PARTECIPAZIONE NELLA RICOSTRUZIONE
Riccardo Pula*
1. Prendere parte per essere parte
Partecipare significa prendere parte. In questo caso si tratta di prendere
parte alla vita di una comunità che abita un territorio specifico e che rende quel
territorio unico. Significa rendere viva una comunità nella quale chi partecipa si
sente parte di essa, sviluppa un senso d’identità.
Al fine di prendere parte, attivamente, a quella che è la vita della comunità
è necessario sviluppare il concetto di cittadinanza nel suo significato sostanziale:
collaborare per il bene comune, per il bene della collettività, essere al servizio
degli altri abitanti. In questa direzione si è mossa l’idea di amministrazione
condivisa così come l’ha proposta Gregorio Arena1, oggi diventata realtà in molti
comuni italiani e soprattutto a Bologna, dove questo istituto ha visto la sua prima
applicazione2.
L’amministrazione
condivisa
è
una
forma
di
comunicazione
e
collaborazione tra cittadini e amministrazioni, per permettere agli stessi cittadini
di contribuire al lavoro degli amministratori e quindi alla cura dei beni comuni3
cioè i beni di proprietà della collettività che rappresentano una ricchezza (sia
materiale che simbolica quindi immateriale) per la comunità. Il concetto di
amministrazione condivisa è in stretto rapporto con il principio costituzionale di
sussidiarietà (art. 118 della Costituzione Italiana); ed in particolar modo nella
recente accezione di “sussidiarietà circolare” chiarificata da Alessandra Valastro:
“con l’introduzione del principio di sussidiarietà orizzontale la collaborazione dei
*
corso di Sociologia e politiche sociali (Curriculum Politiche del territorio e sviluppo sostenibile)
Cfr. Arena G., Democrazia partecipativa e amministrazione condivisa, in Valastro A. (a cura di),
Le regole locali della democrazia partecipativa. Itinerari per la costruzione di un metodo di
governo, Jovene editore, Napoli, 2016, pp. 233-250.
2
Comune di Bologna, Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la
cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani, Bologna, 22 Febbraio 2014,
(http://www.comune.bologna.it/sites/default/files/documenti/REGOLAMENTO%20BENI%20CO
MUNI.pdf) [Consultato il 5 Giugno 2017]
3
Come notava Tӧnnies “La vita comunitaria è possesso e godimento reciproco, ed è possesso e
godimento di beni comuni. La volontà del possesso e del godimento è la volontà della protezione e
della difesa”. Tӧnnies F., Comunità e società, Edizioni di comunità, Milano, 1979 (ed. or. 1887),
p.66.
1
privati alla realizzazione del bene comune può finalmente evidenziare la propria
imprescindibile tendenza alla circolarità: l’interlocuzione con i poteri pubblici
acquisisce infatti gli strumenti per attraversare le politiche pubbliche in tutte le
loro fasi, dai processi decisionali alla loro attuazione concreta e di nuovo, grazie
all’accrescimento del capitale sociale, verso nuove e più evolute capacità di
ideazione”4
Proprio per questo l’attenzione del presente contributo si concentrerà su
questo rapporto, tra le persone e il modo di partecipare alla vita della comunità,
sul rapporto tra i singoli la realtà più ampia del sociale che caratterizza un
ambiente di vita comune a più soggetti e da più soggetti costruito. Per utilizzare il
concetto coniato da Niklas Luhmann, ci focalizzeremo sull’ “interpentrazione”,
ovvero sul rapporto tra sistemi sociali e sistemi psichici, dove “i sistemi si
rendono reciprocamente possibili”5, dove il sistema sociale, prodotto dal rapporto
tra sistemi psichici, retroagisce sui sistemi psichici stessi per riprodurli: se, infatti,
la “penetrazione” si ha “quando un sistema mette a disposizione la propria
complessità […] per la costruzione di un altro sistema”, allora avremo
interpenetrazione “quando questa realtà è reciprocamente presente, e quindi
entrambi i sistemi si rendono vicendevolmente possibili in quanto ciascuno di essi
immette nell’altro la propria complessità interna precostituita”.6
In particolare, parleremo di cosa succede quando tale rapporto di
interpenetrazione si trova ad esistere in un contesto come quello dell’emergenza e
della ricostruzione, un contesto nel quale la complessità viene aumentata (sia per i
singoli che per i sistemi sociali) da un fattore agente esterno come quello della
catastrofe naturale.
Va ricordato, tuttavia, che “gli eventi naturali estremi per se non sono
disastri, ma diventano tali quando impattano comunità e territori vulnerabili”7. Il
sisma in sé non è perciò l’evento drammatico: esso è naturale, fa parte della natura
del nostro pianeta, tuttavia il suo impatto sui sistemi psichici (sui singoli) e sui
4
Valastro, A., La democrazia partecipativa alla prova dei territori, in Valastro A., (a cura di), Le
regole locali della democrazia partecipativa. Itinerari per la costruzione di un metodo di governo,
Jovene editore, Napoli, 2016, pp. 3-66, p.29.
5
Luhmann N., Sistemi sociali : fondamenti di una teoria generale, Il Mulino, Bologna, 1990, p.
358.
6
Ibidem, p. 354.
7
Tratto da Toseroni F., Moriconi F., Mappare la resilienza agli eventi estremi e ai disastri: una
via per lo sviluppo territoriale, in AA. VV., Oltre la globalizzazione. Resilienza/Resilience,
Società di studi geografici, Firenze, 2014, pp. 65-68, p.65.
2
sistemi
sociali
(le comunità), impatto che ovviamente va a
colpire
contemporaneamente il rapporto tra i primi e i secondi, genera il “disastro”.
Perciò la partecipazione è tanto più sentita in un momento drammatico ma
carico di speranza e di possibilità: da ricostruire, prima di tutto, c’è la resilienza
delle comunità colpite, cioè la capacità di rispondere in maniera efficace ad un
evento traumatico ovvero, in maniera assai più puntuale, si tratta della “capacità di
un sistema di assorbire un fattore perturbante ed invasivo, esterno o interno,
previsto o imprevisto, al fine di impedire o ritardare, il passaggio da uno stato di
crisi ad uno emergenziale, reagendo e modellando la risposta della propria
struttura allo scopo di superare l’evento avverso e stabilendo un nuovo equilibrio
nel Sistema”8.
