Spazio e civiltà: rappresentazioni di Persia e re persiani
nelle Storie di Erodoto
Fabrizio Gaetano
1. Introduzione
Lo studioso che decida di occuparsi della civiltà achemenide così come
descritta da Erodoto è obbligato, in via preliminare, a riconsiderare come
cruciale il problema della genesi stessa dell’opera erodotea. I termini del
dibattito sono ben noti e non è qui necessario – vista anche l’impossibilità
di pervenire a una soluzione definitiva della questione – entrare nel merito
delle due principali posizioni sostenute. Vero è, però, che la scelta tra la
teoria analitica e genetica di Jacoby e la proposta unitaria di Pohlenz1 si
rivela determinante rispetto alla pluralità delle indagini alle quali la Persia
di Erodoto può essere sottoposta.
Se si accetta la centralità del conflitto tra Greci e Persiani come motore
primo del progetto compositivo dello storico di Alicarnasso, si è indotti inevitabilmente ad attribuire ai primi quattro libri un carattere preparatorio, e
a interpretare dialoghi, passaggi ed episodi in essi contenuti in contrasto o
analogia con quanto narrato nella cosiddetta “parte storica” delle Storie2. Viceversa, un approccio che valuti ogni libro sia come elemento a sé stante che
come tappa di un interesse maturato progressivamente e trasformatosi solo
in un secondo momento in sguardo complessivo, consente forse di restituire
meglio al racconto dell’espansionismo persiano aspetti autonomi e storicamente autentici, in reazione tanto alle visioni narratologiche quanto alle pur
diffuse tendenze critiche che negano a Erodoto ogni attendibilità scientifica3.
1
Jacoby 1913 e Pohlenz 1937. Studi rappresentativi dell’uno e dell’altro approccio
interpretativo possono essere ritenuti, rispettivamente, Fornara 1971 e Immerwahr 1966.
2
Non v’è certo bisogno di insistere su come la moderna distinzione tra scienze etnografiche, antropologiche e storiografiche sia inadeguata a tipizzare la nozione erodotea di
ἱστορίη (cfr. Darbo-Peschanski 2007), rispetto alla quale una simile suddivisione non può
funzionare da principio di organizzazione della materia. Sullo sviluppo in Grecia antica di
un sapere di tipo “etnografico”, si veda Nicolai 2015.
3
Faccio qui riferimento, secondo la definizione poco lusinghiera di Pritchett 1993,
alla cosiddetta liar school of Herodotus, che ha il suo capostipite in Fehling 1971 (su cui si
veda Dunsch – Ruffing 2013) e annovera celebri studiosi erodotei come François Hartog e
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Un ruolo di primo piano è giocato, in questo senso, da una tradizione
biografica assai insoddisfacente e controversa4, che lascia aperti ancora molti interrogativi ai quali si tende a fornire risposta mediante un procedimento dimostrativo di tipo circolare. I quesiti che gli interpreti moderni hanno
posto e pongono al testo delle Storie, i dati che si è pensato o si prevede di
ricavare e, infine, le scarne informazioni biografiche risultano intrecciati
in un sistema esegetico di mutuo sostegno, nel quale i primi trovano un
apparente conforto nelle seconde o sono da queste, quasi inconsciamente,
delineati e indirizzati5.
Anche il problema della rappresentazione della Persia non si sottrae
alle incertezze relative al grado di comprensione positiva – concepita come
trasmissione di caratteristiche storiche reali – del fenomeno dell’impero
achemenide da parte di Erodoto, soprattutto di fronte a una biografia che
dipinge lo storico come esploratore e viaggiatore instancabile ma mai spintosi fino alla Persia propriamente detta, men che meno a Susa. E tuttavia,
lo sforzo storiografico di Erodoto rischia di essere indebitamente malinteso
quando la frammentarietà biografica e l’ingiustificata tendenza al sospetto
spingono alla ricerca della notizia fallace. Sembra metodologicamente preferibile non revocare in dubbio la serietà di intenti dello storico e ammettere che, in quanto greco di Caria, Erodoto possa aver senz’altro maturato
una conoscenza profonda del potente vicino orientale6.
Stephanie West. Le argomentazioni di Fehling sulla natura fittizia delle fonti delle Storie,
che sarebbero il prodotto dell’arte narrativa dello storico di Alicarnasso, si traducono, nel
lavoro di Hartog, nella sottolineatura di una polarità artificiale, di tipo retorico (Hartog
1980, pp. 224-52), tra Greci, da un lato, e Sciti, dall’altro; negli studi di West, nell’insistenza sulla “Greek fantasy” (West S. 1985, p. 297) che pare sostenere la descrizione di alcuni
eventi, episodi e finanche oggetti. Per una panoramica sulle reazioni degli studiosi a questo
scetticismo, si veda Marincola 2001, pp. 31-9.
4
Sulla biografia di Erodoto resta fondamentale la messa a punto operata da Jacoby
(1913).
5
Rispetto ai tentativi di individuare eventuali somiglianze tra le modalità della ricerca storica erodotea e la pratica dell’inchiesta giudiziaria (cfr. Butti de Lima 1996), per
esempio, si rivela fondamentale delineare prima il rapporto dello storico con l’ambiente dei
tribunali di Atene. Se è certo che Erodoto ebbe tempo e modo di apprezzare i fasti della
polis periclea, dove sembra abbia eseguito anche una lettura di brani della sua opera che
gli valse un premio di ben dieci talenti (Plut. De Herodoti malignitate 26), non è altrettanto
sicuro che abbia conosciuto la dimensione processuale al punto da mutuare da questa metodi e strumenti e applicarli al lavoro storiografico.
6
Una ricca rassegna bibliografica in merito all’apporto specifico di Erodoto per la
nostra conoscenza della civiltà persiana è contenuta in Lenfant 2011, pp. 220-4. Si veda
anche il volume collettaneo Rollinger – Truschnegg – Bichler 2011.
