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A RC H I V I O DI FILOSOFIA A RC H I V E S O F P H I L O S O P H Y L’ANALOGIA Editors Stefano Bancalari Associate Editors Enrico Castelli Gattinara · Francesco Paolo Ciglia · Pierluigi Valenza Editorial Board Fr ancesco Botturi · Bernhard Casper · Ingolf Dalferth · Pietro de Vitiis Adriano Fabris · Piergiorgio Gr assi · Jean Greisch · Marco Ivaldo Jean-Luc Marion · Virgilio Melchiorr e · Stéphan Mosès† · Adriaan Peperzak Andrea Poma · Richard Swinburne · Fr anz Theunis Managing Editor Fr ancesco Va lerio Tommasi * Si invitano gli autori ad attenersi, nel predisporre i materiali da consegnare alla Direzione, alle norme speciicate nel volume Fabrizio Serra, Regole editoriali, tipograiche & redazionali, Pisa-Roma, Serra, 20092 (Euro 34,00, ordini a: [email protected]). Il capitolo Norme redazionali, estratto dalle Regole, cit., è consultabile Online alla pagina «Pubblicare con noi» di www.libraweb.net. The authors are prayed to observe, in preparing the materials for the Editor, the rules stated in the Fabrizio Serra, Regole editoriali, tipograiche & redazionali, Pisa-Roma, Serra, 2009 2 (Euro 34,00, orders to: [email protected]). Our Editorial Rules are also speciied at the page «Publish with Us» of www.libraweb.net. * La rivista «Archivio di Filosoia · Archives of Philosophy» pubblica numeri monograici, ai quali di norma gli autori sono invitati a collaborare dalla Direzione, che si assume nella sua collegialità la responsabilità della accettazione dei testi ai ini della pubblicazione. La Direzione sottopone alla revisione da parte di almeno due referee esterni, rendendo anonimi i nomi degli autori, tutti i testi per i quali questa ulteriore valutazione venga giudicata necessaria. The Journal «Archivio di Filosoia · Archives of Philosophy» publishes volumes centred on speciic themes. Authors are normally invited to submit their papers by the Board of Editors, which takes collectively the responsibility to accept the contributions for publication. The Board of Editors sends out for review by at least two external referees, after anonymizing them, all those contributions for which this further evaluation is deemed necessary. The eContent is Archived with Clockss and Portico. The Journal is Indexed in Scopus. anvur: a. A RC H I V I O D I F I LO S O F I A A RC H I V E S O F P H I L O S O P H Y a j o u r na l f o u n d e d i n 1 9 3 1 b y e n r i c o c a s t e l l i f o r m e r ly e d i t e d b y m a r c o m . o l i v et t i l x x x i v · 2 0 1 6 · n. 3 L’ A NA L O G I A pisa · roma fa b r i z i o s e r r a e d i t o r e mmxvii Rivista quadrimestrale * Amministrazione e abbonamenti Fabrizio Serr a editore Casella postale n. 1, succursale n. 8, i 56123 Pisa, tel. 050 542332, fax 050 574888, [email protected] * Casa editrice Uici di Pisa: Via Santa Bibbiana 28, i 56127 Pisa, tel. 050 542332, fax 050 574888, [email protected] Uici di Roma: Via Carlo Emanuele I 48, i 00185 Roma, tel. 06 70493456, fax 06 70476605, [email protected] I prezzi uiciali di abbonamento cartaceo e/o Online sono consultabili presso il sito Internet della casa editrice www.libraweb.net. Print and/or Online oicial subscription rates are available at Publisher’s website www.libraweb.net. 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Un problème d’histoire de la métaphysique, entre termes et concepts Anthony Kenny, Analogy and Metaphor in Theology Andreas Speer, Analogy and Natural Theology Jocelyn Benoist, Y a-t-il une analogie du réel ? Francesco Fronterotta, ∆Analogiva in Platone : occorrenze e signiicati Enrico Berti, Aristotele : analogia dell’essere o dei princìpi ? Riccardo Chiaradonna, Plotino critico dell’analogia Mauro Zonta, «Analogy» as a Philosophical Term in the Main Languages of Culture in Medieval Near, Middle, and Far East. A Historical Comparison Francesco Marrone, L’analogia tomista alla prova : Domenico di Fiandra Marco Lamanna, Sogetto dell’ontologia e analogia nella scolastica d’età moderna. Storia di un rapporto possibile Paul Richard Blum, The Analogy of Divine Creation in Raymond Lull and Nicholas of Cusa Siegrid Agostini, Appunti per la costituzione della voce « Analogia » del Nouvel Index scolastico-cartésien Igor Agostini, L’analogia della Sui Causa : Descartes e Archimede Alice Ragni, Ontologia e analogia entis tra Johannes Clauberg e Jacob Thomasius Francesco Campagnola, Analogia, metafora e colore nella prima modernità inglese Jan Čížek, The Importance of Analogy in the Work of John Amos Comenius Pietro Montani, Schematismo e analogia. Dalla « tecnica della natura » alla « tecnoestetica » Pierluigi Valenza, Logica e analogia nella teoria del linguagio di K. L. Reinhold Antonello D’Angelo, Individuo, storicità, analogia nella Habilitationsschrift di Martin Heideger Jean-François Courtine, Analogie et sens de l’être. De Brentano à Heideger Marco Damonte, « Somiglianze di famiglia » : un modo contemporaneo per dire « analogia » ? Emmanuel Cattin, Le Non divin. L’analogie selon Karl Barth Vincent Holzer, Métamorphoses contemporaines de la raison théologique. L’aiguillon de l’analogie Andrea Grillo, Analogia entis, analogia idei, analogia libertatis : una questione ilosoica al centro del dibattito di tre generazioni di teologi Andrea Bellocci, L’impossibilità della diferenza e i paradossi dell’identità nel pensiero di Gennaro Sasso Francesco Valerio Tommasi, Metaisica dopo la storia della metaisica ? Analogia subiecti e nutrimento in Marco Maria Olivetti Philippe Nouzille, Agamben o ciò che l’analogia non dice 9 15 23 37 49 65 75 87 95 107 117 129 141 155 167 177 187 197 209 223 239 253 265 279 289 301 313 Somma Somma France de la mé Antho Andrea Jocelyn France Enrico Riccar Mauro Medieva France Marco un rappo Paul R Cusa Siegrid lastico-c Igor Ag Alice R France 167 Jan Číž Pietro 187 Pierlui Antone Heidege Jean-Fr Marco 239 Emman Vincen l’analog Andrea ca al cen Andrea Gennaro France cti e nut Philipp Francesco Fronterotta, ∆Analogiva in Platone : occorrenze e signiicati ANALOGIA IN PLATONE : OCCORRENZE E SIGNIFICATI Francesco Fronterotta Abstract In this paper I examine the occurrences of the term ajnalogiva in Plato’s dialogues, with particular reference to Republic vi, where a well known ‘analogy’ is established between the form of the good in the intelligible realm and the sun in the sensible world. It is shown that in this section of the Republic, as in the other relevant passages of the dialogues, Plato makes use of the term ajnalogiva in the traditional meaning, which is common in ancient Greek, of mathematical ‘proportion’, i. e. as the identity of a relationship between terms belonging to even diferent ambits. A brief history of the evolution of the meaning of the term ajnalogiva after Plato, in the Platonic and Neoplatonic tradition, is sketched as a conclusion of the paper. Keywords : Plato, analogy, proportion, mathematics, principle, being, generation. 1. Premessa ’analogia dell’essere nella storia della ilosoia è, in generale e un po’ grossolanamente, lo strumento tramite il quale giungere ad acquisire una conoscenza e a formulare un discorso intorno a un principio primo, eventualmente divino, a partire dai suoi prodotti, assumendo che, poiché sussiste una qualche forma di rapporto fra i prodotti e il loro produttore, possiamo accedere alla conoscenza del produttore attraverso la conoscenza dei suoi prodotti. A questo ine occorre che l’analogia come tale sia concepita come nozione non orizzontale, che implichi una semplice uguaglianza di rapporti fra ambiti anche eterogenei (che è il signiicato usuale del termine ajnalogiva, innanzitutto nel senso di ‘proporzione’ matematica, nella lingua greca classica), perché ciò porterebbe, per un verso, a collocare il produttore e i suoi prodotti sullo stesso piano (se la relazione analogica è orizzontale) e, per altro verso, a non acquisire di fatto nessuna conoscenza del produttore a partire dai suoi prodotti (se produttore e prodotti appartengono ad ambiti eterogenei) ; occorre invece concepire l’analogia come una relazione verticale, perché il produttore trascende i suoi prodotti ed è loro superiore, e in qualche modo derivativa e causale, non fosse altro che intendendo tale causalità come esemplare, perché vi sia una qualche forma di comunanza o somiglianza fra produttore e prodotti. In altre parole, poiché non può darsi che l’analogia fra produttore e prodotti induca a collocarli sullo stesso piano, bisogna che essa si traduca in una relazione di dipendenza che suppone una priorità provteron-u{steron ; e perché l’analogia apra l’accesso a una più o meno ampia conoscenza del produttore a partire dai prodotti, bisogna che questi conservino una traccia di quello, da cui devono perciò derivare causalmente. 1 L 1 Sulla questione dell’analogia dell’essere si possono vedere, da un punto di vista storico-ilosoico come da un punto di vista più propriamente teoretico, H. Lyttkens, The Analogy between God and the world : an investigation of its background and interpretation of its use by Thomas of Aquino, Uppsala, Almqvist & Wiksells, 1952 ; V. Melchiorre, La via analogica, Milano, Vita & Pensiero, 1996 ; e soprattutto J.