la rivista di engramma
novembre 2019
169
EniWay
edizioniengramma
La Rivista di Engramma
169
La Rivista di
Engramma
169
novembre 2019
EniWay
a cura di
Fernanda De Maio e Michela Maguolo
edizioniengramma
direttore
monica centanni
redazione
sara agnoletto, mariaclara alemanni,
maddalena bassani, elisa bastianello,
maria bergamo, emily verla bovino,
giacomo calandra di roccolino, olivia sara carli,
silvia de laude, francesca romana dell’aglio,
simona dolari, emma filipponi,
francesca filisetti, anna fressola,
anna ghiraldini, laura leuzzi, michela maguolo,
matias julian nativo, nicola noro,
marco paronuzzi, alessandra pedersoli,
marina pellanda, daniele pisani, alessia prati,
stefania rimini, daniela sacco, cesare sartori,
antonella sbrilli, elizabeth enrica thomson,
christian toson
comitato scientifico
lorenzo braccesi, maria grazia ciani,
victoria cirlot, georges didi-huberman,
alberto ferlenga, kurt w. forster, hartmut frank,
maurizio ghelardi, fabrizio lollini,
paolo morachiello, oliver taplin, mario torelli
La Rivista di Engramma
a peer-reviewed journal
169 novembre 2019
www.engramma.it
sede legale
Engramma
Castello 6634 | 30122 Venezia
[email protected]
redazione
Centro studi classicA Iuav
San Polo 2468 | 30125 Venezia
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© 2019
edizioniengramma
carta 978-88-94840-72-8
digitale 978-88-94840-71-1
finito di stampare novembre 2019
ISBN
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L’editore dichiara di avere posto in essere le
dovute attività di ricerca delle titolarità dei diritti
sui contenuti qui pubblicati e di aver impegnato
ogni ragionevole sforzo per tale finalità, come
richiesto dalla prassi e dalle normative di settore.
Sommario
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EniWay. Editoriale
Fernanda De Maio e Michela Maguolo
Da Agip a Eni
Da Agip a Eni
Fernanda De Maio
Cronaca, documento, rievocazione di un mistero italiano
Marina Pellanda
Gli uomini che fecero l’impresa. Enrico Mattei e gli Olivetti
nel teatro di Gabriele Vacis e Laura Curino
Michela Maguolo
Paesaggio come ricordo
Luigi Latini
EniWay in Italia. Architettura paesaggio infrastruttura
Un professionista al servizio dell’Eni
Massimiliano Savorra
Il Villaggio nel bosco
Nicola Noro
“Dalle profondità della terra, energia per il lavoro italiano”
Chiara Baglione
Cinema dal petrolio
Marco Bertozzi
Da EniWay a EnergyWay. Scenari mediterranei
Stazioni di servizio e motel, dall’Italia all’Africa
Marco Ferrari
Atlantropa
Roberto Masiero
Immagini energetiche
Lorenzo Fabian e Luca Iuorio
Un professionista al servizio dell’Eni
L’opera di Mario Bacciocchi (1902-1974)
Massimiliano Savorra
Inaugurando la Scuola di Studi superiori sugli idrocarburi, Enrico Mattei
l’11 gennaio 1958 ricordava l’assolvimento di un compito previsto dalla
legge istitutiva dell’Eni e soprattutto riconosceva l’importanza, per una
grande azienda, di realizzare non solo case e servizi per i propri
dipendenti, ma anche di concepire “esemplari centri di vita”. Egli
affermava:
Come hanno fatto e fanno tutte le aziende e i gruppi industriali quando
raggiungono i loro pieno sviluppo, anche noi ben presto ci siamo dovuti
preoccupare di creare le attrezzature ed i servizi sociali. San Donato
Milanese, anzi Metanopoli, come noi chiamiamo questo complesso Eni, con i
suoi quartieri residenziali, con le attrezzature sportive, con il suo centro
parrocchiale e con le altre forme di assistenza sociale, con caffè, alberghi,
negozi, mense, spacci di consumo, è un modello concentrato di quello che
l’Eni fa per il suo personale e per le famiglie di questo, e viene realizzando
nei vari centri in cui svolge la propria attività e anche altrove, come per
esempio nelle spiagge e nelle pendici alpine. Ogni iniziativa, soprattutto se
nuova o innovatrice, dà adito a critiche, ma noi ci sentiamo orgogliosi di
avere creato con San Donato Milanese e col Villaggio Alpino a Corte di
Cadore degli esemplari centri di vita e di conforto sociale, che non
mancheranno certo di suscitare analoghe realizzazioni. Tra le prime
realizzazioni di San Donato Milanese mi piace ricordare l’asilo infantile e la
scuola elementare modello, istituzioni che, credo, fanno onore per la loro
razionalità e per il funzionamento perfetto (Mattei 1958).
