda G. Tomasi di lampedusa, Viaggio in Europa. Epistolario 1925-1930, a cura di G. lanza Tomasi e Salvatore Silvano Nigro, Milano, Mondadori, 2006. 16 Tomasi di lampedusa, G., Letteratura inglese in Opere, p. 1113. 17 Pontiggia, Elena, a cura di, Massimo Bontempelli: Realismo Magico e altri scritti sull’arte, Milano, abscondita, 2006. 18 Vitello, a., Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il Gattopardo segreto, p. 110. 19 Parkinson zamora, lois, Wendy b. faris, eds., Magical Realism: Theory, History, Community, Durham and london, Duke University Press, 2003. 20 Tomasi di lampedusa, G., Il Gattopardo, in Opere, p. 225. 21 Ibid., p. 265. 22 francesco Orlando, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura: rovine, reliquie, rarità, robaccia, luoghi inabitati e tesori nascosti, Torino, Einaudi, 1994; Obsolete Objects in the Literary Imagination. Ruins, Relics, Rarities, Rubbish, Uninhabited Places, and Hidden Treasures, trad. G. Pihas, D. Seidel, a.Grego, New haven and london, yale University Press, 2006. 23 Oltre all’amorosa raccolta di reperti che confluisce nel Museo Internazionale delle Marionette di Palermo, ricordo di antonio Pasqualino lo studio Le vie del cavaliere: dall’epica medievale alla cultura popolare, Milano, bompiani, 1992. 24 lanza Tomasi, G., “Premessa” a Letteratura inglese, in Tomasi di lampedusa, G., Opere, pp. 619-669, p. 654. 177 25 Ibid., p. 651. Ibid., p. 645. 27 lanza Tomasi, G., “Premessa” a Il Gattopardo, in Tomasi di lampedusa, G., Opere, pp. 5-25 e p. 7. 28 Ibid., p. 7. 29 Tomasi di lampedusa, G., Letteratura inglese in Opere, pp. 1342-1349. 30 Ibid., p. 1342. Corsivi dell’autore. 31 Ibid. Corsivo dell’autore. 32 Ibid., p. 1344. 33 Ibid., p. 1345. 34 a. Vitello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il Gattopardo segreto, p. 321. 35 Ibid., p. 1349. 36 R. a. Scott-James, Fifty Years of English Literature 1900-1950, london, longmans, Green, 1953. 37 Tomasi di lampedusa, G., Letteratura inglese in Opere, p. 1345. 38 Ibid., p. 1346. 39 Ibid. 40 Ibid., p. 1347. 41 lanza Tomasi, G., “Premessa” a Letteratura inglese, in Tomasi di lampedusa, G., Opere, pp. 660-662, “Manipolazioni”. Il passo è in Il Gattopardo, parte settima, p. 231. 42 lanza Tomasi, G., “Premessa” a Letteratura inglese, in Tomasi di lampedusa, G., Opere, p. 661. 43 lanzaTomasi, G., “Premessa” a Letteratura inglese, in Tomasi di lampedusa, G., Opere, p. 650. 44 Ibid., pp. 1347-1348. 45 Tomasi di lampedusa, G., Letteratura inglese in Opere, p. 1348. 46 Tomasi di lampedusa, G., Letteratura inglese in Opere, p. 1349. 47 Tomasi di lampedusa, G., “Ricordi d’infanzia”, in Opere, pp. 429-485. 48 lanza Tomasi G., “Premessa”a I racconti, in Tomasi di lampedusa, G., Opere, pp. 413-428, p. 423. 49 Tomasi di lampedusa, G., Letteratura inglese in Opere, p.1351. Tomasi osserva che bowen cita flaubert, Cechov, James e la Woolf, ma omette di proposito di menzionare kipling. 50 Si veda f. Orestano, “Virginia Woolf, The Waves and the Discourse of knowledge. a Dialogue between the Resolved Soul and Created Pleasure”, in Textus, XVI (2003), pp. 335-382. 51 Virginia Woolf, The Waves [1931], ed. with Introduction and Notes by Gillian beer, Oxford, Oxford University Press, 1992, p. 200. 52 Ibid., p. 223. 53 Ibid. Si veda anche h. henry, Virginia Woolf and the Discourse of Science. The Aesthetics of Astronomy, Cambridge, Cambridge University Press, 2003. 54 Ibid., p. 224. 55 Ibid., p. 243. 26 178