Academia.eduAcademia.edu

Le politiche linguistiche del Consiglio d'Europa. Per una didattica del plurilinguismo

2019, Cinzia Colaiuda

Scopo di questo progetto di ricerca è lo studio dei mutamenti in atto nel continente europeo al cospetto delle politiche linguistico – educative sviluppate dal Consiglio d’Europa (CoE) negli ultimi decenni, per analizzarne l’impatto sui sistemi d’istruzione e verificare la coerenza dei grandi principi e valori su cui esse si fondano rispetto all’ideologia dominante, che si ispira ai precetti del neoliberismo e della globalizzazione dei saperi e delle conoscenze, nonché alle dinamiche omologanti insite nei sistemi economici, politici e sociali della società occidentale.

A Vai al contenuto multimediale Cinzia Colaiuda Le politiche linguistiche del Consiglio d’Europa Per una didattica del plurilinguismo Prefazione di Stefania Cavagnoli Aracne editrice www.aracneeditrice.it [email protected] Copyright © MMXIX Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale www.gioacchinoonoratieditore.it [email protected] via Vittorio Veneto,   Canterano (RM) ()   ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: settembre  Indice  Prefazione di Stefania Cavagnoli  Introduzione  Capitolo I Il plurilinguismo in Europa .. Politiche linguistico–educative del Consiglio d’Europa (–),  – .. Multilinguismo e politiche educative dell’Unione Europea,  – .. Per un’educazione al plurilinguismo, .  Capitolo II Globalizzazione delle politiche linguistiche .. Education policy e language planning,  – .. Politiche linguistico– educative del Consiglio d’Europa (– ),  – ... Language Policy Division del Consiglio d’Europa,  – ... Educazione plurilingue ed interculturale,  – ... Approcci globali e olistici all’educazione linguistica,  – ... Approccio sistemico all’implementazione delle politiche linguistiche,  – .. Piramidi linguistiche, .  Capitolo III Lingua e identità .. Politiche linguistico–educative del Consiglio d’Europa (–),  – ... Verso un framework delle lingue di scolarizzazione,  – ... Dimensione etica e valoriale dell’educazione linguistica,  – .. Identità di sabbia, .  Capitolo IV Interdisciplinarità e plurilinguismo .. Politiche linguistico–educative del Consiglio d’Europa (–),  – ... Dal CEFR alla Platform of resources,  – ... Convergenza e coerenza curricolare,  – .. Multilinguismo e interdisciplinarità, .  Indice   Capitolo V Equità e qualità dell’istruzione .. Politiche linguistico–educative del Consiglio d’Europa (–),  – ... Equità e qualità per l’inclusione,  – ... Lingue di scolarizzazione e successo formativo,  – .. Per una pedagogia del plurilinguismo, .  Capitolo VI Plurilinguismo e lingue di minoranza .. Identità nazionali e minoranze linguistiche,  – .. Le lingue di minoranza nei documenti del CoE,  – ... European Charter for Regional or Minority Languages,  – ... Framework Convention for the Protection of National Minorities,  – .. Le minoranze linguistiche in Austria,  – .. Minoranze linguistiche storiche in Italia,  – .. Il bilinguismo in Irlanda,  – .. Language shaming e diversità linguistica,  – .. Diritti umani e diritti linguistici: la fine di un impero?, .  Capitolo VII Plurilinguismo e nuove minoranze .. Le nuove minoranze nei documenti del CoE,  – .. Linguistic Integration of Adult Migrants (LIAM),  – .. L’ELP per l’integrazione dei migranti adulti in Austria, Italia e Irlanda,  – .. L’ELP per l’integrazione scolastica in Austria, Italia e Irlanda,  – .. Per un’ecologia delle società multiculturali, .  Capitolo VIII Lo spazio della narrazione .. Literacy Engagement Framework: la costruzione di identity texts,  – .. Glocalizzazione delle politiche linguistico–educative del CoE,  – .. Contingenza e narrazione, .  Capitolo IX Prospettive di ricerca .. Analisi diacronica e sincronica,  – .. Ontologia della diversità e ontologia della contingenza,  – .. Per una riforma del pensiero, .  