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Tale dialogo tra civiltà appare trovare, nella nozione di spazio, una base
solida sulla quale costruirsi e svilupparsi.
Nell’ambito delle scienze umane e sociali, le questioni spaziali hanno
suscitato, nell’arco degli ultimi quarant’anni, sentimenti di curiosità rinnovati e innovatori ai quali si è deciso, per convenzione, di assegnare il nome
collettivo di spatial turn7. Il passaggio, radicale, dal limitarsi a pensare lo
spazio come un astratto e sterile contenitore di eventi alla consapevolezza
di doverlo osservare come una costruzione sociale concreta ha permesso di
giungere all’elaborazione di importanti contributi teorici, che hanno modificato in misura non marginale anche l’approccio degli specialisti dell’Antichità greca o romana.
Lo spazio, problematizzato come dato concreto e fattuale, costituisce
da tempo – e a buon diritto – un tema di confronto privilegiato per chi si
occupa di archeologia e di geografia antica8, mentre è più recente, poiché
tale è anche la disciplina che se ne interessa, la considerazione dello spazio
come struttura della narrazione e strumento del racconto nei testi letterari
antichi9. Pur ricettivo a diversi gradi, ogni terreno di elezione (storico, archeologico, letterario, geografico) ha potuto giovarsi, grazie allo spatial turn,
di un arricchimento concettuale ed epistemologico che si è rapidamente
tradotto, specialmente nei paesi anglosassoni, in pubblicazioni a iniziativa individuale o collettiva10, distinte per contenuti e finalità ma parimenti
volte a sottolineare il ruolo della spazialità quale imprescindibile elemento
semiologico di differenti realtà umane.
E tuttavia, non appare corretto affermare che gli antichisti siano stati
colti del tutto impreparati da questa nuova prospettiva.
Nel corso della seconda metà del Novecento era già giunta a maturazione, in Francia, una corrente di ricerca che aveva acquisito piena coscienza
7
Per la storia dello sviluppo di questa espressione si veda Warf – Santa 2008, pp. 1-9;
si veda anche Jacob 2014, pp. 43-58.
8 Si veda la rassegna bibliografica di Scott (2012, pp. 170-6).
9 Per questo approccio narratologico alla letteratura greca si veda soprattutto de Jong
2012. Il maggiore punto debole di questo tipo di letture risiede, a mio parere, nel loro essere limitate a un esame soltanto formale del testo, che non tiene in debito (o in alcun) conto
l’aspetto comunicativo e l’impatto pragmatico che ogni testo, al contrario, presuppone. Si
veda anche Purves 2010, pp. 118-58.
10 Si vedano, in particolare, Scott 2012 e i saggi raccolti in Gilhuly – Worman 2014. Le
pagine introduttive di questo secondo volume (1-20) contengono una sintetica ma efficace
ricostruzione dei numerosi e fertili intrecci metodologici ai quali ho solo accennato nel
corpo del testo. Si veda anche Guisard – Laizé 2012.
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della necessità di mettere in rapporto concezioni dello spazio e forme di
società. Lo sviluppo e gli esiti originali di questa linea di pensiero, che ha
ottenuto notevoli risultati soprattutto nel campo dei problemi legati allo
spazio politico in Grecia antica11, sono da ricondurre all’influenza esercitata dalla psicologia storica di Ignace Meyerson (1888-1983)12.
Per Meyerson, nozioni come “memoria”, “tempo”, “potere”, “religione”
e altre ancora sono funzioni psicologiche che si oggettivano nelle opere
create dagli uomini (il linguaggio, la letteratura, i monumenti, le istituzioni
politiche e religiose). Tali opere sono equiparabili a fonti da cui è possibile
ricavare informazioni sulle nozioni stesse, che appaiono sottoposte a un
continuo – e incompiuto – processo di trasformazione. In quest’ottica, che
mantiene un saldo impianto storicistico, anche lo “spazio” è da interpretare
non come una coordinata fissa, autonoma e aprioristicamente data, bensì
come una produzione culturale integrata in una fitta rete di valori e relazioni sociali, che si è costituita in periodi e in luoghi determinati quali la
Grecia di V secolo e l’area dell’Asia Minore13.
Tre diverse argomentazioni saranno utili a sostanziare quanto scritto
finora.
2. Spazio e definizione dell’impero achemenide
A mettere in moto la catena di eventi che porta allo scoppio della rivolta
ionica è, secondo Erodoto, l’arrivo a Mileto di alcuni esuli di Nasso. Costoro, accolti dal tiranno Aristagora, in carica al posto di Istieo costretto da
Dario alla permanenza a Susa, chiedono di essere aiutati a ritornare nella
loro isola. Aristagora è conscio della superiorità militare dei Nassi, e si reca
a Sardi per ottenere l’appoggio del satrapo Artaferne, il quale si lascia facilmente convincere dai vantaggi allettanti prospettati dal tiranno in caso di
vittoria. Il fallimento dell’operazione, unito alla consapevolezza dell’inutile
dissipazione delle risorse persiane e al conseguente timore della perdita
della signoria su Mileto, non lascia ad Aristagora altra scelta che la rivolta
(Hdt. V 35, 1-2). All’interventismo suo e dei suoi sostenitori si oppone la
11 Si veda, per una penetrante riflessione di storia culturale, Di Donato 2008-2010
(= Di Donato 2013, pp. 305-23).
12 La concezione della psicologia storica formulata da Meyerson è consegnata al suo
(unico) libro, Les fonctions psychologiques et les œuvres (Meyerson 1948a), che è anche la sua
thèse de doctorat. Sulla figura di Meyerson e il suo ruolo nel panorama accademico francese
si veda Di Donato 1990, pp. 131-205.