-F. Courtine, Invenhttps://doi.org/10.19272/201608503005 · «archivio di filosofia», lxxxiv 3, 2016 50 francesco fronterotta La tradizione medievale ha voluto individuare il nucleo teorico di questa dottrina in Aristotele, particolarmente nella sua tesi della molteplicità dei sensi dell’essere, né sinonimi né semplicemente omonimi, cioè nella celebre relazione pro;~ e{n tramite la quale Aristotele caratterizza la relazione ad unum dei diversi sensi dell’essere secondo le categorie al senso primario della sostanza. Pierre Aubenque, fra gli altri, ha argomentato l’illegittimità di una simile operazione esegetica, in primo luogo perché, quale che sia efettivamente la posizione di Aristotele, egli non impiega mai nell’ambito della sua dottrina dei sensi dell’essere il termine ‘analogia’, che, anzi, conserva nel corpus il senso matematico di ‘proporzione’, ossia di uguaglianza di rapporti, di per sé inapplicabile al caso della relazione fra i diversi sensi dell’essere e la sostanza (tale relazione non implicando un’uguaglianza di rapporti del tipo : a : b = c : d ecc., ma una diversità di rapporti in riferimento a un termine primo e identico del tipo : a : b = a : c = a : d ecc.) ; in secondo luogo, e soprattutto, perché la relazione che Aristotele pone fra i sensi dell’essere secondo le categorie e il primo di essi, la sostanza, non pare caratterizzata da tratti né ‘proporzionali’, in qualunque accezione del termine, né in alcun modo derivativi o causali. Tale interpretazione presupporrebbe invece, secondo Aubenque, una ‘platonizzazione’ di Aristotele, basata sulla lettura di alcuni testi di Platone mediata naturalmente dal neoplatonismo e depositata particolarmente nei commentari neoplatonici ad Aristotele : di qui, attraverso cioè il ricorso a Platone e alla tradizione platonica antica e tardo-antica, sorgerebbe quella lettura onto-teologica della metaisica aristotelica, in gran parte incentrata appunto sull’analogia entis, che si pone al centro del dibattito scolastico, poi moderno e contemporaneo intorno alla Metaisica. 1 Cercherò di esaminare in questo contributo, attraverso un esame lessicale delle occorrenze del termine ajnalogiva e dei suoi derivati nei dialoghi di Platone, la seconda parte della tesi di Aubenque, vale a dire appunto l’origine in qualche senso platonica di questa deformazione (in primo luogo neoplatonica) della nozione di ‘analogia’, tentando di precisare il signiicato o i signiicati che le sono attribuiti da Platone. 2. ANALOGIA e i suoi derivati in Platone : occorrenze e significati Conviene innanzitutto distinguere, per la nostra indagine, fra le occorrenze nei dialoghi del sostantivo ajnalogiva, dell’aggettivo ajnavlogo~ e del verbo ajnalogivzomai, che signiica piuttosto, abitualmente, ‘congetturare’ o ‘riassumere’ (mentre la forma ajnalogevw, che indica precisamente la condizione o lo stato dell’‘essere analogo’, è assente dal corpus platonico), ricordando preliminarmente, senza poterne fornire qui un’adeguata esposizione, che il senso usuale di questa famiglia di lemmi nella lingua greca tio analogiae. Métaphysique et onto-théologie, Paris, Vrin, 2005. In riferimento alla costituzione metaisica di questa nozione nel corso della storia del platonismo antico, cfr. in generale H.-J. Krämer, Der Ursprung der Geistmetaphysik. Untersuchungen zur Geschichte des Platonismus zwischen Platon und Plotin, Amsterdam, Grüner, 19672. 1 Cfr. P. Aubenque, Le problème de l’être chez Aristote. Essai sur la problématique aristotélicienne, Paris, puf, 1962 (20136), pp. 198-206, e, dello stesso autore, Les origines de la doctrine de l’analogie de l’être. Sur l’histoire d’un contresens, « Les Etudes Philosophiques », 103 (1978), pp. 2-13. Si vedano poi, oltre al suo contributo in questo volume, gli studi di E. Berti, L’analogia dell’essere nella tradizione aristotelico-tomista, in Metafore dell’invisibile. Ricerche sull’analogia, Contributi al xxxiii Convegno del Centro di Studi ilosoici di Gallarate, Brescia, Morcelliana, 1984, pp. 13-33, e L’analogia in Aristotele. Interpretazioni recenti e possibili sviluppi, in Origini e sviluppi dell’analogia, a cura di G. Casetta, Roma, Vallombrosa, 1987, pp. 94-115 ; e la dettagliatissima ricostruzione d’insieme di J.-F. Courtine, Inventio analogiae. Métaphysique et onto-théologie, cit., pp. 153-229, che è assai più prudente nel negare tout court la radice aristotelica della questione dell’analogia dell’essere. ANALOGIA in platone : occorrenze e significati 51 classica è, come già segnalato, quello, proveniente dal linguaggio della matematica, di ‘proporzione’, ossia di identità di rapporto fra più termini posti fra loro in relazione. 1 Prendiamo le mosse dal sostantivo ajnalogiva. Nella Repubblica (vii 534a6), esso compare in riferimento alla celebre immagine della ‘linea’ divisa, introdotta alla ine del libro vi e richiamata nel vii, nel momento in cui, alla conclusione dell’illustrazione del curriculum formativo del ilosofo destinato al governo della kallivpoli~, viene presa in considerazione la dialettica, scienza suprema coincidente con la ilosoia stessa. È a questo punto (vii 533e-534a), infatti, che Socrate propone una sintesi della classiicazione gerarchica dei gradi epistemici che corrispondono alle diverse tappe del percorso tratteggiato, con l’indicazione, dall’alto verso il basso, dell’ejpisthvmh e della diavnoia, che ricadono entrambe nell’ambito della facoltà intellettuale (novhsi~) rivolta alla conoscenza dell’essere (oujsiva), quindi della pivsti~ e dell’eijkasiva, che appartengono invece alla sfera dell’opinione (dovxa) che ha per oggetto le realtà in divenire (gevnesi~). 2 Ma questa articolata struttura si regge su un insieme di rapporti sussistenti fra i suoi elementi componenti, che hanno carattere rigorosamente proporzionale : innanzitutto, « come l’essere sta al divenire, così la facoltà intellettuale sta all’opinione » (o{ti oujsiva pro;~ gevnesin, novhsin pro;~ dovxan), in modo che sussiste lo stesso rapporto fra l’ambito dell’essere e quello del divenire e fra le corrispondenti forme di conoscenza che all’uno e all’altro sono rivolte, rispettivamente il pensiero e l’opinione ; 3 per estensione, lo stesso rapporto che sussiste fra il pensiero e l’opinione, di cui si è detto che è identico a quello che sussiste fra essere e divenire, è ora dichiarato identico a quello che sussiste fra « scienza e credenza » e fra « pensiero discorsivo e immaginazione » (o{ti novhsi~ pro;~ dovxan, ejpisthvmhn pro;~ pivstin kai; diavnoian pro;~ eijkasivan), cioè, rispettivamente, fra le forme di conoscenza superiori e inferiori che appartengono a ciascun ambito conoscitivo della novhsi~ e della dovxa. Subito oltre, tale uguaglianza di rapporti, di cui Socrate aferma che andrebbe ulteriormente estesa alle relazioni fra gli oggetti di ogni forma di conoscenza, benché al momento convenga astenersi da un simile sviluppo, riceve la denominazione propria di ‘analogia’ (th;n d∆ejf∆oi|~ tau`ta ajnalogivan ... ejw`men). Il termine ‘analogia’ implica dunque qui un’uguaglianza di rapporti che, in primo luogo, si pongono in ambiti eterogenei, vale a dire tanto sul piano ontologico quanto sul piano epistemologico, se coinvolgono da una parte l’essere e il divenire, e gli oggetti, pur non 1 Cfr. solo H. G. Liddel, R. Scott, H. S. Jones (with the assistance of R. McKenzie and with the cooperation of many scholars), A Greek-English Lexicon, Oxford, Clarendon Press, 1996 (with a revised supplement), s.v. ; e K. Bärthlein, Der Analogiebegrif bei den griechischen Mathematikern und bei Platon, hrsg. v. J. Talanga, Würzburg, Könighausen & Neumann, 1996. 2 Per tutte le questioni generali sollevate dal dibattito critico intorno al testo della « linea », alla sua dimensione e alla disposizione dei suoi segmenti componenti, sono essenziali gli studi di Y. Lafrance, La théorie platonicienne de la doxa, Montréal-Paris, Bellarmin-Les Belles Lettres, 1981, pp. 153-167 ; Id., Pour interpréter Platon. La ligne en République vi, 509d-511e. Bilan analytique des études (1804-1984), Montréal-Paris, Bellarmin-Les Belles Lettres, 1986, pp. 63-172 ; Id., Pour interpréter Platon ii. La ligne en République vi, 509d511e. Le texte et son histoire, Montréal-Paris, Bellarmin-Les Belles Lettres, 1994. Si vedano inoltre N. D. Smith, Plato’s divided line, « Ancient Philosophy », xvi (1996), pp. 25-46, e F. Franco Repellini, La linea e la caverna, in Platone, La Repubblica, a cura di M. Vegetti, Libro vi-vii, vol. v, Napoli, Bibliopolis, 2003, pp. 355-403. Come è noto, la denominazione delle diverse sezioni della ‘linea’ e dei rispettivi modi di conoscenza è soggetta, nei libri vi e vii della Repubblica, a una certa oscillazione, che è tuttavia ininluente rispetto all’esame condotto in queste pagine : cfr. in proposito F. Trabattoni, Il sapere del ilosofo, in Platone, La Repubblica, Libro vi-vii, cit., pp. 151-186, specie 158-161. 3 Formulazione parallela di questo rapporto proporzionale, pur in assenza del termine ajnalogiva o dei suoi derivati, in Timeo 29c2-3 : « come l’essere sta rispetto al divenire, così la verità sta alla credenza » (o{tiper pro;~ gevnesin oujsiva, tou`to pro;~ pivstin ajlhvqeia). 52 francesco fronterotta esplicitati, che si collocano in queste due categorie, e dall’altra i generi di conoscenza propri di ciascuna di esse ; in secondo luogo, si può osservare che l’identità di rapporto chiamata in causa riguarda il grado di verità riconosciuto a ognuno dei termini dell’analogia, giacché ciò che è messo in relazione è appunto la verità (ontologica) dell’essere rispetto a quella del divenire con la verità (epistemologica) del pensiero rispetto a quella dell’opinione (e di seguito la verità delle speciiche forme di conoscenza in cui si articola il pensiero rispetto a quella delle speciiche forme di conoscenza in cui si articola l’opinione). 