Nel discorso, Mattei richiamava alla memoria con orgoglio le iniziative
portate avanti a San Donato Milanese, “anzi Metanopoli”, a favore dei
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dipendenti e delle loro famiglie, come le scuole, che “fanno onore per la
loro razionalità e per il funzionamento perfetto”. Per comprendere le
motivazioni, oltre che le soluzioni progettuali “razionali”, che sono alla
base del centro urbano di fondazione sorto a partire dal 1951 è necessario
ripercorrere le biografie dei suoi protagonisti e lo sfondo entro il quale
maturarono talune scelte. Tuttavia, se la vita del fondatore della
multinazionale dell’energia e i suoi legami con il mondo cattolico sono
stati oggetto di una florida letteratura (Galli 2005; Corduas 2006; Guarneri
2007; Colitti 2008, Crippa 2014; Cesari 2016), l’intenso itinerario
professionale di Mario Bacciocchi (1902-1974), progettista di primo piano
del secolo passato, è ancora tutto da indagare, vista anche la dispersione
di gran parte del suo archivio privato e l’assenza non solo di
testimonianze o scritti autografi, ma anche di una solida bibliografia di
riferimento.
Emblematico per la messa a fuoco di alcune questioni centrali tra gli anni
del fascismo e il periodo della Ricostruzione, il lavoro dell’architetto può
essere inteso come uno specchio in cui si riflettono i temi comuni
affrontati da buona parte dei professionisti italiani: dal ruolo dei
committenti privati (siano essi gruppi industriali o grandi costruttori) e
degli enti parastatali, alle richieste del potere politico e al contempo
economico (prima fascista, poi cattolico, nell’accezione di
“democristiano”), fino al peso delle “grandi quantità”, strabilianti in termini
di metri cubi edificati, concepiti a ritmi serrati, che si avvalgono di un
linguaggio architettonico “razionale”, sebbene in bilico tra slanci
modernisti e conservatorismo. A questi si aggiungono i temi, strettamente
intrecciati alla storia sociale del nostro paese, riguardanti la relazione tra
la Chiesa e i quartieri nuovi delle periferie urbane, l’attuazione di una
legislazione volta a promuovere l’incremento edilizio da un lato, e la
ricerca di fonti energetiche dall’altro, nonché l’apporto di un
professionismo tecnico colto, tipico della cultura architettonica di area
lombarda, in grado di inventare strutture e servizi adattando modelli
provenienti dall’estero, in specie dagli Stati Uniti.
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L’architetto del principe
1 | M. Bacciocchi, Veduta di Metanopoli, con il Centro ricerche e torre degli uffici,
San Donato Milanese, 19 giugno 1953.
Legato a Enrico Mattei da un rapporto di fiducia e di amicizia, Bacciocchi fu
definito l’“architetto del principe” quando ottenne, nei primi anni
Cinquanta, l’incarico di ideare una serie di edifici, fulcro di quella che lo
stesso architetto definì per l’appunto “Metanopoli” [Fig. 1]. Nei ricordi di
Sante Tibaldi in un’intervista del 1990 rilasciata a Vincenzo Gandolfi,
Bacciocchi disse:
Lei presidente mi ha dato l’incarico di progettare un lotto di case, il motel
per i camionisti e i laboratori. Ma mi ha accennato che dovrà sorgere una
chiesa e che a completamento del nuovo centro andranno previste altre
costruzioni e servizi. Sarà, quindi, necessario realizzare un viale che parta
dalla via Emilia, ortogonalmente a essa e in fregio al centro industriale Snam
(quello che è diventato il viale De Gasperi) e che all’altezza del luogo su cui
sorgerà la chiesa venga costruita un’arteria perpendicolare al viale sulla
quale andranno a collocarsi gli edifici che si renderanno necessari in futuro.
E questo sarà la città del metano, sarà Metanopoli (Sermisoni 1995;
Deschermeier 2008, 23).
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Per il gruppo industriale Agip-Eni (l’Azienda generale italiana petroli,
fondata con la legge 556 del 3 aprile 1926, nasceva come holding statale
incaricata della distribuzione di prodotti petroliferi importati; nell’aprile
1945 Mattei ne divenne commissario e nel 1948 vicepresidente, e con la
legge 136 del 10 febbraio 1953 fu ufficialmente costituito l’Ente nazionale
idrocarburi), Bacciocchi inventò così case, motel, stazioni di servizio,
laboratori di ricerca, padiglioni, una chiesa e un centro sportivo. Ma
l’architetto non fu solo l’esperto affidabile al servizio di Mattei.