13 Sulla tematica dello spazio nelle Storie di Erodoto si veda, da ultimo, Clarke 2018.
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79
maggiore cautela del logografo Ecateo, il quale, cercando di dissuadere i
concittadini milesii, elenca tutti gli ἔθνη su cui comanda Dario (V 36, 2).
È certamente interessante che Ecateo, dovendo rendere conto della potenza contro la quale gli Ioni si troverebbero a combattere, qualifichi la
grandezza dell’impero non secondo il criterio dell’estensione nello spazio,
ma come dominio sui numerosi ἔθνη che in quello stesso spazio vivono
in condizione di subordinazione. Rispetto alla linearità dell’equazione per
cui a un maggior numero di popoli sottomessi corrisponde la possibilità di
schierare truppe più consistenti, le parole che Erodoto mette in bocca ad
Ecateo appaiono motivate da ragioni culturali e storiche più profonde.
Che la totalità del mondo conosciuto sia indicata in greco dal termine οἰκουμένη costituisce già un primo dato culturalmente rilevante. La
presenza di un gruppo umano denota gli spazi che i Greci vivono e percorrono, marcando una distinzione netta, che in Erodoto diventa anche
limite conoscitivo14, dalle zone totalmente prive di insediamenti. Non è
certo sfuggito alla critica erodotea, poi, che la distribuzione degli uomini
nello spazio ecumenico venisse sfruttata dallo storico di Alicarnasso come
un principio organizzativo del medesimo15. Se si leggono i capitoli dedicati
ai popoli che abitano lungo la costa della Libia (Hdt. IV 166-80), ci si rende
conto con agio di come i singoli assetti umani equivalgano ad altrettanti
tasselli che completano e “riempiono” progressivamente un quadro spaziale
complessivo.
Questa pratica ordinatrice dello spazio, che Erodoto presenta come
supporto argomentativo della dissuasione di Ecateo, assume un valore non
banale in riferimento alla Persia.
Subito dopo l’ascesa al trono di Ciro ai danni del re medo Astiage, Erodoto tratteggia il tipo di governo esercitato dal nuovo organismo politico
nei termini di una graduale perdita di influenza e di stima tanto più nei confronti delle popolazioni asservite quanto più queste sono stanziate lontano
dal fulcro fondamentale del potere (I 134, 2). La posizione nello spazio, determinando la relazione che ogni settore del territorio occupato è destinata
a mantenere col “centro”, appare intesa dai Persiani come emblema della
loro supremazia. Lo stesso disprezzo di Ciro nei confronti degli Spartani,
che hanno nel mezzo della città un posto in cui si radunano e si ingannano
14
Cfr. Hdt. II 34, 1: l’Istro è conosciuto da molti poiché scorre δι’ οἰκεομένης, mentre
sulle fonti del Nilo non è possibile dire nulla perché queste si trovano nella parte ἀοίκητος
della Libia.
15 Prontera 2011, p. 186.
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facendo giuramenti (I 153, 1), sembra potersi spiegare con il rifiuto di uno
spazio imperiale attraversato da rapporti di reciprocità orizzontale.
Occorre sottolineare, inoltre, che la valutazione del successo del re persiano al comando viene di frequente misurata sulla base dei popoli soggiogati o da soggiogare16.
Infine, se abbandoniamo momentaneamente la nostra fonte greca per
rivolgerci alle iscrizioni celebrative achemenidi17, troviamo una solida base
storica al ragionamento ecataico nella duplice accezione di “terra” e “popolo” del termine dahyu18: avvertire che l’avversario dispone di molteplici
ἔθνη equivale, in definitiva, a esprimere l’idea che il suo comando si esercita su aree dell’ecumene ampie e diversificate.
Se l’elenco etnico di Ecateo corrisponde dunque a una forma di rappresentazione dell’impero adottata dai Persiani stessi, ciò che resta da capire è
la ragione della totale noncuranza con la quale le parole del logografo vengono accolte dai futuri ribelli. Il testo delle Storie non permette di ricavare
molto più di quanto non si legga, ossia che il monito cadde nel vuoto e che
anche la seconda proposta di impadronirsi del mare sfruttando le risorse
accumulate nel tempio dei Branchidi non godette di alcun successo (V 36,
2-4). Dietro la scelta di non ascoltare questi saggi consigli, però, può forse
celarsi un’autentica incapacità di cogliere la gravità del pericolo incombente.
Se la sfera di influenza di una polis – coloniale o sita nella Grecia propriamente detta – si misura a partire dall’estensione della sua χώρα19, è
chiaro che Ecateo sta suggerendo un raffronto con la potenza persiana in
termini troppo distanti dall’orizzonte esperienziale entro il quale i cittadini
di Mileto si muovono quotidianamente. Quello che ancora appare assente
– nei Milesii come in tutti i Greci d’Asia Minore – è la piena coscienza della
quantità di uomini di cui i sovrani persiani dispongono grazie alla conquista di spazi ecumenici sempre maggiori. L’insediamento umano costituito
dal possesso di una polis e di un territorio circostante fatica a concepire
l’esistenza di un organismo politico che esercita un controllo capillare e organizzato su regioni disparate. Un semplice elenco di nomi, se non spiegato
in una prospettiva interpretativa completa che assegna a ogni ἔθνος uno
16
Cfr. Hdt. III 34, 4 e 134, 1; V 2, 1; VII 8α, 1; VIII 108, 3.
Sul problema dell’assenza di fonti letterarie indigene per la ricostruzione della storia imperiale persiana, si veda la lucida analisi di Briant (1996, pp. 14-8).
18 Per una documentata discussione storica e linguistica del termine dahyu/dahyava,
si veda Dan 2013, pp. 101-6.
19 Sul rapporto tra polis e χώρα si vedano i contributi raccolti in Finley 1973.
17
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81
spazio definito, semplicemente non ha senso20.
