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Uno dei più importanti misteri archeologici del versante tirrenico della Sicilia
nord-orientale riguarda l’insediamento di Longane, la cui esistenza è attestata da
alcune litre d’argento e da un caduceo bronzeo del V secolo a.C. (oggi esposto
nel British Museum di Londra). Questo centro siculo-greco, del quale non sono
mai state rinvenute evidenze probanti, fu collegato al fiume Longanòs, presso il
quale, nel III secolo a.C., fu combattuta la celebre battaglia tra i Siracusani di
Ierone II e i Mamertini di Kios.
Recenti esplorazioni, unite alle indagini precedentemente condotte, hanno
permesso di censire una vasta area indigena parzialmente ellenizzata
(caratterizzata da ipogei, necropoli e strutture difensive) e di formulare una nuova
tesi sull’ubicazione di questo antico insediamento.
4
IL CORSO DEL LONGANO
Il torrente Longano, un tempo fiume dalla notevole portata idrica, «occupa una
superficie complessiva di 30,08 kmq»1 ricadente nei comuni di Barcellona Pozzo
di Gotto e Castroreale, in provincia di Messina. Esso presenta la forma di foglia
allungata con andamento nord-sud, caratterizzata da una ramificazione principale
a Y e da numerosi affluenti e saie che, congiungendosi tra loro, sfociano nel mare
Tirreno in corrispondenza della frazione Calderà di Barcellona Pozzo di Gotto
(Figg. 1 e 3B). La ramificazione principale e i suoi tre fondamentali affluenti
(torrenti Crizzina, San Gaetano e San Giacomo) attraversano borgate
antichissime e nuclei recenti (Catalimita, Castroreale, Maloto, Gala, Gurafi,
Nasari e Barcellona Pozzo di Gotto).
Il torrente Longano fa parte di un distretto idrografico comprendente i torrenti
Mela, Idria e Patrì (Figg. 2 e 3A), che, «estendendosi dalla dorsale secondaria
che si diparte da Pizzo Batteddu» (monti Peloritani), arriva a congiungersi con la
costa tirrenica.2
L’area compresa tra il torrente Mela e i rilevi occidentali prossimi al torrente
Patrì (o Termini) occupa i territori comunali di Merì, Barcellona Pozzo di Gotto,
Castroreale, Rodì Milici e Terme Vigliatore, trovando chiusura a ovest con il
torrente Mazzarrà (Figg. 2 e 3A).
La morfologia dell’intera area è costituita da strette valli con versanti scoscesi,
accompagnata da rilievi con quote superiori ai 1100 metri s.l.m. e da ampie zone
pianeggianti (site principalmente in prossimità del mare Tirreno).
Lo spartiacque che delimita sul lato orientale il bacino del Longano è costituito
dall’asse che collega le contrade Castello di Margi, monte Lurra, monte Pietra
Rossa, Colle del Re e Ariacolla, da cui, toccando le cime di monte Santa Croce e
monte Migliardo, passa per gli abitati di Cannistrà e Barcellona Pozzo di Gotto,
convergendo fino al Tirreno.
PAI, p. 11.
2
PAI, p. 9.
1
5
Fig. 1 – Il torrente Longano, i suoi principali affluenti e i più importanti nuclei
limitrofi.
6
Fig. 2 – I principali insediamenti che gravitano nel territorio compreso tra i torrenti Mela e
Mazzarrà.
Lo spartiacque occidentale, invece, partendo da pizzo Sughero, si collega con la
frazione Simigliano di Castroreale, degradando verso le cime di Serro Cannata,
pizzo Santa Domenica e monte Sant’Onofrio, per poi immettersi, attraverso la
frazione Calderà, nel mare Tirreno.3
Tutta la fascia medio-collinare gravitante tra i torrenti Mela e Patrì è costituita
da 6 significative direttrici che, da nord a sud, caratterizzano la morfologia dei
luoghi (colle Cavalieri - Lando - Serra di Spadolelle; S. Venera - Gala Migliardo; Mortellito - Ciavolaro - Maloto; monte S. Onofrio - Castroreale Catalimita; Portosalvo - pizzo S. Domenica - Caruso; monte Marro - monte
Gonia - pizzo Cocuzzo). L’area compresa tra i torrenti Idria e Longano trova
chiusura, a monte, presso un grande costone detto Colle del Re.4
PAI, pp. 11-12.
Il bacino del Longano (Figg. 1 e 3B), oggi non interamente leggibile, fu dettagliatamente
descritto nel XIX secolo dallo storico Filippo Rossitto, il quale riferiva che il «superbo» torrente
barcellonese, scorrendo «in mezzo ai due paesi Barcellona e Pozzo di Gotto», generava tre rami:
uno passava «sotto Castroreale, nella parte occidentale», e prendeva «il nome di Crizzina»; il
3
4
7
Fig. 3 – Fiumare comprese tra i comuni di Terme Vigliatore e S. Lucia del Mela (A), e il reticolo
idrografico del torrente Longano (B).
secondo nasceva «ad oriente» nei pressi di una chiesa dedicata a «S. Gaetano» e a «S.
Giovanni»; l’ultimo tratto, accogliendo i primi due rami «sotto Castroreale, nella contrada
Fondacarso», e ricevendo in basso «il fiume di S. Giacomo che viene da Gala», terminava il suo
corso immettendosi nel Tirreno «ad occidente del villaggio di Calderà» (ROSSITTO, p. 106).
8
IL FIUME LONGANO
E LA BATTAGLIA DEL LONGANÓS
I documenti sopravvissuti sul fiume Longano, e sulle aree o insediamenti a esso
circostanti, sono alquanto frammentari e lacunosi, almeno fino alla dominazione
normanna. Le uniche certezze riguardano l’importanza di Milazzo e della vasta
piana circostante (in cui ricade il fiume barcellonese), decantati come luoghi
fertilissimi già da Teofastro (371-287 a. C.), che li descriveva ricchi di pascoli
meravigliosi e di foreste.5
Importanti evidenze storiche si evincono dall'VIII secolo a.C., con l’avvento
della colonizzazione greca. Il versante tirrenico della Sicilia nord-orientale,
stando alle scarse fonti del tempo, dopo aver avuto scambi commerciali e
culturali con popolazioni elleniche, fu interessato dalla fondazione di varie
colonie6 (Fig. 4): Naxos (Giardini Naxos), Tauromenion (Taormina), Zankle
(Messina), Mylai (Milazzo), Tyndaris (Tindari), Apollonia,7 Kalè Actè (Caronia),
Halaesa (Tusa). A queste e ad altre fondazioni si associarono alcuni centri
indigeni già esistenti prima dell’arrivo dei Greci (tra cui Abakainon,8 Halontion9
e Agathyrnon10).
TEOFRASTO, VIII, 2.8.
6
Per le fondazioni delle colonie greche di Sicilia, per la loro cronologia e per lo stato delle
indagini, tra le numerose fonti, si vedano: CERCHIAI, pp. 13, 156-167, 174-177, 184-187;
MERTENS, pp. 39-43; TULLIO, pp. 266-291, 325-328.
7
L’antica Apollonia viene fatta coincidere dalla maggior parte degli studiosi con un
insediamento che sorgeva su Monte Vecchio, nel territorio comunale di San Fratello. «Le
ricerche intraprese di recente in questa località, limitate in profondità, e che hanno riguardato
per ora solamente un settore dell’acropoli, non hanno documentato prove di un’occupazione del
sito in epoche precedenti l’età ellenistica» (FASOLO 2013, p. 102).
ϴ
La prima identificazione generica della citta sicula di Abakainon con Tripi si deve al
Bonfiglio. «Il Salinas ne localizzò nel 1886 il sito nel centro abitato in localita Il Piano (300 m
s.l.m.), dove il Villard effettuò nel 1952 una serie di scavi che permisero di accertare la
frequentazione del sito nel Neolitico (Stentinello), nell’età del bronzo e in quella del ferro con
corrispondente necropoli di grotticelle artificiali a cella rotonda con banchine. Le ricerche altresì
portarono alla luce resti monumentali di epoca ellenistica e romana. Dopo gli scavi della
Cavalier nel 1961, nuove indagini sono state intraprese nel 1994 nell’area della necropoli alto
ellenistica e una campagna di prospezioni di superficie è stata condotta da parte dell’università
di Messina negli anni 2008-2009» (FASOLO 2013, p. 101).
ϱ
9
La fondazione di Mylai (subcolonia di Zancle), in modo particolare, creò un
nuovo assetto territoriale e sociale che modificò le strutture insediative delle
popolazioni indigene locali, rappresentando il confine nord-occidentale dell’area
di controllo di Zankle (Messina), ultimo baluardo per accedere all’area dello
stretto. Il ruolo subalterno di Mylai rispetto a Zancle (confermato anche dal fatto
che, a differenza delle altre subcolonie, Milazzo non godette mai l'autonomia di
coniare moneta) giustifica la mancanza di notizie su avvenimenti relativi alla
storia e all’organizzazione dell’area limitrofa.11
Fig. 4 – Colonie greche nel versante tirrenico della Sicilia nord-orientale.
