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Cinzia Colaiuda
Le politiche linguistiche
del Consiglio d’Europa
Per una didattica del plurilinguismo
Prefazione di
Stefania Cavagnoli
Aracne editrice
www.aracneeditrice.it
[email protected]
Copyright © MMXIX
Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale
www.gioacchinoonoratieditore.it
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via Vittorio Veneto,
Canterano (RM)
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di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
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senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: settembre
Indice
Prefazione
di Stefania Cavagnoli
Introduzione
Capitolo I
Il plurilinguismo in Europa
.. Politiche linguistico–educative del Consiglio d’Europa (–),
– .. Multilinguismo e politiche educative dell’Unione Europea, –
.. Per un’educazione al plurilinguismo, .
Capitolo II
Globalizzazione delle politiche linguistiche
.. Education policy e language planning, – .. Politiche linguistico–
educative del Consiglio d’Europa (– ), – ... Language Policy
Division del Consiglio d’Europa, – ... Educazione plurilingue ed interculturale, – ... Approcci globali e olistici all’educazione linguistica, –
... Approccio sistemico all’implementazione delle politiche linguistiche, –
.. Piramidi linguistiche, .
Capitolo III
Lingua e identità
.. Politiche linguistico–educative del Consiglio d’Europa (–),
– ... Verso un framework delle lingue di scolarizzazione, – ... Dimensione etica e valoriale dell’educazione linguistica, – .. Identità di
sabbia, .
Capitolo IV
Interdisciplinarità e plurilinguismo
.. Politiche linguistico–educative del Consiglio d’Europa (–),
– ... Dal CEFR alla Platform of resources, – ... Convergenza e coerenza
curricolare, – .. Multilinguismo e interdisciplinarità, .
Indice
Capitolo V
Equità e qualità dell’istruzione
.. Politiche linguistico–educative del Consiglio d’Europa (–),
– ... Equità e qualità per l’inclusione, – ... Lingue di scolarizzazione
e successo formativo, – .. Per una pedagogia del plurilinguismo, .
Capitolo VI
Plurilinguismo e lingue di minoranza
.. Identità nazionali e minoranze linguistiche, – .. Le lingue
di minoranza nei documenti del CoE, – ... European Charter for
Regional or Minority Languages, – ... Framework Convention for the
Protection of National Minorities, – .. Le minoranze linguistiche
in Austria, – .. Minoranze linguistiche storiche in Italia, –
.. Il bilinguismo in Irlanda, – .. Language shaming e diversità
linguistica, – .. Diritti umani e diritti linguistici: la fine di un
impero?, .
Capitolo VII
Plurilinguismo e nuove minoranze
.. Le nuove minoranze nei documenti del CoE, – .. Linguistic
Integration of Adult Migrants (LIAM), – .. L’ELP per l’integrazione
dei migranti adulti in Austria, Italia e Irlanda, – .. L’ELP per l’integrazione scolastica in Austria, Italia e Irlanda, – .. Per un’ecologia
delle società multiculturali, .
Capitolo VIII
Lo spazio della narrazione
.. Literacy Engagement Framework: la costruzione di identity texts, –
.. Glocalizzazione delle politiche linguistico–educative del CoE, –
.. Contingenza e narrazione, .
Capitolo IX
Prospettive di ricerca
.. Analisi diacronica e sincronica, – .. Ontologia della diversità e
ontologia della contingenza, – .. Per una riforma del pensiero, .
Conclusioni
Acronimi
Indice
Bibliografia
Sitografia
Prefazione
di S C∗
Nel mondo globalizzato le lingue ed il loro insegnamento sono (diventate) centrali. E non solo per motivi funzionali, legati al poter studiare
e lavorare in paesi diversi dal proprio. Per molte persone, soprattutto
giovani, la dimensione europea è prevalente su quella nazionale. Ci si
sposta per studiare meglio, per lavorare in ambiti diversi, per motivi
personali. E sebbene sia l’inglese la lingua franca, quella che si deve
conoscere ed usare, lingua che è lo strumento di sopravvivenza, vivere
in paesi diversi necessariamente porta alla considerazione e all’uso di
molte altre lingue.
Cambiando il loro ruolo, è cambiato necessariamente anche il loro
insegnamento e le esigenze dei/delle parlanti. Ed è cambiato anche il
significato di plurilinguismo.