L’immensità dell’esercito persiano apparirà per la prima volta, in tutta
la sua spaventosa evidenza, solo a Maratona, e sarà proprio l’esperienza maturata da questo scontro a determinare l’adozione di una tattica precisa alle
Termopili e all’Artemisio21 e a giocare un ruolo essenziale nella disputa tra
Tegeati e Ateniesi per il comando di un’ala dell’esercito schierato a Platea.
Per certificare il loro superiore valore, gli Ateniesi parleranno “da Persiani”, citando i “quarantasei popoli” che sconfissero da soli nella battaglia del
490 (Hdt. IX 27, 5).
3. Spazio e identità regale persiana
Una delle massime espressioni dell’autorità del sovrano persiano sullo
spazio di governo è la capacità di sradicare un popolo dal suo territorio originario e di “insediarlo”, κατοικίζω, altrove22. Dopo la sconfitta dell’alleanza ionica, Istieo, promotore occulto della ribellione greca, fugge da Susa
e si reca a Chio. Interrogato dagli isolani sulle ragioni di un conflitto che
ha prodotto solo sciagure, afferma, mentendo, di aver sollecitato Aristagora
a causa della volontà di Dario di insediare (κατοικίσαι), appunto, i Fenici
in Ionia e gli Ioni in Fenicia (Hdt. VI 3). Sebbene il re non avesse mai progettato nulla di simile, dalle reazioni di paura dei Chioti si può certamente
dedurre che il trasferimento di massa dei nemici fosse un’ipotesi tutt’altro
che remota e, anzi, pratica assai frequente23.
In effetti, dopo il racconto sulla battaglia navale di Lade e sul successivo
20
Si consideri il celebre dialogo del quinto libro tra il diarca Cleomene e il già citato
Aristagora. Il cammino dalle coste dell’Asia Minore verso Susa è presentato dal tiranno
per il tramite di una descrizione catalogica dei popoli che si incontrano lungo il percorso.
Il re spartano non riesce a elaborare le implicazioni di uno spazio così delineato: infatti,
sarà solo dopo l’intervento del parametro temporale (Hdt. V 50, 2: […] τριῶν μηνῶν φὰς
εἶναι τὴν ἄνοδον) che egli comprenderà pienamente la portata dell’impresa richiesta da
Aristagora, a cui ordinerà di allontanarsi senza indugi da Sparta.
21 Ponendosi all’imboccatura dei due angusti passaggi, i Greci di terra comandati da
Leonida e quelli di mare guidati da Temistocle riescono a ridurre lo svantaggio derivante
dall’inferiorità numerica (Hdt. VII 177, 1).
22 Nelle Storie di Erodoto si registrano undici attestazioni del verbo; in una sola occorrenza esso assume il significato di “fondare/colonizzare” (V 76), secondo un uso che
poi appare divenire prevalente in Tucidide. Legato alla famiglia linguistica di οἶκος/οἰκέω
(Chantraine 1968, s.v. οἶκος), κατοικίζω si compone di un suffisso causativo (-ιζ), che
sottolinea come l’azione venga fatta eseguire o imposta ad altri, e di un preverbo (κατά),
che pone enfasi sul carattere compiuto dell’atto.
23 Cfr. Briant 1996, pp. 521-3.
82
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assedio di Mileto, Erodoto riporta che Dario insediò (κατοίκισε) i prigionieri milesii nella città di Ampe (VI 20); poco prima dello scontro di Maratona, inoltre, ci viene detto che il sovrano stanziò (κατοίκισε) presso la città
di Ardericca gli Eretriesi, che erano colpevoli di aver sostenuto la ribellione
con un contingente di cinque navi ed erano stati condotti come schiavi a
Susa al termine della spedizione contro la Grecia di Dati e Artaferne (VI
119, 2). Entrambe le zone, situabili sulla costa dell’odierno Golfo Persico24,
appaiono essere a tal punto luogo designato per tali sradicamenti25 da spingere Erodoto a riferirsi a questi ultimi in quelle parti dell’opera in cui egli
più s’impegna a fornire una visione globale dell’impero achemenide26.
Vero è, ad ogni modo, che nelle Storie κατοικίζω non è manifestazione
di un provvedimento di tipo esclusivamente “disciplinare”. Gli Ioni e i Cari
che Amasi “insedia” a Menfi appaiono beneficiare del riconoscimento di
qualità particolari, tali da indurre il faraone a servirsi di questi popoli, che
al tempo del predecessore Psammetico abitavano i luoghi detti Accampamenti, come guardia del corpo personale27. L’esame di due ulteriori contesti, d’altro canto, oltre a specificare un terzo effetto del verbo, che si accosta
alle finalità punitiva e premiale, assicura che, nella concezione di Erodoto,
l’azione di κατοικίζειν richiede una forma di dominio preliminare sullo
spazio su cui si agisce.
Ai capitoli 8-10 del quarto libro Erodoto riporta la versione dei Gre24 Erodoto parla, in realtà, di Ἐρυθρὴ θάλασσα, ma questa denominazione non deve
trarre in inganno: essa non è sempre automaticamente traducibile come “Mar Rosso” e può
indicare, al contrario, ciascuno dei numerosi mari che costituiscono la totalità dell’Oceano
Indiano (e, pertanto, anche il Golfo Persico).
25 Secondo Ambaglio (1975), lo sradicamento costituiva una delle punizioni più severe che il sovrano persiano potesse impartire. È interessante, però, che Erodoto non sembri
pensarla allo stesso modo: egli presenta il ricollocamento di Milesii ed Eretriesi in opposizione a ripercussioni che avrebbero potuto essere anche più gravi.
26 Elencando le satrapie e i tributi imposti da Dario dopo l’ascesa al trono (Hdt. III
89-96), lo storico di Alicarnasso specifica che gli abitanti delle isole dell’Ἐρυθρὴ θάλασσα
– che costituiscono, assieme ad altri cinque popoli il quattordicesimo distretto – sono coloro che vivono nei posti in cui il re “insedia” (κατοικίζει) i cosiddetti ἀνασπαστοί, letteralmente “quelli tirati/trascinati via” (III 93, 2), e ripete la medesima precisazione in una
sezione del catalogo, molto più ampio, analitico ed eterogeneo, dei contingenti militari
radunati da Serse e condotti contro la Grecia (VII 80).