Per permettere la ricostruzione di questa capacità è allora necessario un
concetto fondamentale e ben conosciuto nei servizi sociali: si tratta di lavorare in
un’ottica di empowerment ovvero potenziamento, “capacitazione”. Significa
scoprire le risorse di un territorio, di una comunità, rendere consapevole quella
comunità di persone delle proprie risorse per permettere alla comunità stessa di
affrontare le proprie sfide, di modellare la risposta della propria struttura (sia a
livello di singolo che di comunità) per superare la crisi ed essere, appunto,
resiliente. Proprio in questo processo entra in gioco la partecipazione nella
ricostruzione.
Processo, questo, che può diventare l’occasione di (ri)costruire insieme
qualcosa che è andato perduto, forse da molto prima dell’evento sismico a causa
di un repentino cambiamento, una mancanza improvvisa, un crollo di pochi
minuti. Ma è proprio l’evento sismico, come nota Cecilia Cristofori, a catalizzare
un mutamento già in atto nella società che si è incarnato nel DNA del territorio
diventandone fattore strutturale: sono gli “effetti inattesi, non voluti, di una
modernizzazione spinta, forzata, veloce. Sofferta, anche.”9
Per arrivare a comprendere le dinamiche contemporanee sarà necessario
partire dal passato, per capire le strade scelte, le storie delle persone e delle
comunità che hanno, in modi diversi affrontato un’emergenza sismica, emergenza
8
Toseroni F., cit. in. Toseroni F., Moriconi F., Cit., p.66.
Cristofori C., Il mondo ricostruito. Mutamento sociale e persistenze nel post terremoto, in Sergio
Sacchi (a cura di), Oltre la ricostruzione, profili economici e dimensioni sociali in un processo di
cambiamento, Quattroemme, Perugia, 2007, pp. 33-47, p.33.
9
3
che non bussa alla porta ma che irrompe ed entra a sorpresa nella storia di
persone, famiglie, istituzioni, nella storia di un Paese.
2. Una storia da ricostruire
L’opera Terre mobili10 di un architetto urbanista friulano come Giovanni
Pietro Nimis è stata fondamentale per compiere questo salto nel passato. Da
tecnico della ricostruzione nel suo Friuli, Nimis rilegge la storia che ha vissuto in
prima persona e che lo rende un osservatore privilegiato sul tema della
ricostruzione post sisma.
L’opera da lui scritta e qui citata è edita in occasione della ricostruzione
successiva al sisma che ha colpito L’Aquila nel 2009. Ripercorrendo la storia
recente dei sismi passati e della loro gestione, l’urbanista friulano prova a
tracciare una rotta per il futuro, cercando delle linee comuni e guardando alle
lezioni imparate dalla storia, espone i fatti senza giudizi definitivi, fornendo gli
strumenti per un’analisi critica di tali eventi.
2.1.
Il caso del Belice
Ho iniziato guardando al sisma che colpì la valle del Belice 11 nel 1968:
370 vittime 56.000 senzatetto.
La gestione di questa catastrofe è ritenuta fallimentare per diversi aspetti,
dovuti anche al contesto storico: non esistevano ancora le regioni e lo Stato pensò
di gestire tutto “dall’alto e da lontano”.
I cardini di questa ricostruzione furono appunto il centralismo dello stato,
che decise in modo perentorio come affrontare l’emergenza (per ridurre la
complessità causata dal sisma). Emblematico il caso di Gibellina, interamente
ricostruita ex novo. La criticità non risiede tanto in questo aspetto (che può essere
dovuto anche a condizioni oggettive come un rischio geologico importante che
non consente di ricostruire in situ), quanto nel modo in cui tale ricostruzione
delocalizzata sia avvenuta: il nuovo assetto organico dei sistemi urbani si è
tradotto nella costruzione di nuovi centri storici che “misuravano due o tre volte le
vecchie città con una distinzione rigida tra aree residenziali e aree destinate ad
10
11
Nimis, G. P.; Terre mobili, Donzelli editore, Roma, 2009.
Ibidem pp.41-51.
4
attrezzature”12. Il burocratismo fu il secondo problema, che rallentò notevolmente
i lavori e la ricostruzione (ancora ferma dopo dieci anni). Infine l’utopismo,
l’idea, cioè, di trasformare il Belice in “esempio di perfetta integrazione tra
agricoltura e industria”13 è stata il colpo di grazia. Solo dal 1978 si avranno dei
cambiamenti che, con estremo ritardo e con esigui risultati, segneranno
l’archiviazione di questo terremoto nella memoria del Paese.
2.2.
La novità del Friuli
Diverso e largamente citato nella letteratura fu il caso del Friuli14,
devastato dal sisma del 1976. Il doppio delle vittime del Belice (939) e un gran
numero di senzatetto (100.000). Qui, per la prima volta, lo Stato decide di
sperimentare un decentramento che sarà fondamentale.
La novità della gestione del Friuli è proprio questa: la delega dello Stato
alla Regione e dalla Regione ai Comuni, i quali, senza un livello inferiore di
amministrazione si agganciarono alle esperienze delle “assemblee popolari”,
organi nati spontaneamente dall’iniziativa dei cittadini che contribuirono in modo
massiccio alla ricostruzione.
Come predetto qui si sperimentano per la prima volta la Regione e si
sperimenta altrettanto il soccorso organizzato sul posto e in stretto contatto con le
rappresentanze dirette della popolazione, (si mettono le basi, cioè, per quello che
poi diventerà nel 1992 la Protezione Civile). Si propone il dibattito del ricostruire
ex novo o in situ ma la formula proposta dai cittadini sarà quella che ormai tutti
conosciamo del “dov’era com’era”.
Continuità, quindi, per ottenere una risposta sociale unitaria. E assieme a
questa, un’idea di sviluppo, non utopistico, bensì da attuare concretamente,
finanziando i progetti già da tempo pensati e preparati, legati alla vocazione del
territorio. Questa “ricetta” si dimostra subito interessante: in meno di un anno
l’emergenza è chiusa, in dieci anni la ricostruzione è completata. Il tutto
12
Tratto da Ibidem, p.49.
Ibidem, p.44.
14
Ibidem pp.52-62.
13
5
accompagnato dall’effetto sburocratizzante causato dall’operato del commissario
straordinario alla ricostruzione Zamberletti.