Nel Baetens Beardsmore definiva il bilinguismo (con significato di plurilinguismo) in questo modo: « Bilingualism is a double
necessary or optional means of effective communication between two
or more different “worlds” using two language system ». E ancora: « A
state of the individual in which he or she has access to the use of more
than one linguistic code; this accessibility includes a large number
of non linguistic factors (. . . ); the degree of access one has to each
linguistic code can vary among bilinguals on a number of dimension »
(, p. ).
Ma forse la considerazione che maggiormente si condivide, al di là
di ogni definizione letterale, è quella che considera la parola “bilinguismo” « as a term has open-ended semantics » (, p. ). Moltissime
sono infatti le definizioni ed i tentativi di limitare con le parole il fenomeno che di lingue e parole si sostanzia. Molti gli usi sinonimici, o
impropri, secondo alcune definizioni. In italiano si preferisce parlare
di plurilinguismo, in lingua inglese di multilinguismo, termine che
∗
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.
Prefazione
viene utilizzato in moltissimi documenti dell’Unione europea e delle
sue istituzioni anche nella corrispondente versione italiana.
La competenza plurilingue viene intesa in diversi modi, più o
meno ampi, più o meno comprensivi. Certo è che dai documenti del
Consiglio d’Europa, e a partire dal Libro Bianco della Commissione
europea, del , il significato di plurilinguismo si è ampliato ed è
andato sempre più in senso inclusivo e asimmetrico. Mentre un tempo
il bilingue era una persona con pari competenza in due o più lingue,
oggi la persona plurilingue è colei che, nel suo repertorio linguistico,
possiede più lingue anche in modo asimmetrico.
Il Consiglio d’Europa, oggetto dello studio qui presentato, ha sempre messo al centro la questione delle politiche linguistiche e del
rispetto della diversità delle e dei parlanti. Il suo piano di azione, negli
anni, è stato sia in senso dichiarativo che in senso pragmatico, con
individuazione di strumenti concreti per aiutare gli operatori e le
operatrici dell’educazione a realizzare quanto proposto.
Le necessità delle politiche linguistiche, oltre a basarsi su teorie
e paradigmi teorici, partono da esigenze concrete; una fra tutte, la
questione dell’immigrazione e della differenziazione della società. Le
lingue, in quanto portatrici di identità e strumento di costruzione
di nuove identità, sono determinanti e costituiscono una delle vie,
forse la più naturale e in parte più semplice, per l’apprendimento e
l’educazione, anche politica e sociale.
Il volume di Cinzia Colaiuda affronta in tal senso il tema del ruolo
del Consiglio d’Europa, centrale nella politica linguistica, con i suoi
interventi, a partire dal per arrivare fino ad oggi. Nell’analisi
si mette al centro il confronto puntuale fra alcuni paesi europei, a
sostegno delle politiche linguistiche a diversi livelli, partendo da quello
internazionale per scendere a quello locale attraverso quello nazionale.
Dal punto di vista dell’analisi sincronica, invece, analisi che completa il lavoro dell’autrice, al centro sono poste le riforme curricolari
degli stati considerati: Austria, Italia, Irlanda. I tre paesi, che rappresentano lingue diverse ed uno spaccato sociale, economico, educativo
differenziato, forniscono gli spunti per un’analisi futura più allargata,
che segua però la stessa valida impostazione di questo volume.
Dal punto di vista diacronico la ricerca è suddivisa in periodi, così
individuati:
Prefazione
a) dal al , gli anni della tutela delle minoranze linguistiche storiche e del tema dell’immigrazione con conseguente
integrazione degli/delle stranieri/e;
b) dal al , gli anni della pubblicazione del Quadro Comune Europeo di riferimento per le lingue straniere, che hanno
segnato un cambio di paradigma, non solo in glottodidattica,
ma anche nella considerazione delle politiche linguistiche;
c) dal al anni centrali su cui si è investito molto, modificando l’idea di plurilinguismo, a partire dal progetto Languages in Education. Languages for Education, basato sull’idea
dell’approccio sistemico;
d) dal al con la pubblicazione del Companion Volume wuth new Descriptors e il passaggio alla Education Policy
Division.