27 Hdt. II 154, 1-3. Il verbo ricorre nuovamente, al passivo, al paragrafo successivo,
nel quale Erodoto spiega che è proprio grazie a questi Greci “stanziatisi” (κατοικίσθησαν)
in Egitto che le vicende egiziane a partire dal regno di Psammetico sono conosciute con
esattezza.
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ci del Ponto sull’origine del popolo degli Sciti. Si narra che Eracle, giunto nella terra chiamata Ilea, si sia unito a una donna serpente, e che da
questa unione siano nati tre figli. Al momento della partenza dell’eroe, la
μιξοπάρθενος, chiedendo cosa debba fare una volta che i figli saranno cresciuti, propone due alternative (Hdt. IV 9, 4): mandarli ovunque Eracle si
troverà in viaggio (ἀποπέμπω παρὰ σέ), oppure “insediare” i figli lì, in Ilea
(αὐτοῦ κατοικίζω), poiché il κράτος di questa χώρα appartiene a lei (χώρης
γὰρ τῆσδε ἔχω τὸ κράτος αὐτή).
L’utilizzo di una nozione importante e complessa come quella di
κράτος, il cui legame con le categorie di γῆ e χώρα appare trovare piena
realizzazione solo nell’ambiente ateniese di quinto secolo28, riconduce la
problematica del κατοικίζειν al riconoscimento di un’area di influenza definita. Nonostante qui non si tratti di trasferire popolazioni da una regione
a un’altra ma di farsi garante della permanenza su un territorio, è indubbio
che il possesso di un’autorità sulla dimensione spaziale sia concepito come
precondizione essenziale alla buona riuscita dell’atto di insediare. Eracle è
coinvolto nel processo decisionale, ma si limita a consigliare un metodo per
scegliere il figlio migliore; dopodiché, è prerogativa della donna serpente
provvedere alla sua stabilizzazione.
Se abbandoniamo il tempo degli dei per volgerci a quello degli uomini,
riscontriamo situazioni analoghe.
Dopo la vittoriosa battaglia di Micale, i Greci, temendo la vendetta di
Serse, prendono consiglio sull’evacuazione della Ionia e si domandano
in quale parte della Grecia di cui sono ἐγκρατέες sia meglio insediare
(κατοικίσαι) gli Ioni29. La proposta spartana – allontanare dai porti commerciali i Greci che avevano parteggiato per i Persiani e concedere queste
zone agli Ioni – non avrà seguito a causa dell’opposizione degli Ateniesi, ma
28
Marrucci 2010, pp. 13-128, cui si rimanda anche per la bibliografia sul termine.
L’autrice espone in modo convincente la tesi per cui il significato epico di κράτος – una
“preminenza, prevalenza” che regola i rapporti tra i guerrieri omerici – si trasforma progressivamente fino a definirsi in relazione allo spazio e alla comunità della polis, come diretta
conseguenza dei mutamenti intercorsi nell’Atene democratica di età periclea. I testi che
permettono di cogliere questo notevole cambiamento semantico, e che vengono analizzati
nel dettaglio nel corso del volume, sono le produzioni dei tre autori classici del teatro greco
e l’opera di Tucidide. Su κράτος in Erodoto si veda anche Payen 1997, pp. 193-202.
29 Hdt. IX 106, 2. Nelle Storie si dà solo un’altra attestazione dell’aggettivo ἐγκρατής,
che risulta calato in una discussione sulla strategia da adottare per opporsi al meglio al
nemico: in VIII 49, 1 gli alleati greci si chiedono dove sia meglio, “fra le zone su cui hanno
potere” (τῶν αὐτοὶ χωρέων ἐγκρατέες εἰσί), attaccare battaglia, se all’Istmo o a Salamina.
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questo passaggio, in cui l’eventualità di insediare altrove viene considerata
a fini protettivi piuttosto che punitivi, consente di apprezzare ulteriormente come l’azione di κατοικίζειν sia inseparabile da una nozione di potere
declinata in senso territoriale. La specificazione introdotta da ἐγκρατέες
restringe le aree di intervento della coalizione greca e, al tempo stesso, chiarisce entro quali limiti il ricollocamento può essere portato a termine.
Proprio l’assenza di κράτος e dei suoi derivati nelle manifestazioni persiane di κατοικίζω rivela, a mio avviso, la presa di coscienza, da parte di
Erodoto, di una forte e concreta connessione tra la figura del sovrano e lo
spazio dell’impero. Il rapporto di Dario rispetto ai propri domini si configura in modo talmente esclusivo e totalizzante da non richiedere una precedente o incidentale esplicitazione del motivo per cui egli è legittimato a
insediare gruppi di uomini o intere popolazioni30. Lo storico di Alicarnasso
appare guardare alla gestione personalistica dello spazio dell’impero come
a un elemento costitutivo dell’identità del sovrano.
Che questa modalità di gestione del territorio sia intesa come una prerogativa regale mi appare garantito da un ultimo passo.
A seguito della richiesta di Silosonte, fratello di Policrate, di essere ricondotto a Samo, Dario invia un esercito al comando di Otane, il quale
stermina chi oppone resistenza, cattura tutti gli altri e rende l’isola priva di
uomini. Tempo dopo, aggiunge Erodoto, Otane la ripopolò (συγκατοίκισε)
per guarire da una malattia che lo aveva colpito ai genitali (III 149). La dimensione collettiva data dalla preposizione σύν- sembra attenuare la piena
autonomia di Otane nella decisione di eseguire il reinsediamento. In altri
termini, benché non si conoscano i dettagli del trasferimento di massa dei
Samii, alla luce del quadro fin qui tracciato è ragionevole immaginare che la
scelta erodotea di servirsi di συγκατοικίζω in luogo di κατοικίζω sia tesa
a sottolineare la tacita compartecipazione di Dario – e dunque la sua autorizzazione preliminare – al ritorno di chi era stato forzatamente obbligato
ad abbandonare Samo.