Proprio alla fine della colonizzazione greca, il siracusano Filisto (430-356 a.C.),
in uno dei frammenti sopravvissuti della sua Sikelikà (che fu divulgato molti
secoli dopo da Stefano Bizantino), riferiva di una città siciliana detta Longone
La maggior parte degli studiosi identifica Halontion con San Marco d’Alunzio, luogo in cui
varie indagini hanno evidenziato «la presenza di un insediamento già tra l’Età del Bronzo e
quella del Ferro, che prosegue, come dimostrano i materiali frammentari rinvenuti, fino al VI
secolo a.C.» (FASOLO 2013, p. 102).
10
Agathyrnon fu identificata in passato con Capo d’Orlando. Questa corrispondenza trova
riscontro «nella scoperta di un settore di un insediamento protostorico (tarda età del bronzo,
riferibile all’Ausonio I e II) durante gli scavi condotti dalla Soprintendenza di Messina negli
anni 2000-2001» e in vari «rinvenimenti sporadici di terrecotte figurate» che fanno ipotizzare
«la presenza di un luogo di culto frequentato tra il tardo arcaismo e la prima età ellenistica»
(FASOLO 2013, pp. 101-102).
11
TULLIO, p. 289.
9
10
(«0SKKÉRL») e che ogni suo abitante veniva definito Longonaios («± TSPfXLN
0SKK[RElSN»).12 L’ubicazione di questo sito, che etimologicamente presenta
affinità con l’idronimo Longano, fu in seguito chiarita da Diodoro Siculo (I
secolo a.C.), il quale comunicava che Longona, detta anche Italio, era una
fortezza catanese.13
Un collegamento tra il nome Longano e la radice greca Long (0SKK si desume,
nel IV secolo a.C.͕ dal poeta Licofrone di Calcide, il quale descriveva, presso
Pachino (Siracusa), un famoso tempio della vergine Longatide,14o dea Longatis,
a cui si riferivano epiteti propri di Atena (“nata tre volte”, “che aggioga buoi” e
“omoloide”),15 derivati dalla Beozia e da Tebe, ma collegabili anche al culto di
Ecate.16
Rinnovato interesse verso la piana di Milazzo si evince a partire dalla prima
metà del III secolo a. C., quando i Mamertini (alleati dei Siracusani contro i
Cartaginesi), dopo la morte di Agatocle (289 a.C.), erano riusciti a occupare
Messina e gran parte del versante nord-orientale della Sicilia, tra cui le città di
Mylai, Halaesa, Tyndaris e Kalè Akté. Il siracusano Ierone II, non tollerando tale
predominio su un’area che già in precedenza era stata sotto il controllo di
Siracusa, mosse guerra ai Mamertini nell’intento di riconquistare i territori
perduti.
«0SKKÉRL, 7MOIPfEN T³PMN ± TSPfXLN0SKK[RElSN *fPMNXSN HIOX[. Longone, Siciliae
urbs. Civis Longonaeus. Philistus lib. decimo» (PINEDO, p. 425).
13
«IeNH{X¶R0¶KK[REOEXRLNJVS»VMSR¹T¢VGIOEPS»QIRSR-XPMSR» (MIRONE 1916, p.
450). «)eNH{X¶R0¶RK[REKEXRLN*VS»VMSR¹T¢VGIOEPS»QIRSR-XPMSR» (RHODOMAN,
p. 508).
ϭϰ
CIACERI 1901, p. 112; VINCI, p. 376. «OPIMR³RU gHVYQETEVU{RSY0SKKXMHSN,u)P[VSN
}RUE ]YGV¶R zOFPPIM TSX³R» (Trad. it. di M. Vinci: «e il famoso tempio della vergine
Longatide, dove l’Eloro riversa la sua gelida corrente»).
ϭϱ
«OEf 8VMK{RRLXSNUIFSEVQfE0SKKXMND3QSP[iN&fE» (CIACERI 1901, p. 83).«Boarmia
era appellata Atena in Beozia […] Longatis era detta Atena, forse da 0SKKÉRLo0³KK[Rcittà
della Sicilia. Atena Longatis aveva un tempio nelle vicinanze di Pachino: Licofrone v. 1032 […]
D3QSP[fN era chiamata Atena in Tebe, ove le porte della città si appellavano Omoloidi […]
forse in relazione a D3Q³RSME, la dea Concordia […] Probabilmente in Tebe, Atena, parimenti
che Zeus e Demetra, era anche considerata fautrice della concordia dei popoli» (CIACERI 1901,
p. 209).
ϭϲ
VINCI, p. 377.
12
11
Proprio a questo periodo (269 o 264 a.C.) si riferisce l’unica informazione
conosciuta su un fiume della piana di Milazzo, definito «0SKKER¶R» da Polibio
di Megalopoli (II secolo a.C.) e «0SfXERSR» da Diodoro Siculo, che fu sede della
battaglia decisiva.
Polibio riferiva soltanto che i Mamertini erano stati definitivamente sconfitti da
Ierone II presso il fiume Longanòs della piana di Milazzo17
Più prodigo d’informazioni su questa battaglia fu Diodoro Siculo, il quale, nella
Bibliotheca Historica (XXII, 13),18 narrava che Ierone II, avendo strappato Mylai
e altri luoghi ai Mamertini, si era recato presso Amesello (Regalbuto), riuscendo
a espugnarla. In seguito conquistò Halaesa e fu ben accolto dalle città di
Abakainon e Tyndaris (Fig. 4). Possedendo già Tauromenion, vicina a Messina,
decise di accamparsi presso il fiume Loìtanon («SDU
W´Q /RdWDQRQ
19
SRWDP±Q»), avendo un esercito di diecimila fanti e millecinquecento cavalieri.20
I Mamertini gli opposero contro un esercito composto da ottomila uomini e
quaranta cavalieri, comandati da Kios.21 Quest’ultimo, interrogati gli aruspici
sull’esito della battaglia, ebbe come risposta dagli Dei che avrebbe pernottato
negli accampamenti nemici. Lieto di ciò, Kios cercò di attraversare il fiume e di
attaccare i Siracusani. Ierone II, per contrastare i Mamertini, inviò duecento
fuoriusciti Messeni e quattrocento soldati scelti a circondare un colle detto
Thorax, dove i nemici si erano appostati, mentre col grosso dell’esercito li assalì
di fronte. L'esito della battaglia, che appariva incerto, fu risolto dai Siracusani
ȱ ȍOEi WYQFPPIM XSlN TSPIQfSMNȱ zR XХ 1YPEf[ TIHf[ TIVi X¶R 0SKKER¶R OEPS»QIRSR
TSXEQ¶RȎ(POLIBIO, I, 9.7;CASAUBONUS, p. 12). Traduzione italiana della parte riguardante la
battaglia (di I. Kohen): ȍOsservando pertanto che i barbari, fieri dell’ottenuto vantaggio,
audacemente pel paese discorrevano, armò ed esercitò assiduamente le forze urbane, uscì seco
loro al campo, ed attaccò i nemici nel piano Mileo presso il fiume Longano, e data loro una
grande sconfitta, e presi i loro duci, fiaccò l’ardimento dei barbari. Ritornato in Siracusa, fu da
tutti i soci proclamato reȎ (KOHEN, pp. 46-47).
DINDORFIUS, pp. 311-314.
DINDORFIUS, p. 312.
«SH]R¼M {FZQ PXUdRXM bSSHjM G ܘFLOdRXM SHQWDNRVdRXM» (DINDORFIUS, p. 312).
«{FRQWHM SH]R¼M °NWDNLVFLOdRXM bSSHjM G ܘQʍ VWUDWKJ´Q G ܘHۤFRQ .dZQ» (DINDORFIUS, p.
312). Secondo il Casagrandi, il numero Qʍ (quaranta) «deve prendersi per un Gʍ (600 cavalieri)»
(CASAGRANDI 1894, pp. 113, 170).
ŗŝ
12
che erano passati oltre il colle Thorax, i quali, essendo freschi di forze,
assaltarono alle spalle e all’improvviso i Mamertini che, vedendosi circondati, si
diedero alla fuga. Kios, ferito e privo di forze, fu catturato e condotto, per essere
curato, nel campo dei Siracusani. Si avverava così la predizione degli aruspici
che volevano il suo pernottamento negli accampamenti nemici. Mentre Kios
stava recuperando le forze, i cavalli presi ai nemici furono presentati a Ierone II.