In tale analisi, confortata di studi precisi sugli strumenti adottati dai
tre paesi scelti per la ricerca (Italia, Austria, Irlanda), si vede come si
è passati, o si sta passando, da una politica linguistica ad una politica
educativa, nel senso della trasversalità delle lingue e del loro ruolo
nella costruzione e nella condivisione del sapere.
Tali tendenze sono supportate dalla confluenza della Language
Policy Division in Education Policy Division, alla cui base c’è la concenzione degli approcci inclusivi in educazione. Questo passaggio
è supportato, nella ricerca, dalla rilevazione del cambio dei metodi
didattici, a livello di Consiglio d’Europa e di conseguenza a livello di
glottodidattica almeno europea.
Tali modifiche conducono necessariamente a modifiche degli approcci, considerati come le teorie di riferimento non solo in ambito
linguistico, ma pedagogico, didattico, antropologico, filosofico; cambiando gli approcci necessariamente cambiano le esigenze della formazione insegnante e della prassi didattica nelle classi. Il tema della
formazione insegnanti è determinante per una trasformazione possibile all’interno delle istituzioni educative, indipendentemente dalla
classificazione delle agenzie di riferimento (scuole, università, scuole
di lingue, istituzioni).
I cambiamenti hanno bisogno di punti di riferimento, come possono essere i documenti, le azioni di politica linguistica e gli strumenti
messi a disposizione dal COE. L’idea, sostenuta dall’autrice, che le
Prefazione
politiche linguistiche ed educative del COE costituiscano una specie
di soft law è condivisibile; gli interventi si muovono su due livelli,
quello sociale, che considera l’inclusione, il rispetto delle minoranza,
vecchie e nuove, con l’obiettivo di un clima di pace e di stabilità; e
quello scolastico, che si pone l’obiettivo di fornire un’istruzione di
qualità, utilizzando la/le lingua/e di origine come ponte cognitivo
per costruire ulteriore sapere linguistico e culturale ed evitando così l’omologazione. Le linee guida e gli strumenti proposti dal COE
costituiscono un quadro di riferimento entro il quale muoversi con applicazioni differenziate a seconda dei paesi e dei contesti, mantenendo
però un’uniformità di base, un “codice” di riferimento.
Fra gli strumenti individuati dall’autrice, va posto in evidenza quello
della autobiografia linguistica. Se davvero le politiche linguistiche
sono politiche educative, con un raggio di azione maggiore e più
inclusivo, il partire da sé, il mettere davvero al centro l’apprendente in
quanto persona, con la sua storia spesso plurilingue, potrebbe davvero
essere la via per cambiare la didattica linguistica, passando da un
insegnamento ad un apprendimento/acquisizione in cui chi impara si
assume la responsabilità del suo percorso formativo, considerando e
sfruttando allo stesso tempo le sue conoscenze pregresse, le sue lingue
di riferimento. La via, indicata dal COE con lo strumento del CARAP
e degli approcci plurali, può essere considerata la vera innovazione
di questi anni, via che considera la realtà plurilingue di molti paesi
europei e non.
Il lavoro lancia alcuni punti di approfondimento per un’ulteriore
ricerca futura. Sicuramente la ripresa dell’analisi del Companion aprirebbe un confronto su metodi, indicatori e valori di riferimento, così
come voler indagare il lavoro delle singole scuole, in un approccio
bottom up, confrontato con le indicazioni di soft law del COE.
Introduzione
La morfologia delle società occidentali ha subito negli ultimi decenni
una metamorfosi radicale dovuta alla diffusione della logica di rete. La
nascita di organizzazioni sociali estremamente complesse, costituite
da una serie infinita di nodi interconnessi, ha coinvolto la struttura
ontologica dell’esperienza umana ridefinendo l’architettura degli spazi
relazionali e favorendo la creazione di sistemi dinamici e aperti.
Parlare oggi di educazione linguistica implica la considerazione
della complessità dei processi di globalizzazione in atto, all’interno dei
quali nascono, crescono e si sviluppano politiche educative sempre più
interrelate che presuppongono, a livello politico nazionale ed europeo,
la dimensione transnazionale in cui si collocano oggi le nuove istanze
educative e pedagogiche.
