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UNIVERSITÀ DI PISA DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA Dottorato di Ricerca in Filologia, Letteratura e Linguistica Settore Scientifico-Disciplinare: L-LIN/10 – Letteratura Inglese Tesi di Dottorato Malinconia e nostalgia nell’opera di Jhumpa Lahiri. Vulnerabilità e resilienza Relatori Prof.ssa Biancamaria Rizzardi Prof. Fausto Ciompi Coordinatore Prof. Gianni Iotti Candidato Dott. Angelo Monaco Ciclo XXIX – A. A. 2015/2016 ABSTRACT The dissertation explores Jhumpa Lahiri’s narrative in English and it brings to the fore the themes of melancholia and nostalgia in relation to postcolonial theory, trauma studies and ecocriticism. It takes Freudian distinction between mourning and melancholia as its starting premise to argue for the transformative potential of melancholia and nostalgia. I construct a theoretical dialogue by combining postcolonialism, mainly South Asian studies, with trauma studies, environmental issues and literary fiction. By drawing on these debates I illuminate the paradoxical relationship between melancholia, nostalgia and Jhumpa Lahiri’s narrative: storytelling is an essential tool for bearing witness to the traumatic events that shape the migrants’ lives, but it can also be used for working through vulnerability and for developing an ethical response. I am particularly interested in the manner in which Lahiri’s style weaves together psychological realism, postmodern solutions and off-modern trajectories that complicate early understandings of mental wounds. My analysis of Lahiri’s novels and short stories interrogates the traditional concepts of melancholia and nostalgia as individual pathologies and creative solipsistic attitudes. In Lahiri’s prose, racial, gender and generational conflicts are interwoven and portrayed as both conditions of losses and metamorphic situations. Whereas some Asian American immigrants are depicted as victims to racial melancholia or restorative nostalgia and tend to cling to the their ancestral traditions in food and routines, I contend that other immigrants, mainly second generations, endure a similarly painful condition that ultimately elicits resilience and reflection. I claim that a more positive ontological status is achieved through the avenues of memory, gender performativity and environmental care. To this end, I draw upon critical theories (Ahmed, Ashcroft, Boym, Vermeulen) that emphasise the ways identity formation is generated in sharing stories, performing a deep ecological stance and striving for utopian transnational directions. The dissertation, in conclusion, discloses how vulnerability and resilience inform melancholia and nostalgia and it finally suggests that in voicing human and natural fragility creative writing can open up to productive possibilities. Key words: Jhumpa Lahiri, melancholia, nostalgia, Indian diaspora, trauma studies, ecocriticism, vulnerability. ABSTRACT La tesi esplora la produzione narrativa in lingua inglese di Jhumpa Lahiri, portando alla luce i nuclei tematici della malinconia e della nostalgia in relazione alla teoria postcoloniale, agli studi sul trauma e all’ecocritica. Partendo dalla distinzione tracciata da Freud tra lutto e malinconia, la tesi coinvolge una riflessione sul potenziale trasformativo della malinconia e della nostalgia. Attraverso un dialogo teorico che mette insieme postcolonialismo, soprattutto i South Asian studies, gli studi sul trauma, la teoria ecocritica e la narrativa, si vuole evidenziare la natura paradossale del rapporto tra la malinconia, la nostalgia e la scrittura di Jhumpa Lahiri: la narrazione è uno strumento essenziale di testimonianza degli eventi traumatici che forgiano le vite degli immigrati, ma può anche essere usata come mezzo con cui elaborare la vulnerabilità, sviluppando una risposta eticamente valida. L’interesse è particolarmente centrato sulle soluzioni stilistiche attraverso cui Lahiri intreccia realismo psicologico, soluzioni postmoderne e traiettorie off-modern che complicano le prime configurazioni dei disturbi mentali oggetto di indagine. L’analisi dei romanzi e dei racconti di Lahiri mette in discussione i concetti tradizionali di malinconia e nostalgia intese come patologie individuali e attitudini creative