Tuttavia, ci sono dei punti che si rivelano critici e che è bene tenere
presenti. Il decentramento fu efficace ma la partecipazione non venne controllata,
mancò l’azione dei politici che non guidarono e non arginarono il fenomeno di
disseminazione edilizia. Infatti, tale fenomeno, già in atto prima del terremoto,
stava trasformando il territorio, creando delle grandi periferie, totalmente
scollegate dalla storia del territorio stesso e del paesaggio; legate ad una cultura
della rivalsa: avere una casa propria, per la propria famiglia, libera sui quattro lati,
consisteva in un passaggio ad un livello sociale superiore prima insperato. La
partecipazione non guidata, il terremoto e la sua gestione hanno catalizzato un
processo di globalizzazione già presente da prima del sisma che cambiò
radicalmente tutto il Nord Est. Altra mancanza forse è stata quella del
coordinamento: la ricostruzione avveniva per compartimenti stagni, i comuni
tendevano a progettare su se stessi entro i propri confini senza un collegamento
allo sviluppo degli altri.
2.3.
Il problema dell’Irpinia
Il sisma che colpì l’Irpinia15 (Campania e Basilicata) solo quattro anni
dopo riprese alcuni spunti ma trovò delle differenze oggettive dovute alla già
critica situazione del Mezzogiorno: soccorsi che si attivarono con un immenso
ritardo, malavita dilagante, territori rurali lontani da caserme o basi di soccorso,
questo era il panorama all’indomani del sisma.
In seguito alla visita del presidente della Repubblica Sandro Pertini la
situazione dell’Irpinia diventa una priorità assoluta fino a quel momento ignorata.
Partono i soccorsi e si ripropone il dilemma sulla ricostruzione dislocata o
“dov’era com’era”. Il “modello Friuli” viene riproposto anche nella figura del
Commissario Straordinario (sempre Zamberletti) che non incontra poche
difficoltà: la sfiducia nei suoi confronti causata dalla scelta (ritenuta da alcuni
impopolare) del “piano di arretramento” ossia di far ripiegare gli sfollati sulla
costa, come era stato per il Friuli. Per molti questo causò una lotta fra poveri
ossia fra gli sfollati e i proprietari delle case espropriate (tutti spaventati dal
15
Ibidem, pp.63-75.
6
fantasma di un “nuovo Belice”16). Per questo motivo Zamberletti attrasse
l’antipatia dei cittadini, che lo soprannominarono Nino Bixio (il generale
sottoposto a Garibaldi, non proprio un eroe per gli abitanti del Mezzogiorno).
Non si trattava di ricostruire ma bensì di costruire la realtà meridionale,
già reduce da 35 anni di soccorsi e aiuti.
Anche qui si tentò di collegare ricostruzione e sviluppo ma questo avvenne
alla maniera del Belice, in maniera utopistica: si tentò di far nascere uno sviluppo
industriale, già estraneo a quei territori di per sé, attraverso incentivi alle fabbriche
del nord. Il tentativo si rivelò fallimentare dal momento in cui le suddette imprese
si stabilivano il tempo necessario ad incassare l’incentivo, per poi dileguarsi.
Nimis parla di “terremoto sfortunato” in Irpinia, un terremoto cioè, che investì più
di una provincia e più di una regione, (si aggiunse anche parte della Puglia in
seguito). Il cratere si allargò a dismisura, falsando i dati iniziali, sempre nell’ottica
di cogliere l’occasione-terremoto per prendere di petto la questione meridionale.
Inoltre le zone colpite erano anche governate da amministrazioni di colore diverso
(comunisti e democristiani) e questo bastò a comportare la base “sfortunata” di
una gestione insufficiente del fenomeno.
Una commissione parlamentare concluse un report riguardante le spese
relative al sisma del 1980 in Irpinia postulando che 60.000 miliardi di lire erano
finiti nel nulla e che dieci anni dopo il terremoto ancora 30.000 persone erano
senzatetto. Decentramento adoperato in maniera inefficace, utopismo e
precondizioni svantaggiate furono ciò che caratterizzò l’evento, in maniera
completamente dissimile da quanto avvenuto in Friuli, nonostante governo e
commissario fossero gli stessi.
2.4.
L’esempio dell’Umbria.
Il 1997 è un anno tristemente noto per l’Umbria17. Un terremoto che colpì
duramente tutta la regione, ma allo stesso tempo vide una macchina dei soccorsi
efficiente ed un coordinamento sapiente delle forze.
Seppur con le sue pecche (vedasi i subappalti a imprese di altre regioni, da
parte delle imprese umbre) si trattò di un caso virtuoso.
16
17
Tratto da ibidem, p.70
Ibidem, pp. 76-85.
7
Il decentramento anche qui adoperato e stavolta gestito in maniera
intelligente, è emblema dell’esperienza umbra: i finanziamenti sono erogati
direttamente ai cittadini “almeno per i nuclei o i singoli che possono fare
affidamento sulla disponibilità di una rete primaria d’appoggio è quella di aiutarli
a cavarsela da sé”18, attraverso un contributo mensile di circa 400€ per l’autonoma
sistemazione.
Decentramento vincente, quindi, che come sottolinea Segatori può anche
essere un elemento esportabile: “la prassi del decentramento verso i comuni e la
responsabilizzazione diretta dei soggetti privati coinvolti attivano risorse e cure
più ampie e attente di altri affidatari sulla ricostruzione da fare, sottraendo al
contempo spazio a invasioni collusive degli attori politici centrali (sempre che il
processo
si
mantenga
trasparente
e
controllato)”19
aggiungendo
però
successivamente che in casi di estrema criticità e complessità (qualora cioè si
creassero situazioni di tensione tra i soggetti privati rispetto alla ricostruzione),
debba essere presa in considerazione la gestione direttiva e finanche sostitutiva
dell’autorità
pubblica
comunale/regionale
rispetto
all’autonomia
privato/consortile o di mercato.
L’intero processo venne coordinato e guidato dai politici che
convogliarono le istanze partecipative della popolazione. Figure come il
presidente della Giunta regionale Bruno Bracalente, che garantì il coordinamento
delle azioni a più livelli: sia tra il livello nazionale della Protezione Civile e gli
Enti locali umbri, in particolar modo la Regione, sia tra istituzioni e popolazioni,
per instaurare quella relazione di fiducia incondizionata che ha reso possibile una
gestione dell’emergenza credibile, sicura, certa e dunque affidabile.20
La presenza di tale coordinamento e di un modo razionale di affrontare
l’emergenza caratterizzarono in larga parte l’evento21. Il tutto unito ad alcune
lezioni imparate dall’esperienza del Friuli determinò una buona ripresa della
regione ed un’attiva ricostruzione anche partecipata.