Negli ultimi decenni esse sono state svuotate del loro tradizionale valore e sono state assoggettate alla logica dominante dei nuovi
imperialismi educativi, connotati dai principi globalizzanti della misurazione, della quantificazione e della comparazione dei risultati
suddivisi in rigidi ambiti disciplinari, i cui confini sono stati ulteriormente marcati attraverso un’accurata definizione e classificazione di
competenze settoriali, considerate come elementi imprescindibili per
l’integrazione nella società ipercomplessa .
Partendo dal presupposto che la scuola, in quanto istituzione sociale, è influenzata da molteplici fattori derivanti da politiche socio–
economiche e culturali che interessano la società non solo a livello
globale ma anche glocal , si tratta oggi di uscire dagli schemi insiti nelle
consuete prospettive d’analisi del riduzionismo acritico per abbracciare l’ottica della complessità, un’ottica che fa dunque riferimento ad
. Per una definizione del concetto di ipercomplessità si rimanda al seguente testo, E.
M, Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida della complessità,
Sperling & Kupfer, Milano , pp. –; pp. –.
. H.–D. M, A. B (a cura di), PISA, power, and policy: the emergence of global
educational governance, Symposium Books Ltd, Oxford , p. .
Introduzione
« una parola problema e non una parola soluzione » e presuppone un
approccio globale d’analisi.
È necessario osservare da questa prospettiva la molteplicità e pluralità del reale in cui si realizzano le esperienze educative, in quanto
l’accettazione della sfida posta dalla complessità implica la volontà di
non cercare leggi universalmente valide attraverso il pensiero semplificante, ma di cogliere nel principio di incertezza la forza propulsiva
che domina la percezione e la comprensione della realtà .
A fronte della complessità che caratterizza la società ipercomplessa,
le nuove dinamiche educative, che scaturiscono dai processi economici, sociali e tecnocratici messi in moto dai pervasivi processi di
globalizzazione della conoscenza, si configurano da un lato come
utopistica promessa di una maggiore eguaglianza nell’accesso e nella
fruizione delle informazioni e dei saperi; dall’altro, stanno producendo nuove forme di esclusione sociale e di emarginazione culturale
attraverso il consolidamento di gerarchie e gruppi sociali dominanti
generati da dinamiche autopoietiche di inclusione–esclusione .
Di certo la globalizzazione, che può essere considerata come la fase
più estrema e dirompente della modernità, non può aver prodotto da
sola queste nuove forme di disuguaglianza e di emarginazione sociale,
ma semmai l’istituzionalizzazione delle ideologie ad essa sottese ha
contribuito a radicalizzarla producendo processi di ibridazione culturale, di frammentazione sociale e di « deterritorializzazione » delle
identità culturali.
Queste nuove forme di non equità sociale e di smarrimento dei
territori ancestrali si nutrono del clima di insicurezza e incertezza
generato dalla globalizzazione e dalla estrema fluidità dei rapporti
. E. M, Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida della
complessità, cit., pp. –; pp. –; pp. –.
. « Il pensiero complesso aspira alla conoscenza multidimensionale, ma è consapevole
in partenza dell’impossibilità della conoscenza completa: uno degli assiomi della complessità è l’impossibilità, anche teorica, dell’onniscienza. Il pensiero complesso fa proprio il
motto di Adorno “la totalità è la non–verità”, motto che comporta il riconoscimento di un
principio di incompletezza e di incertezza. Ma il suo principio comporta anche il riconoscimento dei legami tra entità che il nostro pensiero deve necessariamente distinguere ma
non isolare », Ivi, p. .
. P. D, Dentro la società interconnessa. Prospettive etiche per un nuovo ecosistema
della comunicazione, FrancoAngeli, Milano , pp. –.
. F. R, B. L, Globalizing Education Policy, Routledge, Abingdon , p. .
Introduzione
umani, resi sempre più fragili dal dilagare dell’individualismo e dagli
effetti delle grandi ondate migratorie che hanno portato, a loro volta,
a nuove forme di povertà educativa e di analfabetismo funzionale.
A ciò contribuiscono anche fenomeni di emarginazione e di disuguaglianza sociale che scaturiscono dalla cosiddetta network society,
nella quale la mobilità reale e virtuale delle persone, l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e la garanzia del diritto di accesso
ad internet possono essere sinonimo di inclusione–o viceversa di
esclusione–all’interno delle grandi reti globali produttrici di nuove
forme di conoscenza .