30
Si veda per contrasto Hdt. I 64, 1-2. Dopo aver conquistato il potere ad Atene
per la terza volta, Pisistrato prende come ostaggi i figli di alcuni Ateniesi e li “stabilisce”
(καταστήσας) a Nasso. Nonostante il verbo sia differente (καθίστημι assume un’accezione accostabile a κατοικίζω solo in questo passo: cfr. Powell 1938, s.v. καθίστημι), è
interessante che Erodoto avverta che l’insediamento attuato dal tiranno è possibile grazie
alla precedente sottomissione di Nasso, il cui governo è stato affidato a Ligdami (καὶ γὰρ
ταύτην ὁ Πεισίστρατος κατεστρέψατο πολέμῳ καὶ ἐπέτρεψε Λυγδάμι). Il diritto a
compiere il ricollocamento viene sancito da una formula esplicativa che Erodoto non sente
mai l’esigenza di inserire in riferimento a Dario.
Spazio e civiltà: rappresentazioni di Persia e re persiani nelle Storie di Erodoto
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4. Intervenire sullo spazio naturale
Sovvertendo l’ordine cronologico degli avvenimenti, Erodoto narra l’ascesa al trono di Ciro dopo la vittoria sul re lidio Creso, conseguita dal
persiano, già re di Persia, nel 547-546 (I 75-84). Lo storico comincia da
molto lontano, partendo dalla successione dei sovrani medi (Deioce, Fraorte, Ciassare) e dal resoconto delle loro imprese maggiori (95-106). L’ultimo
della serie è il già citato Astiage, il quale, a causa di una visione, teme che
un futuro nipote lo spodesti dal trono. Astiage comanda dunque al persiano Arpago di esporre su un monte e di lasciar morire il bambino appena
nato da sua figlia Mandane; Arpago delega l’ordine al pastore Mitridate,
che decide di non uccidere il bimbo, il futuro Ciro, e di crescerlo insieme
alla moglie (107-13). Una catena di eventi porta Astiage a conoscere la verità
sulla sorte di Ciro e a riappacificarsi con lui, mentre Arpago, che ha disubbidito al comando del re, è costretto, a sua insaputa, a cibarsi del proprio
figlio, che Astiage ha fatto sgozzare, smembrare e cucinare (114-22)31. Pieno
di rancore, Arpago esorta Ciro a ribellarsi ad Astiage e quello, riflettendo
sul modo più accorto per indurre i Persiani alla rivolta, chiama a raccolta
alcune tribù persiane e invita i suoi membri a presentarsi con una falce,
δρέπανον (123-5).
Riporto il capitolo seguente quasi per intero, in quanto esso si compone
di elementi che non avrebbe senso, ai fini della dimostrazione, distinguere
o separare:
Ὡς δὲ παρῆσαν ἅπαντες ἔχοντες τὸ προειρημένον, ἐνθαῦτα ὁ Κῦρος
– ἦν γάρ τις χῶρος τῆς Περσικῆς ἀκανθώδης ὅσον τε ἐπὶ ὀκτωκαίδεκα
σταδίους ἢ εἴκοσι πάντῃ, – τοῦτόν σφι τὸν χῶρον προεῖπε ἐξημερῶσαι
ἐν ἡμέρῃ. Ἐπιτελεσάντων δὲ τῶν Περσέων τὸν προκείμενον ἄεθλον,
δεύτερά σφι προεῖπε ἐς τὴν ὑστεραίην παρεῖναι λελουμένους. Ἐν δὲ
τούτῳ τά τε αἰπόλια καὶ τὰς ποίμνας καὶ τὰ βουκόλια ὁ Κῦρος πάντα
τοῦ πατρὸς συναλίσας ἐς τὠυτὸ ἔθυε καὶ παρεσκεύαζε ὡς δεξόμενος
τὸν Περσέων στρατόν, πρὸς δὲ οἴνῳ τε καὶ σιτίοισι ὡς ἐπιτηδεοτάτοισι·
ἀπικομένους δὲ τῇ ὑστεραίῃ τοὺς Πέρσας κατακλίνας ἐς λειμῶνα
εὐώχεε (Hdt. I 126, 1-3).
Per convincere i Persiani a sollevarsi contro Astiage, Ciro chiede loro
31 Sull’immagine del banchetto come oggettivazione della nozione di sovranità riflessa dalle Storie, si veda Marrucci 2005, pp. 31-104 (per il banchetto cruento offerto da
Astiage ad Arpago, in particolare le pagine 68-77).
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di disboscare (ἐξημερῶσαι), servendosi della falce (τὸ προειρημένον nel
testo), una porzione di territorio – un χῶρος pari in lunghezza e larghezza
e pieno di rovi e di spine – e di ritornare il giorno successivo, dopo essersi
lavati (λελουμένους). Nel frattempo, Ciro raduna le greggi e le mandrie
di suo padre e prepara un banchetto (ἔθυε καὶ παρεσκεύαζε) da offrire
ai suoi uomini, che possono così mangiare e bere a sazietà. Alla fine del
pranzo, Ciro stabilisce una comparazione tra il giorno di fatica e quello di
riposo, da una parte, e il dominio medo e quello persiano dall’altra, e persuade le truppe del carattere vantaggioso della ribellione (Hdt. I 126, 3-6).