Conclusioni  Acronimi Indice  Bibliografia  Sitografia  Prefazione di S C∗ Nel mondo globalizzato le lingue ed il loro insegnamento sono (diventate) centrali. E non solo per motivi funzionali, legati al poter studiare e lavorare in paesi diversi dal proprio. Per molte persone, soprattutto giovani, la dimensione europea è prevalente su quella nazionale. Ci si sposta per studiare meglio, per lavorare in ambiti diversi, per motivi personali. E sebbene sia l’inglese la lingua franca, quella che si deve conoscere ed usare, lingua che è lo strumento di sopravvivenza, vivere in paesi diversi necessariamente porta alla considerazione e all’uso di molte altre lingue. Cambiando il loro ruolo, è cambiato necessariamente anche il loro insegnamento e le esigenze dei/delle parlanti. Ed è cambiato anche il significato di plurilinguismo. Nel  Baetens Beardsmore definiva il bilinguismo (con significato di plurilinguismo) in questo modo: « Bilingualism is a double necessary or optional means of effective communication between two or more different “worlds” using two language system ». E ancora: « A state of the individual in which he or she has access to the use of more than one linguistic code; this accessibility includes a large number of non linguistic factors (. . . ); the degree of access one has to each linguistic code can vary among bilinguals on a number of dimension » (, p. ). Ma forse la considerazione che maggiormente si condivide, al di là di ogni definizione letterale, è quella che considera la parola “bilinguismo” « as a term has open-ended semantics » (, p. ). Moltissime sono infatti le definizioni ed i tentativi di limitare con le parole il fenomeno che di lingue e parole si sostanzia. Molti gli usi sinonimici, o impropri, secondo alcune definizioni. In italiano si preferisce parlare di plurilinguismo, in lingua inglese di multilinguismo, termine che ∗ Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.   Prefazione viene utilizzato in moltissimi documenti dell’Unione europea e delle sue istituzioni anche nella corrispondente versione italiana. La competenza plurilingue viene intesa in diversi modi, più o meno ampi, più o meno comprensivi. Certo è che dai documenti del Consiglio d’Europa, e a partire dal Libro Bianco della Commissione europea, del , il significato di plurilinguismo si è ampliato ed è andato sempre più in senso inclusivo e asimmetrico. Mentre un tempo il bilingue era una persona con pari competenza in due o più lingue, oggi la persona plurilingue è colei che, nel suo repertorio linguistico, possiede più lingue anche in modo asimmetrico. Il Consiglio d’Europa, oggetto dello studio qui presentato, ha sempre messo al centro la questione delle politiche linguistiche e del rispetto della diversità delle e dei parlanti. Il suo piano di azione, negli anni, è stato sia in senso dichiarativo che in senso pragmatico, con individuazione di strumenti concreti per aiutare gli operatori e le operatrici dell’educazione a realizzare quanto proposto. Le necessità delle politiche linguistiche, oltre a basarsi su teorie e paradigmi teorici, partono da esigenze concrete; una fra tutte, la questione dell’immigrazione e della differenziazione della società. Le lingue, in quanto portatrici di identità e strumento di costruzione di nuove identità, sono determinanti e costituiscono una delle vie, forse la più naturale e in parte più semplice, per l’apprendimento e l’educazione, anche politica e sociale. Il volume di Cinzia Colaiuda affronta in tal senso il tema del ruolo del Consiglio d’Europa, centrale nella politica linguistica, con i suoi interventi, a partire dal  per arrivare fino ad oggi. Nell’analisi si mette al centro il confronto puntuale fra alcuni paesi europei, a sostegno delle politiche linguistiche a diversi livelli, partendo da quello internazionale per scendere a quello locale attraverso quello nazionale. Dal punto di vista dell’analisi sincronica, invece, analisi che completa il lavoro dell’autrice, al centro sono poste le riforme curricolari degli stati considerati: Austria, Italia, Irlanda. I tre paesi, che rappresentano lingue diverse ed uno spaccato sociale, economico, educativo differenziato, forniscono gli spunti per un’analisi futura più allargata, che segua però la stessa valida impostazione di questo volume. Dal punto di vista diacronico la ricerca è suddivisa in  periodi, così individuati: Prefazione  a) dal  al , gli anni della tutela delle minoranze linguistiche storiche e del tema dell’immigrazione con conseguente integrazione degli/delle stranieri/e; b) dal  al , gli anni della pubblicazione del Quadro Comune Europeo di riferimento per le lingue straniere, che hanno segnato un cambio di paradigma, non solo in glottodidattica, ma anche nella considerazione delle politiche linguistiche; c) dal  al  anni centrali su cui si è investito molto, modificando l’idea di plurilinguismo, a partire dal progetto Languages in Education. Languages for Education, basato