A partire dal 1925, anno in cui si laureò al Politecnico di Milano, Bacciocchi
aveva avviato un’intensa attività – svolta fino al 1974, anno della sua
morte – caratterizzata dalla realizzazione di opere emblematiche della
cultura professionale italiana tra gli anni del fascismo e quelli del boom
economico. Il primo incarico lo ebbe da Riccardo Gualino per progettare le
scuderie a Mirafiori. Grazie al noto industriale, mecenate e collezionista
piemontese, si recò a Parigi per fare ricerche sugli impianti ippici. In
seguito, aprì uno studio a Parma nello storico palazzo di Santaflora e –
come molti giovani neoarchitetti – lavorò in provincia, in particolare a
Piacenza e a Salsomaggiore (dove costruì le ville Barilla e Fonio, nonché il
complesso Poggio Diana), e partecipò a diversi concorsi, tra i quali quelli
per un Monumento ai caduti e per l’Ospedale Maggiore [Fig. 2], entrambi a
Milano.
2 | M. Bacciocchi, Progetto di concorso per l’Ospedale Maggiore, Milano 1927.
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Portici, serliane, bugnati, timpani spezzati, colonne, altane
caratterizzavano i disegni di questi anni: utilizzato in tutta Italia da molti
progettisti, come Bacciocchi, in cerca di una vena espressiva nuova, il
linguaggio del passato sei-settecentesco era considerato l’espressione di
una tendenza artistica fino a quel momento inedita per quanto riguardava
le ricadute architettoniche (Savorra i.c.s). I progetti elaborati per l’ospedale
milanese, come quelli per il complesso Poggio Diana, ad esempio, possono
ascriversi così a quella maniera “barocchetta”, che si manifestò in modo
evidente dopo la prima guerra mondiale e si dissolse quando
cominciarono ad affermarsi da un lato il recupero della classicità romana,
dall’altro – soprattutto ad opera delle nuove generazioni di architetti – i
linguaggi razionalisti.
Durante gli anni Trenta del Novecento Bacciocchi realizzò alcuni edifici
interessanti, come il liceo Melchiorre Gioia a Piacenza (incarico avuto
grazie al suo maestro Portaluppi), il padiglione dell’Unpa alla Fiera di
Milano o come la sede del Gruppo rionale fascista Ceresio a Milano con la
torre “tra le più alte costruite in città in quel momento” (Maulsby 2014),
opere in cui dimostrò di sapere “mescolare l’emergente lessico razionalista
con la precisa e accurata scelta di materiali durevoli e solidi propria
dell’architettura novecentista” (Airoldi 1982). Oltre a consolidare la sua
attività professionale, realizzando nel capoluogo lombardo numerosi
condomini dal carattere sobrio e al tempo stesso signorile (in piazza
Maciacchini, ma anche in via Sidoli, in via Dogana, in viale Regina
Giovanna, in corso Genova, e in molte altre zone della città), partecipò, sia
ai concorsi per il palazzo del Littorio a Roma e per l’aero-idroscalo di
Linate (Savorra 2017a), sia alle competizioni milanesi per la sistemazione
della piazza del Duomo e della retrostante piazza Diaz che prevedevano
anche la creazione di un Arengario in luogo della Manica Lunga e di un
palazzo verso la Loggia dei mercanti. In questo periodo, l’impegno e il
linguaggio di Bacciocchi appartenevano a pieno titolo alla cultura e agli
ambienti milanesi, come è evidente non solo nelle soluzioni
architettoniche della Loggia Imperiale dell’Arengario, ma anche nei
progetti relativi alla sistemazione della retrostante piazza Diaz [Fig. 3] e al
Palazzo delle Corporazioni fronteggiante il Duomo (Concorso 1938).
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3 | M. Bacciocchi, Progetto di Arengario e sistemazione di piazza Diaz, Milano 1936.
Va ricordato che la città meneghina era oggetto – proprio negli anni Trenta
– di radicali trasformazioni urbanistiche, dovute a gruppi finanziari
agguerriti e a grandi istituti bancari e assicurativi. Piazza Diaz, piazza San
Babila, e piazzale Fiume furono i principali luoghi di investimento offerti
all’iniziativa privata. Per tali luoghi Bacciocchi individuò soluzioni che
miravano al consolidamento dei caratteri monumentali degli spazi
mediante la realizzazione di edifici alti quali fulcri di una aggiornata
progettazione urbana. Tra le “piazze satelliti del duomo”, come previsto
dal piano Portaluppi-Semenza, la piazza Diaz nelle intenzioni doveva
essere il centro di un moderno quartiere degli affari, così come la piazza
San Babila sarebbe stata uno “snodo pulsante delle nuove direttrici urbane”
e il piazzale Fiume il centro di un quartiere residenziale “più elegante e più
richiesto nella capitale lombarda” (Irace 2004).
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4 | M. Bacciocchi, Progetto di grattacielo per la Marzotto-Valdagno in piazza San
Babila, Milano 1939.
5| M. Bacciocchi, Palazzo Excelsa Domus in piazza Fiume ang. Vittor Pisani.
