2019, Teatro di Marte: il Cimitero militare germanico del Passo della Futa (ed. by Elena Pirazzoli)
A cinquant’anni dall’inaugurazione nel giugno 1969, questo saggio ripercorre la presenza nelle fonti a stampa del Cimitero Germanico Militare sul passo della Futa. Inserendo il progetto all’interno del più ampio dibattito relativo alle sepolture dei nemici nel secondo dopoguerra, il testo intende indagare le ragioni del lungo silenzio che per decenni ha avvolto il progetto, la costruzione e la presenza fisica del cimitero sull’Appennino tra Firenze e Bologna. Questa ricerca si basa, da un lato, su uno spoglio di testate a scala nazionale (Corriere della Sera, La Stampa) e locale (La Nazione, Il Resto del Carlino), al fine di analizzare come la stampa italiana abbia affrontato la costruzione dei cimiteri di guerra tedeschi a partire dagli anni Cinquanta. Dall’altro, il saggio vuole proporre una storia della critica architettonica sul cimitero alla Futa, sia italiana sia tedesca, al fine di comprendere la sorprendente indifferenza da parte della stampa specialistica e spiegare la recente riscoperta del progetto di Dieter Oesterlen. *** Fifty years after its inauguration in June 1969, this essay aims at retracing the presence of the Futa-pass German War Cemetery in print sources. By including this project within a wider debate on the Postwar burial of the enemies of war, this text investigates the reasons of the long silence that has surrounded for decades the project, the construction and the physical presence of this cemetery on the Apennines between Florence and Bologna. On one hand, this research is based on the analysis of Italian newspapers, both on a national scale (Corriere della Sera, La Stampa) and on a local scale (La Nazione, Il Resto del Carlino), in order to understand how the Italian press dealt with the construction of German war cemeteries since the 1950s. On the other hand, this paper offers a history of the Italian and German architectural critique on the Futa-pass cemetery, with the aim of understanding the surprising indifference of the architectural publications and explaining the recent rediscovery of Dieter Oesterlen’s project.