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Abstract Tesi di Laurea triennale.

2019, Fondamenti filosofici della proprietà privata

Proponendo un'analisi dell'evoluzione storico-filosofica delle concezioni di proprietà, l'obiettivo che mi pongo in questa tesi è di cogliere la logica del rapporto fra una teoria individuale ed una sociale che, a turno, hanno politicamente prevalso l'una sull'altra. Alla luce di queste considerazioni, il fine sarà di verificare in che modo, nell'immediato dopoguerra, il bilanciamento fra queste due dimensioni abbia trovato cristallizzazione nel compromesso scolpito nell'art. 42 della Costituzione italiana. E soprattutto, in che modo possa essere interpretato. Per farlo mi sono servita del pensiero di John Locke. La tesi si sviluppa in sei capitoli. Nel primo ho illustrato sinteticamente l'evolversi della concezione di proprietà all'interno del quadro storico, facendo riferimento al pensiero greco, romano, patristico e infine, a quello contrattualista in età moderna, soffermandomi su Hobbes e Pufendorf. Nel secondo, ho analizzato nello specifico la teoria di proprietà avanzata da John Locke, primo filosofo che ne ha determinato un fondamento morale: il lavoro. Da quest'ultimo poi, Locke fa derivare anche i limiti etici e naturali del possesso. Le tesi lockiane saranno però oggetto di numerose controversie: c'è chi individua nei suoi passi il fondamento morale dell'accumulazione capitalistica e chi, al contrario, ne sostiene un'interpretazione comunitario-collettivistica. Insomma, Locke è un pensatore liberal-borghese o, attraverso il riferimento al lavoro, può essere considerato un anticipatore del pensiero socialista? Ho tentato di delineare questa problematica nel terzo capitolo, contrapponendo la visione critica di Macpherson a quella di Tully. Nel quarto capitolo mi sono soffermata sull'etica del lavoro e sulla sua duplice funzione: da un lato base per un discorso a difesa del sistema capitalistico e della proprietà privata, dall'altro riferimento per le rivendicazioni sociali che ne favorivano l'abolizione. Proprio per questo i discorsi di Locke possono essere così ambigui. Anche nel caso del lavoro dunque, ritorna la contrapposizione fra una visione individualistica ed una collettiva, ma il confine sembra farsi pian piano più sottile. Sottile o meno, nel dopoguerra si fano sentire le voci di economisti e filosofi che, prendendo Locke a modello, hanno proposto teorie di un estremo liberalismo. È il caso delle soluzioni di "Stato minimo" proposte da Nozick e Coase, rispettivamente filosofo ed economista. In questo capitolo, il quinto, ne ho delineato le linee teoriche generali, per poi proporne una critica. Infine si giunge al il sesto capitolo con cui si conclude la tesi. Qui mi focalizzo sul caso italiano: la scrittura di una Carta Costituzionale, su questi stessi temi, per molti versi assolutamente innovativa.

Abstract Proponendo un’analisi dell’evoluzione storico-filosofica delle concezioni di proprietà, l’obiettivo che mi pongo in questa tesi è di cogliere la logica del rapporto fra una teoria individuale ed una sociale che, a turno, hanno politicamente prevalso l’una sull’altra. Alla luce di queste considerazioni, il fine sarà di verificare in che modo, nell’immediato dopoguerra, il bilanciamento fra queste due dimensioni abbia trovato cristallizzazione nel compromesso scolpito nell’art. 42 della Costituzione italiana. E soprattutto, in che modo possa essere interpretato. Per farlo mi sono servita del pensiero di John Locke. La tesi si sviluppa in sei capitoli. Nel primo ho illustrato sinteticamente l’evolversi della concezione di proprietà all’interno del quadro storico, facendo riferimento al pensiero greco, romano, patristico e infine, a quello contrattualista in età moderna, soffermandomi su Hobbes e Pufendorf. Nel secondo, ho analizzato nello specifico la teoria di proprietà avanzata da John Locke, primo filosofo che ne ha determinato un fondamento morale: il lavoro. Da quest’ultimo poi, Locke fa derivare anche i limiti etici e naturali del possesso. Le tesi lockiane saranno però oggetto di numerose controversie: c’è chi individua nei suoi passi il fondamento morale dell’accumulazione capitalistica e chi, al contrario, ne sostiene un’interpretazione comunitario-collettivistica. Insomma, Locke è un pensatore liberal-borghese o, attraverso il riferimento al lavoro, può essere considerato un anticipatore del pensiero socialista? Ho tentato di delineare questa problematica nel terzo capitolo, contrapponendo la visione critica di Macpherson a quella di Tully. Nel quarto capitolo mi sono soffermata sull’etica del lavoro e sulla sua duplice funzione: da un lato base per un discorso a difesa del sistema capitalistico e della proprietà privata, dall’altro riferimento per le rivendicazioni sociali che ne favorivano l’abolizione. Proprio per questo i discorsi di Locke possono essere così ambigui. Anche nel caso del lavoro dunque, ritorna la contrapposizione fra una visione individualistica ed una collettiva, ma il confine sembra farsi pian piano più sottile. Sottile o meno, nel dopoguerra si fano sentire le voci di economisti e filosofi che, prendendo Locke a modello, hanno proposto teorie di un estremo liberalismo. È il caso delle soluzioni di “Stato minimo” proposte da Nozick e Coase, rispettivamente filosofo ed economista. In questo capitolo, il quinto, ne ho delineato le linee teoriche generali, per poi proporne una critica. Infine si giunge al il sesto capitolo con cui si conclude la tesi. Qui mi focalizzo sul caso italiano: la scrittura di una Carta Costituzionale, su questi stessi temi, per molti versi assolutamente innovativa.