Nel commento più recente al passo, l’episodio è rubricato tra le tante
favole (sic) di cui si compongono le Storie erodotee, favole che sarebbero
volte a sconcertare e a divertire il lettore32. Per parte mia, ritengo che la
narrazione di Erodoto abbia uno scopo preciso, cioè mostrare la creazione
di un vincolo di solidarietà attraverso la trasformazione di uno spazio naturale in uno spazio sacro.
Quello che Ciro impone ai Persiani non è un semplice lavoro agricolo,
ma un ἄεθλος, una vera e propria “impresa”. Il verbo composto che denota
il disboscamento, ἐξημερόω, attestato solo qui nelle Storie e, in generale,
scarsamente usato nel V secolo33, ha una sua forma semplice, ἡμερόω, con
la quale Erodoto indica le azioni di sottomissione condotte in prima persona dai sovrani persiani34 oppure delegate ai sottoposti35. Lo storico sceglie
un significante preciso, tutt’altro che usuale e dal significato non banale, e
lo utilizza per qualificare la presa di possesso del χῶρος come condizione
preliminare e necessaria al buon svolgimento delle fasi successive. La comprensione, da parte del pubblico, dell’importanza di un simile gesto per
l’affermazione di un potere autorevole sullo spazio risultava agevolata, a mio
parere, dalla possibile associazione con un passo del XVIII libro dell’Odissea, nel quale Odisseo, ancora travestito da mendicante, invita Eurimaco a
32
Asheri – Lloyd – Corcella 2007, p. 164.
Solo due occorrenze nell’Eracle di Euripide: al v. 20 è Anfitrione a dire che Eracle
ha lasciato Tebe per liberare (ἐξημερῶσαι) la terra dalle belve feroci, in ottemperanza agli
ordini di Euristeo; al v. 852 Lyssa ricorda che Eracle ha domato (ἐξημερώσας) regioni impenetrabili e mari selvaggi. Più numerose le attestazioni nelle opere di Teofrasto De causis
plantarum e Historia plantarum, nelle quali ἐξημερόω appare verbo tecnico del linguaggio
botanico.
34 Hdt. IV 118, 5 (Dario e i primi avversari del continente europeo) e VII 5, 2 (Serse
e l’Egitto).
35 Hdt. V 2, 2: Megabazo guida l’esercito attraverso la Tracia, ἡμερούμενος βασιλέϊ
tutte le popolazioni e tutte le città stanziate nella regione.
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gareggiare in resistenza nel lavoro della terra (ἐν ποίῃ, v. 368)36. In questi
versi nei quali, secondo Benedetto Bravo, il poeta epico lascia intravedere
un sistema di pensiero e di società regolato dalla norma per cui chiunque
disboschi un terreno ne diviene il proprietario37, l’oggetto con cui Odisseo
svolgerebbe il lavoro è la falce, quel δρέπανον che Ciro chiede ai membri
delle tribù persiane di portare con loro in occasione dell’incontro38.
La connotazione sacrale dell’episodio è assicurata – oltre che dalla tipologia dello strumento agricolo, probabilmente un oggetto sacro nei riti di
iniziazione persiani39 –, da due note lessicali e da un fatto di costume.
Coniugato al tempo perfetto, il participio λελουμένους esprime il risultato dell’operazione di lavaggio del corpo ordinata da Ciro, la quale,
però, non sembra riconducibile unicamente al raggiungimento di un’igiene personale di livello accettabile, che pure appare esigenza normale alla
fine di un giornata di duro lavoro nei campi. Nelle Storie λούω è uno dei
verbi tipici del lavaggio rituale, cioè indica l’attuazione di una modalità
di purificazione ritenuta indispensabile per il mantenimento di una carica
religiosa40 e, appunto, per l’accesso a (o l’uscita da) spazi specifici: in Egitto
è proibito entrare in un santuario in seguito a un rapporto sessuale se si è
ancora ἄλουτος (II 64, 1); dopo un funerale, la consuetudine purificatoria
degli Sciti obbliga a lavare prima la testa, poi il resto del corpo all’interno
di una tenda in cui alcuni semi di canapa, gettati su pietre roventi, sprigionano vapore41. La richiesta di Ciro non va intesa, pertanto, solo come eliminazione di uno sporco fisico, ma anche come rimozione di un’eventuale
contaminazione che sarebbe di ostacolo all’ingresso nello spazio sacro che
il futuro sovrano è in procinto di creare.
La preparazione degli animali da offrire durante il banchetto – e qui
36 Εὐρύμαχ’, εἰ γὰρ νῶϊν ἔρις ἔργοιο γένοιτο/ ὥρῃ ἐν εἰαρινῇ, ὅτε τ’ ἤματα μακρὰ
πέλονται,/ ἐν ποίῃ, δρέπανον μὲν ἐγὼν εὐκαμπὲς ἔχοιμι (Od. XVIII 366-8).
37 Cfr. Bravo 1996, p. 529.
38 Hdt. I 125, 2: ὦ Πέρσαι, προαγορεύω ὑμῖν παρεῖναι ἕκαστον ἔχοντα δρέπανον.
Vale la pena ricordare che il δρέπανον è anche lo strumento con cui Crono evira Urano:
cfr. Hes. Th. 162 e Hecat. FGrH 1 F 72. Ai versi 175 e 179, invece, Esiodo adopera, per il
medesimo strumento, il termine ἅρπη – assente in Erodoto –, che è quello impiegato anche
nella Biblioteca apollodorea (I 1, 4).
39 Cfr. Merkelbach 1959.
40 Hdt. II 37, 2: οἱ ἱρέες […] λοῦνται δὲ δίς τε τῆς ἡμέρης ἑκάστης ψυχρῷ καὶ δὶς
ἑκάστης νυκτός (cfr. Lloyd 1976, p. 166: “bathing in water was a crucial part of the rites of
purification preceding celebration of the cult”).
41 Hdt. IV 75, 2: Τοῦτό σφι ἀντὶ λουτροῦ ἐστι· οὐ γὰρ δὴ λούονται ὕδατι τὸ
παράπαν τὸ σῶμα.