Kios, vedendo il cavallo del figlio e ritenendo che egli fosse morto, ruppe le
fasciature delle ferite, lasciandosi morire dissanguato. I Mamertini, avuta notizia
della morte di Kios e della sconfitta, stavano deliberando di arrendersi. Loro
fortuna fu la presenza del cartaginese Annibale nell’isola di Lipari, il quale, udita
la vittoria dei Siracusani, dopo essersi congratulato con Ierone II, si recò a
Messina, invitando i Mamertini a non consegnare la città ai Siracusani e
lasciando soldati in loro aiuto. Ierone II, ritenendo di non riuscire più a espugnare
Messina (centro di potere mamertino), ritornò a Siracusa colmo di onori per le
sue imprese.22 La sconfitta dei Mamertini generò in seguito la loro richiesta di
Traduzione italiana della parte riguardante la battaglia (di G. Compagnoni): «Essendo i
Mamertini, abitanti in Messene, cresciuti di forze, molte castella presidiarono, e con un corpo di
truppe, che aveano messo in ordine, andarono prestamente in aiuto del territorio. Intanto Ierone,
mosso il campo, avendo espugnato Mila, si fece padrone di millecinquecento soldati, e ben
presto sottomessi altri luoghi andò ad Ameselo, città che giace tra i Centoripini e gli Agirenei.
Era Ameselo forte e provveduta di molto presidio, e con tutto ciò la espugnò e la demolì, e dato
perdono ai soldati che v’erano dentro li aggiunse alle sue truppe: del territorio poi una parte la
diede agli Agirenei, l’altra ai Centoripini. Dopo di ciò, vedendo d’avere un buon esercito, si
voltò contro i Mamertini, ed ebbe subito Alesa, e fu ben accolto dagli Abacenini e dai Tindariti,
delle quali città così fu padrone, e i Mamertini serrò in confini assai stretti. Giacchè sul mar
Siculo possedeva Tauromenio, vicinissima a Messene, e sul mar Tirreno aveva la città dei
Nudariti (Tindari, n.d.a.). Fece poi un’invasione sul territorio di Messene, e si piantò sul fiume
Letano, avendo sotto di sé diecimila fanti e millecinquecento cavalli. I Mamertini gli opposero
le loro truppe, le quali consistevano in ottomila uomini d’infanteria, e in quaranta di cavalleria,
comandati da Cione (Kios, n.d.a.). Ora costui, chiamati gli aruspici al sacrificio, domandava
loro dell’esito della battaglia, ed essi risposero che, per le viscere delle vittime, gli Dei
annunziavano ch’egli avrebbe pernottato negli accampamenti nemici. Di ciò egli fu lieto,
pensando che sarebbe stato padrone del campo del re, e perciò, messe in buon ordine le sue
truppe, immantinente prese a voler passare il fiume. Ierone, che avea con sé duecento Messeni
fuorusciti, per valore e per belle azioni illustri, ad essi e a quattrocento dei più scelti dei suoi
ordinò che andassero a circondare un colle detto Torace, ove i Mamertini si erano appostati, così
che egli col grosso dell’esercito li assalì di fronte. Attaccatasi dunque la battaglia ad un tempo e
dalla cavalleria e dalla infanteria, nell’atto che il re avea presso il fiume occupata una certa
altura, e per l’opportunità del luogo prevaleva, per qualche tempo l’esito della battaglia parve
incerto. Ma quelli che erano passati oltre il colle, avendo all’improvviso assaltato alla schiena i
22
13
soccorso ai Romani che, intervenendo militarmente nell’isola, avviarono lo
scontro epocale con i Cartaginesi.
In tutta la storia antica soltanto Diodoro Siculo e Polibio (che con molta
probabilità visitarono quasi tutte le regioni da loro descritte) riferirono di questo
importante evento storico, ma non menzionarono insediamenti nei pressi del
fiume «0SKKER¶R» o «0SfXERSR», che sicuramente doveva costituire, sotto i
Mamertini, un punto nevralgico del territorio di Zankle-Messene.
Nei secoli seguenti alla battaglia tra Mamertini e Siracusani non è più
possibile rintracciare informazioni dirette sul fiume Longanòs della piana di
Milazzo, molte volte descritta nei documenti in modo generico.23
Dell’attuale fiume denominato Longano e del «0SKKER¶R» di Polibio (o del
«0SfXERSR» di Diodoro Siculo) non c’è traccia neanche nel privilegio con cui
Adelasia, moglie del defunto conte Ruggero I, rifondò
su una collina di
Barcellona Pozzo di Gotto, nell’anno bizantino 6613 (1 settembre 1104-31
Mamertini, freschi di forze quando i Mamertini erano già stanchi, facilmente li ammazzavano; e
poiché si videro da ogni parte circondati, finirono con darsi alla fuga. I Siracusani, inseguendoli
con quanta forza avevano, li uccisero tutti, e il loro capitano, valorosamente combattendo,
poiché coperto di ferite, perdette lena, cadde vivo nelle mani dei nemici e spirante fu portato nel
campo del re e dato in cura ai medici: di tal modo si avverava la predizione degli aruspici, i
quali gli avevano detto che avrebbe passato quella notte negli alloggiamenti nemici. Mentre poi
assai valutava il re che Cione recuperasse la sua sanità, giunsero alcuni, i quali venivano a
presentare a Ierone dei cavalli presi dopo la battaglia, fra i quali, vedendo Cione quello di suo
figlio, congetturò facilmente che il giovane fosse morto; di ciò intensamente addolorato, ruppe
con impeto le fasciature delle ferite stimando di ben meritare la morte del figlio con la sua stessa
morte. I Mamertini, poi, avuta notizia che con Cione loro capitano erano periti anche tutti gli
altri soldati, deliberarono di mandare genti supplichevoli al re. Ma la fortuna non permise che le
loro cose fossero irreparabilmente perdute. Allora appunto era avvenuto che Annibale, capitano
dei Cartaginesi, fosse andato a fermarsi nell’isola di Lipari; il quale, udita la rotta inaspettata dei
Mamertini, quanto più presto potè, corse da Pirro (Ierone, n.d.a.), in apparenza per congratularsi
con esso, ma in sostanza per circuire il re con qualche astuzia militare. E il re di fatto prestò fede
al peno e non si mosse oltre; intanto che Annibale andato a Messene, e trovati i Mamertini sul
punto di dare la loro città a Ierone, persuase loro del contrario e fece lega con essi, e nella loro
città introdusse come rinforzo quaranta soldati. Così, quando i Mamertini per la sofferta rotta
avevano perduta ogni speranza di salvezza, rimasero salvi, e Ierone, ingannato dal capitano dei
Cartaginesi, non sperando più di espugnare la città, ritornò a Siracusa fattosi però celebre
dappertutto per le sue felici imprese» (COMPAGNONI, pp. 234-237).
L’idronimo «Onganum» compare nel quinto libro della Cosmographia, opera compilata verso
«la fine del VII secolo d.C.» da un anonimo erudito conosciuto come il Ravennate, nella quale
furono registrati insediamenti, stazioni e fiumi siciliani, con molta probabilità desunti da un
14
agosto 1105), il cenobio di rito greco di Santa Maria di Gala (Fig. 5). Nel
vastissimo SHULRULVP±M che la reggente Adelasia assegnò al monastero di Gala
(sito in prossimità di un affluente dell’odierno Longano) furono soltanto
menzionate le «paludes seu pantana Gatiri», tre fiumare («Mustah», «rivum
Gale» e «Platì»24) e alcune grotte («magnorum lapidum speloncas», «speluncam
Sancte Venere»).25 Il privilegio concesso nel 1104-1105 rivela anche che il ruolo
«itinerarium pictum» della «metà del IV sec. d.C.» (FASOLO 2003, p. 77; FASOLO 2013, p. 129;
PINDER, p. 405).
24
Il «flumen Platì platamón», oggi Patrì o Termini, fu menzionato anche in una donazione del
1118 (HOFFMANN, p. 525).