solipsistiche. Nella sua prosa conflitti razziali, generazionali, e di genere si mescolano e sono rappresentati sia come condizioni di sofferenza che come situazioni metamorfiche. Mentre alcuni immigrati sud asiatici sono raffigurati come prigionieri della malinconia razziale o di una nostalgia della restaurazione, e tendono a restare vincolati alle proprie tradizioni ancestrali per quanto riguarda il cibo e le abitudini di vita, altri immigrati, soprattutto le seconde generazioni, esperiscono una simile condizione dolorosa che però genera resilienza e riflessione. Dal mio punto di vista, la memoria, la performatività di genere e la tutale dell’ambiente favoriscono la realizzazione di un certo stato ontologico. In tal senso, si fa riferimento ad una serie di teorie critiche (Ahmed, Ashcroft, Boym, Vermeulen) che mettono in risalto come l’identità sia costruita nella condivisione delle storie, nel rispetto dell’ambiente e nel desiderio di orientarsi verso direzioni transnazionali. La tesi, in conclusione, rivela come vulnerabilità e resilienza informino il sentimento malinconico e nostalgico e suggerisce, infine, che dando voce alla fragilità umana e naturale la scrittura sia in grado di aprirsi verso possibilità produttive. Parole chiave: Jhumpa Lahiri, malinconia, nostalgia, diaspora indiana, trauma studies, ecocritica, vulnerabilità. INDICE INTRODUZIONE 1 CAPITOLO PRIMO Malinconia e nostalgia definizioni e sovrapposizioni 9 1.1 Definire la malinconia tra patologia e ingegno 9 1.2 Per una definizione di nostalgia: due modelli a confronto 16 1.3 Malinconia e nostalgia: lo sguardo anamorfico tra loss e lack 22 1.4 Racial Melancholia e Postcolonial Nostalgia: malinconia, nostalgia e migrazione 27 CAPITOLO SECONDO Trauma, spazio e intertestualità 32 2.1 Trauma e scrittura: traumatic memory e memory place 32 2.2 Spazio e paesaggio tra ecocritica e teoria postcoloniale 41 2.3 L’idioletto intertestuale di Lahiri tra etica e minority cosmopolitanism 49 CAPITOLO TERZO Dalla diaspora alla transnation: isotopie nostalgiche tra realismo, postmoderno e off-modern 3.1 Nostalgia tra passato e futuro: delimitazioni di campo 55 55 3.2 Restorative nostalgia e diasporic imaginary: le isotopie delle origini in Interpreter of Maladies 59 3.2.1 Il tropo della Mother India nella narrazione del diasporic imaginary 62 3.2.2 Culinary nostalgia: il cibo come metonymic gap del ritorno alle origini 70 3.2.3 La postcolonial nostalgia della vita domestica tra fratture affettive e transizione identitaria 83 3.3 “[T]here’s always something missing”: reflective nostalgia, mancanza e compensazione in The Namesake 3.3.1 3.3.2 94 Il doppelgänger nell’onomastica bengalese: dalla racial melancholia alla transnation 100 Gli orizzonti della transnation tra passato e futuro 109 3.4 “A stasis in motion”: tracce di realismo, postmoderno e off-modern 116 CAPITOLO QUARTO Malinconia o anti-malinconia? Motivi del gotico e della geocritica in Unaccustomed Earth 129 4.1 La scrittura della migrazione tra malinconia e anti-malinconia 129 4.2 Unaccustomed Earth: geocritica, filial gothic e remainder 135 4.3 Il tropo della transplantation in una ‘nuova terra’ tra rizoma e anamorfosi 140 4.4 Dinamiche del filial gothic e insiduous trauma 146 4.5 “Crippled with homesickness”: desiderio mimetico e cripta malinconica nella model minority 4.6 La trilogia ‘Hema e Kaushik’: fiaba gotica o apocalissi ecocritica? 153 158 4.6.1 “Unburying the buried”: wilderness e oceanic dissolution 160 4.6.2 Trauma e fotografia: il riseppellimento della memoria diasporica 164 4.6.3 Ghost text e apocalissi: verso un orientamento geocritico del trauma? 170 CAPITOLO QUINTO The Lowland e l’estetica green-postcolonial come fine del trauma 5.1 The Lowland tra romanzo multigenerazionale e Naxal novel 180 180 5.2 “Waiting for the return of the rain”: trauma e intertestualità nel romanzo postcoloniale 5.3 Aîon e Chronos: troppo tardi o troppo presto? 