18
Segatori, R., Ricostruzione post sismica in Umbria come modello di governance, in Sergio
Sacchi (a cura di), Oltre la ricostruzione, profili economici e dimensioni sociali in un processo di
cambiamento, Quattroemme, Perugia, 2007, pp. 49-57, p.51.
19
Ibidem, p. 56.
20
Cristofori, C., cit. p.37.
21
“la necessità di disporre un sistema informativo efficace ai fini del monitoraggio dello stato
d’avanzamento della ricostruzione, fa si che vengano attivate una modulistica e una rete, le quali
alla lunga razionalizzano e ottimizzano la gestione di tutto il processo.” Segatori, R., cit. p.51.
8
Si attua, infatti, una strategia di Multilevel Governance che, sul modello
della legge nazionale 61/1998 (concernente provvedimenti urgenti per le zone
terremotate), elaborata sulle indicazioni delle regioni (Umbria e Marche) così “le
leggi regionali umbre nascono e si definiscono in assemblee partecipative svolte
nei comuni più interessati, spesso con focus nel comune di Foligno”22
L’attenzione all’identità e al patrimonio culturale ed artistico di cui la
regione è ricca fu uno dei punti principali, in stretto rapporto (e proprio in questo
rapporto è il punto fondamentale) con l’idea di ricostruzione-sviluppo.
La gestione fu positiva anche dal punto di vista dell’intervento della
Protezione
Civile
(istituita
ufficialmente
nel
1992)
e
dall’istituzione
dell’Osservatorio sulla Ricostruzione che poneva la trasparenza come criterio
prioritario e costituiva la cabina di regia per la regione
3. Gestire la complessità: due “chiavi”
Prendendo in esame come sono stati governati tali eventi ho voluto
riassumere quanto concluso da Nimis, il quale, leggendo la complessità (e le
complessità) delle esperienze passate, trova due “chiavi” per le future esperienze.
Chiavi che, come sottolinea l’urbanista stesso, non vogliono essere una
facile ricetta da applicarsi perentoriamente ad ogni nuova emergenza e
ricostruzione, ma piuttosto dei punti di riferimento, dei segnali lasciati dal passato
che possono essere interpretati come segue.
3.1.
Tenere memoria
In primo luogo un’attenzione all’identità della comunità che abita il luogo
colpito, per favorire il proseguimento della comunità stessa. La ricostruzione
“com’era, dov’era” non è sempre la ricetta perfetta e, con le parole dell’urbanista
friulano: “nessuna ricetta è direttamente esportabile, a causa sia del momento
storico-politico-economico-sociale, sia dell’entità del danno, della sua natura,
della morfologia del territorio, della tipologia dell’insediamento umano, del tipo
di sviluppo in atto; e anche in rapporto a fattori profondi come la cultura, le
22
Ibidem.
9
tradizioni, e perfino il carattere delle popolazioni di cui vengono improvvisamente
messi a nudo pregi e difetti, cadendo ogni mascheramento retorico”23.
Tuttavia il punto dell’identità rimane fisso e fondamentale, dove per
identità non si intenda certo la costruzione astratta e mitizzata che porti ad una
chiusura verso l’esterno e ad una sorta di “localismo”. Tutt’altro: preservare
l’identità significa rendere di nuovo possibile la relazione con l’esterno e lo
sviluppo futuro di una comunità che vive in un territorio preciso; senza per questo
escludere la possibilità di una ricostruzione delocalizzata, che potrebbe essere
necessaria in presenza di particolari rischi geologici o di altro tipo.
3.2.
Guardando al futuro
Proprio lo sviluppo è la seconda “chiave”. Più precisamente, il binomio
ricostruzione-sviluppo: un evento critico come un sisma contiene in se sia una
forza distruttrice che diverse occasioni. La crisi (dal latino “crisis”, dal greco
“krisis”, cioè “scelta, decisione”) pone degli interrogativi, pone delle decisioni e
rimette al centro questioni sopite. Ricostruire è un’opera importante che, nel suo
lato positivo, permette di migliorare (potremmo quasi dire che la formula giusta
potrebbe essere non “com’era, dov’era” ma “meglio di com’era”, senza sfociare in
utopie imposte dall’alto). Legare la ricostruzione allo sviluppo, quindi. Fare in
modo che non ci si limiti a rimettere le cose in piedi ma che si riesca anche a
immaginare insieme alle persone abitanti del territorio un futuro della comunità e
del territorio stesso per continuare ad abitare quei luoghi ripensandoli insieme.
Per il recupero e la ricostruzione delle identità territoriali con uno sguardo
allo sviluppo è fondamentale la partecipazione (ancora una volta, prendere parte
alla ricostruzione, il “fare insieme” appena nominato).
4. Centro Italia 2016: ricostruire oggi
Gli strumenti per attuare la partecipazione sono diversi. Nell’ esplorazione
di quelli adottati per rispondere alle esigenze delle popolazioni colpite le idee e gli
approcci sono altrettanto numerosi, di seguito si troveranno alcuni esempi di come
questi strumenti sono stati pensati, creati e utilizzati nelle esperienze avviate (ed
23
Nimis, G. P., cit., p.97.
10
ora in atto) nei luoghi del sisma che ha colpito il Centro Italia ad Ottobre del
2016.
Partiremo quindi dall’aspetto normativo, come la partecipazione è stata
regolata a livello nazionale e locale nel contesto della ricostruzione. Passeremo
poi a strumenti più concreti come la condivisione di un linguaggio da utilizzare in
rete per segnalare situazioni di emergenza o fabbisogni. Parleremo dei progetti
attivati da associazioni Onlus e ONG intervenute a complemento della macchina
dei soccorsi e di grande aiuto per tutto ciò che riguarda il post emergenza e
l’assistenza alle comunità attraverso i presidi civici, progetti di co-progettazione
del territorio insieme alle scuole e strumenti per il monitoraggio civico.
4.1.
Regolamentare la partecipazione: una base necessaria
Perché la partecipazione sia utile ed efficace sono necessarie delle regole.
Proprio per questo, il primo passo è stato quello di produrre dei dispositivi
legislativi da parte dello Stato. Il D.l. 189/2016, art.16 c.2 esplicitava che: “[…]
Sono assicurate adeguate forme di partecipazione delle popolazioni interessate,
mediante pubbliche consultazioni, nella modalità del pubblico dibattito o
dell’inchiesta pubblica, definite dal Commissario straordinario nell’atto di
disciplina del funzionamento della Conferenza permanente”24.