Ϯϱ
IMBESI 2009, pp. 616-617. «ab oriente flomarella | dicta Mustah seu clarius agarenice a
sicomoris in | q(u)o (qui)dem loco lapidem ordinavim(us) stare ac crucem | i(n) ip(s)o intus
cavari (et) ascendit illinc equaliter | subtus fontem (qui) est in sellida dromi (et) desce(n)dit |
vallis vallis, ac redit ad occidentale(m) partem | suptus magnos lapides rupis (et) transit rivu(m) |
(et) cadit ad rubeam arena(m) (et) descendit vallis | (et) cadit ad rivu(m) Gale ad p(ar)te(m)
orientale(m), (et) illinc | transit ad montis pede(m) dicte Gale ac | reddit ante spelunca(m) Sancte
Venere (et) illinc | redit ad flomaria(m) (et) ascendit ip(s)a flomaria | usq(ue) ad mag(n)or(um)
lapidu(m) speluncas crista crista | usq(ue) ad directa(m) eccl(es)ia(m), (et) illinc ascendit crista |
usq(ue) secus sellida(m) magna(m), q(ue) est sup(er) sanctum | mon(aste)rium, (et) illinc
descendit a p(ar)te occidentis | eius(dem) sellide recte deorsum ad flomaria(m) Mu|stah (et)
descendit ip(s)a flomarella ad sicomores | in qua principiu(m) termini positi factum est | (et)
concludit ea q(ue) vere sunt intus t(er)minos | positos p(re)libatos. Firmavi om(n)es quide(m)
t(er)ras ac | nem(us) cu(m) glande int(er) om(n)es dictos t(er)minos; no(n) h(abe)t | aliquis ex
p(at)rimonio vel emptio(n)e seu ali(ter) p(ro)dicere | quasi palmu(m) t(er)re, s(ed) integra (et)
libera est tota | sancti mon(aste)rii (et) volum(us) ex nu(n)c sic fore usq(ue) ad | sec(u)lor(um)
diffinitio(n)e(m) […] Cetera aute(m) iura h(abe)re, tenere | (et) dominari p(re)dictu(m)
sanctu(m) mon(aste)riu(m) sicut p(er) n(ost)ram | potencia(m) dominabant(ur) et affirmam(us)
(et) dedim(us) | s(anc)to mon(aste)rio (et) paludes seu pantana Gatiri o(mn)ia | quanta quide(m)
integra (et) libera ut pascant | ibi a(n)i(m)alia sancti mon(aste)rii» (Trad. it.: Da oriente la
fiumara detta Mustah, o più chiaramente in saraceno dai sicomori, luogo nel quale, inoltre,
abbiamo ordinato di innalzare una pietra di confine, e nella stessa di scolpire una croce, e da
quel luogo sale uniformemente sotto la fonte che si trova nella Sellida del dromo, e discende
attraverso le valli, e ritorna verso la parte occidentale sotto le grosse pietre della rupe, e
attraversa il torrente, e termina presso la rossa arena (luogo sabbioso), e discende per le valli,
e va a finire presso il torrente di Gala sul lato orientale, e di là passa ai piedi del monte della
detta Gala, e torna dinnanzi alla spelonca di Santa Venera, e di là ritorna alla fiumara, e sale
per la stessa fiumara fino alle grotte delle grandi pietre, cima cima fino alla scoscesa chiesa, e
da qui sale in alto fino alla grande Sellida, che è sopra il santo monastero, e da qui discende
dalla parte occidentale della stessa Sellida, in linea retta in basso, verso la fìumara Mustah, e
la stessa fiumarella discende presso i sicomori dove è stato fatto l’inizio dei confini, e là
conclude esattamente dentro i confini fissati. Confermai pure tutte le terre e il bosco con
ghiande sito dentro i detti confini; che nessuno sia proprietario, possa vendere o anche possa
occupare un solo palmo di terra, bensì essa rimane tutta integra e libera al santo monastero, e
vogliamo che fin da adesso sia così per sempre […] Poi, gli altri diritti di possedere, mantenere
e comandare il predetto santo monastero, come erano soggetti alla nostra autorità, e
confermiamo e concediamo al santo monastero anche le paludi o pantani di Gatiri, e inoltre
tutte quante intere e libere, affinchè qui pascolino gli animali del santo monastero).
15
fondamentale per la riedificazione del monastero di Gala fu svolto dal bizantino
Nicola di Mesa, NDSULOdJJDM (camerario) del gran conte Ruggero I e poi di suo
figlio Simone,26 il quale, grazie alle molte suppliche rivolte alla reggente
Adelasia, ottenne in dotazione numerosissimi beni e diritti27 tali da rendere il
cenobio barcellonese il più importante centro religioso di rito greco fondato o
rifondato dai Normanni nel versante tirrenico dell’isola prima dell’istituzione
dell’archimandritato del S. Salvatore in lingua phari.28 Le numerose e particolari
concessioni ottenute dal monastero di Gala nel 1104-1105 appaiono il risultato di
una mediazione tra i normanni (e per essi il bizantino Nicola) e la popolazione di
religione, lingua e cultura greca locale, che doveva essere numerosa e molto
influente, tanto da ricevere in donazione da Adelasia anche la facoltà di estrarre
dalla città di Messina ogni cosa fosse necessaria e la chiesa di San Pantaleone nel
Il bizantino Nicola di Mesa fu il più importante funzionario della corte di Ruggero I e di suo
figlio Simone. Egli compare in numerosi atti, stipulati tra il 1086 e il 1105, con le seguenti
cariche (IMBESI 2009, pp. 608-611): ÆVWLULRM NDg PXVWRNOyWRM (1086); SUZWRQRWULRM,
NDSULOgJJDM, SUZWRVSDWULRM (1090); Secretarius et Rector (1092); Camberlanus (1094);
SUZWRQRWULRM, SUZWRQREHOOVLPRM, NULWM SVKM NDODEULWdGRM FÇUDM (1099);
Camberlarius (1101); Camerarius (1103); NDSULOdJJDM, PXVWROyNWRM (1105).
27
Adelasia concesse al monastero di Gala i seguenti beni e diritti: un vasto territorio disposto
attorno al monastero (con la facoltà di giudicare, tranne i reati di omicidio e tradimento, gli
uomini insediati), le paludi di Gatiri, le chiese di San Filippo di Furnari e della Genitrice di Dio
di Oliveri, il castello di Sant’Euplo nella penisola di Milazzo, un bosco presso Castiglione di
Sicilia, il tempio con le sue terre sito davanti la chiesa di San Michele nel porto di Milazzo, la
chiesa di San Giovanni Teologo presso Castiglione di Sicilia, un mulino nella fiumara di Raneri,
la facoltà di costruire mulini nelle fiumare del Platì e di Santa Lucia, le terre di Marci con tutte
le loro pertinenze, il luogo detto Barnava dove allevare le api, la facoltà di poter pescare
liberamente presso Taormina e Milazzo e di entrare ed uscire senza impedimenti dal porto di
Milazzo, quindici barili di tonnina dalla tonnara di Milazzo, la chiesa di San Pantaleone nel
porto di Schisò, la facoltà di poter estrarre liberamente dalla città di Messina ogni cosa fosse
necessaria, il diritto di pascolo in tutte le terre del regno e un numero elevato di villani (IMBESI
2009, pp. 603-607, 616-619, 634).
28
Con un diploma del 1133, Ruggero II aveva posto numerosi monasteri di rito greco (tra cui
quello di Gala) sotto la diretta giurisdizione dell’archimandrita del S. Salvatore in lingua phari
di Messina. I monasteri sottomessi furono divisi in due gruppi. Il primo, composto da piccoli
cenobi, era posto sotto la totale giurisdizione del S. Salvatore in lingua phari, che li governava
attraverso economi. Il secondo gruppo (di cui faceva parte il monastero di Gala) comprendeva i
monasteri autonomi, chiamati «kephalikà» e «autodèspota», retti da abati nominati dai monaci
residenti nelle abbazie e dotati di ampia autonomia, tranne per l’aspetto disciplinare, che veniva
esercitato direttamente dall’archimandrita del S. Salvatore in lingua phari (IMBESI 2009, p.
601).
26
16
porto Quison o Quinson,29 sita nel versante ionico presso capo Schisò (Giardini
Naxos)30 e luogo in cui, secondo Tucidide, fu fondata nel 734 a.C. la prima
TSMOfE calcidese dell’isola.31
Il fiume oggi denominato Longano e i suoi affluenti non furono neanche
menzionati in un privilegio concesso nel 1127 (con il quale Ruggero II donò ad
Ansaldo di Arri il casale di Nasari che costeggia questi corsi idrici)32 e nella
divisio con cui, nel 1324, re Federico III di Sicilia, fortificando il piccolo nucleo
di «Christina», decretò la nascita della futura Castroreale (Fig. 5), centro politico
e amministrativo che caratterizzerà per secoli tutta la valle del Longano, sorto su
una collina delimitata dai torrenti San Gaetano e Crizzina.33
Dalla documentazione sopravvissuta sembra evincersi che l’attuale fiume
Longano e i suoi affluenti (torrenti Crizzina, San Gaetano e San Giacomo)
venivano legati nelle indicazioni geografiche, anche fino al XIX secolo, ai
principali nuclei che attraversavano con i loro corsi idrici, assumendo varie
IMBESI 2009, p. 619. «Item dam(us) (et) S(an)ctu(m) | Pantaleone(m) q(ui) est in Portu
Quison ut habeant | ibi(dem) habitacione(m) monacor(um) barce q(ue) piscari debea(n)t. |
Simil(ite)r quicquid h(abe)nt monaci exire a portu | Quinson (et) solvere usq(ue) ad molem
portu(um) libere | quide(m) agant ip(s)a ab omni consuetudine a\c/ iure | maris […] Adhuc
volum(us) ip(s)os habere | p(otes)tatem ex(tra)hendi a civ(ita)te Mes(san)e q(ue) su(n)t ad
eor(um) | opus sine p(ro)hibicio(n)e ac libere» (Trad. it.: Inoltre concediamo anche il San
Pantaleone che si trova nel porto Quison, affinchè lì abbiano sosta le barche utilizzate dai
monaci per la pesca. Inoltre i monaci possiedano la facoltà di uscire dal porto Quinson, e di
salpare fino al molo dei porti liberamente, e inoltre che possano farlo liberi da ogni
consuetudine e legge del mare […] Ancora vogliamo che gli stessi monaci abbiano la facoltà di
estrarre dalla città di Messina quanto sia loro necessario, senza divieto e liberamente).