187 197 5.4 “[T]heir native soil turning corrosive”: il cronotopo della lowland tra lieu de mémoire e memory place 204 5.5 “[T]he roots of the seedlings he’d planted washing away”: il rizoma e l’estetica geocritica 209 5.6 “[M]oving seedlings to open ground”: neo-georgic ecology come superamento della malinconia 218 CONCLUSIONI 229 ELENCO DELLE IMMAGINI 235 BIBLIOGRAFIA 239 RINGRAZIAMENTI 260 INTRODUZIONE The moments of transition, in which something changes, constitute the backbone of all of us. Whether they are a salvation or a loss, they are moments that we tend to remember. They give a structure to our existence. Almost all the rest is oblivion. Jhumpa Lahiri, ‘Teach Yourself Italian’, The New Yorker Obiettivo della ricerca è l’analisi della produzione letteraria in lingua inglese di Jhumpa Lahiri attraverso una lettura critica fondata sulla convergenza tra gli studi su malinconia e nostalgia. In altre parole, si intende proporre, sulla scorta di un dialogo fra i modelli critici in esame, un’interpretazione che faccia luce sulle soluzioni stilistiche, narrative e tematiche che caratterizzano l’estetica letteraria di Lahiri, la cui oeuvre ruota principalmente attorno alla sofferta assimilazione di immigrati di prima, seconda, e terza generazione. La scelta di attenersi alla produzione letteraria di Jhumpa Lahiri si inserisce nel dibattitto critico sviluppatosi al di fuori degli Stati Uniti, in modo particolare in Italia1, che ha sollevato dubbi riguardo l’inclusione della scrittrice indo-americana nel canone della letteratura americana, sud-asiatica, oppure in quello più vasto della world literature2. Gran parte degli studi finora condotti sull’opera di Lahiri sono tendenzialmente orientati verso il modello della diaspora e della migrant fiction. Il migrante di origine bengalese, di estrazione sociale medio-alta e con un elevato livello culturale, rappresenta il classico protagonista della narrativa di Lahiri e la stessa scrittrice non ha mai nascosto il ruolo che l’India, più precisamente Calcutta, ha da sempre esercitato sul suo immaginario letterario: 1 Tra i riconoscimenti che Jhumpa Lahiri ha conseguito in Italia si ricordano il premio letterario “Città di Firenze – Von Rezzori” nel 2008 e la laurea honoris causa in “Lingua e cultura italiana per l’insegnamento agli stranieri e per la scuola”, conferitale dall’Università per Stranieri di Siena nell’aprile 2015. 2 Naming Jhumpa Lahiri: Canons and Controversies è l’unico studio critico, di mia conoscenza, che analizza l’opera di Jhumpa Lahiri dagli esordi nel 1999 fino al 2012. I saggi raccolti in questo volume cercano di definire la canonicità dell’autrice, dedicando attenzione all’analisi di diversi nodi tematici, come la questione identitaria e la dimensione biografica: cfr. L. DINGRA, F. CHEUNG, (eds), Naming Jhumpa Lahiri: Canons and Controversies, Lanham, Lexington Books, 2012. Per quanto riguarda lo status della scrittrice in relazione alla world literature, si veda: R. J. C. YOUNG, ‘World Literature and Postcolonialism’, in T. D’HAEN, D. DAMROSCH, D. KADIR (eds), The Routledge Companion to World Literature, Oxon, Routledge, 2012, pp. 213-222. 1 Calcutta nourished my mind, my eye as a writer, and my interest in seeing things from different points of view. There’s a legacy and tradition there that we just don’t have here. The ink hasn’t dried yet on our lives here.3 Benché il personaggio tipo delle sue opere sia l’archetipo del brain drain post-19654, l’elemento etnico non costituisce l’unico aspetto informante la scrittura di Lahiri. Il senso di spaesamento dell’umanità dipinta dalla scrittrice scaturisce da una condizione identitaria labile che sfugge ai tentativi di trovare un’etichetta in grado di definire uno status identitario spurio. La decisione di seguire l’intreccio tra malinconia e nostalgia deriva dal peso relativamente limitato che l’analisi di questi temi ha avuto nello studio di Jhumpa Lahiri. I due nodi tematici su cui si fonda la tesi sono accomunati dall’incapacità del soggetto di rispondere in maniera ‘sana’ rispetto alla propria vulnerabilità identitaria. Mentre nel caso della malinconia si osserva un’appropriazione e un’incapacità di metabolizzare il senso di perdita, con la nostalgia, invece, il soggetto cerca di tornare ad un passato percepito come fonte di piacere, il cui ricordo, tuttavia, genera sofferenza nel presente. Nella convinzione che la scrittrice mescoli situazioni etniche specifiche e condizioni umane universali, non si può non valutare l’impatto che il senso di smarrimento e sofferenza, condizione di base per tutti i flussi migratori e per quello sud-asiatico in modo particolare, ha