Brochure pubblicitaria del (con ing. G. Cesa Bianchi, impresa f.lli Bordone), Milano
1936-39.
In tale ambito, Bacciocchi concepì per la società Immobiliare Diaz (con
Alister MacDonald e con la consulenza di Marcello Piacentini) un progetto
di edificio-grattacielo in piazza Diaz, per la Marzotto-Valdagno una
proposta per un edificio-grattacielo in piazza San Babila [Fig. 4] e, per la
società Excelsa Domus, un elegante condominio alto in piazzale Fiume
(1936-39), un’area quest’ultima che venne definita nelle brochure
pubblicitarie [Fig. 5] come una magnifica oasi di verde prossima ai giardini
pubblici.
6 | M. Bacciocchi, Progetto di Foro Mussolini. Veduta aerea, Milano 1942.
7 | M. Bacciocchi, Progetto di Foro Mussolini. La piazza della Rivoluzione con l’inizio
della via Imperiale, Milano 1942.
8 | M. Bacciocchi, Progetto di Foro Mussolini. La via Imperiale vista dalla piazza della
Rivoluzione, Milano 1942.
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All’idea di una Milano monumentale espressa nelle soluzioni per il centro
della città si collega il Foro Mussolini, uno studio urbanistico di Bacciocchi
per la sistemazione integrale delle zone a nord est dell’Arena (del progetto
si conservano in archivio le sole riproduzioni fotografiche). Singolarmente
datato maggio-giugno 1942, l’ambizioso piano riguardava la
trasformazione di una vasta area che partiva dal parco del Sempione per
arrivare fino al nuovo parco della Maggiolina [Figg. 6-8]. Lette da alcuni
studiosi come un’eco del quartiere E42 (il futuro Eur) che stava sorgendo a
Roma (Rezzonico 1992; Nicoloso 2018), in realtà, le idee espresse da
Bacciocchi – nonostante alcune similitudini formali con taluni edifici
dell’E42 – andrebbero collegate piuttosto a quelle del ben noto progetto di
Foro Mussolini concepito da Giuseppe De Finetti nel 1933. Va ricordato,
infatti, che Bacciocchi in quell’anno aveva firmato con l’architetto “allievo
di Loos” tutte le tavole relative al piano per lo “Stadio di Milano e le Terme”
(alla definizione di alcuni aspetti avevano collaborato anche il professore
Arturo Danusso e l’ingegnere Giuseppe Valtolina), che comprendevano
altresì la vasta sistemazione della zona attigua all’Arena (De Finetti 1934,
128; Bucci 2016). Nelle 15 prospettive conservate nell’archivio De Finetti,
quasi tutte firmate “De Finetti-Bacciocchi” (Progetto 1984), l’attenzione era
rivolta – oltre che alle strade circostanti l’impianto del Canonica
trasformato in stadio e la nuova piscina prevista per i littoriali del 1934 –
anche alle aree comprese tra la via Moscova, la piazza Lega Lombarda, il
Bastione e il viale Montello, considerate “spazi irregolari, senza margini
ben definiti”. In comune i due progetti urbanistici, quello del 1933 e quello
del 1942, avevano come obiettivo, a partire dalla creazione di strutture per
lo sport, la qualificazione di una vasta area in funzione delle esigenze di
penetrazione delle arterie regionali (Nota introduttiva 2002) e, soprattutto,
la risoluzione della questione del basso valore delle proprietà immobiliari
dei due quartieri popolari esistenti, il borgo degli ortolani (el bourg) e il
rione Garibaldi (el guast). Ma mentre il primo progetto si limitava a
ricucire, allineare e creare nuove strade, e a definire la piazza ipogea
antistante l’Arena come un’ampia esedra trionfale – al centro della quale
una maestosa colonna avrebbe fatto da contraltare alla porta delle Milizie
dello stadio (De Finetti 1933) –, il secondo, firmato dal solo Bacciocchi,
configurava un vero e proprio quartiere moderno definito da una
grandiosa via Imperiale suddivisa in differenti strade e livelli: nella parte
mediana una via sacra affiancata da spazi verdi, ai lati strade carrabili e
piste ciclabili, passeggiate sopraelevate e strade di servizio. A differenza
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del “foro su due livelli” del 1933 (Reggiori 1952), il Foro Mussolini del
1942 era tutto basato su tale imponente arteria che partiva dall’Arena,
affiancata da una piazza rettangolare definita “della Rivoluzione”, ed era
segnata da una serie di episodi monumentali, come l’Arco dei legionari e
l’Arco delle medaglie d’oro all’inizio, o l’Arco del duce verso la fine, per
giungere – una volta collegata alle strade esistenti ampliate e rettificate – a
un Tempio civico della Vittoria, ben oltre l’area della stazione centrale.