30
Bartolomeo Paulillo, abate di Gala, in una relazione per la regia visita del 1742, riferiva che la
chiesa di San Pantaleone era un tempo sita «nel porto di Schisò vicino alli giardini di Taormina»
(IMBESI 2008, p. 26). Questa informazione trova conferma nello storico taorminese Giovanni Di
Giovanni, il quale riferiva dell’esistenza della «chiesa di S. Pantaleone nel porto Quisoy, ossia
nel Chersoneso, a due miglia da Taormina», a cui veniva dato «il nome di Schisò» (DI
GIOVANNI, p. 203).
31
TUCIDIDE VI, 3,1; CERCHIAI, p. 13; MERTENS, pp. 40-41.
32
IMBESI 2010, pp. 562-563.
33
In questo documento (MUSEO CASTROREALE, cc. 148-151) furono soltanto descritte aree
occupate da foreste [«Preditti | fideles n(ost)ri possint immittere seu immitti facere eoru(m)
animalia in terris et nemo|rib(us) cur(ie) n(ost)re positis in distrittu Castri fortilitii et terre
p(redi)ttis p(ro) sume(n)dis in ipsis | pascuis ac in nemorib(us) ip(s)is incidere et incidi facere
ligna mortua ad opus | eor(um) libere et sine alicui(us) p(re)stattione iuris seu dritt(us) n(ost)re
Curie continge(n)tis | ita t(ame)n quod preteptu pascuor(um) ipsor(um) ad glandes nemor(um)
eoru(m)d(em) no(n) ingera(n)t a|liquat(enu)s manus suas»].
29
17
denominazioni («rivum Gale»,34 «flumen dicti monasterii de Gala»,35 «fiume di
Castel Reale»,36 «acque del fiume Nasari»37).
Fig. 5 – Conformazione territoriale assunta con le fondazioni-rifondazioni di Gala e Castroreale.
Soltanto dalla seconda metà del XVI secolo, in seguito alla diffusione delle
prime indicative mappe storiche della Sicilia e dei testi di Diodoro Siculo e
Polibio, cominciò a nascere un ampio dibattito storico-geografico volto a
individuare l’antico fiume «0SKKER¶R» (o «0SfXERSR») nella piana di Milazzo.
Dalla mappa del Gastaldi (Fig. 6A), pubblicata da Ortelio nel 1570 e mancante
degli idronimi,38 è possibile rilevare una delle prime verosimili rappresentazioni
dell’attuale fiume Longano (in precedenza indicato anche con un solo asse sotto
Castroreale), con sviluppo a Y e terminante, nei due estremi, con la «Bacia di
galla» e con «Locastro». Sul versante occidentale furono rappresentate, con
IMBESI 2009, p. 616.
35
Il regio visitatore Francesco Vento, nel 1542, menzionava un mulino presso il fiume del
monastero di Gala (IMBESI 2008, p. 91).
36
FIORENTINO, p. 543.
37
Il Di Marzo, nel XIX secolo, riferiva che il territorio del casale di S. Venera, attraversato
dall’attuale Longano, era «irrigato dalle acque del fiume Nasari» (DI MARZO 1859, p. 651).
38
«Sicilia, insula descripta a Iacobo Castaldo Pedemontano cosmographo» (ORTELIUS, Tav.
38).
34
18
minore evidenza e importanza, le altre fiumare limitrofe (con molta probabilità i
torrenti Patrì, Mazzarrà ed Elicona).
L’identificazione dell’antico «0SKKER¶R» di Polibio (o del «0SfXERSR» di
Diodoro Siculo) con il corso idrico della fiumara di Castroreale fu fornita per la
prima volta da Filippo Cluverio, il quale, nella sua mappa della Sicilia antiqua
(1619), ritenne che il fiume Longanòs «nullus alius esse potest quam qui a
sinistro sive occidentali Mylarum latere, vulgari nunc adpellatione accolis dicitur
Fiume di Castro reale»39 (Fig. 6B).
Fig. 6 – Stralci delle mappe che furono redatte da Giacomo Gastaldi (A) e Filippo Cluverio (B).
«Longanus igitur ille in Mylensi campo amnis nullus alius esse potest, quam qui a sinistro
sive occidentali Mylarum latere vulgari nunc adpellatione accolis dicitur Fiume di Castro reale.
In dictis vero Excerptis legationum quum innumera vocabula misere ac mirifice vitiata sint,
quae viri docti nuper emendarunt; istam etiam vocem 0SfXERSR Polybii vocabulo 0³KKERSR
haud temere praetulerim. Caeterum quum praedicto Mylensi campo continui immineant montes;
incertum est, quinam eorum ille sit 5ÉVE\ P³JSN, Thorax mons. A dextra tamen fuisse eum
amnis ripa, patet ex historia praescripta. Diodorus vero altissimum quemque montem, ut
Aetnam, Erycem et alios, non modo colleis humilioreis adpellat P³JSN» (CLUVERIUS, pp. 303304, Tav. 1). Al geografo Cluverio si deve anche l’ipotesi che il «5ÉVE\P³JSN» fosse sito a
destra del «Longanus amnis».
39
19
Maggiori dettagli sul fiume di Barcellona Pozzo di Gotto e Castroreale si
evincono dalla carta che fu redatta da Gerardo Mercatore alla fine del XVI secolo
e in seguito pubblicata da Hondius (Fig. 7).40 In essa, l’attuale Longano, definito
«Castri regalis flu(men)», fu rappresentato con due affluenti disposti attorno a
«Lo Castro» e
all’«Abbat(ia) de Gala». Allo stesso modo della carta del
Fig. 7 – Stralcio della mappa che fu redatta da Gerardo Mercatore.
Gastaldi, il Mercatore rappresentò il fiume di Castroreale con caratteristiche
dimensionali che superavano tutti gli altri corsi idrici limitrofi.
L’identicazione del Longanòs di Polibio con il fiume di Castroreale e lo
sviluppo a Y della fiumara cominciarono così a diffondersi in mappe e
pubblicazioni seguenti, come si evince da Philippe Briet (Fig. 8A),41 Giovanni
Antonio Magini (Fig. 8B),42 Michele Baudrand,43 Frederick De Wit (Fig. 8C),44
«Siciliae Regnum. Per Gerardum Mercatorem» (HONDIUS, p. 316 r.).
BRIET, p. 991. Philippe Briet ripropose anche il «Longanus flumen» di Cluverio (BRIET, p.
661).
42
MAGINI, p. 61.
43
«Longanus, fluvius parvus Siciliae, circa Mylen oppidum, a quo nunc nomen accipit, fluens.
40
20
Fig. 8 – Stralci delle mappe che furono redatte da Philippe Briet (A), Giovanni Antonio Magini
(B) e Frederick De Wit (C).
Nicolas Lenglet Du Fresnoy,45 Francesco Giustiniani,46 Giovanni Battista
Caruso,47 Vito Amico,48 Michele Pasqualino,49 Mariano Scasso,50 Girolamo Di
Longanus, nunc Fiume di Castro Reale, amnis Siciliae, in ora Boreali, 5. milliaribus a Myle in
austrum. In mare Tyrrhenum se exonerat» (FERRARIUS-BAUDRAND, p. 430).
44
DE WIT 1680.
45
«Longanus fluv. la Riviére di Castro Reale» (LENGLET, p. 228).
46
«Longanus Fluvius, llamado el rio Castro-Reale» (GIUSTINIANI, p. 162).
21
Marzo Ferro,51 Attilio Zuccagni Orlandini,52 Giuseppe Piaggia,53 Nicola Corcia,54
Vincenzo Casagrandi,55 e da numerosi altri geografi, storici e studiosi.
«Fiume Longano, detto oggi del Castro Reale» (CARUSO, p. 3).
48
Vito Amico, in accordo con la tesi di Cluverio, identificava il «Longanus amnis» di Diodoro e
Polibio con il «Fluvius Castri Regalis», riferendo che esso si originava da 3 fonti: la prima,
«detta dell’uomo morto, a 3 miglia da Castroreale, verso sud-est», che precedeva il torrente
Crizzina; un’altra fonte scaturiva «da varii gorghi sotto il colle del Re, verso la parte Orientale»
di Castroreale, nei pressi della contrada S. Giovanni; l’ultima si originava «presso il Casale di S.
Giacomo» con la confluenza delle due fonti precedenti e della fiumara che proveniva dal casale
di Gala, venendo chiamata, in questo ultimo tratto che poi si scaricava nel Tirreno, fiume di
Castroreale (AMICO, pp. 297-298; DI MARZO 1858, pp. 280-281).