sulla questione dell’identità personale e collettiva. La maggior parte dei personaggi di Lahiri si muove in un mondo biculturale, nelle vesti di interpreti e traduttori. Lo status di migranti li rende “translated men”5, come sostiene Salman Rushdie riprendendo l’etimologia del verbo ‘tradurre’. Essi operano come agenti di un processo di ‘transculturazione’ che “consente di trasportare da paese a paese non solo parole, ma anche concetti, idee, costumi, religioni, immagini e simboli”6. Nell’opera di Jhumpa Lahiri questa trasposizione è ulteriormente intensificata dalla mancanza di un sentimento di 3 N. DAS, Jhumpa Lahiri: Critical Perspectives, New Delhi, Pencraft International, 2008, p. 13. Nel 1965 il Naturalization and Immigration Act (Hart-Celler Act) abolì il sistema delle quote, che aveva fino ad allora regolato i flussi migratori negli USA, introducendo un modello fondato sulle capacità professionali dei migranti e sull’istanza di ricongiungimento familiare. La nuova politica di immigrazione americana agevolò l’arrivo di tecnici, ingegneri, ricercatori e scienziati, provenienti in modo particolare dal subcontinente indiano. 5 S. RUSHDIE, Imaginary Homelands: Essays and Criticism. 1981-1991, London, Granta Books, 1991, p. 17. 6 S. ALBERTAZZI, La letteratura postcoloniale. Dall’Impero alla World Literature, Roma, Carocci, 2013, pp. 136-137. 2 4 appartenenza linguistica definita, ragione per la quale la scrittrice indo-americana ha attualmente intrapreso un nuovo percorso creativo in italiano. Il vuoto linguistico e culturale che Lahiri esperisce sembra richiamare l’idea di ‘pura lingua’7 (reine Sprache) che, nelle parole di Walter Benjamin, è un’illusione poiché, come osserva Bill Ashcroft, “what is one’s own language is the most displaced, the most alienated of all”8. In mancanza di una lingua pura, esistente a priori rispetto alle intenzioni comunicative, la scrittura, secondo Benjamin, si configura come traduzione di una intentio originale e, nel caso di scrittori che come Lahiri vivono in una condizione di contatto interlinguistico, la lingua svolge una funzione di traslazione che Ashcroft definisce “metonymic of cultural difference”9. Attraverso il ricorso a strategie quali il code-switching e l’impiego di parole nelle proprie lingue di origine, al fine di recuperare situazioni e concetti ignoti al lettore, gli scrittori transnazionali mettono in atto una strategia che Simona Bertacco chiama “testualità della traduzione”10, finalizzata a preservare un mondo lontano che rischierebbe di andare definitivamente smarrito. Come sostiene Benjamin, tradurre non significa generare una copia fedele all’originale e tale rinnovamento rappresenta, nelle mie intenzioni, un punto di partenza nello studio dell’opera di Jhumpa Lahiri. La traduzione in tedesco della prima raccolta di racconti, Interpreter of Maladies, è stata resa con Melancholie der Ankunft11 (‘la malinconia dell’arrivo’). La scelta traduttiva, l’unica a mia conoscenza in Europa a non riprodurre l’equivalente del titolo inglese nella lingua d’arrivo, si può forse collegare agli effetti psicologici che scaturiscono dal ricordo nostalgico del passato e dalle tensioni che gli immigrati vivono a causa dell’inserimento 7 W. BENJAMIN, ‘Il compito del traduttore’, in ID., Angelus Novus. Saggi e frammenti, (traduzione e introduzione di R. Solmi), Torino, Einaudi, 1962, p. 44. Nel suo celebre saggio, Benjamin riflette sulla funzione del traduttore. Nella sua ottica, la traduzione svela e rende libera l’intentio, ossia la “pura lingua”. Quello della purezza linguistica è un aspetto saliente sul quale si ritornerà nella mia analisi dato che la stessa Jhumpa Lahiri si è occupata di traduzione: cfr. J. LAHIRI, ‘Intimate Alienation: Immigrant Fiction and Translation’, in R. B. NAIR (ed.), Translation, Text and Theory: The Paradigm of India, New Delhi and London, Sage Publications, 2002, pp. 113-120. Il ruolo del traduttore (interprete e/o mediatore linguistico-culturale) è, inoltre, una figura centrale nella produzione letteraria dell’autrice. In tal senso, il personaggio di Mr. Kapasi, nel racconto ‘Interpreter of Maladies’, è sicuramente il caso più emblematico. 