Con la sua magniloquente monumentalità, il progetto di Bacciocchi sembra
volesse far superare il giudizio formulato da Ferdinando Reggiori sul Foro
Mussolini del 1933, definito “la più bella pagina di edilizia monumentale
urbana che a Milano sia stata immaginata dopo il sistema via Dante-piazza
Castello” (Reggiori 1933).
Dal secondo dopoguerra agli anni del boom economico
9 | M. Bacciocchi, Palazzo in piazza Missori, Milano 1953.
Subito dopo la guerra, su richiesta della Sindhu Resettlement Corporation
Bacciocchi realizzò il piano regolatore di Gandhidham, una nuova città nel
deserto del Sind in India, lavorò in Spagna e negli Stati Uniti e portò avanti
innumerevoli lavori per edilizia residenziale a Milano che si affiancavano ai
tanti riconducibili a una specifica clientela di matrice cattolica, che erano
stati avviati con la progettazione, la direzione artistica e la costruzione del
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Piccolo Cottolengo di Don Orione a Milano già a partire dal 1938.
Bacciocchi fu infatti presentato a Don Orione, a cena a casa di amici, da
Pasquale Pozzi nel marzo di quell’anno (come riportava il foglietto mensile
“Don Orione” del giugno 1974). La fiducia acquisita gli permise di
realizzare in seguito, per la comunità del religioso, anche l’Ospizio
Sant’Antonio ad Ameno, le case ricovero di Milano, il vasto complesso
religioso di Boston tra il 1955 e il 1961, e i nuovi padiglioni per il villaggio
del Piccolo Cottolengo Milanese nel 1971. Va da sé che i rapporti con la
committenza ecclesiale si saldarono nei primi anni del secondo
dopoguerra con gli incarichi avuti sia per il Tempio della Fraternità
dedicato alla SS. Trinità al Belvedere a Piacenza, sia per la facoltà di
Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sempre a Piacenza, e per
l’Ara Pacis Mundi sul colle di Medea (Zehenthofer 2015). Va segnalato che
nel 1950 Bacciocchi aveva elaborato anche un imponente progetto di
monumento “a tutti i caduti dell’ultima guerra” che sarebbe dovuto
sorgere di fronte al Sacrario di Redipuglia sul colle Sant’Elia, e che l’Ara
Pacis Mundi – eretta a partire dalla fine del 1950 per commemorare i
caduti di tutte le guerre – nacque per volere di un comitato formato da
Associazioni di ex combattenti, ma soprattutto grazie alla Pontificia
Commissione di Assistenza.
Sempre nei primi anni Cinquanta, mentre realizzava a Milano i palazzi in
via Passione, in via Jenner, in piazza Missori [Fig. 9] e il palazzo delle ACLI,
l’architetto ricevette da Mattei l’incarico di “inventare” l’insediamento di
Metanopoli, il quartiere generale alle porte della città, tra la via Emilia e la
nascente Autostrada del Sole, in cui la direzione amministrativa potesse
essere a stretto contatto con i laboratori di ricerca e con le strutture
produttive e di stoccaggio, quest’ultime previste da quando la Snam aveva
acquistato nel 1951 un lotto di 200 ettari nella zona di San Donato per
realizzare un deposito di tubi per i metanodotti (Balducci, Piazza 1981).
Inizialmente intesa anche come “casa-villaggio” (senza assegnazioni e
riscatti, ma solo con contratti a termine), la “città del metano” iniziò a
crescere dal 1952, a partire dall’Albergo dei camionisti, motorhotel o
motel, con il primo edificio residenziale e con i fabbricati in linea
multipiano nell’area a nord della piazza Santa Barbara, luogo anche di una
chiesa e di un battistero. Innervata intorno al futuro viale De Gasperi, la
company town di Mattei – descritta magistralmente dagli scrittori Luciano
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Bianciardi e Alberto Arbasino (Camponogara 1997) – era basata su un
sistema di moduli insediativi e interventi “razionali”, che seguivano quello
che è stato definito “un processo di espansione per certi versi
situazionista” (Guidarini 2012). Ossia, anziché su di un disegno
geometrico predefinito o su di una maglia viaria predeterminata, la città
nasceva intorno alla sola arteria perpendicolare alla via Emilia, dove nel
tempo si realizzarono l’autoreparto Snam, i laboratori di ricerca e tecnica,
e i palazzi per uffici. Contemporaneamente, all’interno delle aree
confinanti il grande viale furono erette le residenze e le strutture per la
vita comunitaria, come scuole, negozi [Fig. 10], spazi per il tempo libero e
lo sport.
10 | M. Bacciocchi, Negozi, mercato coperto e abitazioni a Metanopoli, San Donato
Milanese 1954.