49
«Castruriali fiume, che nasce dalla parte occidentale della città di Milazzo da due fonti, uno
presso Castro Reale, l’altro vicino la badia di S. Maria di Gala, e mette foce nel mar Toscano,
tra il capo di Milazzo e l’Oliverio. Amnis Longanus» (PASQUALINO, p. 280).
50
«Barsalona, o Barcellonetta Borgo, nel di cui mezzo scorre il Fiume Longano, o di
Castroreale, da Diodoro nel L. 22 chiamato Loetano, dove Gerone vinse i Mamertini» (SCASSO,
p. 53).
ϱϭ
«Barcellona. Barcelloni - Casale regio capo circondario, in provincia e diocesi di Messina,
distretto di Castroreale, distante da Palermo 140 miglia con popolazione di 2924. Nel mezzo del
casale vi scorre il fiume Longano, presso cui il re Gerone vinse i Mamertini» (DI MARZO 1853,
p. 14).
52
«Barcellona (Sicilia). Capoluogo di mand.; circond. di Castroreale; Prov. di Messina. Il
capoluogo è una città, nelle vicinanze della quale credesi da taluno che Gerone riportasse la sua
celebre vittoria sopra i Mamertini. Passa di mezzo agli edifizi urbani il fiume Longano. Popol.
19199» (ORLANDINI, p. 117).
53
«Niun toglierebbe che intra quei limiti stessero le dette dà Latini fauci del campo Milesio;
niuno che il Longano, oggi fiume del Castro Reale, fino a tempi non troppo longevi, scorreva
pel campo Milesio: ma quali dè latini scrittori i limiti determinarono di quelle fauci, e quali dè
greci e dè latini segnarono come a Mile soggetto quel campo che Milesio chiamavasi?»
(PIAGGIA 1853, pp. 9-11). «Niuno negherebbe che tra quei larghi limiti stessero le denominate
dagli antichi fauci del campo milesio; niuno che Polibio additasse il Longano, oggi fiume del
Castro-Reale, nel campo milesio; ma fu un solo dè greci e dè latini scrittori che seppe
contrassegnarci i limiti di quelle fauci, un solo che designò a Mile suggetto quel campo che
nominavasi milesio?» (PIAGGIA 1866, p. 58).
54
«LOETANUS FLUVIUS (0SfXERSNTSXQSN). Narrando Diodoro l’impresa di Jerone, con la
quale debellò i Mamertini Bruzii, che impadroniti si erano di Messana, e divenuto poi celebre
per le sue felici gesta fu proclamato re di Siracusa, dice che invaso l’agro della città, si piantò
coll’esercito sul fiume Letano, e fatto circondare dà più scelti soldati un colle detto Torace, sul
quale i Mamertini eransi appostati, col grosso dell’esercito di fronte li assalì cò fanti e i cavalli,
e li sconfisse. Polibio scrive che li attaccò nel piano di Mile, ossia di Milazzo, presso il fiume
Longano, e data loro una grande sconfitta, fiaccò l’ardire di què barbari. Per la scorrezione dè
codici di Diodoro, preferendo Cluverio la testimonianza di Polibio, sostenne che Longano fu il
vero nome del fiume presso il quale fu data la battaglia memorabile nel 4° anno dell’Ol.
CXXVII, 269 av. C., e che altro non fosse che il fiume di Castroreale; così che il monte Torace,
alla destra riva del fiume stesso, altro non sarebbe che l’erto monte, sul quale Federico II edificò
o ingrandì Castroreale, presso le rovine dell’antica città che i topografi siciliani ricordano col
nome di Cristia, o Cristina, ma senza che ne sia memoria negli antichi storici, o geografi»
(CORCIA, pp. 198-199).
55
CASAGRANDI 1894, pp. 156-169. Vincenzo Casagrandi, criticando Cluverio che riferiva al
Longanòs solo il braccio proveniente da Castroreale, dopo la diretta visione dei luoghi, collegò
47
22
Alla tesi avanzata da Filippo Cluverio si opposero in un secondo tempo alcune
opinioni volte ad identificare il fiume Longanòs con vari corsi idrici posti tra
Milazzo e Tindari, oltre a indicazioni vaghe con cui fu ubicato, genericamente,
nell’antica piana di Milazzo.56 Avallavano tali considerazioni le indeterminate
descrizioni di Diodoro Siculo e Polibio che sembravano far ricadere il fiume
nell’area compresa tra Mylai (Milazzo) e l’asse che collegava Tyndarys (Tindari)
con Abakainon (Tripi), tutte città che prima della battaglia erano già in potere dei
Siracusani (Fig. 9), che avevano in precedenza conquistato anche Tauromenion
Fig. 9– Area in cui risulta collocabile il fiume «0SKKER¶R».
al ramo principale anche i due affluenti San Gaetano e San Giacomo («Il Longanos è formato da
tre rami, due dei quali si congiungono sotto Castroreale, il terzo si unisce al Longanos due
chilom. più in basso. Il primo ramo di sinistra, dalla sorgente sua del m. Sughero al punto in cui
si congiunge col secondo, si distingue dai naturali col nome di Torrente Crizina; il secondo di
destra, dalla sorgente delle Rocce Lassafare fino a congiungersi col primo, si distingue col nome
di Torrente S. Gaetano. Il corso indipendente di questi due rami è di circa 6 chilometri, il corso
comune incomincia sotto i tre picchi sui quali sorge Castroreale. Dal punto in cui i due torrenti
si congiungono, fino alla foce, prendono il nome di fiume Longano, il quale a due chilom. in
basso riceve sulla destra il terzo ramo, che nasce dalle montagne di La Gala e che dai naturali
viene chiamato Torrente S. Giacomo»). Il Casagrandi, inoltre, dopo aver fatto coincidere la
collina di Maloto col monte 5ÉVE\ di Diodoro Siculo, ritenne che la battaglia tra Mamertini e
Siracusani fosse avvenuta nell’area compresa tra la congiunzione dei torrenti San Gaetano e
Crizzina e il punto in cui il torrente S. Giacomo s’immette nel Longano.
56
ANTHON, pp. 390-391; SCHWEIGHAEUSER, p. 357.
23
(Taormina), vicina a Zancle-Messana (unica area allora in potere dei
Mamertini).57
Le nuove ipotesi furono originate dalle caratteristiche orografiche e
idrografiche che l’area occidentale milazzese presentava nel XVII secolo, poichè,
oltre al fiume di Castroreale, emergevano altri significativi corsi idrici (torrenti
Idria, Mela, Patrì e Mazzarrà). La presenza di aree pianeggianti contigue ad
alcune fiumare -registrate anche in una mappa che l’ingegnere Samuel von
Schmettau produsse nella prima metà del XVIII secolo (Fig. 10)58- fece ritenere,
principalmente i fiumi Mela e Patrì, più idonei a giustificare le varie fasi della
battaglia del Longanòs.
Già Giovanni Andrea Massa, nel primo decennio del XVIII secolo, riferiva che
alcuni studiosi identificavano il fiume «detto di S. Lucia» (torrente Mela o di
Merì) con «il Longanus di Polibio».59
Questa tesi fu sostenuta in seguito anche da Conrad Mannert,60 Edward Herbert
Bunbury61 e Agostino D’Amico.62
DINDORFIUS, pp. 311-314.
SANTAGATI, tav. XIV. La mappa è priva degli idronimi.
59
«Comincia qui la Spiaggia renosa di S. Lucia, la quale mena alla Foce del Fiume da alcuni
detto di S. Lucia; ma da Fazello nel cap. 7 del lib. 9 della I Dec. si appella S. Basile, ed a
giudicio di Filippo di Amico è il Melas dell’Antichi, ma Altri vogliono che sia il Longanus di
Polibio» (MASSA, p. 407). Anche Francesco Napoli, nel XVII secolo, collegò il fiume Mela al
Longanòs di Polibio (PIAGGIA 1853, p. 11).
60
MANNERT, p. 277; CORCIA, p. 199.
61
«LONGANUS (0SKKER¶N a river in the N. of Sicily, not far from Mylae (Milazzo),
celebrated for the victory of Hieron, king of Syracuse, over the Mamertines in B.C. 270 (Pol.
I.9; Diod. XXII.13; Exc. H. p. 499, where the name is written 0SfXERSNbut the same river is
undoubtedly meant). Polybius describes it as “in the plain of Mylae” (zRXХ1YPEf[TIHf[
but is impossible to say, with certainty, which of the small rivers that flow into the sea near that
town is the one meant. The Fiume di Santa Lucia, about three miles southwest of Milazzo, has
perhaps the best claim; though Cluverius fixes on the Fiume di Castro Reale, a little more
distant from that city» (BUNBURY, p. 204).