8 B. ASHCROFT, ‘Bridging the Silence: Inner Translation and the Metonymic Gap’, in S. BERTACCO (ed.), Language and Translation in Postcolonial Literatures: Monolingual Contexts, Translational Texts, New York, Routledge, 2014, p. 21. 9 Ivi, p. 22. 10 S. BERTACCO, ‘The “Gift” of Translation to Postcolonial Literatures’, in EAD. (ed.), Language and Translation in Postcolonial Literatures: Monolingual Contexts, Translational Texts, cit., p. 72. 11 J. LAHIRI, Melancholie der Ankunft, (traduzione di B. Heller), München, Blessing, 2000, [1999]. 3 problematico nel contesto sociale statunitense. I ‘malanni’12 della raccolta vincitrice del Pulitzer per la narrativa nel 2000 nascono dal disagio del ricordo e dalla (frequente) impossibilità di metabolizzare la perdita che i migranti si portano dietro negli Stati Uniti. Per Lahiri, la malinconia non è soltanto una prerogativa della condizione diasporica di coloro che vivono sospesi tra due mondi e due culture. Come sottolinea Delphine Munos13, la scrittrice, nel breve componimento ‘Voices: “The Melancholy, Echoing Call of a Bird”’14, dà voce a una sensibilità malinconica che prescinde dalla condizione dell’esule e/o del migrante. Dietro la descrizione evocativa e allusiva di una tortora, Lahiri elabora il motivo dell’immaginazione, coniugando assenza e astrazione come fonti di piacere estetico. Questa condizione di disorientamento, che infrange la barriera tra realtà e sogno, sembra rievocare la dialettica tra dimensione onirica e reale in Ode to a Nightingale15 di John Keats. Tuttavia, in Lahiri, questa eco rimanda a un senso di insoddisfazione e mancanza che trova sublimazione nel paesaggio circostante, soprattutto in quello naturale e nei suoi suoni allusivi ed evocativi. Il fine della tesi non è quello di esplorare il corpus di Jhumpa Lahiri nel suo complesso, né è possibile indagare come malinconia e nostalgia abbiano da sempre caratterizzato la letteratura della diaspora indiana che è connotata dai concetti di perdita, alienazione, diaspora e desiderio di appartenenza16. Benché all’interno del panorama etnico statunitense i sud-asiatici 12 Il riferimento è alla traduzione italiana della raccolta: J. LAHIRI, L’interprete dei malanni, (traduzione di C. Tarolo), Parma, Guanda, 2000, [1999]. 13 D. MUNOS, After Melancholia: A Reappraisal of Second-Generation Diasporic Subjectivity in the Work of Jhumpa Lahiri, Amsterdam and New York, Editions Rodopi, 2013, p. 203. Il lavoro di Munos è l’unico, in base alle mie ricerche, a condurre uno studio dell’opera di Lahiri attraverso il prisma della malinconia e dal trauma. Lo studio, tuttavia, si limita all’analisi di ‘Hema and Kaushik’, il lungo racconto che conclude la raccolta Unaccustomed Earth. 14 J. LAHIRI, ‘Voices: “The Melancholy, Echoing Call of a Bird”’, New York Times, 19 June 2005. URL: http://query.nytimes.com/gst/fullpage.html?res=9804E0DC153BF93AA25755C0A9639C8B63. Il breve componimento rappresenta un unicum nella scrittura di Lahiri poiché non tocca il classico tema del mondo inbetween dei migranti. Lahiri descrive i suoni che è in grado di udire dal suo appartamento di Manhattan, in modo particolare il triste (melancholy è l’aggettivo usato dalla scrittrice) canto di una tortora luttuosa (mourning dove). Durante una passeggiata nel giardino botanico di Brooklyn, in compagnia di un amico ornitologo, la scrittrice scopre che l’uccello in questione non è il grazioso animale che aveva immaginato. L’amara scoperta suscita una forte insoddisfazione, intensificata dal fatto che questo esemplare di uccello non emette alcun canto dolce. 15 J. KEATS, Selected Poems, London, Penguin, 1999. Il riferimento a Keats, autore anche della celebre Ode on Melancholy, è importante in relazione alla scrittura di Lahiri. Nella trilogia ‘Hema e Kaushik’, infatti, i due protagonisti visitano la residenza romana che Keats condivise con Shelley a Piazza di Spagna e la tomba del poeta romantico nel cimitero acattolico di Roma. 16 Nel suo studio sulla neo diaspora indiana, Vijay Mishra elabora il concetto di diasporic imaginary. Facendo leva sulle teorie di Freud, Lacan e Žižek riguardo la dicotomia tra lutto e malinconia, Mishra ritiene che coloro che 4 costituiscano un esempio di model minority, i migranti di origine indiana patiscono di forme, seppur non estreme, di razzismo. Attraverso risultati prestigiosi nella sfera lavorativa, l’alto valore che viene