Purtroppo, anche se i presupposti sono ribaditi, la conversione in legge
porta delle modifiche e così,
nell’art.9 dell’Ordinanza 3 Marzo 2017 del
Commissario Straordinario si esplicita che: “Con successiva ordinanza verranno
disciplinate le forme di partecipazione delle popolazioni interessate, secondo le
modalità previste dall'art. 16, comma 2, ultimo periodo, del decreto-legge n.189
del 2016.”25 La disciplina della partecipazione è così posticipata e ritardata, ma
associazioni di volontariato, onlus e ONG si sono attivate autonomamente per la
ricostruzione delle comunità e per garantire una comunicazione tra amministranti
e amministrati, come vedremo in seguito.
24
D.l. 189/2016, art.16 c.2, ultimo paragrafo, Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana
(www.gazzettaufficiale.it). [consultato il 5 Giugno 2017]
25
Ordinanza 3 Marzo 2017, art.9, Ibidem.
11
4.2.
Una grammatica condivisa: segnalare in hashtag
Per permettere una partecipazione anche nel momento dell’emergenza
diventa sempre più importante l’utilizzo di internet e dei Social Networks come
Figura 1. Documento prodotto
dall'OCHA per l'utilizzo di standard per
gli hashtags in emergenza
Fonte: Zanelli L., Cit.
strumenti utilizzati con criterio. Il criterio, in questo caso è quello di segnalare
delle necessità in maniera istantanea (come il web permette) ed efficace per i
soccorsi che devono intervenire: L’OCHA (Office for the Coordination of
Humanitarian Affairs, agenzia dell’ONU) ha stilato un documento (Hashtag
standards in Emergencies) per definire una “grammatica condivisa” degli
hashtag, che come tutti sappiamo, rendono possibile l’unione di informazioni
poste sotto la medesima etichetta (“tag”, appunto). In Italia, questa stessa idea è
stata recuperata al momento da singole amministrazioni e da giornalisti come
Luca Zanelli26 che si sono riproposti di sensibilizzare sull’utilizzo sapiente di
questi strumenti.
26
Luca
Zanelli,
articolo
Per
una
grammatica
hashtag
condivisa,
(https://medium.com/@capitanachab/per-una-grammatica-hashtag-condivisa-61edb06e6784)
[Consultato il 5 Giugno 2017]
12
Figura 2. Una riunione di presidio civico in Umbria
Fonte: Cittadinanzattiva Onlus,
CESVOL Perugia; Cit.
4.3.
Presidi civici: ascoltare bisogni e capacità
Altre importanti esperienze a favore della partecipazione sono state messe
in campo da associazioni onlus come Cittadinanzattiva, che ha operato nelle zone
colpite dal terremoto con l’istituzione di alcuni “presidi civici”. In sostanza si
tratta di incontri organizzati con la popolazione delle città colpite per fare in modo
che esse possano partecipare e cioè “rendere pienamente protagoniste le comunità
locali, in rapporto di collaborazione e cooperazione con le istituzioni locali e la
protezione civile”27. Attraverso questi incontri si informa la popolazione sulle
recenti novità, vengono recepiti i bisogni e si cerca una maniera efficace per
comunicarli alle istituzioni, si valorizzano le risorse presenti nella comunità per
attivarle e metterle a disposizione nell’ottica di collaborazione predetta. Al
contempo vengono favorite relazioni di rete con altre realtà associative presenti
sul territorio per “azioni di monitoraggio, comunicazione e supporto a processi
partecipativi”28.
27
Cittadinanzattiva Onlus, CESVOL Perugia; report Presidi civici delle comunità coinvolte dal
sisma in Umbria, 16/12/2016 (http://www.cittadinanzattiva.it/notizie/dal-territorio/9747-il-reportpresidi-civici-delle-comunita-coinvolte-dal-sisma-in-umbria.html) [Consultato il 5 Giugno 2017]
28
Ibidem, p.4.
13
Figura 3. Copertina del vademecum prodotto da
Cittadinanzattiva per il terremoto del Centro Italia
Fonte: Cittadinanzattiva Onlus, CESVOL Perugia; Op. Cit.
Le attività poste in essere da questa Onlus, insieme al CESVOL (Centro
Servizi per il Volontariato) di Perugia si sono rivelate efficaci e utili, anche dal
punto di vista della diffusione di informazioni alle persone colpite dal sisma con
strumenti rapidi come un vademecum
contenente tutte le informazioni che
tengono conto dei diversi provvedimenti in materia di gestione del sisma, emessi
dal governo29.
4.4.
“Ri-Capacitare” una comunità: l’idea SIS.M.I.CO.
Tra le iniziative più interessanti spicca l’azione di una ONG, Action Aid e
del suo progetto: SIS.M.I.CO.30 (Sistema di Monitoraggio, Informazione e
Collaborazione). Si tratta di un progetto ambizioso, che investe più aspetti in
emergenza e post-emergenza.
In particolare qui ci si riferisce al “Manuale di Azione Civica (MAC) - Terremoto Centro
Italia”, in Ibidem, p.7.
30
Report
progetto
SIS.M.I.CO.,
Action
Aid
Italia
(https://agire.it/cms/wpcontent/uploads/2016/11/ActionAid_centro-italia.pdf) [Consultato il 5 Giugno 2017]
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14
Figura 4. Camper di Action Aid nelle zone colpite
dal sisma
Figura 5. Logo del progetto SISMICO
Fonte: Ation Aid Italia; Op. Cit.
Fonte: Ation Aid Italia; Op. Cit.
Sinteticamente, gli obiettivi del progetto sono tre.
Il primo obiettivo è la realizzazione di percorsi di partecipazione delle popolazioni
colpite. Tale obiettivo è portato avanti in modi differenti ed, in particolare, con
l’organizzazione di un’unità mobile (utilizzando un camper) che possa
raggiungere tutta la popolazione e comunicare efficientemente con tutti, per
permettere di segnalare bisogni o fornire informazioni utili e coinvolgere anche la
popolazione più anziana non avvezza all’utilizzo di canali digitali.