62
«Il fiume di Merì nasce tra le alte vallate dei Peloritani, sicchè il suo corso
approssimativamente raggiunge i quaranta chilometri, e questo ci dà ragione a credere che il suo
antico e vero nome etimologicamente guardato sia Longano, nome che s’è voluto appiccicare
all’odierno piccolo torrente che scorre tra Pozzo di Gotto e Barcellona, non sappiamo con
quanta buona ragione. Questo, infatti, ha un corso così breve da far ritenere, invece, che i
geografi del tempo, e siamo a tre secoli avanti Gesù Cristo, naturalmente non lo avessero
degnato di menzione. Ma v’è dell’altro ancora a conferma di quel che noi osserviamo: se si tien
conto che alla battaglia sul Longano parteciparono oltre ventimila combattenti, fra cui parecchie
migliaia di cavalieri, è da ritenersi che lo scontro dei Mamertini coi Siracusani sia avvenuto nel
57
58
24
Fig. 10 – Stralcio della carta che fu redatta da Samuel von Schmettau (SANTAGATI, tav. XIV).
Sulla mappa sono stati indicati i principali idronimi dell’area.
punto più largo della pianura di Milazzo, e precisamente vicino a questa città, ove scorre
l’attuale fiume di Merì» (D’AMICO, p. 275).
25
Alcuni dizionari geografici63 e vari autori (tra cui Giuseppe Emanuele
Ortolani,64 Carlo Vanzon65 e Giovanni Battista Carta66), invece, collegarono il
Longanòs di Polibio al fiume «Rozzolino» o «Macheo» (oggi torrente Patrì,
Termini o di Rodì).67
Ai numerosi autori che identificarono il fiume descritto da Polibio e Diodoro
Siculo con l’attuale torrente Longano si aggiunse nella seconda metà del XIX
secolo anche l’autorevole storico barcellonese Filippo Rossitto, il quale riferiva
che la fiumara di Barcellona e Castroreale presentava anticamente altre «tre
braccia» (oggi non leggibili)68 e che per effetto dell’esondazione del 1757 parte
dell’antico tracciato idrico era stato deviato di circa ottanta canne tramite la
realizzazione di un asse rettilineo che procurò «un unico taglio, da Nasari al
mare», dove s’immetteva nel Tirreno.69 Lo storico barcellonese riferiva anche
«Longanus antico nome di un fiume di Sicilia; oggi Ruzzolino» (TERRES, p. 49). «MACHEO.
Fiume, detto anche Prato o Rossolino e dal Cluverio chiamato Longano. Su queste sponde
furono i Mamertini sconfitti da Gerone II. Nasce presso Castro-reale in provincia di Messina e
finisce nel Faro» (DE LUCA-MASTRIANI, p. 76).
64
«MACHEO, fiume nel val Demone sopra Castroreale, detto oggi di Prato, o Rossolino, da
Cluverio chiamato Longano, sulla di cui ripa l’istoria afferma che Gerone II sconfisse i
Mamertini» (ORTOLANI, p. 78).
65
«Macheo. geog. Fiume nel Val Demone in Sicilia, sopra Castroreale, detto oggi di Prato, o
Rossolino, da Cluverio chiamato Longano, sulla di cui ripa l’istoria afferma che Gerone II
sconfisse i Mamertini» (VANZON, p. 19).
66
«Macheo. F. della Sicilia in prov. di Messina, detto al presente di Prato o Rossolino, e da
Cluverio, Longano. Sulla sua sponda Gerone II sconfisse i Mamertini» (CARTA, p. 496).
67
Come riferiva lo storico ottocentesco Filippo Rossitto (ROSSITTO, pp. 108-109), il fiume
Patrì, Platì o Termini veniva anche denominato «Russolino» (per il colore delle acque che
scorrendo lasciavano «un sedimento argilloso di color rossigno sul letto») o «Rozzolino» («per i
suoi andirivieni» o per il «rapido corso delle sue acque, perché in siciliano ruzzulari o ruzzuliari
significa rotolare»).
68
Il Rossitto comunicava che, nel 1757, il fiume si divideva «in tre braccia»: uno, «il più grosso,
passava per il casale di Nasari e scendeva» per la «strada Grazia o Villa»; un altro, entrando «di
fronte alla saia di Zigari, allagava la contrada dietro la chiesa di S. Sebastiano»; l’ultimo,
volgendo «sotto la collina dei Cappuccini, entrava nel quartiere Marsalini di Pozzo di Gotto», e
passando «dietro la chiesa di S. Cosimo e percorrendo il piccolo villaggio di S. Gaetano, si
ricongiungeva alle altre due braccia che scaricavano nel mare» (ROSSITTO, p. 187).
69
«Tenebrosa, terribile oltre l’usato, appariva la notte dal 2 al 3 novembre del 1757 […] Non
passò molto che la pioggia venne giù fra l’incalzar dei tuoni, a catinelle. Le acque del Longano
a poco a poco andarono ad ingrossare e non si contennero più entro i ripari, perché ben presto li
sorpassarono trascinando seco tronchi d’alberi, macerie, armenti e pastori. Dalle capanne dei
contadini uscivano grida, urli e gemiti profondi. Non passò molto che tutta la contrada divenne
un lago; indescrivibili sono le scene e gli atti di eroismo di alcuni che si diedero al salvataggio.
Le campane non suonavano più a morto, ma invitavano i fedeli a preghiera per placare l’ira
63
26
che i bacini idrici di varie fiumare del milazzese avevano subito nel corso dei
secoli radicali modifiche per proteggere gli abitati limitrofi dalle loro continue
esondazioni, come avvenne per il Mela (che ai tempi del Fazello «sboccava nel
divina. L’onda si rese padrona del paese e dei bei terreni coltivati; cadevano una dopo l’altra le
piccole case, restavano in parte sotterrate le più alte; le masserizie, gli oli, i frumenti
galleggiavano; le strade s’erano cambiate in furiosi torrenti e il torrente, non avendo più letto né
argini, in un lago ondeggiante […] I danni delle proprietà urbane e rurali dei Barcellonesi e del
territorio di Castroreale furono calcolati onze 34.567 (L. 440.729,25), quelli del territorio di
Pozzo di Gotto ad onze 4.536 e tarì 9 (corrispondenti a L. 57.837,82) […] Barcellona divenne
un lago; gli abitanti erano più tosto risoluti di abbandonarla; pareva impossibile potersi porre
riparo a tutti quei guasti e rimettere le abitazioni in sicurezza; quando il barone don Michele
Nicolaci, con nobile iniziativa, compila ed invia nello stesso mese di novembre un ricorso al re
per la via del Tribunale del Real Patrimonio, e descrivendo la desolante scena, chiede soccorsi
ed aiuti dall’erario nazionale. Il re accolse l’istanza, e con dispaccio del 23 dicembre dello
stesso anno destinò l’ingegnere reale direttore e comandante della piazza di Messina, colonnello
d. Amato Poulet de Montfaison, a proporre i mezzi di riparazioni e farne il progetto.
L’intelligente ingegnere comprese subito che due erano le cause di tanta rovina: la tortuosità dei
torrenti e il dissodamento dei terreni in pendio; a riparo dei primi propose mettere in linea retta
il letto dei torrenti e, visitando i luoghi montuosi, designò quei terreni che doveano tenersi
imboscati e che non doveano dissodarsi perché non avvenissero scoscendimenti. Le spese per
l’arginazione e il deviamento del Longano furono calcolate nella relazione onze 1.310, tarì 2 e
grana 1 (L. 131.454,37) […] Il Poulet propose che fossero abbandonati gli antichi alvei, che si
facesse un unico taglio, da Nasari al mare, e che la foce fosse scostata circa ottanta canne per
non recar danni allo scalo di Calderà. Il barone Nicolaci, a cui era stata affidata dal tribunale la
sopraintendenza dell’opera, propose delle modificazioni al piano del Poulet, che questi
pienamente approvò […] Barcellona ebbe il suo rapido incremento per l’opera del Poulet; egli,
coi solidissimi ripari e con le opere di inalveamento, rassicurò gli animi dei cittadini, migliorò
l’aria togliendo il facile impaludamento delle acque, che la tortuosità del torrente soleva
produrre; dopo quest’opera, degna del maggior encomio, sorsero le belle case, dove prima,
invece, scorrevano limacciose le acque […] Il magistrato municipale di Pozzo di Gotto chiese
che fosse posto riparo al torrente Lando che minacciava anche esso. Il Nicolaci prestossi
all’opera, fece anche da ingegnere e il fiume fu raddrizzato e allargato secondo anche la
relazione del Poulet […] Nello stesso tempo, siccome il torrente grande di S. Lucia minacciava
pur d’inondare le case poste sotto Merì, che allora appartenevano al territorio di Pozzo di Gotto,
fece rialzare a spese dello erario le antiche bastie in capo a quella terra per la lunghezza di
canne 230, e fabbricarne altre nuove sulla contrada Cammicia di 25 di linea colla spesa totale di
onze 127 (L. 1.619,25). E in quegli stessi tempi furono fatte talune riparazioni al fume Platì» e
«a quello di Mazzarà» (ROSSITTO, pp. 186-190). Altre esondazioni del Longano furono
registrate nel 1847 (ROSSITTO, p. 189) e nel periodo compreso tra il 1863 e il 1873
(BARCELLONA 1885, p. 6). Una causa che generava le frequenti piene del principale fiume
barcellonese era «il livello del suolo» che si elevava continuamente, «e ciò tanto per
l’infrenabile dissodamento dei terreni a pendio», che forniva «le materie ai depositi sempre
crescenti, quanto per l’elevazione continua della foce per l’accumulo delle dune sabbiose che il
mare continuamente» formava sul litorale. «Questo elevamento, lento ma continuo e
incessante», portava le acque del Longano a superare «il livello degli argini», interrando durante
le piene gli edifici prossimi al suo corso. Nel 1885, mentre si stava scavando un pozzo nella
proprietà Raymo di via Villa, «a 5 metri» di profondità dal livello del suolo, fu rinvenuta «una
casa colonica col tetto, le mura e masserizie nell’interno, la quale sicuramente, in tempo non
molto lontano, doveva essere abitata» (BARCELLONA 1885, pp.10-11).