Affidate agli uffici tecnici della Snam, la progettazione, la costruzione e la
gestione di Metanopoli erano così il risultato di una serie di procedure
semplificate, che partivano dal coordinamento delle politiche di acquisto e
di appalto fino alla realizzazione dei singoli episodi architettonici. Del
resto, i modelli abitativi, che concretizzavano la filosofia della ripetibilità
degli elementi-tipo, rimandavano agli schemi previsti per l’edilizia
economica dell’esperienza dell’Ina-casa, cari alla cultura democristiana di
quegli anni (Savorra 2018). A Metanopoli si applicarono in tal senso
tipologie e procedure, tali da essere poi trasferite nei centri di produzione
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disseminati in Italia, a Ravenna, Pisticci, Gela. Anche se in quest’ultimo
caso, il processo progettuale del nuovo quartiere Eni si sviluppò
diversamente grazie alle sperimentazioni di Edoardo Gellner (Baglione
2011; Baglione 2015).
Accanto alla realizzazione dell’insediamento produttivo e residenziale di
Metanopoli, Bacciocchi progettò un centro sportivo, completo di campo di
calcio, tribune, piscina e campi da tennis, da inserire nel paesaggio
prosperoso del neonato villaggio nei pressi di San Donato Milanese (basti
pensare che il verde già copriva l’ottanta per cento della superficie degli
isolati prevista per le case). Il progetto della piscina coperta fu affidato
invece agli architetti Marco Bacigalupo e Ugo Ratti, che realizzarono anche
il complesso scolastico e il poliambulatorio medico, mentre il cosiddetto
Primo palazzo per uffici fu costruito nel 1956 da Marcello Nizzoli e Gian
Mario Olivieri, e il Secondo nel 1962 da Bacigalupo e Ratti.
Intanto, insieme al piano di insediamento da realizzare seguendo il
disegno della cosiddetta “quadra residenziale”, un modulo base ripetibile
di 120x120 metri circa (suscettibile tuttavia di variazioni a seconda delle
proprietà agricole acquisite via via), Bacciocchi mise a punto, sempre su
richiesta di Mattei, la serie di “stazioni di servizio”, un progetto basato
sempre sul concetto della ripetibilità di elementi-tipo che sarebbero stati
disseminati sul territorio italiano ed estero, secondo una spettacolare
politica di espansione commerciale della rete di distribuzione del
carburante . La poetica della quantità, esperita nella definizione di uno
standard (lo stesso concetto del modulo per tipi ripetibili applicato nello
schema planimetrico di Metanopoli), si materializzava in questo modo
nell’invenzione di un tipo di stazione di servizio, adattabile – con le sue
tante varianti – ai diversi contesti urbani, extraurbani e autostradali.
Nel momento in cui i bordi delle autostrade si stavano trasformando in un
vero e proprio laboratorio dove sperimentare architetture di servizio
(Greco 2015), il programma di potenziamento della rete di distribuzione di
carburanti e lubrificanti prevedeva anche per l’Agip la costruzione di centri
di rifornimento lungo le arterie principali e secondarie d’Italia. Mattei
intendeva mettere a disposizione dell’automobilismo in continua
espansione, un servizio completo impostato su criteri moderni di
efficienza. Nel clima segnato sia dalle tensioni da guerra fredda, sia
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La Rivista di Engramma 169 novembre 2019
dall’incentivazione della motorizzazione di massa, la diffusione della
stazione di rifornimento Agip-Supercortemmaggiore, con la definizione del
tipo del motel Agip, contribuì all’affermarsi dell’immaginario filoamericano
del consumo nel nascente paesaggio autostradale (Ciorra 2013).
Gli alberghi del camionista – molto probabilmente una tipologia che Mattei
aveva conosciuto nei tanti viaggi negli Stati Uniti – e le grandi stazioni di
servizio si caratterizzavano per il senso di familiarità accogliente, mentre
le piccole stazioni di rifornimento del carburante, concepite da Bacciocchi,
spaziavano dall’immagine del chiosco neo-vernacolare in legno, pietra e
mattoni, a quella avveniristica dei box prefabbricati prodotti negli
stabilimenti del Nuovo Pignone. L’aspetto qualificante era dato in tutti i
casi dalle sottili, spregiudicate pensiline in stile googie dalla forte
connotazione reclamistica, che accoglievano la scritta luminosa “AgipSupercortemaggiore” in lettere scatolari metalliche o semplicemente la
raffigurazione del cane a sei zampe su fondo giallo, simbolo dell’azienda.
Va notato che la luminosità esterna era affidata anche ai tubi fluorescenti
nascosti lungo i bordi superiori del box, predisposti a illuminare
indirettamente e diffusamente i distributori posti al di sotto della
pensilina. Come è stato osservato, la modernità che Bacciocchi declina
nelle sue stazioni da un lato riprende, nella produzione italiana del
dopoguerra, i tre elementi architettonici fondamentali della stazione di
servizio statunitense (il chiosco, la pensilina, il pennone pubblicitario),
dall’altro “ne adatta la dimensione costruttiva al contesto artigianale
proprio della realtà insediativa degli interventi” (Greco 2010).