Il secondo obiettivo è quello di supportare le scuole attraverso
l’organizzazione, insieme agli studenti, di attività laboratoriali per la riscoperta del
territorio
e
la
co-progettazione;
coinvolgendo
insegnanti,
genitori
e
amministrazioni. Interessante, in questo obiettivo, è l’idea di creare un contatto tra
le insegnanti emiliane e abruzzesi (che hanno già affrontato i problemi dovuti
all’evento sismico rispetto al lavoro a scuola), e le insegnanti dei territori colpiti
dal terremoto del 2016 per un sostegno diretto alle insegnanti stesse nel
fronteggiare le difficoltà dovute ad una “didattica d’emergenza”, sostenendo allo
stesso tempo, in maniera diretta, anche i ragazzi.
Terzo obiettivo del progetto era quello di sviluppare una piattaforma
tecnologicamente avanzata e nutrita dalle comunità locali e da un team di
sviluppatori volontari.
4.5.
Media civici: utilizzare un mezzo per il suo fine
Si tratta dell’esperienza di “Terremoto Centro Italia”31, la piattaforma
ideata da due civic hakers, Matteo Fortini e Matteo Tempestini, M., entrambi
31
Le informazioni prese a proposito della piattaforma Terremoto Centro Italia sono state fornite
dagli stessi ideatori della piattaforma nel corso del Workshop: “#Terremotocentroitalia: come
attivisti, giornalisti e cittadini creano comunità”, 09/04/2017, Festival Internazionale del
Giornalismo,
Perugia;
(http://www.festivaldelgiornalismo.com/programme/2017/terremotocentroitalia-how-activistsjournalists-and-citizens-create-community). [Consultato il 5 Giugno 2017]
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Figura 6. Home page di TCI.
Fonte: terremotocentroitalia.info
ingegneri informatici. Tale piattaforma è stata finanziata da Action Aid e oggi
rappresenta un importante mezzo di comunicazione e informazione.
La collaborazione tra l’ONG e gli hakers della piattaforma è stata
fondamentale per inserire informazioni verificate direttamente sul campo (dai
volontari della ONG) e subito inserite in un contesto di rete (dal team di TCI
insieme ad ActionAid).
L’idea è stata quella di creare uno strumento agile per segnalare e
trasmettere informazioni che potesse collegare le persone con i soccorsi, la
protezione civile e le istituzioni.
La piattaforma funziona come una sorta di motore di ricerca dove le
segnalazioni degli utenti sono trattate come “bugs” di sistema, (ovvero degli errori
che
in
informatica
sono
segnalati
dagli
utenti
di
un
programma
all’amministratore). Gli ideatori di questa piattaforma hanno pensato ad uno
strumento agile che potesse essere veloce ed intuitivo al fine di rispondere
efficacemente ad un’emergenza o ad un bisogno.
Anche in questo caso, come sottolineano gli stessi inventori, si tratta solo
di un mezzo che va usato come tale: esso, da solo non “risolve il problema”, ma la
differenza è fatta dalla comunità di persone che si trova dietro di esso ( i
volontari) e dalla comunità che lo utilizza (cittadini/amministratori/soccorritori).
Perciò, non è tanto la “rete” in senso di web, quanto la creazione di una rete di
persone ad essere il vero obiettivo di questo strumento, che in tale modo
contribuisce a creare comunità.
Il sistema della piattaforma si basa su tre passaggi: per prima cosa gli
operatori svolgono l’operazione di aggregare le informazioni provenienti dai vari
16
canali (social, internet, informazioni o segnalazioni da contatti diretti), dopodiché
l’informazione verificata viene resa aperta sul sito della piattaforma e sui suoi
Figura 7. I tre passaggi di TCI.
Fonte: Tempestini M., Fortini M., Favoino M., Cit.
canali. Una volta fatto questo il terzo passaggio è quello della distribuzione: ogni
persona che apre il sito può reiterare un’informazione in esso contenuta citando la
fonte, distribuendo quindi l’informazione nei vari canali comunicativi. Può
sembrare una funzione banale ma l’utilizzo dello strumento internet ha permesso
un aumento dell’azione umanitaria, poiché i contenuti divulgati, una volta inseriti
nei giusti canali possono essere immediatamente disponibili a soccorsi,
amministrazioni, associazioni di volontariato. Il tutto, ancora una volta, basato
sull’interazione tra le persone; sulla presenza di una comunità di persone che si è
data delle regole e le rispetta.
Per fare si che sia presente questa comunità, come sottolinea Tempestini è
necessario “educare alla pioggia in tempo di sole”, darsi delle regole e definire
degli strumenti per l’emergenza, ancor più quando non si tratta tanto di
un’emergenza quanto di un fattore strutturale (la sismicità del territorio Italia).
Un’altra idea che è stata inserita nella piattaforma è il controllo
dell’informazione e la presenza della sezione “bufale”, quelle che oggi sono
chiamate fake news, fenomeno assai pericoloso poiché, seppur false nelle
premesse a volte sono tragicamente reali nelle conseguenze. L’inserimento di
queste false notizie nel web ne garantisce la diffusione virale, aumentando
esponenzialmente il pericolo di conseguenze negative.
Per i due ingegneri informatici l’unico modo di combattere le bufale è con
i dati e che tali dati siano aperti. In questo senso è da sottolineare il fatto che i
data-set di TCI sono stati pubblicati nel portale open-data del governo
17
(dati.gov.it), si tratta dei primi data-set provenienti da fonti non istituzionali
pubblicati su questo portale.
A tutto questo, il portale offre un importante servizio di geoFigura 8. La geolocalizzazione nel portale di TCI, un esempio di segnalazione.
Fonte: terremotocentroitalia.info
localizzazione: le informazioni, le segnalazioni e i bisogni possono essere riferiti
direttamente dagli utenti ad uno specifico luogo che si aggancia a mappe
Figura 9. Portale di ricostruzione trasparente.
Fonte: http://ricostruzionetrasparente.it/
satellitari. Questo è un punto estremamente utile sempre per i soccorsi, che
possono così riferire un fabbisogno alla sua localizzazione esatta.
A questa piattaforma sono seguite altre idee come ad esempio quella di un
controllo pubblico, sempre fondato su dati aperti, rispetto alla trasparenza nella
ricostruzione. La piattaforma “ricostruzione trasparente”32 si occupa proprio di
questo: tutti i dati sono resi aperti e fruibili dai volontari dell’associazione
OnData, per capire dove vengono spesi i soldi della ricostruzione.
32
L’indirizzo della piattaforma è http://ricostruzionetrasparente.it/ [consultato il 5 Giugno 2017].
La piattaforma è descritta in Bonometto G., articolo Prevenire la corruzione nella ricostruzione
post
terremoto,
Riparte
il
futuro,
24
Gennaio
2017.