1 Se ne deve concludere che Platone intende sostenere così che esiste un’identica diferenza di grado di verità fra essere e divenire, determinata dalla pienezza, dalla stabilità e dall’eternità dell’essere in opposizione alla deicienza, all’instabilità e alla transitorietà del divenire, e fra pensiero e opinione, a sua volta prodotta dalla saldezza e dall’immutabilità della conoscenza intellettuale in opposizione alla relatività e alla mutevolezzo della conoscenza doxastica (e di seguito un’identica diferenza di grado di verità fra le forme di conoscenza superiori e inferiori in cui si articolano pensiero e opinione) : l’analogia evoca pertanto in tale contesto l’identità di un rapporto diferenziale che lega fra loro i diversi piani del reale e i rispettivi generi di conoscenza. È interessante constatare che, se si torna alle pagine inali del libro vi della Repubblica in cui la ‘linea’ divisa è inizialmente introdotta (509d-511e), la scansione gerarchica dei diversi piani del reale e delle rispettive forme di conoscenza è esplicitamente basata su uno « stesso rapporto proporzionale » (ajna; to;n aujto;n lovgon, 509d7-8 ; cfr. 511e2 : ajna; lovgon, con lovgo~ che risulta indubbiamente, in entrambi i casi, sinonimo di ajnalogiva), che esprime un’uguale diferenza di grado di « certezza e di incertezza » (safhneiva/ kai; ajsafeiva)/ , o anche di « verità e di assenza di verità » (ajlhqeiva/ te kai; mhv), dei termini posti in proporzione, con la precisazione, però, che tale rapporto proporzionale è associato questa volta a un principio di somiglianza per cui ciascuno dei diversi piani del reale e dei rispettivi generi di conoscenza si manifesta come un’immagine di quello che lo precede e a cui pertanto assomiglia (w/| tou`to e[oiken, 510a5), il che giustiica appunto la loro identità proporzionale. Una seconda occorrenza del termine ajnalogiva si trova nelle battute di apertura del Politico (257b3), in cui Socrate sottolinea la distanza tra le igure del soista, dell’uomo politico e del ilosofo, che è a suo avviso tale da non poter essere espressa tramite una proporzione, come pare credere il matematico Teodoro (kata; th;n ajnalogivan th`~ uJmetevra~ tevcnh~), e ciò, evidentemente, perché Socrate ritiene che la diversità di valore fra i tre personaggi impone di attribuire, contrariamente a quanto Teodoro suggerisce, un diverso grado di apprezzamento a chi ne ofra una discussione : a parità di apprezzamento per le tre deinizioni emergerebbe infatti, appunto kata; th;n ajnalogivan, una parità di valore fra le tre igure in questione, il che è impossibile se esse si rivelano 1 La legittimità dell’analogia dipende dunque qui dal riconoscimento che un determinato grado di verità appartiene tanto agli enti, che rispettivamente sono e divengono, quanto alle relative forme di conoscenza. Che Platone difenda una concezione ‘ontologica’ della verità, che si dia cioè una « verità degli enti » (ajlhvqeia tw`n o[ntwn, cfr. per esempio Cratilo 438d7-8 ; Menone 86b1 ; Fedone 90d6-7 ; 99e6) che, anzi, precede e fonda la verità dei lovgoi sulla base della loro maggiore o minore conformità alla realtà, è ben noto : la verità appartiene infatti alle cose che sono nella misura in cui consiste innanzitutto nella loro stabilità e immutabilità, che a loro volta garantiscono la stabilità e l’immutabilità, e di conseguenza, nuovamente, la verità, del pensiero e del discorso che le riguardano. Si vedano in proposito J. Szaif, Platons Begrif der Wahrheit, Alber, Freiburg-München 1996, pp. 42 ss. ; e, in ultimo, B. Centrone, ALHQEIA logica, ALHQEIA ontologica in Platone, « Méthexis », xxvii (2014), pp. 7-23. Cfr. anche infra, n. 1, p. 59. ANALOGIA in platone : occorrenze e significati 53 qualitativamente troppo distanti fra loro. Giungiamo così al Timeo, che presenta tre occorrenze del termine ajnalogiva, le prime due delle quali (in 31e3 e 32e2) intervengono nella descrizione della costituzione del corpo del cosmo da parte del demiurgo. 2 Per giustiicare la perfezione e l’unità compiuta della composizione demiurgica, Timeo ricorre alla nozione di ajnalogiva, la più bella e adatta a garantire la coesione dell’universo (desmw`n de; kavllisto~ o}~ ... o{ti mavlista e}n poihÊ,` tou`to de; pevfuken ajnalogiva kavllista ajpotelei`n, 31e2-4) : se infatti la proporzione, che pone in relazione tre o quattro termini (a : b = b : c oppure a : b = c : d), può essere di tipo aritmetico, quando il termine medio supera uno dei due termini estremi della stessa quantità numerica di cui è inferiore all’altro estremo (3 : 6 = 6 : 9), di tipo geometrico, quando il termine medio supera uno dei due termini estremi di tante volte quante è inferiore all’altro estremo (3 : 6 = 6 : 12), e di tipo armonico, quando il termine medio supera uno dei due estremi di una frazione di questo che è identica alla frazione di cui esso è inferiore all’altro estremo (6 : 8 = 8 : 12, dove il termine medio 8 supera l’estremo 6 di 1/3 di questo stesso estremo 6 ed è inferiore all’altro estremo 12 di 1/3 di esso), Timeo fa riferimento qui alla proporzione di tipo geometrico, nella quale, la disposizione dei termini medi ed estremi può essere modiicata senza che muti il loro rapporto : per esempio, data la proporzione 3 : 6 = 6 : 12, allora 6 : 12 = 3 : 6 ; 6 : 3 = 12 : 6 ; 6 : 3 = 12 : 6 oppure 6 : 12 = 3 : 6. 3 Inoltre, poiché l’universo è un solido composto da solidi (e non una igura piana), occorrerà ammettere che fra i suoi elementi componenti vi siano, oltre al fuoco e alla terra, già ammessi in precedenza (31b), anche l’aria e l’acqua, come termini medi necessari a completare la perfetta proporzione che regola l’universo : in una proporzione stabilita fra due numeri ‘solidi’ (cioè risultanti dalla moltiplicazione di tre fattori) bisogna ammettere infatti due termini medi, e non uno soltanto, giacché, dati due solidi le cui basi corrispondono a numeri primi, si vedrà che solo due numeri, e non uno soltanto, possono costituire i termini medi della proporzione geometrica di cui i solidi dati costituiscono i termini estremi. L’ajnalogiva, che consiste in questo caso nella proporzione nel senso propriamente matematico di ‘legame’ (desmov~) che stabilisce l’identità di rapporto fra i suoi termini, issa così « l’accordo con sé del corpo del cosmo » (to; tou` kovsmou sw`ma ... di∆ ajnalogiva~ oJmologh`san, 32e2), « la sua identità con sé » (taujto;n auJtw/)` e la sua « indissolubilità » (a[luton). Allo stesso modo, più avanti (56e3), ancora nel contesto dell’esame della composizione dei corpi materiali, questa volta in relazione alla combinazione e alla trasformazione reciproca delle particelle elementari, Timeo evoca nuovamente, benché in forma più rapida, le loro ‘proporzioni’ (tw`n ajnalogiw`n), che determinano le quantità, i movimenti e le altre proprietà dei corpi e che sono « armonizzate dalla divinità secondo rapporti numerici » (uJp∆ aujtou` sunhrmovsqai tau`ta ajna; lovgon). Il Timeo 1 1 Più precisamente, se si manifesta lo stesso apprezzamento per le tre deinizioni delle tre igure in questione, come vuole Teodoro, ciò implica, secondo Socrate, che si intende stabilire una qualche forma di prossimità fra di esse, in base a un’identità di rapporto fra l’apprezzamento espresso per ciascuna delle deinizioni e ciascuno dei suoi oggetti ; poiché invece Socrate ritiene che il soista si ponga, per valore, a una distanza incolmabile dall’uomo politico e dal ilosofo, occorrerebbe, per mantenere l’ajnalogiva, che anche la deinizione che lo riguarda riceva un apprezzamento incomparabilmente diverso e inferiore rispetto alle altre due. 2 Sulla questione, che resta qui completamente da parte, sia lecito rinviare alla mia introduzione a Platone, Timeo, a cura di F. Fronterotta, Milano, bur, 20113, pp. 70-82. 3 Cfr. Timeo 32a ; e la dettagliata analisi di F. M. Cornford, Plato’s cosmology. The Timaeus of Plato translated with a running commentary, London, Routledge & Kegan Paul, 1937, pp. 45-52, e di L. Brisson, Le même et l’autre dans la structure ontologique du Timée de Platon, Sankt Augustin, Academia Verlag, 19983, pp. 367-388. 54 francesco fronterotta non si discosta perciò da un impiego essenzialmente tecnico, ossia proveniente dall’ambito della matematica, del termine ajnalogiva come ‘proporzione’. 1 Consideriamo ora l’aggettivo ajnavlogo~, che compare nel corpus platonico in due sole occorrenze, nella Repubblica e nel Timeo. Nel libro vi della Repubblica, a partire da 505a, Socrate è indotto dal suo interlocutore a esprimersi sulla natura dell’idea del bene, concepita come la « conoscenza più grande di tutte » (mevgiston mavqhma), ossia quella in relazione alla quale tutte le altre cose e tutte le altre discipline divengono realmente utili e vantaggiose. Non è certo possibile ricostruire qui la lunga sezione del dialogo che, ino 509d, afronta il tema delicatissimo ed estremamente controverso dello statuto e della funzione del bene, di cui si giunge a sostenere (508e ; 509b) che « garantisce la verità agli oggetti conosciuti e a chi conosce la facoltà di conoscere », che è « causa di scienza e verità ... ma diverso e ancor più bello di esse » e che « da esso gli oggetti di conoscenza traggono l’essere e l’essenza, pur non essendo il bene un’essenza, ma ponendosi ancora al di là dell’essenza per dignità e potenza ». 