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veniamo alla seconda nota lessicale e al dato di costume – avviene infatti
nella forma della θυσία (ἔθυε), il rito sacrificale che prevede la cottura
delle carni. Nella sezione relativa al sacrificio in uso presso i Persiani lo
storico di Alicarnasso inserisce il dettaglio per cui il sacrificante è solito
condurre la vittima destinata all’uccisione rituale in un χῶρος καθαρός (I
132, 1). L’aggettivo, che in Erodoto può designare sia la “purezza” religiosa
di un animale (cioè il fatto che possa essere sacrificato)42, sia la caratteristica, per così dire, “profana” di un territorio che è “privo di ostacoli/
impedimenti”43, fornisce una spiegazione alla stranezza – a questo punto
ormai solo apparente – del disboscamento imposto con il verbo ἐξημερόω
e, allo stesso tempo, riconduce l’azione di Ciro alle pratiche sacrificali del
popolo al quale egli appartiene44.
Erodoto riprende il valore di un’immagine senza dubbio presente ai suoi
destinatari (il lavoro sulla terra come forma di appropriazione autorevole)45
e lo fa interagire alla perfezione con una parte delle usanze persiane. Il
richiamo ad elementi indigeni e la sollecitazione delle competenze culturali
del pubblico greco collaborano in pari misura alla rappresentazione dell’identità regale. C’è un sistema complesso di significati e di allusioni, ma base
di sviluppo e collante dell’intera operazione narrativa resta la nozione di
spazio: più in particolare, la cancellazione interessata, da parte di Ciro, della neutralità di uno spazio naturale a favore dei vincoli derivanti dalla partecipazione a un evento collettivo che si svolge su uno spazio sacralizzato.
5. Conclusioni
Gli esiti di un’esperienza umana collettivamente e storicamente determinata, definiti globalmente attraverso il termine civiltà, sono resi oggetto di
una narrazione storiografica rispetto alla quale la spazialità è ritenuta componente non secondaria e, anzi, supporto essenziale alla comunicazione di
42
Cfr. Hdt. II 38, 1-3, 40, 3, 41, 1, 42, 3 e 45, 2.
Cfr. Hdt. I 202, 3-4: solo una delle bocche dell’Arasse scorre διὰ καθαροῦ e sfocia
nel Mar Caspio, mentre tutte le altre terminano in paludi e lagune; VII 183, 2: la flotta
persiana salpa da Terme ὥς σφι τὸ ἐμποδὼν ἐγεγόνεε καθαρόν.
44 La descrizione erodotea della θυσία persiana appare in contrasto con le informazioni ricavabili da altre fonti. Nelle Storie la θυσία è detta avvenire senza grani d’orzo,
bende, flauti, libagioni, altari e, soprattutto, fuoco; proprio il fuoco, tuttavia, costituiva un
elemento centrale del sacrificio persiano e di tutta la religione iranica (cfr. Briant 1996, pp.
252-66 e Kuhrt 2007, pp. 548-51).
45 Cfr. Gernet 2004, pp. 138-41. Per le conferme alla validità di questo nesso ricavabili
dalle rappresentazioni vascolari, si veda Schnapp 1996, soprattutto pp. 135-6.
43
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caratteristiche antropologiche salienti. Erodoto individua nella dimensione
spaziale una possibile chiave di lettura e di comprensione della potenza militare achemenide e della marcata autocrazia dei re di Persia, l’autorevolezza
dei quali appare misurata sulla base di azioni che concorrono a realizzare
una caratterizzazione storiografica costante per tutta l’opera. L’atto di insediare in un diverso ambiente i prigionieri di guerra, da un lato, e la capacità
di modificare e di investire di senso una porzione di territorio inizialmente
anonima, dall’altro, sono manifestazioni pratiche di un potere che ha un
agente e un oggetto di applicazione non fraintendibili: la γῆ, nella sua accezione più ampia, è la componente del mondo naturale sulla quale il Gran Re
di turno riesce a imporre più facilmente il proprio dominio, diversamente
da quanto si verifica in caso di incontro con l’elemento liquido46. All’obiezione di Artabano, infatti, che cerca di mostrare perché sia la θάλασσα sia
la γῆ rappresentino un grosso ostacolo alla spedizione contro la Grecia
(Hdt. VII 49, 2-5) – la prima è un pericolo per la mancanza di porti adatti, la
seconda per le difficoltà crescenti di accumulare scorte di cibo – Serse offre
solo una risposta parziale, cioè rassicura lo zio sul fatto che il suo esercito
trarrà sostentamento dai campi coltivati dai popoli conquistati ma tralascia
le questioni di navigazione (VII 50, 4). Nelle Storie, la padronanza del mare
appare essere prerogativa dei Greci47, mentre il controllo della terraferma
resta appannaggio dei Persiani. Erodoto insiste sugli episodi di rapporto
con lo spazio in quanto questa nozione gli consente di esprimere significati
generali e pervasivi: il binomio enunciato nel titolo diventa strumento di
enunciazione e di rappresentazione delle dinamiche di quello scontro che
costituisce il fulcro narrativo della sua storiografia.
46 Cfr. Hdt. I 189 (Ciro e il fiume Ginde durante la marcia contro Babilonia), 201-14
(Ciro e il fiume Arasse nel corso del conflitto con i Massageti) e, naturalmente, VII 35 con
il celebre episodio del castigo imposto da Serse all’Ellesponto.
47 Cfr. Hdt. VIII 68α, 1. Artemisia, sovrana di Alicarnasso e alleata dei Persiani, sconsiglia a Serse di attaccare la coalizione greca a Salamina con queste parole: οἱ γὰρ ἄνδρες
τῶν σῶν ἀνδρῶν κρέσσονες τοσοῦτό εἰσι κατὰ θάλασσαν ὅσον ἄνδρες γυναικῶν.