(https://www.riparteilfuturo.it/blog/articoli/ricostruzione-trasparente-post-terremoto) [Consultato il
5 Giugno 2017]
18
5. (Ri)Costruire: obiettivo della partecipazione.
Tutte le idee e i progetti sopra elencati hanno come obiettivo principale
quello di far partecipare la comunità alla ricostruzione, per ricreare la comunità
stessa che è stata colpita da un evento traumatico.
Una partecipazione che, come si è visto, deve essere regolamentata, che
veda le istituzioni come guida di un processo complesso, nella consapevolezza
dell’importante ruolo che esse stesse rivestono poiché “le catastrofi possono
essere viste […] come conseguenza delle decisioni di una società incapace o
riluttante
ad
adottare
modelli
di
vita
sostenibili”33,
una
“società
dell’irresponsabilità” come l’ha definita Piero Dominici che sottolinea come
prima di tutto debbano essere “riedificate, ricostruite le “persone”, il tessuto
sociale di appartenenza e il relativo paesaggio identitario; “persone” […] che
hanno assistito alla scomparsa della loro identità individuale e sociale34”.
Identità persa all’improvviso, nel moto violento del sisma, che ha
caratterizzato quel disembedding, lo sradicamento da un mondo “che di colpo non
c’era più”35 e che rende necessario un re-embedding, la necessità della comunità
di essere re-impiantata. Si tratta di un processo difficile e doloroso, che rende
possibile al suo interno una “nuova socialità” che rinsalda i legami sociali e che,
dall’altro lato, li stressa, nelle nuove configurazioni e soluzioni abitative cui le
persone sono costrette ad adattarsi.36
Forse più che di ricostruzione si deve parlare di costruzione vera e propria,
come accennato all’inizio: a volte il tessuto della comunità non è stato disgregato
tanto dalla calamità e dal terremoto, quanto più da processi sotterranei, invisibili,
già da tempo in atto nella società che vanno letti con una lente diversa.
I fenomeni di globalizzazione stavano già da tempo spopolando le aree
colpite dal sisma, gli stessi processi stavano forse già allontanando gli abitanti,
sempre più relegati in se stessi e nei propri ambiti privati, distanti dal concetto di
comunità e forse più vicini al concetto di “community” dei social network.
33
Tratto da in Toseroni F., Moriconi F., cit. p.65.
Dominici, P., La società dell’irresponsabilità. L'Aquila, la carta stampata, i "nuovi" rischi, le
scienze sociali, Franco Angeli, Milano, 2010, p.38.
35
Cristofori, C., cit. p.34.
36
Come spiega Cristofori, il tessuto sociale scricchiola nel momento della difficile convivenza
nelle “case che furono grandi” ora riempite dalla compresenza di più generazioni. Situazione
questa che crea situazioni di conflitto. Cfr. Cristofori, C., cit., Ibidem.
34
19
Nimis trovava questo processo già in atto nel suo Friuli degli anni ’80. Il
terremoto aveva solo accelerato un processo preesistente di sradicamento dal
premoderno locale fatto di povertà ineluttabile per arrivare al post-moderno
globale dove chiunque può raggiungere il benessere che viene proposto come
modello dai mass media.
La chiave per la (ri)costruzione è invece quella di riscoprire la comunità,
di riscoprire che si può costruire insieme, e che la prima cosa da (ri)costruire è
proprio una comunità di persone, che collaborino fra loro e con le
amministrazioni e non solo in emergenza, ma anche nella quotidianità, nei predetti
“tempi di sole”.
Una (ri)costruzione quindi “che riguarda da vicino le Persone, il “legame
sociale”, le comunità (aperte e inclusive), il bene comune, l’interesse generale, il
civismo, un’etica pubblica “forte” e condivisa, la cittadinanza, l’inclusione […] E
ciò comporta – come sostenuto in tempi non sospetti – (anche) un radicale
ripensamento degli spazi educativi e culturali e, più in generale, dello spazio
comunicativo e relazionale: un discorso che ci riguarda tutte/i, dalla classe
dirigente alla cd. società civile.”37
Per costruire insieme ed, in definitiva, per essere comunità, è necessario
allora comprendere (i cambiamenti prodotti dai processi in atto a livello globale) e
comprendersi, per collaborare, nel senso molto ben espresso da Tӧnnies: “Ciò che
si intende per comprensione (consensus) è un modo di sentire comune e reciproco,
associativo, che costituisce la volontà propria di una comunità. […] La
comprensione riposa quindi su un’intima conoscenza reciproca, in quanto questa è
condizionata – e a sua volta la stimola – dalla partecipazione immediata di un
essere alla vita dell’altro […]. Essa è perciò tanto più probabile quanto maggiore è
la somiglianza di costituzione e di esperienza”38 Fare insieme quindi è fare
comunità, è un’esperienza fatta insieme, è conoscersi e partecipare alla vita di
ciascuno.
Solo così è pensabile uno sviluppo delle aree colpite, solo se si riparte da
questo “fare insieme”, guidato dalle istituzioni, che devono essere la lente di
Dominici, P., Oltre i crolli, ricostruire…il legame sociale. Per contrastare la “cultura
dell’irresponsabilità”. In “Fuori dal Prisma”, Nòva, il sole 24 ore, 01/11/2016
(http://pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2016/11/01/oltre-i-crolli-ricostruireil-legamesociale-per-contrastare-la-cultura-dellirresponsabilita/) [Consultato il 28 Giugno 2017]
38
Tӧnnies F., Comunità e società, Edizioni di comunità, Milano, 1979 (ed. or. 1887 lingua
tedesca), pp.62-63.
37
20
ingrandimento dei cittadini sui processi in atto, scevri da intenti di profitto
personale in termini di potere e consenso. Istituzioni che mettano le “Persone al
centro”, anche se sembra troppo spesso che al centro ci sia “altro” e soprattutto Si
tratta di quelle “logiche di potere e di controllo, sempre più dominanti, gli
interessi particolari, ma anche una visione ideale, e lontana dalla realtà, proprio
dei cittadini destinatari di politiche e servizi”.39
Quindi anche “fare insieme” partecipato da tutti i cittadini che si mettono
al servizio della comunità, per esserne parte attiva nonostante l’“apatia sociale”
che dilaga da un lato e le numerosissime istanze di partecipazione dal basso ma
spinte da interessi particolaristici più che dall’idea di tutela del bene comune, del
bene “di tutti e di ciascuno”. Risulta allora indispensabile l’educazione dei
cittadini, infatti “non ci può/non ci potrà essere alcuna (vera!) partecipazione
senza Cittadini consapevoli e criticamente formati […] cittadini che, soltanto una
volta
educati
e
“preparati”
alla
cittadinanza,
potranno
anche
essere
(concretamente!) sempre più coinvolti nei processi decisionali.”40
Senza questo presupposto la partecipazione sarebbe impossibile o gravemente
dannosa, si renderebbe strumento per la creazione del suo contrario, quella lotta di
“tutti contro tutti” di cui parlava Hobbes (homo homini lupus) dove vince il più
forte e che si traduce a suo tempo nel contrario della democrazia.