Nel settore strategico dell’istruzione la mobilità internazionale e
le nuove tecnologie rappresentano una forma di tutela del principio
di equità e uguaglianza nell’accesso e fruizione delle informazioni.
Non costituiscono però una condizione sufficiente per garantire il
raggiungimento di tale obiettivo se non sono correlate all’acquisizione
di specifiche competenze trasversali indispensabili per “governare” la
complessità del sistema–mondo.
In questi nuovi scenari, l’educazione linguistica è in grado di trasmette quelle competenze che sono oggi necessarie per accedere a nuove
forme di sapere e di conoscenza spesso co–create nella dimensione immateriale della rete, nonché per raggiungere i più alti livelli d’istruzione
contribuendo alla piena integrazione sociale degli individui all’interno
dei complessi sistemi economici, sociali e politici prodotti dalla globalizzazione. Tali competenze consentono inoltre di padroneggiare con
spirito critico i molteplici linguaggi della realtà interconnessa ponendosi
in costante dialogo con il nuovo ecosistema conoscitivo senza correre il
rischio, neanche troppo latente, di esserne manipolati o fagocitati.
In questa prospettiva, le competenze linguistiche assumono un ruolo fondamentale non solo per produrre o divulgare conoscenze, ma
anche per muoversi con spirito critico nei meandri comunicativi della
società globalizzata, destinata in futuro a produrre nuove competenze
e nuove forme di conoscenza dando luogo ad attività lavorative, di
studio o di ricerca oggi ancora inesistenti.
L’educazione linguistica si pone dunque all’interno di nuovi scenari
politici, economici e sociali, e si nutre di quel pluralismo linguistico e
. Ivi, p. .
. P. D, Dentro la società interconnessa, cit., pp. –.
Introduzione
culturale che non è solo un derivato dei processi di globalizzazione in
corso o delle grandi ondate migratorie, ma anche un tratto distintivo
della civiltà europea.
L’intreccio di molteplici culture e idiomi appartenenti a differenti
famiglie linguistiche, che trovano nella lingua indoeuropea la loro
comune origine, è di certo uno dei suoi elementi fondamentali da cui
è scaturito nel corso del XX secolo il desiderio di comuni politiche
economiche, sociali ed educative tra gli Stati appartenenti all’Unione
Europea.
La mobilità degli individui per motivi di studio o di lavoro, l’internazionalizzazione dei sistemi d’istruzione, l’istituzione di programmi
di scambio internazionali o di comunità di pratica virtuali, sia a livello
scolastico che universitario, è un’ulteriore testimonianza dell’importanza che la conoscenza delle lingue ricopre per esercitare a pieno
titolo il diritto di cittadinanza a livello nazionale e transnazionale.
Essa si configura dunque sia come un prezioso strumento per
partecipare in modo consapevole ai processi d’innovazione che la globalizzazione della conoscenza produce, sia come un potente antidoto
alla dissoluzione dei confini identitari che risiedono nelle lingue e
culture d’origine, a causa dei principi omologanti insiti nei processi di
interconnessione e di interdipendenza della società di massa.
L’internazionalizzazione dei curricoli scolastici e universitari ha
inoltre implicato l’acquisizione di competenze interculturali, che oggi
rivestono un ruolo fondamentale in quanto consentono di “dialogare”
con la diversità e di partecipare attivamente e consapevolmente ai
processi economici e produttivi innescati dalla globalizzazione.
Non sorprende la supremazia dell’inglese come lingua franca a
livello internazionale in quanto essa si è affermata come strumento
di divulgazione del sapere scientifico e tecnocratico ed è dunque
diventata, una volta essere stata svuotata dei suoi contenuti culturali,
non solo un prodotto ma anche uno strumento — omologato ed
omologante — della globalizzazione .
. Nei sistemi d’istruzione europei si è affermata una forma dominante di monolinguismo che ha teso a privilegiare la conoscenza della lingua inglese a discapito delle
altre lingue straniere in quanto, rispetto alla cosiddetta « global language pyramid », essa
è considerata come una « hyper–central language », cfr. I. P, Linguistic Diversity and
Social Justice. An Introduction to Applied Sociolinguistics, Oxford University Press, New York
, p. .