conferito all’unità familiare, l’interesse ad accrescere il capitale umano, e elevati standard in termini di istruzione, i migranti di origine indiana cercano di colmare il divario che li separa dai cittadini americani bianchi e riscattarsi dalla condizione di brown folk17. A differenza dell’approccio di impronta sociologica e culturale con cui la letteratura sudasiatica è stata generalmente analizzata, il mio studio interpreta le questioni di etnia, genere, status sociale, e colonialismo come costruzioni umane nella stessa misura in cui lo sono “formal conventions, literary devices, genre particularities, and figurative language”18, aspetti spesso messi da parte in rapporto agli scrittori di origine sud-asiatica. La dimensione esteticoletteraria non è mai avulsa dai fenomeni storici, economici e culturali in cui è iscritta, ma il suo valore è stato spesso messo in secondo piano anche in relazione alla narrativa di Lahiri, come osservano Heinze e Liebregts19. La mia indagine, pertanto, parte dall’analisi estetico-letteraria e valuta in che misura le scelte stilistiche condizionano gli aspetti di natura materiale e sociale. Nell’estetica letteraria di Lahiri la malinconia e la nostalgia si trasformano in strumenti quotidiani di sopravvivenza che agevolano la creazione di un’identità positiva, attribuendo alla scrittura una funzione terapeutica di compensazione della perdita. Condividendo il senso di smarrimento e alienazione con soggetti al di fuori del perimetro etnico indiano e sulla scorta degli scontri inter-generazionali, la malinconia, come sottolinea Anne Cheng, diventa un vivono in tale condizione di spaesamento siano portatori di un sentimento di impossible mourning: cfr. V. MISHRA, The Literature of the Indian Diaspora: Theorizing the Diasporic Imaginary, New York, Routledge, 2007. 17 Sullo status dei migranti di origine indiana (e più in generale sud-asiatica) negli Stati Uniti è stata redatta recentemente un’importante indagine dal parte del PEW Research Centre. Dai dati statistici raccolti emerge che i cittadini americani di origine sud-asiatica (indiani, filippini, cinesi, giapponesi, vietnamiti e coreani) rappresentano “the highest-income, best-educated and fastest-growing racial group in the United States”: cfr. PEW RESEARCH CENTRE, ‘The Rise of Asian Americans’, 19 June 2012. URL: http://www.pewsocialtrends.org/2012/06/19/therise-of-asian-americans/. 18 S. LEE, ‘Introduction: The Aesthetics in Asian American Literary Discourse’, in R. G. DAVIS, S. LEE (eds), Literary Gestures: The Aesthetic in Asian American Writing, Temple, Temple University Press, 2006, p. 3. 19 Cfr. R. HEINZE, ‘A Diasporic Overcoat?’, Journal of Postcolonial Writing, Vol. 43, N. 2, 2007, pp. 191-202; P. LIEBREGTS, ‘A Diasporic Subject or an Overcoat of Many Colours?: A Reading of Jhumpa Lahiri’s The Namesake’, in K. SEN, R. ROY (eds), Writing India Anew: Indian English Fiction 2000-2010, Amsterdam, Amsterdam University Press, 2013, pp. 231-245. Entrambi i contributi offrono un’analisi di The Namesake oltre la lente della diaspora. Liebregts legge il romanzo come esemplificativo del “modernist neo-realism” che caratterizzerebbe la narrativa contemporanea in lingua inglese. Cfr. capitolo 3, paragrafo 3. 5 mezzo per rafforzare piuttosto che corrodere il senso di identità20. Inoltre, mentre malinconia e nostalgia tendono a cristallizzare il senso di perdita in una temporalità sospesa, la narrazione, sviluppandosi sul piano temporale, rende la perdita trasmissibile21. Se narrare significa esplorare il mondo interiore e esteriore, la narrativa è per definizione anti-malinconica poiché infrange la sospensione temporale che è prerogativa del temperamento nostalgico e malinconico. Come la stessa Lahiri afferma nell’epigrafe alla mia introduzione, la scrittura narra i momenti di trasformazione, le metamorfosi di chi vive in transito, attestandosi come modalità “of undergoing one mutation after another”22. Le metamorfosi che Lahiri descrive implicano la sofferenza e la vulnerabilità provocate dai mutamenti, ma anche la resilienza e la possibilità di instaurare nuove forme di contatto. Questa dialettica si articola a contatto con il paesaggio naturale che fa da correlativo oggettivo, veicolando sia la sensibilità malinconica che il suo superamento. Attribuendo al paesaggio la voce malinconica e nostalgica dell’esule, Lahiri elabora un’estetica critica dei concetti stessi di malinconia e nostalgia, facendo degli eventi ordinari che caratterizzano le sue pagine uno smooth space23 capace di scardinare le coordinate spazio-temporali. La scrittura si configura come luogo d’interazione tra identità che rivendicano una propria condizione nomadica e globale all’interno di un modello transnazionale che ingloba l’utopica libertà dai confini geopolitici e una sensibilità etica ed ecocritica in armonia con l’ambiente circostante24. 