2 Si tratta notoriamente di uno dei luoghi più enigmatici e dibattuti del corpus platonico che conviene lasciare nel suo insieme da parte, per concentrarsi piuttosto esclusivamente sulle modalità e i limiti che lo stesso Socrate stabilisce per il suo discorso intorno all’idea del bene. 3 Dapprima, infatti, Socrate premette che non vi è un’adeguata conoscenza del bene (aujth;n oujc iJkanw`~ i[smen, 505a5-6), come mostra la grande varietà di opinioni erronee in proposito, per ribadire tuttavia poco oltre (506a) che tale conoscenza è invece indispensabile in primo luogo per coloro i quali sono destinati al governo della kallivpoli~, per i ilosoi, perché, « prima di conoscere il bene, nessuno potrà adeguatamente conoscere quelle cose » che sono in relazione con esso (mhdevna aujta; provteron gnwvsesqai iJkanw`~). La situazione attuale degli interlocutori del dialogo non è tuttavia quella dei ilosoi giunti al culmine della loro formazione, sicché Socrate si trova nell’imbarazzante condizione di « parlare di ciò che non si sa come se lo si sapesse » (peri; w|n ti~ mh; oi\den levgein wJ~ eijdovta, 506e2-3) e ciò appunto nella misura in cui egli teme di « non essere competente » (oujc oi|o~, 506d6) intorno al bene. Di conseguenza, non disponendo della conoscenza del bene, Socrate acconsente a manifestare soltanto la sua opinione su un’immagine di quello, che può dunque essere considerata come « il iglio del bene e a esso assai simile » (o}~ de; e[kgonov~ te tou` ajgaqou` faivnetai kai; oJmoiovtato~ ejkeivnw/ levgein ejqevlw, 506e2-3 ; 1 A un contesto matematico appartiene pure un’ultima occorrenza del termine ajnalogiva nell’apocrifo Epinomide (990e4), a indicare la ‘proporzione’ che sussiste nella natura fra ‘potenze’ e ‘forze’ a esse contrarie : cfr. in proposito l’ampia discussione critica in [Plato], Epinomis, a cura di F. Aronadio, M. Tulli, F. Petrucci, Napoli, Bibliopolis, 2013, pp. 394-395, e, da un punto di vista più tecnico, E. Cattanei, Arithmos nell’Epinomide, in Epinomide. Studi sull’opera e la sua ricezione, a cura di F. Alesse, F. Ferrari (con la collaborazione di M. C. Dalino), Napoli, Bibliopolis, 2012, pp. 125-178, specie 167-169. 2 Ricordo soltanto, a mo’ di introduzione alla spinosissima questione della natura e della funzione dell’idea del bene nella Repubblica, M. Vegetti, Meghiston mathema. L’idea del “buono” e le sue funzioni, in Platone, La Repubblica, Libro vi-vii, cit., pp. 253-86 ; e F. Ferrari, L’idea del bene : collocazione ontologica e funzione causale, in Platone, La Repubblica, Libro vi-vii, cit., pp. 287-325. Il problema è afrontato, in una prospettiva ilosoica più ampia, da R. Ferber, Platos Idee des Guten, Sankt Augustin, Academia Verlag, 20153. 3 È stato discusso in particolare, a questo proposito, se Socrate si spinga a esporre nel suo discorso delle opinioni intorno all’idea del bene oppure se tali opinioni riguardino soltanto il ‘iglio’ del bene, subito oltre introdotto come sua ‘immagine’, e si limitino pertanto a toccare una copia sensibile del bene : la scelta non è indiferente rispetto all’interpretazione della concezione epistemologica di Platone. Si vedano rispettivamente, in proposito, F. Ferrari, Conoscenza e opinione : il ilosofo e la città, in Platone, La Repubblica, a cura di M. Vegetti, Libro v, vol. iv, Napoli, Bibliopolis, 2003, pp. 393-419, 395-399, e F. Fronterotta, EINAI, OÁSIA e ON nei libri centrali della Repubblica, in The Ascent to the Good, ed. by F. L. Lisi, Sankt Augustin, Academia Verlag, 2007, pp. 115-160, 129-133. ANALOGIA in platone : occorrenze e significati 55 cfr. 507a3), rinviando a un’altra occasione l’esposizione del padre, in confronto alla quale l’esame attuale rappresenta soltanto una sorta di interesse rispetto al capitale totale. Il ‘iglio’ del bene è poco dopo (508a-b) identiicato con il Sole, che è nel mondo sensibile, in virtù della luce che emette, la causa della vista e della sua capacità di vedere gli oggetti visibili, essendo così stabilita una certa somiglianza fra la vista e il Sole, che pure non coincide né con la vista, che può però assumerlo come proprio oggetto di visione, né con gli oggetti visibili. È precisamente a questo titolo che Socrate individua nel Sole « il iglio del bene » (to;n tou` ajgaqou` e[kgonon), che « il bene ha generato come analogo a se stesso » (o]n tajgaqo;n ejgevnnhsen ajnavlogon eJautw/,` 508b12-13) : ma come si esplica tale ‘analogia’ e in cosa consiste esattamente ? La risposta è subito fornita : « come sul piano intellegibile il bene sta all’intelletto e agli intellegibili, così sul piano visibile il Sole sta alla vista e agli oggetti visibili » (o{tiper aujto; ejn tw/` nohtw/` tovpw/ prov~ te nou`n kai; ta; noouvmena, tou`to tou`ton ejn tw/` oJratw/` prov~ te o[yin kai; ta; oJrwvmena, 508d13-c2). 1 Si tratta perciò di ammettere una ‘proporzione’, cioè un’identità di rapporto, da una parte, fra il bene, l’intelletto e gli intellegibili e, dall’altra, fra il Sole, la vista e gli oggetti visibili : come il Sole, in quanto fonte di luce, è condizione della visione per la vista e della visibilità per gli oggetti visibili, ponendosi aggiuntivamente come simile alla vista e come suo oggetto di visione, ma non coincidente con essa, così il bene, in quanto fonte di verità, dovrà rappresentare la condizione della conoscenza per l’intelletto e della conoscibilità per gli intellegibili, ponendosi inoltre come simile all’intelletto e come suo oggetto di conoscenza, ma non coincidente con esso. 2 Questo rapporto proporzionale, in qui istituito dal punto di vista epistemologico della conoscenza e della conoscibilità dei suoi termini, appare immediatamente ampliato anche all’ambito ontologico dell’essere e dell’essenza, perché Socrate riconduce pure al Sole, « che certo non coincide con la generazione » (ouj gevnesin aujto;n o[nta), « la generazione, l’accrescimento e il nutrimento » (th;n gevnesin kai; au[xhn kai; trofhvn) degli oggetti sensibili, il che porta ad attribuire di conseguenza, 3 appunto per mantenere l’identità di rapporto sui due piani, la stessa funzione al bene rispetto agli intellegibili, che dal bene, « che non consiste propriamente in un’essenza » (oujk oujsiva~ o[nto~), devono dunque trarre « l’essere e l’essenza » (to; ei\naiv te kai; th;n oujsivan, 509b1-9). 4 L’analisi appena svolta, benché sinteticamente, di una sezione così complessa e densa 1 Per una presentazione d’insieme dell’analogia fra il Sole e il bene, e un’illustrazione dettagliata dei termini che vi sono implicati, cfr. F. Calabi, Il sole e la sua luce, in Platone, La Repubblica, Libro vi-vii, cit., pp. 327-54. 2 Lo stesso rapporto proporzionale che lega il bene, l’intelletto e gli intellegibili nell’intellegibile e il Sole, la vista e gli oggetti visibili nel sensibile si trova ribadito poco oltre, in 508e5-509a4, ed esteso anche alla conoscenza intellettuale e alla facoltà della visione : « Ma come sul piano visibile la luce e la vista possono essere correttamente considerate simili al sole, ma non è corretto ritenere che siano il sole, così su quest’altro piano è corretto considerare che scienza e verità siano entrambe simili al bene, ma non è corretto ritenere che l’una o l’altra di esse sia il bene ». 3 Cfr. Repubblica vi 509b1-6 : « Dirai, credo, che il Sole non solo procura agli oggetti visibili la facoltà di essere visti, ma anche la generazione, l’accrescimento e il nutrimento … (…) Pertanto, dirai anche (kai; ... toivnun) che agli oggetti di conoscenza non deriva dal bene solo l’essere conosciuti, ma che essi ne traggono l’essere e l’essenza … ». Appare chiaro come l’attribuzione al bene del potere di conferire l’essere e l’essenza agli intellegibili, sul piano ontologico, sia il risultato dell’applicazione dell’analogia, appunto nella misura in cui tale potere deve appartenere anche al bene in quanto è stato attribuito al Sole rispetto agli oggetti sensibili. 4 Diicoltà e limiti dell’analogia sono segnalati da M. Vegetti, Meghiston mathema. L’idea del “buono” e le sue funzioni, cit., pp. 269-273. 56 francesco fronterotta della Repubblica restituisce senza dubbio un signiicato dell’aggettivo ajnavlogo~ che si colloca in linea con il senso inora rilevato nel corpus platonico, e del resto comune nella lingua greca, di ‘proporzione’ o di ‘identità di rapporto’ funzionale fra termini situati, in tal caso, in ambiti di per sé eterogenei, l’intellegibile e il sensibile, fra i quali pare sussistere tuttavia una relazione di somiglianza cui è associata un’azione causale, e forse generativa, del primo rispetto al secondo, se il Sole si rivela ajnavlogo~ al bene essendone il iglio generato (e[kgonon ... o]n tajgaqo;n ejgevnnhsen). Su questo punto occorrerà perciò tornare più avanti. Nella sfera semantica più usuale di ‘proporzione’ matematica ricade invece la seconda e ultima occorrenza dell’aggettivo nel Timeo, nel corso di un’esposizione riassuntiva delle opere compiute dal demiurgo e dagli dei suoi aiutanti per la costituzione dell’universo, in cui si ricorda come l’azione divina sia consistita in un ordinamento del tutto, a partire da una condizione primordiale caotica, tramite l’introduzione di rapporti di misura in tutte le cose, rispetto a se stesse e le une rispetto alle altre (ejn eJkavstw/ te aujtw/` pro;~ auJto; kai; pro;~ a[llhla summetriva~ ejnepoivhsen), in modo tale da renderle per quanto possibile « proporzionate e commensurabili » (ajnavloga kai; suvmmetra, 69b5), cioè dotate di misure fra loro comparabili e poste in una relazione di identità proporzionale. Passiamo inine, più rapidamente, alla forma verbale ajnalogivzomai, che, come detto, è resa normalmente con ‘congetturare’ o ‘riassumere’. Nel Protagora (332d1), Socrate esorta a un tratto a ‘riassumere’ (ajnalogiswvmeqa) i punti sui quali gli interlocutori hanno in lì concordato nella discussione (ta; wJmologhmevna) : non è impossibile che un simile ‘riassunto’ implichi il tentativo di porre in relazione gli aspetti su cui si è convenuto per individuare fra essi un rapporto, ma la questione