La Rivista di Engramma 169 novembre 2019
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11 | M. Bacciocchi, Stazione di servizio Agip-Supercortemaggiore in piazzale
Accursio, Milano 1956.
12 | M. Bacciocchi, Visione notturna della stazione di servizio AgipSupercortemaggiore in piazzale Accursio, Milano 1956.
13 | M. Bacciocchi, Chiosco piccolo senza pensilina per stazione di servizio AgipSupercortemaggiore. Progetti tipo degli impianti stradali in Italia, s.d. [ma primi anni
50].
Sicché, insieme alla straordinaria stazione Agip di piazzale Accursio a
Milano [Figg. 11-12], quasi un unicum nel panorama italiano, Bacciocchi
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nel 1955 ideò progetti-tipo di impianti stradali, tredici versioni di stazioni
di rifornimento complete di locali per il gestore, rivendite e bar-ristori,
ispirandosi agli standard molto elevati delle compagnie americane (Pozzi
2009). Evoluzione della tipologia del chiosco, la stazione di servizio
ribattezzata “la bacciocca”, con o senza la sua ardita pensilina, era
standardizzata e al contempo adattabile al contesto circostante: piccole,
medie o grandi, le strutture potevano infatti essere realizzate in materiali
diversi ed essere installate lungo le tante strade dell’Italia del benessere
[Fig.13]. Illustrati in un album che comprendeva tutte le soluzioni possibili,
gli impianti si differenziavano per dimensioni e in base alle prestazioni
richieste, ma erano accomunati dall’eleganza delle linee e dall’attenzione
verso gli ambienti circostanti.
Negli anni successivi, la medesima capacità di mescolare i tanti riferimenti
linguistici – da quelli razionalisti a quelli vernacolari – emerse anche in
altre occasioni professionali, in cui era necessario appagare le richieste di
una committenza lombarda interessata a un’architettura “rassicurante”.
Tra queste si possono segnalare gli edifici per la Charitas Ambrosiana, che
commissionò le colonie marine e montane di Spotorno, Cesenatico,
Piancavallo, oppure il progetto di centro turistico a Pesaro, o ancora le
numerose chiese parrocchiali e gli istituti religiosi. A tal proposito, non va
dimenticato che Mattei fu anche presidente del Comitato per le nuove
chiese della diocesi di Milano, sorto prima della guerra per volontà del
cardinale Idelfonso Schuster e rinvigorito in seguito con il governo
episcopale dell’allora cardinale Giovanni Battisti Montini (futuro papa Paolo
VI). Il Comitato aveva proprio come obiettivo la costruzione di cento chiese
per celebrare il Concilio ecumenico Vaticano Secondo (Crippa 2016): tra il
1959 e il 1965 si realizzarono in questo modo ventidue chiese (Comitato
1969).
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14 | M. Bacciocchi, Istituto Padre Monti e parrocchia Immacolata Concezione, piazza
Frattini, Milano 1951-63.
In tale ambito Bacciocchi concepì l’Istituto di Padre Monti con la chiesa
dell’Immacolata annessa [Fig. 14], la chiesa nel quartiere Feltre a Milano
(Savorra 2017b) e la chiesa di Sant’Angela Merici (per volontà di Mattei per
ricordare la moglie Angela), che per alcuni aspetti tipologici e costruttivi si
collegavano alla chiesa di Santa Barbara a Metanopoli [Figg. 15-16].
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Collocato nel centro della città dell’Eni, quest’ultimo edificio religioso –
consacrato già il 3 dicembre 1955 – si differenziava tuttavia per
l’accentuata cromia e per le citazioni colte (per gli interni furono coinvolti
pittori e scultori, quali Vincenzo Tomea, Andrea Cascella, Giò e Arnaldo
Pomodoro, Pericle Fazzini), in particolare nel battistero e nel campanile,
che rimandavano in maniera palese all’architettura chiesastica toscana, ma
nelle linee di una presupposta tradizione “padana”, una Padania intesa da
Mattei al pari di una “cassaforte aperta nella quale basta ormai affondare le
mani per portare alla luce i tesori che essa contiene” (Zucconi 1986;
Zucconi 1995).
15 | M. Bacciocchi, Chiesa di Santa Barbara a Metanopoli, San Donato Milanese
1954.
16 | Enrico Mattei offre al cardinale Giovanni Battista Montini il modellino della
chiesa di Santa Barbara a Metanopoli, 1954.