20 Cfr. A. CHENG, The Melancholy of Race: Psychoanalysis, Assimilation and Hidden Grief (Race and American Culture), Oxford, Oxford University Press, 2001, p. 8. 21 R. LUCKHURST, The Trauma Question, London, Routledge, 2008, p. 80. 22 J. LAHIRI, ‘Teach Yourself Italian’, The New Yorker, 7 December 2015. URL: http://www.newyorker.com/magazine/2015/12/07/teach-yourself-italian. Il brano contiene una riflessione sull’esperienza vissuta in Italia e sul senso che la scrittura riveste nella vita della scrittrice. Il testo è stato scritto in italiano e tradotto da Ann Goldstein, che ha anche tradotto il primo libro italiano di Lahiri, In altre parole. 23 I concetti espace lisse e espace strié sono stati elaborati dagli studiosi francesi Gill Deleuze e Félix Guattari: cfr. G. DELEUZE, F. GUATTARI, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, (traduzione di G. Passerone), Roma, Castelvecchi Editore, 2015, [1980]. Benché la distinzione tra lisse e strié non sia così netta, il primo concetto indica lo spazio del movimento nomadico, mentre il secondo denota la condizione sedentaria dell’uomo moderno. Per Ashcroft, la scrittura di Lahiri disegna una geografia dello smooth space (‘spazio liscio’) che lo studioso australiano associa allo spazio del ‘transnazionale’, mentre con striated space (‘spazio striato’) egli indica la dimensione delle istituzioni e dei confini nazionali: cfr. B. ASHCROFT, ‘Transnation’, in J. WILSON ET AL. (eds), Re-routing the Postcolonial: New Directions for the New Millennium, Abingdon, Routledge, 2010, pp. 72-85. Il mare, ad esempio, è un classico caso di smooth space e in Lahiri l’elemento equoreo è spesso un modo di articolazione della sensibilità transnazionale. 24 Il riferimento è alla nozione di cittadinanza ecocritica mondiale (environmental world citizenship), formulata da Ursula Heise, che rappresenta “an attempt to envision individuals and groups as part of planetary ‘imagined 6 La tesi si divide in due parti. La prima parte è di stampo teorico e mira a fornire le coordinate di base sui nuclei tematici e gli approcci critici presi in esame. Interamente dedicato alla definizione di malinconia e nostalgia, il primo capitolo sintetizza gli approcci dei principali studiosi dei due concetti, da Walter Benjamin a Sigmund Freud, da Jean Starobinski a Svetlana Boym, e traccia le possibili linee di intersezione tra i due stati emotivi, soprattutto in relazione alla condizione del migrante. In relazione a quest’ultimo tema, si descrive e discute il concetto di racial melancholia, partendo dalla definizione di Anne Cheng e arrivando a quella proposta, in ambito specificatamente sud-asiatico, da David L. Eng e David Kazanjian. Il secondo capitolo delinea, invece, una breve genealogia dei trauma studies, che si configurano come approccio critico-letterario di convergenza tra malinconia, nostalgia e studi postcoloniali. In particolare, vengono presentati i tratti distintivi della trauma fiction, così come teorizzati da Anne Whitehead, Geoffrey Hartman e Gert Buelens, enfatizzando, da un lato, l’elemento paesaggistico nell’estetica del green postcolonialism, e dall’altro lato, l’intertestualità (con i richiami e le riscritture che Lahiri trae da Nikolaj Gogol’, Nathaniel Hawthorne, William Trevor e Thomas Hardy), intesa come un ponte di mediazione tra l’etnico e l’universale. La seconda parte illumina gli aspetti descritti nei primi due capitoli attraverso l’analisi della narrativa di Jhumpa Lahiri. Il terzo capitolo analizza i racconti di Interpreter of Maladies (1999) e il romanzo The Namesake (2003), originariamente un racconto lungo25. Nei testi emerge il carattere fortemente nostalgico degli immigrati di prima generazione per i quali un senso di ‘casa’ rimane presente nonostante essi siano soggetti smarriti in una nuova terra. Facendo ricorso a uno stile realistico con tratti moderni26, che in parte rimanda al XIX secolo e al concetto del ‘tipico’ di Lukács, Lahiri sviluppa percorsi di diasporic intimacy sospesi tra communities’ of both human and nonhuman kinds”: U. HEISE, Sense of Place and Sense of Planet: The Environmental Imagination of the Global, New York, Oxford University Press, 2008, p. 61. 