rimane senz’altro indecidibile. Nel Cratilo (399c2), compare il verbo ajnalogivzetai, per descrivere le attitudini di quegli animali che, a diferenza dell’uomo, non indagano e non ‘formulano congetture’ su ciò che vedono con gli occhi e non sono quindi capaci di stabilire un confronto, e in tal senso verosimilmente un rapporto, fra le cose che percepiscono. La condizione di chi ‘congettura’ o ‘pondera’, in tal caso sulla propria condotta di vita e sulle proprie azioni, una volta giunto vicino alla morte, è espressa dal verbo ajnalogivzetai nella Repubblica (i 330e6) ; nello stesso dialogo (iv 441c1), il participio sostantivato to; ajnalogisavmenon è impiegato per denominare la funzione razionale dell’anima, in opposizione alla funzione passionale, nella misura in cui è in grado di ‘valutare’ o ‘comparare’ il bene e il male. Più avanti, nel libro vii (524d8), Socrate interroga il suo interlocutore, invitandolo a replicare esprimendosi « in analogia con le cose dette prima » (ejk tw`n proeirhmevnwn ajnalogivzou) : infatti, stabilito in precedenza che alcuni oggetti di conoscenza stimolano il pensiero (diavnoia) e altri no, perché alcuni sono semplicemente colti come tali, come un dito, mentre altri sollecitano la rilessione a un’ulteriore indagine in quanto si manifestano sempre in associazione al loro contrario, come il duro e il molle o il grande e il piccolo, Socrate chiede ora in quale delle due categorie si collochino l’uno e il numero, suggerendo di rispondere in base allo stesso rapporto già individuato, sicché, se l’uno e il numero sono tali da suscitare la rilessione, andranno posti nella seconda categoria, se non lo sono, nella prima. Sulla stessa linea pare il caso dell’ultima occorrenza del verbo nella Repubblica (x 618c5), in cui il participio ajnalogizovmenon evoca una forma di ragionamento ‘comparativo’ intorno agli argomenti esaminati in lì, prendendoli successivamente nella loro unione e nella loro separazione (suntiqevmena ajllhvlloi~ kai; diairouvmena), cioè tentando di cogliere, nuovamente, i rapporti che fra essi sussistono, per trarne in questo modo le conclusioni corrette. Si può notare poi che, nel Teeteto ANALOGIA in platone : occorrenze e significati 57 (186a11), il participio ajnalogizomevnh è introdotto in riferimento all’anima, che indaga l’essere (skopei`sqai th;n oujsivan) e le determinazioni come simile e dissimile, identico e diverso, bello e brutto, delle cose che sono e nelle loro relazioni, ‘mettendo a confronto’ passato, presente e futuro ; analogamente, poco oltre nello stesso Teeteto (186c3), il sostantivo ajnalovgisma, immediatamente derivato dal verbo ajnalogivzomai, indica i ‘confronti’ o le ‘relazioni’ che solo alcuni riescono a porre intorno alle afezioni che tramite il corpo giungono all’anima e che riguardano « l’essere e l’utilità » (pro;~ oujsivan kai; wjfevleian) di esse. A un signiicato più immediatamente riconducibile a ‘congetturare’, o perino ‘rilettere’, si avvicina l’occorrenza del participio ajnalogizomevnoi~ nel Timeo (75b8), che allude all’attitudine demiurgica nella pianiicazione della generazione del vivente umano. Pure a un’attitudine valutativa e rilessiva, questa volta nella costruzione del discorso politico e legislativo, rimandano le due occorrenze del verbo nelle Legi (ajnalogivzesqai e ajnalogizomevnw/, rispettivamente in iii 693c2 e v 739a3). Sembra abbastanza plausibile ricavare dall’esame di questi passi che il verbo ajnalogivzomai è efettivamente connesso all’atto del formulare una ‘congettura’ o del cogliere una ‘relazione’ sintetica sulla base di un confronto fra le cose indagate, mentre due soli passi, in Repubblica vii 524d9 e x 618c5, suggeriscono un senso più tecnico, che allude a una forma di ragionamento condotto secondo un rapporto di uguaglianza con un altro ragionamento, in modo da trarre da quest’ultimo, e dall’esame delle sue implicazioni e conseguenze, delle conclusioni corrette per il primo. La ricognizione delle occorrenze del termine ajnalogiva e dei suoi derivati nel corpus platonico mostra come risulti prevalente il signiicato di ‘proporzione’ in quanto ‘identità di rapporto’ fra più termini, con la chiara consapevolezza, specie nel Timeo, della sua provenienza dal linguaggio della matematica ; fa parzialmente eccezione la forma verbale, che possiede un signiicato più ampio ed elastico, benché anch’esso verosimilmente apparentato alla stessa area semantica. Abbiamo constatato tuttavia come, in almeno un caso, quello dell’‘analogia’ fra il Sole e l’idea del bene nel libro vi della Repubblica, sorga un’ambiguità, determinata dal fatto che a tale rapporto analogico si accompagna una relazione di somiglianza, come si dirà successivamente nel linguaggio della scolastica, dell’‘analogo’ all’‘analogato’, cui non è forse estranea una forma di derivazione del primo dal secondo ; ciò suggerisce un supplemento di analisi anche in riferimento alla sezione della Repubblica che segue la trattazione del bene e contiene l’esposizione della ‘linea’ divisa, in cui pure si trovano associate, e in qualche misura causalmente connesse, analogia e somiglianza fra i diversi piani del reale e i rispettivi generi di conoscenza che corrispondono loro. 3. Il Sole figlio del bene e suo ‘analogo’ Torniamo perciò alla sezione del libro vi della Repubblica che presenta il parallelo fra il Sole e l’idea del bene, l’unica che pare introdurre una nozione sensibilmente diversa e ilosoicamente più densa di ‘analogia’ e che è del resto indicata da Aubenque come plausibile fonte per la costituzione della posteriore dottrina dell’analogia dell’essere e per la lettura ‘platonizzante’ di Aristotele compiuta dai commentatori neoplatonici che ne sarebbe all’origine. 1 Non è possibile ripercorrere nei dettagli il passo in questione ; sarà suiciente far emergere i tratti salienti dell’analisi svolta in precedenza. Innanzitutto, va notato che Socrate stabilisce l’analogia fra il Sole e il bene per ovviare a quella 1 Cfr. P. Aubenque, Les origines de la doctrine de l’analogie de l’être. Sur l’histoire d’un contresens, cit., p. 13. 58 francesco fronterotta che dichiara essere la sua, vera o presunta, ignoranza intorno al bene in sé, in modo da limitarsi a esporre, più modestamente, delle opinioni sul « iglio del bene » (e[kgono~ tou` ajgaqou`, 506c-e) ; ma nulla impedisce in linea di principio che del bene in sé si abbia conoscenza piena e diretta, cioè indipendentemente dal suo ‘analogo’, se anzi questo deve essere appunto il caso dei ilosoi governanti (506a). Il ricorso all’analogia non è dunque giustiicato dall’esigenza di giungere alla conoscenza di un principio di per sé direttamente inconoscibile a partire dai suoi prodotti, come avviene invece per l’analogia dell’essere nella tradizione scolastica. Ma veniamo al punto centrale : in che senso il Sole è detto e[kgono~ e ajnavlogo~ rispetto al bene ? Abbiamo constatato come, in 508b-c, il Sole si riveli ‘iglio’ del bene appunto nella misura in cui adempie, nel mondo sensibile, allo stesso tipo di funzione cui adempie il bene nell’intellegibile (tou`ton ... me levgein to;n tou` ajgaqou` e[kgonon, 508b12-13), cioè quella di permettere, tramite la luce che emette, alla vista di vedere e agli oggetti visibili di essere visti, con l’ulteriore riconoscimento di una somiglianza fra il Sole, la luce e la vista, che pure non coincidono fra loro, anche se il Sole può essere oggetto di visione da parte della vista ; più avanti (509b), tale funzione del Sole inisce per coinvolgere la generazione e l’alimentazione delle cose sensibili. Allo stesso modo, nell’intellegibile, il bene rende possibile, tramite la verità che procura, all’intelletto di conoscere e agli intellegibili di essere conosciuti, sussistendo ancora una volta una somiglianza fra il bene, la verità e l’intelletto, che pure, nuovamente, non coincidono fra loro, benché il bene possa essere oggetto di conoscenza da parte dell’intelletto (508d509a) ; più avanti (509b), anche al bene si attribuisce la facoltà di fornire agli intellegibili l’essere e l’essenza. La ‘iliazione’ del Sole dal bene si traduce pertanto in una relazione analogica fra il bene e il Sole, suo ‘iglio’ e suo ‘analogo’ – i due termini risultando qui senza alcun dubbio sinonimi –, che rimane, in tutta la sua estensione, puramente funzionale : quanto l’analogia stabilisce è infatti un’identità di rapporto fra il bene, l’intelletto e gli intellegibili, da una parte, e fra il Sole, la vista e gli oggetti visibili, dall’altro. È importante ribadirlo : ciò che è identico è il rapporto proporzionale fra i termini posti sui due diversi piani, ma da questo nulla si ricava né si può ricavare rispetto alle modalità speciiche di tale rapporto, nell’intellegibile e nel sensibile. Il bene è causa di conoscenza, conoscibilità ed essere, rispettivamente, per l’intelletto e per gli intellegibili, come il Sole è causa di visione, visibilità e generazione, rispettivamente, per la vista e per gli oggetti visibili, ma non certamente allo stesso titolo e nello stesso modo : infatti, se del Sole è lecito sostenere che è causa di visione tramite la sua luce e di generazione tramite il suo calore e, parallelamente, del bene è altrettanto lecito ritenere che è causa di conoscenza ed essere tramite la verità e l’essere che procura, è però del tutto evidente che l’analogia riguarda unicamente l’identità di rapporto proporzionale che il Sole e il bene intrattengono con la vista e gli oggetti visibili e con l’intelletto e gli oggetti intellegibili, ossia un’identità funzionale del Sole e del bene, ma non fornisce nessuna informazione intorno ai modi delle rispettive funzioni, perché, anzi, se si prendono in considerazione i modi delle relazioni fra il bene, l’intelletto e gli intellegibili e fra il Sole, la vista e gli oggetti visibili, l’analogia vacilla. Appare del resto immediatamente chiaro che, mentre per esempio la luce del Sole è esclusivamente condizione di visione (per la vista) e di visibilità (per gli oggetti visibili), ma non costituisce né il contenuto della visione, che è il colore, né l’elemento visibile degli oggetti visibili, che è, di nuovo, il colore (507d), la verità conferita dal bene si pone invece non solo come condizione di conoscenza (per l’intelletto) e di conoscibilità (per gli intellegibili), ma anche come il contenuto proprio ANALOGIA in platone : occorrenze e significati 59 della conoscenza intellettuale e come l’elemento propriamente conoscibile degli oggetti intellegibili (508d) : in altre parole, dal punto di vista di Platone, senza la luce non si danno visione né visibilità nel mondo sensibile, ma ciò che la visione vede e ciò che è visto da essa è il colore, laddove senza la verità non si danno conoscenza né conoscibilità nell’intellegibile, perché ciò che la conoscenza conosce e ciò che è conosciuto da essa è appunto la verità stessa. 