Che fossero avveniristiche, come quelle concepite per la stazione di
servizio di piazzale Accursio, neo-vernacolari, come quelle delle chiese o
delle stazioni ripetitrici e altre architetture “funzionali” messe a punto per
la Snam-Eni, evocanti fisionomie nordiche come nella chiesa del quartiere
Feltre [Fig. 17], più o meno razionaliste come quelle dei tanti condomini
milanesi, le forme studiate da Bacciocchi rassicuravano – nel clima fervido
talvolta confuso della crescita abnorme della domanda negli anni della
Ricostruzione – una committenza non interessata ai dogmatismi degli stili.
Nel corso della sua professione, egli rafforzò l’immagine di professionista
affidabile, che si avvalse – fino al termine della sua carriera – sempre di un
linguaggio che si arricchiva ogni volta di riferimenti raffinati, talvolta
impreziositi da contaminazioni e simbologie (emblematica è la tomba
Mattei a Matelica). Amante della musica, esperto cultore di yoga e di
teosofia, scaltro collezionista d’arte e gran frequentatore di mostre (in
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un’intervista a Gianni Manstretta del 1970 si vantava di aver avuto nella
vita un grande fiuto acquistando quadri di Sironi, De Pisis, De Chirico,
Carrà, Morando, Funi e molti altri), Bacciocchi fu anche un abile
disegnatore per il “Corriere della sera” e un fine ritrattista (memorabili
quelli dei tanti amici frequentati al Bagutta). Estremamente disponibile e
affabile di carattere, si avvalse, nei suoi lavori, ogni volta di una koinè
neutrale quasi silenziosa, per andare incontro, nel contesto dell’Italia del
miracolo economico, alla molteplicità di richieste dei committenti,
probabilmente convinto che l’ammodernamento di un Paese e di una
cultura dovessero passare per una sottesa, rassicurante concezione
dell’architettura.
17 | M. Bacciocchi, Chiesa di S. Ignazio di Loyola nel quartiere Feltre (con ing. Carlo
Aitelli e arch. Alfonso Mantovani), Milano 1962-63.
Le ricerche presentate con il contributo dal titolo Un professionista al servizio
dell’Eni. L’opera di Mario Bacciocchi (1902-1974) dalle carte del suo archivio
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all’incontro di studi Eniway. Architettura, arte, città, tenutosi il 18 marzo 2014
all’Università Iuav di Venezia, sono state pubblicate in forma sintetica nell’articolo
Mario Bacciocchi e le “invenzioni” per Enrico Mattei, apparso in “Ark”, 30, 2019, pp.
26-33. Questo saggio ne costituisce una versione largamente ampliata, riveduta e
aggiornata. Oltre che a Fernanda De Maio, curatrice dell’iniziativa veneziana del
2014, la mia gratitudine va all’architetto Giordano Bacciocchi, per avermi dato a suo
tempo, l’opportunità di studiare e riprodurre i materiali del padre in suo possesso.
Andato in gran parte disperso, l’archivio dell’architetto si stava infatti ricostituendo
presso gli eredi, con l’obiettivo di recuperare i pochi materiali e disegni superstiti;
per un primo regesto delle opere si veda l’elenco compilato da Italo e Luca Bottale
in Hommage à Bacciocchi, catalogo della mostra, Biffi arte, Piacenza 2014 (degli
stessi autori si veda anche Mario Bacciocchi. Un architetto del 900, s.e., s.l., s.d ultimo accesso al sito: settembre 2019).
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English Abstract
In the early Fifties Enrico Mattei asked Mario Bacciocchi to realize “Metanopoli”, a
company town for the Agip-Snam (later Eni), following the principles of the “rational”
design solutions. In order to understand the project motivations, it is necessary to
retrace the biographies of its protagonists and the background within which certain
choices matured. But, if the life of the founder of the energy corporation and its
links with the Catholic world have been the subject of a copious bibliography, the
intense “professional journey” of Bacciocchi, a leading architect of the past century,
is still to be investigated, also considering the dispersion of a large part of his
private archive and the absence of primary sources and personal writings.
Bacciocchi was not only Enrico Mattei's architect. Since 1925 he starts an intense
activity characterized by the creation of architectures that reflect significantly the
climate of the Italian professional culture of the Twentieth Century. Thanks to the
study of the few unpublished materials from the archive held by the heirs, the
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contribution focuses on the figure of Bacciocchi, framing it in the historical context
and trying to explain the genesis of some of his projects, developed before, during
and after the war, in other words, before, during and after Mattei. This article is the
first attempt to articulate a critical reconstruction of the biography of Mario
Bacciocchi (1902-1974).
key words | Enrico Mattei; Mario Bacciocchi; Metanopoli; Eni.
La Redazione di Engramma è grata ai colleghi – amici e studiosi – che, seguendo la
procedura peer review a doppio cieco, hanno sottoposto a lettura, revisione e
giudizio questo saggio.
(v. Albo dei referee di Engramma)
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