sull’idea dell’approccio sistemico; d) dal  al  con la pubblicazione del Companion Volume wuth new Descriptors e il passaggio alla Education Policy Division. In tale analisi, confortata di studi precisi sugli strumenti adottati dai tre paesi scelti per la ricerca (Italia, Austria, Irlanda), si vede come si è passati, o si sta passando, da una politica linguistica ad una politica educativa, nel senso della trasversalità delle lingue e del loro ruolo nella costruzione e nella condivisione del sapere. Tali tendenze sono supportate dalla confluenza della Language Policy Division in Education Policy Division, alla cui base c’è la concenzione degli approcci inclusivi in educazione. Questo passaggio è supportato, nella ricerca, dalla rilevazione del cambio dei metodi didattici, a livello di Consiglio d’Europa e di conseguenza a livello di glottodidattica almeno europea. Tali modifiche conducono necessariamente a modifiche degli approcci, considerati come le teorie di riferimento non solo in ambito linguistico, ma pedagogico, didattico, antropologico, filosofico; cambiando gli approcci necessariamente cambiano le esigenze della formazione insegnante e della prassi didattica nelle classi. Il tema della formazione insegnanti è determinante per una trasformazione possibile all’interno delle istituzioni educative, indipendentemente dalla classificazione delle agenzie di riferimento (scuole, università, scuole di lingue, istituzioni). I cambiamenti hanno bisogno di punti di riferimento, come possono essere i documenti, le azioni di politica linguistica e gli strumenti messi a disposizione dal COE. L’idea, sostenuta dall’autrice, che le  Prefazione politiche linguistiche ed educative del COE costituiscano una specie di soft law è condivisibile; gli interventi si muovono su due livelli, quello sociale, che considera l’inclusione, il rispetto delle minoranza, vecchie e nuove, con l’obiettivo di un clima di pace e di stabilità; e quello scolastico, che si pone l’obiettivo di fornire un’istruzione di qualità, utilizzando la/le lingua/e di origine come ponte cognitivo per costruire ulteriore sapere linguistico e culturale ed evitando così l’omologazione. Le linee guida e gli strumenti proposti dal COE costituiscono un quadro di riferimento entro il quale muoversi con applicazioni differenziate a seconda dei paesi e dei contesti, mantenendo però un’uniformità di base, un “codice” di riferimento. Fra gli strumenti individuati dall’autrice, va posto in evidenza quello della autobiografia linguistica. Se davvero le politiche linguistiche sono politiche educative, con un raggio di azione maggiore e più inclusivo, il partire da sé, il mettere davvero al centro l’apprendente in quanto persona, con la sua storia spesso plurilingue, potrebbe davvero essere la via per cambiare la didattica linguistica, passando da un insegnamento ad un apprendimento/acquisizione in cui chi impara si assume la responsabilità del suo percorso formativo, considerando e sfruttando allo stesso tempo le sue conoscenze pregresse, le sue lingue di riferimento. La via, indicata dal COE con lo strumento del CARAP e degli approcci plurali, può essere considerata la vera innovazione di questi anni, via che considera la realtà plurilingue di molti paesi europei e non. Il lavoro lancia alcuni punti di approfondimento per un’ulteriore ricerca futura. Sicuramente la ripresa dell’analisi del Companion aprirebbe un confronto su metodi, indicatori e valori di riferimento, così come voler indagare il lavoro delle singole scuole, in un approccio bottom up, confrontato con le indicazioni di soft law del COE. Introduzione La morfologia delle società occidentali ha subito negli ultimi decenni una metamorfosi radicale dovuta alla diffusione della logica di rete. La nascita di organizzazioni sociali estremamente complesse, costituite da una serie infinita di nodi interconnessi, ha coinvolto la struttura ontologica dell’esperienza umana ridefinendo l’architettura degli spazi relazionali e favorendo la creazione di sistemi dinamici e aperti. Parlare oggi di educazione linguistica implica la considerazione della complessità dei processi di globalizzazione in atto, all’interno dei quali nascono, crescono e si sviluppano politiche educative sempre più interrelate che presuppongono, a livello politico nazionale ed europeo, la dimensione transnazionale in cui si collocano oggi le nuove istanze educative e pedagogiche. Negli ultimi