1 Nell’analogia fra il Sole e il bene non sembra dunque che si preiguri in qui alcun genere di relazione che vada oltre l’identità di rapporto caratteristica della proporzione matematica né essa è tale da garantire, attraverso l’esame dello statuto ontologico e dei modi funzionali dell’‘analogo’ (il Sole), una qualche conoscenza dello statuto ontologico e dei modi funzionali dell’‘analogato’ (il bene). 2 Ma, come già sappiamo, vi è di più, giacché Socrate fornisce un elemento aggiuntivo che suggerisce forse di concepire l’analogia come un legame assai più stretto e incisivo di un’identità di rapporto proporzionale, se è vero che il Sole è non solo ‘il iglio del bene’, tale ‘iliazione’ manifestando unicamente, lo si è visto, un’identità funzionale a un livello inferiore, ma anche che è « a esso assai simile » (oJmoiovtato~ ejkeivnw/, 506e2) e soprattutto che « il bene <lo> ha generato come analogo a se stesso » (o]n tajgaqo;n ejgevnnhsen ajnavlogon eJautw/,` 508b12-13). Ora, per quel che concerne la ‘somiglianza’, essa è esplicitamente introdotta in parallelo con la ‘iliazione’, quasi in forma di endiadi (e[kgonov~ te tou` ajgaqou` faivnetai kai; oJmoiovtato~ ejkeivnw/, 506e2), quindi, a mio avviso, come semplice precisazione epesegetica che in nulla interviene a modiicare natura e struttura dell’analogia. Diverso è il caso dell’afermazione della generazione del Sole da parte del bene che, per quanto si riveli indubbiamente assai più impegnativa e gravida di conseguenze, non impone però neanch’essa immediatamente che il Sole sia iglio del bene perché il bene lo ha generato come suo analogo né che sia analogo al bene perché il bene lo ha generato come tale, ossia che, in altre parole, ‘iliazione’ e ‘generazione’ risultino reciprocamente implicate nell’analogia. Beninteso, il termine e[kgono~ evoca certamente il ‘iglio’ in quanto generato o prodotto dal ‘padre’, ma credo di aver mostrato che tale riferimento allude di fatto, nel nostro passo, soltanto all’identità funzionale del ‘iglio’ rispetto al ‘padre’, sicché il ‘iglio’ è detto generato o prodotto dal padre appunto nella misura in cui ne replica la funzione ; come pure la ‘somiglianza’ 1 Come già ricordato supra, n. 1, p. 52, la verità è innanzitutto, secondo Platone, un carattere ontologico delle cose che sono, che consiste nel loro grado di stabilità e immutabilità. In questa misura, la verità rappresenta propriamente ciò che l’intelletto conosce e il tratto conoscibile dell’oggetto conosciuto. Ciò suggerisce a mio avviso di tornare sulla traduzione di 508d, di cui non mi pare si possa accogliere la resa più difusa : « quando l’anima si issa saldamente su ciò che è illuminato dalla verità e dall’essere (ou| katalavmpei ajlhvqeiav te kai; to; o[n), allora lo pensa e lo conosce … », in base alla quale la verità e l’essere si porrebbero soltanto come condizioni di conoscibilità degli oggetti conosciuti in se stessi (come nel caso della luce che permette di vedere i colori), con l’imbarazzante conseguenza che le idee intellegibili (= l’essere) risulterebbero conoscibili in quanto illuminate dalla verità e dall’essere. Credo perciò sia più opportuno intendere il verbo katalavmpei con valore intransitivo e attribuire a ou| un signiicato locativo, per cui « quando l’anima si issa saldamente là dove risplendono la verità e l’essere, allora pensa e conosce il suo oggetto … », in quanto esso coincide appunto con la verità e l’essere. 2 Non posso perciò condividere la posizione difesa da M. Dixsaut, L’analogie intenable : le Soleil et le Bien, in Platon et la question de la pensée. Études platoniciennes i, Paris, Vrin, 2000, pp. 121-151, 126 ss. : « … soleil, lumière, vision ne sont pas seulement des termes présentant des rapports analogues à ceux qui, dans le domaine de la connaissance, relient les termes correspondants, ce sont des termes qui ressemblent, et peutêtre les seules en qui puisse se dire ce que font les termes qui leur correspondent ». Sottolinea invece assai opportunamente il carattere funzionale dell’analogia fra il Sole e il bene, e l’impossibilità di trarre da essa un’indicazione pienamente coerente dei modi funzionali in essa implicati, F. Ferrari, L’idea del bene : collocazione ontologica e funzione causale, cit., pp. 295-303. 60 francesco fronterotta (oJmoiovth~), che può indicare senz’altro in assoluto, nella rilessione di Platone, un nesso ontologico che comporta una condivisione di essere, come avviene precisamente per la relazione di ‘partecipazione’ (mevqexi~), o ‘comunanza’ (koinwniva), che collega il sensibile all’intellegibile issandone il vincolo causale, 1 ma che pare assumere qui un carattere esclusivamente funzionale, se, nuovamente, il Sole è oJmoiovtato~ al bene essenzialmente rispetto all’esercizio della sua funzione. Ed è allo stesso titolo che, come abbiamo visto, una relazione di ‘somiglianza’ lega le diverse sezioni della ‘linea’ divisa (510a), in ciascuna delle quali sono collocati oggetti, con i rispettivi modi di conoscenza, che sono ‘immagini’ di quelli collocati nella sezione superiore, tutti connessi secondo « lo stesso rapporto proporzionale » (ajna; to;n aujto;n lovgon, 509d7-8), senza che si dia fra di esse nessuna forma di condivisione di essere né di derivazione ontologica in senso proprio. Resta tuttavia che, nonostante simili precisazioni e limitazioni, Socrate dichiara del Sole che è ‘generato’ dal bene (o]n tajgaqo;n ejgevnnhsen, 508b13) : quale valore attribuire a tale afermazione ? Suggerisco di intendere la ‘generazione’ del Sole dal bene, nel libro vi della Repubblica, sulla base di una sequenza argomentativa di questo genere (che riproduce d’altra parte fedelmente l’ordine e lo sviluppo del discorso di Socrate da 506d a 508c) : non « poiché il bene ha generato il Sole, allora il Sole ne è in questa misura il iglio, perciò simile a esso e suo analogo, che adempie alla stessa funzione del bene, a un livello inferiore, in quanto conserva una traccia sostanziale e funzionale della sua derivazione dal bene » ; bensì « poiché il sole adempie alla stessa funzione del bene, a un livello inferiore, allora ne è in questa misura un analogo, cioè come un iglio, simile al padre e da esso generato ». In altre parole, la duplicazione funzionale, a un livello inferiore, suggerisce a Socrate l’immagine del ‘iglio’, come ‘duplicato’ che riproduce l’azione del padre in un ambito eterogeneo e minore, che a sua volta introduce una relazione di somiglianza, del ‘iglio’ al ‘padre’ di cui agisce come ‘duplicato’, e un rapporto di derivazione o generazione, del ‘iglio’ dal ‘padre’ di cui è appunto ‘iglio’, la generazione costituendo, in questa prospettiva, l’ultimo anello di una catena metaforica che non incide a mio avviso sulla natura semplicemente funzionale dell’analogia. 2 La lettura da me appena proposta, a prima vista alquanto congetturale se non perino capziosa, si appoggia invece su alcune considerazioni di fondo, secondo me decisive, che rivelano l’insormontabile diicoltà che sorgerebbe, in un contesto platonico, a concepire l’esistenza del Sole nel sensibile, e la sua generazione dal bene, come l’esito di un’azione causale o di un atto derivativo reali, quindi tali da violare i limiti solo funzionali dell’analogia in favore di una ben più impegnativa analogia ontologica fra il Sole e il bene. In primo luogo, infatti, se è indubbio che Platone pone una relazione causale assolutamente reale fra il sensibile e l’intellegibile, appunto la ‘partecipazione’ già evocata sopra, tramite la quale le cose sensibili acquistano dalle idee intellegibili l’essenza, le proprietà e il nome riconosciuti loro nell’esperienza comune, è evidente che non si trat1 Sia lecito rinviare su questo punto, per un esame della cruciale nozione di ‘partecipazione’ nel pensiero di Platone, con discussione della bibliograia pertinente, al mio Methexis. La teoria platonica delle idee e la partecipazione delle cose empiriche. Dai dialoghi giovanili al Parmenide, Pisa, Edizioni della Scuola Normale Superiore, 2001, specie pp. 148-151, 195-222 e 280-287. Cfr. pure, per alcuni sviluppi di tale questione rispetto all’origine della dottrina dell’analogia dell’essere, infra, n. 1, p. 64. 