25 Il romanzo nasce come racconto, dal titolo ‘Gogol’, pubblicato su The New Yorker nel 2003: cfr. J. LAHIRI, ‘Gogol’, The New Yorker, 16 June 2003. URL: http://www.newyorker.com/magazine/2003/06/16/gogol. 26 Sulla scia della posizione di Liebregts sul realismo in Lahiri, Min H. Song sostiene che The Namesake risente di influenze di matrice postmoderna. Nonostante il ricorso a uno “scrupulous realism” e pur non presentando le caratteristiche della narrativa postmoderna (incertezza ontologica, pastiche, parodia e metatestualità), il romanzo di Lahiri “maintains a strong interest in the narrative doubling of thought back onto itself”: M. H. SONG, ‘The Children of 1965: Allegory, Postmodernism, and Jhumpa Lahiri’s The Namesake’, Twentieth Century Literature, Vol. 53, N. 3, 2007, pp. 349-350. 7 bisogno di radicamento e timori di appartenenza. Accanto a forme di realismo narrativo, strategie off-modern, e riflessività critica postmoderna, il capitolo traccia le linee di un nostalgico recupero della memoria, soprattutto attraverso la metafora del cibo, come percorso di superamento del sentimento nostalgico in direzione transnazionale. Nel quarto capitolo si esaminano la malinconia e la memoria/amnesia nei racconti di Unaccustomed Earth (2008), al fine di far emergere lo stato di smarrimento e perdita che segna in particolare le seconde generazioni che, rispetto alle prime, sembrano vivere una condizione di perenne alienazione. Come il titolo stesso suggerisce, il paesaggio ― il suolo, il mare, la wilderness e l’acqua in particolare ― assume un significato centrale. I racconti, il cui titolo rimanda a Hawthorne, sono analizzati attraverso l’intreccio tra insiduous trauma, filial gothic e anamorfosi. Lahiri combina alcuni motivi cari all’estetica del gotico (l’eredità, intesa sul piano fisico e piscologico, e la transplantation, letta come metafora delle mutazioni umane e botaniche) con motivi geocritici. Il finale apocalittico del romanzo breve che conclude la raccolta allude alla crisi ecologica che informa in modo importante The Lowland. Al quinto capitolo è delegata l’indagine della environmental imagination come strategia capace di ribaltare l’impasse malinconica che attanaglia The Lowland (2013). Il più postcoloniale dei testi di Lahiri, per i riferimenti alla vicenda naxalita, The Lowland mostra come la malinconia non si manifesti solo come vulnerabilità umana e naturale, ma anche come resilienza in grado di colmare il senso di vuoto e promuovere la collocazione in una terra ‘nuova’, fatta di legami rizomatici27 con le proprie origini. Il capitolo indaga in particolare l’asse spazio-temporale del romanzo tramite il prisma della trauma fiction e del green postcolonialism. La tesi si conclude con un breve resoconto finale in cui vengono tracciate le linee emerse dall’indagine sulla natura transnazionale dell’opera di Lahiri, in cui vulnerabilità e resilienza veicolano il valore compensativo e rigenerativo della scrittura. In appendice, infine, sono state raccolte alcune immagini a cui si fa riferimento nella tesi. 27 L’immagine del rizoma ricorre nel romanzo e diventa un ulteriore elemento geocritico che rimanda alla poétique de la relation di Glissant e agli studi sulla nomadologia di Deleuze e Guattari: cfr. É. GLISSANT, Poétique de la relation, Paris, Gallimard, 1990. 8 BIBLIOGRAFIA TESTI PRIMARI Narrativa di Jhumpa Lahiri LAHIRI, Jhumpa, Interpreter of Maladies, New York, Houghton Mifflin Harcourt, 1999. ――, Interpreter of Maladies, New Delhi, Harper Collins India, 1999. ――, L’interprete dei malanni, (traduzione di Claudia Tarolo), Parma, Guanda, 2000, [1999]. ――, Melancholie der Ankunft, (traduzione di Barbara Heller), München, Blessing, 2000, [1999]. ――, ‘Gogol’, The New Yorker, 16 June 2003. 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