C’è quindi un rischio da tenere presente: “quello di una cittadinanza senza
cittadini. Il rischio è quello di promuovere una partecipazione a soggetti/attori
sociali che, di fatto, non hanno gli “strumenti” (evidentemente, non mi riferisco a
quelli tecnici e tecnologici) per partecipare concretamente”.41
Tuttavia, non si può non partecipare, in riferimento chiaramente ad ogni
decisione pubblica perché l’altro rischio implicito, e spesso la triste realtà è che se
non si partecipa criticamente, attivamente, con gli strumenti giusti, si lascia lo
spazio ad “altri”, che parteciperanno al posto di chi non c’è o strumentalizzeranno
Dominici, P., Oltre lo storytelling: il Sociale, il digitale e “la Persona al centro”. In “Fuori dal
Prisma”, Nòva, il sole 24 ore, 07/05/2016
(http://pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2016/05/07/oltre-lo-storytelling-il-sociale-ildigitale-e-la-persona-al-centro/) [Consultato il 28 Giugno 2017]
39
Dominici, P., Oltre lo storytelling: il Sociale, il digitale e “la Persona al centro”. In “Fuori dal
Prisma” cit.
41
Dominici, P., Cittadinanza digitale. I rischi di una cittadinanza senza cittadini in forum P.A
20/01/2016 (http://www.forumpa.it/riforma-pa/i-rischi-di-una-cittadinanza-senza-cittadini)
[Consultato il 28 Giugno 2017]
40
21
chi è senza strumenti: un esempio chiaro, in riferimento agli eventi sismici ne
sono le infiltrazioni mafiose42. Necessaria la cooperazione tra tutte le forze in
campo e cioè istituzioni, cittadini, sistema dell’informazione al fine di creare le
precondizioni per la partecipazione di tutti, necessaria per “costruire un ostacolo
insormontabile […] per la malavita organizzata”.43
Prevenzione e “responsabilità” in capo alle istituzioni, che, è necessario
ripeterlo, devono essere guida per le persone, come nota Segatori, si fa palese la
necessità di “un’opera di garanzia e controllo delle liste dei professionisti abilitati
e delle imprese certificate, effettuata con modalità che solo le pubbliche autorità
sono parse e paiono di assicurare al meglio, potendo ricorrere all’uso di strumenti
sanzionatori”.44
Questa è la base per la ricostruzione e lo sviluppo di un territorio, a partire
dal quartiere al comune, fino all’intera Nazione, in costante relazione con ogni
altro paese, inserita in un processo di globalizzazione che dovrebbe essere gestito,
per quanto possibile, piuttosto che subìto.
Per fare ciò “dobbiamo iniziare veramente a pensare (progettare) le città, i
territori, gli ecosistemi, le reti, le pubbliche amministrazioni, i servizi etc. per (e
con) il Cittadino e non viceversa; servizi, ambienti, spazi sociali che pongano
concretamente, al di là degli slogan, «il Cittadino [la Persona] al centro»”. 45
“Il giro di denaro intorno a una tragedia di queste dimensioni è immane: equivale al costo di una
guerra. Milioni di euro nel breve tempo, miliardi nel lungo termine. […]Un giro d’affari e un
indotto a cui qualsiasi impresa sarebbe interessata. Certamente lo sarà «la prima azienda italiana»:
un’impresa da novanta miliardi di fatturato ogni anno, che copre da sola il 7% del Pil italiano: la
mafia.” Cfr. Spinelli, L., Terremoto in Abruzzo: l’ombra della mafia e la camorra, La Notizia,
07/04/2009. (http://www.lanotizia.ch/editoriali/terremoto-in-abruzzo-lombra-di-mafia-ecamorra/636) [Consultato il 28 Giugno 2017]
43
Dominici, P., La società dell’irresponsabilità. L'Aquila, la carta stampata, i "nuovi" rischi, le
scienze sociali, p.162.
44
Segatori, R., cit., p.56.
45
Dominici, P., Oltre lo storytelling: il Sociale, il digitale e “la Persona al centro”, cit.
42
22
Bibliografia:
Action Aid Italia, report progetto SIS.M.I.CO., 24 Agosto 2016
[https://agire.it/cms/wp-content/uploads/2016/11/ActionAid_centro-italia.pdf].
Bonometto, G., articolo Prevenire la corruzione nella ricostruzione post
terremoto, Riparte il futuro, 24 Gennaio 2017.
[https://www.riparteilfuturo.it/blog/articoli/ricostruzione-trasparente-postterremoto].
Cittadinanzattiva Onlus, CESVOL Perugia; report Presidi civici delle comunità
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[http://www.cittadinanzattiva.it/notizie/dal-territorio/9747-il-report-presidi-civicidelle-comunita-coinvolte-dal-sisma-in-umbria.html].
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Dominici, P., La società dell’irresponsabilità. L'Aquila, la carta stampata, i
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Dominici, P., Cittadinanza digitale. I rischi di una cittadinanza senza cittadini in
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Dominici, P., Oltre i crolli, ricostruire…il legame sociale. Per contrastare la
“cultura dell’irresponsabilità”. In “Fuori dal Prisma”, Nòva, il sole 24 ore,
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23
Dominici, P., Oltre lo storytelling: il Sociale, il digitale e “la Persona al centro”.
In “Fuori dal Prisma”, Nòva, il sole 24 ore, 07/05/2016
[http://pierodominici.nova100.ilsole24ore.com/2016/05/07/oltre-lo-storytelling-ilsociale-il-digitale-e-la-persona-al-centro/]
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2009 [http://www.tafterjournal.it/2009/10/19/dalla-ricostruzione-friulana-allevicende-abruzzesi-altro-che-zona-franca-urbana-per-laquila-ci-vogliono-c-a-s-e/]
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