2 Un’ampia discussione dei diversi termini impiegati per indicare la relazione, solo funzionale o propriamente derivativa, del Sole con il bene e un acuto bilancio critico intorno al tema dell’efettiva generazione del Sole dal bene sono forniti da F. Calabi, Il sole e la sua luce, cit., pp. 331-336 e 351-354. ANALOGIA in platone : occorrenze e significati 61 ta in nessun caso di ammettere una generazione o una derivazione integrale delle cose sensibili partecipanti dalle corrispondenti idee partecipate, e ciò per l’ottima ragione che si giungerebbe così a svuotare il sensibile di ogni sostanzialità, sottraendogli lo statuto suo proprio di realtà esistente (certamente esistente, anche se a un livello diverso e inferiore a quello delle idee), riducendolo così, in sé e per sé, al puro nulla, alla semplice assenza dell’essere, e determinando perciò una prospettiva ontologica su un solo livello, quello delle idee intellegibili che, esercitando nel vuoto la propria azione causale, producono a certe condizioni delle imitazioni, copie o parvenze di se stesse, sussistenti solo in virtù di quelle. Una concezione del genere mi sembra smentita nettamente, fra l’altro, dalla constatazione che, anche quando viene sottolineata l’assoluta ‘minorità’ ontologica delle cose sensibili rispetto alle idee, nessun passo dei dialoghi giunge mai a sancirne l’efettiva coincidenza con il non essere e con il puro nulla. Anzi, nel libro v della Repubblica (478e-479d), l’unico passo efettivamente esplicito in proposito, viene stabilito con chiarezza che la sfera sensibile occupa di per sé una posizione intermedia e ‘mista’ fra essere e non essere (qevsin ... metaxu; oujsiva~ te kai; tou` mh; ei\nai) che non si lascia in nessun modo confondere con il non essere di ciò che non è afatto, né dal punto di vista ontologico né dal punto di vista epistemologico del genere di conoscenza che le si addice. Platone tiene dunque ferma quella radicale duplicità ontologica caratteristica della sua prospettiva ilosoica bipolare ed ecco perché occorre distinguere due ‘mondi’ o almeno due piani del reale del tutto irriducibili l’uno all’altro e perciò, anche se a diverso titolo e con un diverso grado ontologico, entrambi sostanziali. 1 Nella stessa direzione va l’introduzione della cwvra nel Timeo, con il suo statuto ontologico e funzionale di principio coeterno alle idee intellegibili e di sostrato ‘spazio-materiale’ delle cose sensibili, che produce propriamente e suscita da sé come enti (pur parzialmente) sostanziali in virtù delle modiicazioni della sua conigurazione che si determinano in conformità alle idee intellegibili, per questa ragione distinguendosi da un vacuo favntasma (52c) e acquistando una dimensione sostanziale che deve senza dubbio la sua forma e la sua determinazione alle idee intellegibili di cui è riproduzione o imitazione, ma che, anche indipendentemente da tale forma e determinazione, non si ridurrebbe al nulla assoluto, ma conluirebbe nuovamente nella cwvra, nel sostrato ‘spazio-materiale’ informe che è sempre e non si corrompe, che è, si, opposto al modello intellegibile quanto alla sua pura indeterminazione, ma complementare a esso dal punto di vista ontologico. Si deve riconoscere così, nuovamente, un modello onto-cosmologico almeno dualista, che nel Timeo si rivela particolarmente evidente, basato cioè sull’irriducibilità di due principi sostanziali antagonisti, il modello intellegibile e la cwvra, fra i quali è stabilita una relazione, espressa nel dialogo tramite la metafora ‘artigianale’ del demiurgo che dispone della cwvra come di un materiale informe, che egli lavora manualmente, conferendogli una igura, un ordine e una struttura che appartengono originariamente al modello intellegibile e che egli può, dopo averli contemplati nel modello intellegibile, riprodurre nella copia sensibile. 2 Tornando al problema in esame, mi pare insomma che una simile considerazione opponga un argomento irresistibile 1 Si veda ancora, in proposito, il mio Methexis. La teoria platonica delle idee e la partecipazione delle cose empiriche, cit., pp. 151-54 ; cfr. pure F. Fronterotta, Questioni eidetiche in Platone : il sensibile e il demiurgo, l’essere e il bene, « Giornale critico della ilosoia italiana », lxxxv (2006/3), pp. 412-436, 412-420. 2 Cfr. in ultimo, su questa forma di ‘dualismo’ che caratterizza la prospettiva onto-cosmologica del Timeo, il mio articolo Modello, copia, ricettacolo : monismo, dualismo o triade di principi nel Timeo ?, « Méthexis », xxvii (2014), pp. 95-118. 62 francesco fronterotta alla possibilità di intendere il rapporto fra il Sole, nel sensibile, e il bene, nell’intellegibile, in forma propriamente generativa o derivativa, inducendo piuttosto a ipotizzare fra i due piani una relazione causale di qualche genere, che Socrate lascia tuttavia qui inesplicata. 1 Ma in secondo luogo, e soprattutto, Platone non associa mai, né potrebbe comunque associare, a questa relazione causale fra il sensibile e l’intellegibile (o fra il Sole e l’idea del bene) la nozione di analogia, che abbiamo visto non esprimere altro che un’identità di rapporto o di funzione, orizzontale o verticale, fra termini appartenenti ad ambiti anche eterogenei, e ciò nella misura in cui la relazione causale fra i due piani del reale implica una ben più impegnativa comunanza ontologica che rimane estranea alla deinizione e all’impiego dell’analogia, benché sia naturalmente del tutto plausibile che, stante la relazione di dipendenza causale del sensibile dall’intellegibile, ogni stato di cose, e dunque ogni genere di rapporto, anche analogico, fra termini appartenenti all’ambito sensibile (come avviene nel caso della ‘proporzione’ che lega gli elementi che compongono il corpo del mondo nel Timeo) o, distributivamente, all’ambito sensibile e all’ambito intellegibile (come avviene nel caso della ‘proporzione’ fra il Sole, la vista e gli oggetti visibili e fra il bene, l’intelletto e gli intellegibili nel libro vi della Repubblica), sia in qualche modo connesso a tale relazione. Si può inoltre attribuire a Platone un argomento supplementare contro l’associazione della nozione di analogia alla relazione causale fra il sensibile e l’intellegibile, vale a dire il fatto che non occorre introdurre uno strumento apposito – appunto l’analogia – per illustrare i termini di questa relazione, e risalire così, in virtù della relazione stessa, alla conoscenza della causa intellegibile a partire dal suo efetto sensibile, perché l’ambito dell’intellegibile appare di per sé, nella rilessione di Platone, pienamente conoscibile in tutte le sue regioni e in tutte le sue parti, compreso il bene, che è infatti successivamente descritto, nel libro vi della Repubblica, come oggetto di mavqhma (504e4), cioè di una conoscenza, per quanto somma, però accessibile, quindi come sapere concretamente posseduto dai ilosoi governanti (506a), inine come realtà che, nonostante la sua assoluta eminenza, risulta tuttavia conoscibile e conosciuta (wJ~ gignwskomevnh~ ... dianoou`, 508e3). Come è ben messo in evidenza, per esempio, dalla dottrina della reminiscenza, la relazione causale fra il sensibile e l’intellegibile è infatti suiciente a garantire la presenza, nel sensibile, di ‘tracce’ dell’intellegibile, a partire dalle quali si rende senza dubbio possibile giungere alla piena conoscenza delle idee, che si conigura precisamente, per ricorrere alla formulazione del Fedro, come un movimento ascendente dalla molteplicità del sensibile verso l’unità colta con il ragionamento, cioè verso l’idea intellegibile (eij~ e}n logismw/` sunairouvmenon, 249c1 ; eij~ mivan ijdevan, 265d3) 2 – e lo strumento dell’analogia può intervenire in questo contesto limitatamente all’esigenza di stabilire dei rapporti funzionali fra i 1 Si veda in questo senso l’esemplare conclusione di M. Vegetti, Meghiston mathema. L’idea del “buono” e le sue funzioni, cit., p. 269. 2 Introdotta nel Menone (81a-86c), quindi più ampiamente illustrata nel Fedone (74a-76a) e nel Fedro (246e249d), la dottrina della reminiscenza fa coincidere la conoscenza con il ricordo di ciò che si è già appreso in un tempo precedente o, più esattamente, di ciò che l’anima immortale ha appreso quando, prima di fare ingresso nel corpo mortale, rivolgeva il suo sguardo alle realtà intellegibili. Ogni volta che entra in un corpo, l’anima dimentica ciò che ha appreso, per ricordarsene in seguito, nel corso della vita mortale, in virtù della percezione delle cose sensibili, la ricerca della verità consistendo precisamente nel recupero di tale ricordo. Si veda solo in proposito, sulla reminiscenza nel suo insieme e sul suo signiicato ilosoico, D. Scott, Recollection and experience. Plato’s theory of learning and its successors, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1995. ANALOGIA in platone : occorrenze e significati 63 due piani, prima o indipendentemente dall’efettiva conoscenza di essi ; mentre non si tratta certamente di concepire le cose sensibili come prodotti generati o integralmente derivati dalle idee intellegibili, per ottenere, attraverso la conoscenza di essi, un parziale accesso alle idee intellegibili, da considerare inoltre, in tal caso, di per sé inconoscibili, in base a un movimento discendente per cui la conoscenza dell’intellegibile si fonda soltanto sulla conoscenza del sensibile in quanto generato o derivato a partire dall’unità intellegibile, cioè secondo un rapporto ajf∆eJnov~ – e solo a queste condizioni lo strumento dell’analogia potrebbe assumere i tratti che gli sono riconosciuti nella tradizione scolastica, nella forma di una relazione che, in virtù dell’assunto della generazione o della derivazione del sensibile a partire dall’intellegibile, permetterebbe