decenni esse sono state svuotate del loro tradizionale valore e sono state assoggettate alla logica dominante dei nuovi imperialismi educativi, connotati dai principi globalizzanti della misurazione, della quantificazione e della comparazione dei risultati suddivisi in rigidi ambiti disciplinari, i cui confini sono stati ulteriormente marcati attraverso un’accurata definizione e classificazione di competenze settoriali, considerate come elementi imprescindibili per l’integrazione nella società ipercomplessa . Partendo dal presupposto che la scuola, in quanto istituzione sociale, è influenzata da molteplici fattori derivanti da politiche socio– economiche e culturali che interessano la società non solo a livello globale ma anche glocal , si tratta oggi di uscire dagli schemi insiti nelle consuete prospettive d’analisi del riduzionismo acritico per abbracciare l’ottica della complessità, un’ottica che fa dunque riferimento ad . Per una definizione del concetto di ipercomplessità si rimanda al seguente testo, E. M, Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida della complessità, Sperling & Kupfer, Milano , pp. –; pp. –. . H.–D. M, A. B (a cura di), PISA, power, and policy: the emergence of global educational governance, Symposium Books Ltd, Oxford , p. .   Introduzione « una parola problema e non una parola soluzione » e presuppone un approccio globale d’analisi. È necessario osservare da questa prospettiva la molteplicità e pluralità del reale in cui si realizzano le esperienze educative, in quanto l’accettazione della sfida posta dalla complessità implica la volontà di non cercare leggi universalmente valide attraverso il pensiero semplificante, ma di cogliere nel principio di incertezza la forza propulsiva che domina la percezione e la comprensione della realtà . A fronte della complessità che caratterizza la società ipercomplessa, le nuove dinamiche educative, che scaturiscono dai processi economici, sociali e tecnocratici messi in moto dai pervasivi processi di globalizzazione della conoscenza, si configurano da un lato come utopistica promessa di una maggiore eguaglianza nell’accesso e nella fruizione delle informazioni e dei saperi; dall’altro, stanno producendo nuove forme di esclusione sociale e di emarginazione culturale attraverso il consolidamento di gerarchie e gruppi sociali dominanti generati da dinamiche autopoietiche di inclusione–esclusione . Di certo la globalizzazione, che può essere considerata come la fase più estrema e dirompente della modernità, non può aver prodotto da sola queste nuove forme di disuguaglianza e di emarginazione sociale, ma semmai l’istituzionalizzazione delle ideologie ad essa sottese ha contribuito a radicalizzarla producendo processi di ibridazione culturale, di frammentazione sociale e di « deterritorializzazione » delle identità culturali. Queste nuove forme di non equità sociale e di smarrimento dei territori ancestrali si nutrono del clima di insicurezza e incertezza generato dalla globalizzazione e dalla estrema fluidità dei rapporti . E. M, Introduzione al pensiero complesso. Gli strumenti per affrontare la sfida della complessità, cit., pp. –; pp. –; pp. –. . « Il pensiero complesso aspira alla conoscenza multidimensionale, ma è consapevole in partenza dell’impossibilità della conoscenza completa: uno degli assiomi della complessità è l’impossibilità, anche teorica, dell’onniscienza. Il pensiero complesso fa proprio il motto di Adorno “la totalità è la non–verità”, motto che comporta il riconoscimento di un principio di incompletezza e di incertezza. Ma il suo principio comporta anche il riconoscimento dei legami tra entità che il nostro pensiero deve necessariamente distinguere ma non isolare », Ivi, p. . . P. D, Dentro la società interconnessa. Prospettive etiche per un nuovo ecosistema della comunicazione, FrancoAngeli, Milano , pp. –. . F. R, B. L, Globalizing Education Policy, Routledge, Abingdon , p. . Introduzione  umani, resi sempre più fragili dal dilagare dell’individualismo e dagli effetti delle grandi ondate migratorie che hanno portato, a loro volta, a nuove forme di povertà educativa e di analfabetismo funzionale. A ciò contribuiscono anche fenomeni di emarginazione e di disuguaglianza sociale che scaturiscono dalla cosiddetta network society, nella quale la mobilità reale e virtuale delle persone, l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e la garanzia del diritto di accesso ad internet possono essere sinonimo di inclusione–o viceversa di esclusione–all’interno delle grandi reti globali produttrici di nuove forme di conoscenza . Nel settore strategico dell’istruzione la mobilità internazionale e le nuove tecnologie rappresentano una forma di tutela del principio di equità e uguaglianza nell’accesso e fruizione delle informazioni. Non costituiscono però una condizione sufficiente per garantire il raggiungimento di tale obiettivo se non sono correlate all’acquisizione di specifiche competenze trasversali indispensabili per “governare” la complessità del sistema–mondo. In questi nuovi scenari, l’educazione linguistica è in grado di trasmette quelle competenze che sono oggi necessarie per accedere a nuove forme di sapere e di conoscenza spesso co–create nella dimensione immateriale della rete, nonché per raggiungere i più alti livelli d’istruzione contribuendo alla piena integrazione sociale degli individui all’interno dei complessi sistemi economici, sociali e politici prodotti dalla globalizzazione. Tali competenze consentono inoltre di padroneggiare con spirito critico i molteplici linguaggi della realtà interconnessa ponendosi in costante dialogo con il nuovo ecosistema conoscitivo senza correre il rischio, neanche troppo latente, di esserne manipolati o fagocitati. In questa prospettiva, le competenze linguistiche assumono un ruolo fondamentale non solo per produrre o divulgare conoscenze, ma anche per muoversi con spirito critico nei meandri comunicativi della società globalizzata, destinata in futuro a produrre nuove competenze e nuove forme di conoscenza dando luogo ad attività lavorative, di studio o di ricerca oggi ancora inesistenti. L’educazione linguistica si pone dunque all’interno di nuovi scenari politici, economici e sociali, e si nutre di quel pluralismo linguistico e . Ivi, p. . . P. D, Dentro la società interconnessa, cit., pp. –.  Introduzione culturale che non è solo un derivato dei processi di globalizzazione in corso o delle grandi ondate migratorie, ma anche un tratto distintivo della civiltà europea. L’intreccio di molteplici culture e idiomi appartenenti a differenti famiglie linguistiche, che trovano nella lingua indoeuropea la loro comune origine, è di certo uno dei suoi elementi fondamentali da cui è scaturito nel corso del XX secolo il desiderio di comuni politiche economiche, sociali ed educative tra gli Stati appartenenti all’Unione Europea. La mobilità degli individui per motivi di studio o di lavoro, l’internazionalizzazione dei sistemi d’istruzione, l’istituzione di programmi di scambio internazionali o di comunità di pratica virtuali, sia a livello scolastico che universitario, è un’ulteriore testimonianza dell’importanza che la conoscenza delle lingue ricopre per esercitare a pieno titolo il diritto di cittadinanza a livello nazionale e transnazionale. Essa si configura dunque sia come un prezioso strumento per partecipare in modo consapevole ai processi d’innovazione che la globalizzazione della conoscenza produce, sia come un potente antidoto alla dissoluzione dei confini identitari che risiedono nelle lingue e culture d’origine, a causa dei principi omologanti insiti nei processi di interconnessione e di interdipendenza della società di massa. L’internazionalizzazione dei curricoli scolastici e universitari ha inoltre implicato l’acquisizione di competenze interculturali, che oggi rivestono un ruolo fondamentale in quanto consentono di “dialogare” con la diversità e di partecipare attivamente e consapevolmente ai processi economici e produttivi innescati dalla globalizzazione. Non sorprende la supremazia dell’inglese come lingua franca a livello internazionale in quanto essa si è affermata come strumento di divulgazione del sapere scientifico e tecnocratico ed è dunque diventata, una volta essere stata svuotata dei suoi contenuti culturali, non solo un prodotto ma anche uno strumento — omologato ed omologante — della globalizzazione . . Nei sistemi d’istruzione europei si è affermata una forma dominante di monolinguismo che ha teso a privilegiare la conoscenza della lingua inglese a discapito delle altre lingue straniere in quanto, rispetto alla cosiddetta « global language pyramid », essa è considerata come una « hyper–central language », cfr. I. P, Linguistic Diversity and Social Justice. An Introduction to Applied Sociolinguistics, Oxford University Press, New York , p. .