di trarre dalla conoscenza del sensibile una conoscenza parziale e indiretta dell’intellegibile. Mi pare che un esito così estremo sia raggiunto piuttosto, mutatis mutandis, nel corso della tradizione platonica antica, la cui trattazione oltrepassa gli obiettivi del mio contributo e che richiamerò soltanto, come pura suggestione, a mo’ di conclusione. La prima tappa di questo processo è rappresentata verosimilmente dall’identiicazione, difusa fra gli autori medioplatonici tra i e ii secolo d.C., dell’idea del bene della Repubblica con il demiurgo cosmico del Timeo, variamente concepito come una divinità plurale che esercita competenze intellettuali e produttive ; 2 ma è notoriamente Plotino a compiere la decisiva mossa esegetica, collocando l’esposizione platonica dell’idea del bene in parallelo con la discussione intorno all’uno oltre l’essere contenuta nella seconda parte del Parmenide, e così individuando un principio primo del reale, appunto l’uno o il bene, che trascende l’oujsiva intellegibile e che si pone perciò al di là dell’essere, della conoscenza e del discorso, in una condizione di assoluta inattingibilità che può essere solo indirettamente avvicinata a partire dai suoi prodotti, che, pur restandogli inferiori, conservano tuttavia un’impronta della sua potenza generatrice. Si comprenderà come, in una interpretazione che trasforma il dualismo platonico in un monismo radicale, facendo dell’idea del bene della Repubblica un principio primo che genera tutte le cose, l’unico accesso possibile a tale principio assolutamente trascendente consista nella conoscenza dei suoi prodotti, innanzitutto, per attenersi all’immagine della Repubblica, a partire dal Sole, la cui analogia con il bene assume necessariamente i tratti di una relazione derivativa integrale ajf∆eJnov~, che procede verticalmente attraverso livelli successivi di esistenza e di realtà la cui omogeneità è garantita dalla comune provenienza e generazione. 3 1 1 In altre parole, se nel libro vi della Repubblica Socrate dicesse cosa sia il bene e quali le sue relazioni con l’intelletto e gli intellegibili, non occorrerebbe stabilire nessuna analogia con il iglio del bene, con il Sole. Il fatto che si riconosca che tale conoscenza è possibile, e appartiene efettivamente ai ilosoi, indica che l’analogia può essere utile solo nel caso in cui essa sia, per qualche motivo, attualmente indisponibile. 2 Questa è senza dubbio la posizione di Attico e di Plutarco, ma anche Alcinoo e Numenio identiicano l’idea del bene con la divinità, nella quale distinguono però un livello puramente contemplativo (efettivamente coincidente con l’idea del bene, di cui per esempio Numenio, fr. 16 des Places, aferma che è dhmiourgo;~ th`~ oujsiva~) e un livello propriamente operativo. Cfr. solo in proposito J. Opsomer, Demiurge in Early Imperial Platonism, in Gott und die Götter bei Plutarch . Götterbilder-Gottesbilder-Weltbilder, hg. v. R. Hirsch-Luipold, Berlin-New York, De Gruyter, 2005, pp. 51-99, e F. Ferrari, Metaisica e teologia nel medioplatonismo, « Rivista di Storia della ilosoia », lxx (2015), pp. 321-337, specie 325-333. 3 È impossibile riportare o anche solo citare i numerosissimi passi che testimoniano dell’articolata operazione esegetica che Plotino compie nella sua lettura del testo platonico ; mi limito dunque a indicarne tre fra i più celebri : Enneadi v 1 (10) 8 ; vi 7 (38) 16 ; e vi 9 (9) 3-6. Nel secondo di essi, in particolare, Plotino si soferma precisamente sull’analogia fra il Sole e il bene, attribuendo a quest’ultimo il potere di produrre, insieme con la realtà intellegibile nel suo complesso, anche la ‘luce’ intellegibile necessaria a conoscerla, 64 francesco fronterotta È esclusivamente a queste impegnative condizioni che l’analogia boni della Repubblica di Platone potrà costituire, come suggerito da Aubenque, l’origine o il paradigma dell’analogia entis, attraverso la ‘platonizzazione’ della dottrina aristotelica dei sensi dell’essere attuata dai commentatori neoplatonici. 1 Sapienza Università di Roma [email protected] esattamente come il Sole che produce, insieme con la realtà sensibile nel suo complesso, anche la ‘luce’ sensibile necessaria a vederla, sicché l’analogia è qui strettamente connessa alla derivazione dal bene, ino a consistere in tale derivazione, perché il Sole riproduce a un livello inferiore la stessa azione del bene in quanto da esso deriva e ne è una traccia. Vastissima è pure la letteratura critica su questo punto : ricorderò soltanto perciò, con una scelta tanto parziale quanto arbitraria, il seminal paper di E. R. Dodds, The Parmenides of Plato and the origin of the neoplatonic One, « Classical Quarterly », 22 (1928), pp. 129-142 ; quindi l’opera fondamentale di W. Beierwaltes, Denken des Einen. Studien zur neuplatonischen Philosophie und ihrer Wirkungsgeschichte, Frankfurt a.M., Klostermann, 1985 ; inine il penetrante saggio di Th. A. Szlezák, Platon und Aristoteles in der Nuslehre Plotins, Basel-Stuttgart, Schwabe, 1979. Ampia discussione, con riferimento alla bibliograia pertinente, in M. Abbate, Il Bene nell’interpretazione di Plotino e di Proclo, in Platone, La Repubblica, Libro vi-vii, cit., pp. 625-678. Sulla nozione plotiniana di ‘analogia’, anche rispetto all’interpretazione della relazione fra il bene e il Sole nella Repubblica di Platone, da mantenere nettamente distinta dal suo efettivo impiego da parte di Plotino, rinvio, in questo volume, al contributo di R. Chiaradonna. 1 Cfr. ancora P. Aubenque, Les origines de la doctrine de l’analogie de l’être. Sur l’histoire d’un contresens, cit., p. 13 ; sulla strategia adottata dai commentatori neoplatonici nell’interpretazione (‘analogica’) della dottrina aristotelica dei sensi dell’essere, che si snoda già a partire da Alessandro di Afrodisia, quindi si sviluppa con Plotino e si compie nei posteriori commenti di Dessippo e Simplicio, si veda J.-F. Courtine, Inventio analogiae. Métaphysique et onto-théologie, cit., pp. 191-229 (per quanto riguarda Plotino in particolare, che assume in questa vicenda una posizione decisamente autonoma, cfr. R. Chiaradonna, Sostanza, Movimento, Analogia. Plotino critico di Aristotele, Napoli, Bibliopolis, 2002, pp. 227-305). Un altro possibile spunto platonico nella costituzione della dottrina dell’analogia dell’essere, attraverso la ‘platonizzazione’ di Aristotele operata dai commentatori neoplatonici, è indicato e riccamente argomentato ancora da J.-F. Courtine, Inventio analogiae. Métaphysique et onto-théologie, cit., pp. 180-191 e 216-229, e attiene a una progressiva ‘ontologizzazione’ della relazione di omonimia che verrebbe letta inine come una relazione propriamente analogica. In estrema sintesi, si ricorderà che già Platone esprime talvolta il rapporto fra le cose sensibili e le idee intellegibili, sostenendo che le prime hanno lo stesso nome delle seconde, sono cioè ojmwvnuma (cfr. per esempio Fedone 78e ; Parmenide 133d ; Timeo 52a), e ciò nella misura in cui, in virtù della partecipazione fra i due piani del reale, sussiste fra essi una forma di ejpwnumiva (cfr. per esempio Fedone 102b ; 103b), vale a dire che le cose traggono dalle idee il loro nome. Ora, nella sua esposizione e nella sua critica della relazione fra le cose sensibili e le idee intellegibili nei capitoli 6 e 9 del libro Alpha della Metaisica, Aristotele tende a presentarla a volte come una relazione di sinonimia (per cui la condivisione di nome fra idee e cose suppone un signiicato comune), altre volte come una relazione di semplice omonimia (per cui la condivisione di nome fra idee e cose non suppone un signiicato comune e rimane quindi puramente accidentale) : questa conclusione non è casuale, giacché Aristotele contesta sistematicamente la possibilità stessa della partecipazione fra le idee e le cose, il che implica che la loro condivisione di nome non possa dipendere da un’efettiva comunanza ontologica. I commentatori (a partire da Alessandro e Asclepio) si trovano così a dover interpretare, e collocare, questa oscillazione nel linguaggio di Aristotele e risulta vincente la tesi secondo cui la relazione di sinonimia vale esclusivamente al livello orizzontale della molteplicità delle cose sensibili che hanno lo stesso nome, tutte riconducibili a un unico signiicato, mentre la relazione di omonimia governa il rapporto verticale fra le cose e le idee, perché la condivisione di nome, rispetto alle idee, implica quella comunanza ontologica che Platone denomina ‘partecipazione’. La relazione di omonimia consente così, ben oltre il signiicato aristotelico, di intendere la condivisione di nome come immediatamente derivante da una comunanza ontologica ajf∆eJnov~, il che rappresenta la premessa per una concezione dell’omonimia che indirizza all’analogia dell’essere. Nei limiti di questo breve resoconto, si deve notare nuovamente che, se è fuor di dubbio che la condivisione di nome fra le idee e le cose dipende, secondo Platone, da una comunanza ontologica che comporta a sua volta un’azione causale dell’intellegibile rispetto al sensibile, e se è altrettanto certo che questa sia pure la posizione che Aristotele ascrive a Platone e critica, in nessun caso, né nei dialoghi platonici né nel corpus aristotelico, la nozione di analogia si trova introdotta in questo contesto per designare una simile relazione, se non a opera dei posteriori commentatori neoplatonici. co m p osto in ca r atte re serr a dant e dalla fa b r izio se r r a e dito re, pisa · roma. sta m pato e ril e gato nella t i po gr a fia di ag na n o, ag nano pisano (pisa). * Magio 2017 (c z 2 · f g 1 3 )