27
porto di Milazzo»),70 l’Idria o Lando (che «allagava in tempi molto remoti il
terreno dove sorse Pozzo di Gotto»)71 e il Patrì (esondato intorno al 158472 ed
oggetto di «talune riparazioni» anche nel XIX secolo73).
Dalle dettagliate informazioni del Rossitto si evince che i fenomeni antropici, il
disboscamento dei luoghi e le variazioni geomorfologiche e topografiche che
erano avvenute nel corso dei secoli nei bacini idrici dei fiumi occidentali
milazzesi (oggi ridotti a piccoli corsi torrentizi inglobati negli abitati prossimi al
mare Tirreno), impedivano la corretta lettura delle caratteristiche orografiche che
la piana di Milazzo presentava al tempo dello scontro tra Mamertini e Siracusani.
La mancanza di tali cognizioni e l’indeterminatezza dei luoghi descritti da
Diodoro Siculo e Polibio continuarono fino alla metà del secolo scorso a far
ritenere, principalmente i torrenti Mela, Patrì e Longano, collegabili all’antico
fiume Longanòs, che dal terzo decennio del XIX secolo cominciò ad essere
accostato ad un mitologico insediamento detto Longane.
ROSSITTO, p. 99.
71
ROSSITTO, p. 106.
72
Questa esondazione portò alla cancellazione del villaggio sito nel «fundo di Politi», che fu
spostato «supra la chiesa di Santa Maria di Porto Salvo», nell’omonima contrada collinare
barcellonese (MUSEO CASTROREALE, cc. 155v-156r).
73
ROSSITTO, p. 105.
70
28
LA CIVILTÁ DI LONGANE
Nella prima metà del XIX secolo cominciò ad affermarsi nel dibattito
scientifico l’esistenza di uno sconosciuto insediamento siciliano, legato ad alcune
monete su cui è presente l’epiteto Longanaion.
Dopo l’individuazione, da parte del numismatico francese Joseph Pellerin, di
una moneta (Fig. 11) su cui era
riportata la legenda ȁȅī (che fu
riferita «à la ville de Longonè en
Sicile», su indicazione di Stefano
di Bisanzio),74 iniziò ad essere
Fig. 11 – La moneta attenzionata da Joseph Pellerin.
segnalata una litra, custodita a
Noto nel museo del barone
Antonino Astuto, che riportava sul diritto una «testa giovanile coverta dalla pelle
di leone» con «legenda retrograda, da sotto il mento alla fronte,
ȁȅīīANAION», e sul rovescio una «testa giovanile cornuta dall’occhio
sinistro».75 Attenzionata dal Calcagni nel 1808,76 essa fu analizzata nel 1837
dall’archeologo inglese James Millingen (Fig. 12), il quale, riferendo anche di
un’altra litra similare, evidenziava che il disegno e la lavorazione erano
caratterizzati da uno stile barbaro, circostanza da lui ritenuta legata a una città
situata nella parte interna della Sicilia, dove le arti non avevano raggiunto un alto
«Longoné. Celle du n°. 48, est attribuée à la ville de Longoné en Sicile, parce qu’on n’en
trouve pas d’autres dont le nom commence par ȁȅī, à qui elle puisse convenir. Etienne de
Byzance est le seul qui fasse mention de cette ville» (PELLERIN, p. 106).
75
CALCAGNI, p. 25. Il museo del barone Antonino Astuto era caratterizzato da «una eccellente e
numerosa collezione di antiche medaglie d’oro, d’argento, di rame e di bronzo, contenente
l’intiera serie delle monete greco-sicule, la quale, pel comune consenso degli eruditi,
numismatici viaggiatori», non aveva eguali «in Italia e forse in tutta l’Europa» (PIRAINO
GIOENI, p. 12). Questa celebre collezione, tranne i libri e le monete, fu «acquistata nel 1861 dal
Museo dell’Università di Palermo» e poi confluì «nell’attuale Museo Archeologico Salinas»
(DI BELLA, p. 68).
76
CALCAGNI, p. 25.
74
29
Fig. 12 – La litra che fu attenzionata da James Millingen.
grado di perfezione.77 L’archeologo inglese, inoltre, menzionò la città di
«Longone» di Stefano Bizantino e Filisto (ubicandola, su indicazione di Diodoro
Siculo, nel territorio di Catania) e anche il fiume «Longanus» di Diodoro e
Polibio (sito «in the Mylaean plain», tra Milazzo e Tindari), rilevando, sulla
scorta dello scolio di Licofrone di Calcide, che il nome ȁȅīīANAION, di
origine ellenica, trovava collegamento con un borgo della Beozia detto
«0SKKN», dove era presente un tempio di Minerva «0SKKXMN».78
La litra descritta dal Millingen fu attenzionata anche sul Numismatic Journal,
edito da John Yonge Akerman, segretario
London.
della Society of Antiquaries of
79
«ȁȅīīANAION, from right to left. Juvenile head of Hercules. Rev. Youthful head of
uncertain character […] «The present coin and one similar, in the collection of Baron Astuto, at
Noto, are those hitherto known. The workmanship and design ot them are rude; a circumstance
which makes it probable that Longane was situated in the interior of the island, where the arts
were not in the same state of perfection as in the maritime cities. The copper coins with ȁȅī
are also of the same rude style» (MILLINGEN, p. 27).
78
«A brass coin, with the initials ȁȅī, was published by Pellerin, who ascribed it to Longone in
Sicily, an attribution which, though called in doubt by Eckhell, acquires confirmation from the
present silver obolus, with the entire legend ȁȅīīANAION. The name of this city is recorded
by Stephanus of Byzantium, on the authority of Philistus; he calls it Longone, but without
saying in what part of the island it was situated. From Diodorus Siculus, however, we learn that
it was a fortress in the territory of Catana. A river Longanus is likewise mentioned by Polybius
and Diodorus, which, from its name, might be supposed to have been near the city; but, from the
account of Polybius, who speaks of it as being in the Mylaean plain, modern geographers have
placed it between Mylae and Tyndaris, on the Northern side of the island. The name of this city,
though apparently barbarous, may be of Hellenic origin, since a borough in Boeotia was called
0SKKN, where Minerva had a temple, whence the epithet of 0SKKXMN was given to her»
(MILLINGEN, p. 27).
79
AKERMAN, p. 88.
77
30
Nel 1840, una litra d’argento con la legenda ȁȅīīANAION, d’incerta
provenienza, fu acquisita dal British Museum di Londra tramite Harry Osborn
Cureton, commerciante di oggetti di antiquariato che acquistò gran parte della
collezione di monete di John Robert Steuart.80
Una moneta d’argento, caratterizzata dalla legenda retrograda ȁȅīīANAION,
dalla testa di Eracle e da una divinità fluviale, fu inserita anche nel catalogo che
Reginald Stuart Poole pubblicò nel 1876 per conto del British Museum (Fig. 13).
Il Poole la riferì alla città di «Longon», sita nella campagna catanese secondo le
indicazioni di Filisto e Diodoro Siculo, interpretando inoltre che sul rovescio era
presente il dio fluviale «Amenanos», chiaro riferimento al fiume catanese
Amenano.81
Fig. 13 – La litra pubblicata da Reginald Stuart Poole.
Dalla seconda metà del XIX secolo furono individuate e divulgate altre litre
d’argento caratterizzate sul diritto dalla testa di Eracle con leontè (attorniata dalla
legenda retrograda ȁȅīīANAION o ȁȅNīHNAION) e sul rovescio da una
divinità fluviale con i capelli smossi e un piccolo corno sulla fronte (Figg. 14 e
15). Riferite da vari numismatici agli ultimi decenni del V secolo a. C. (424-415
a.C.),82 queste monete attestarono l’esistenza di un antico insediamento siciliano
Informazioni presenti sul sito http://britishmuseum.org (Longane – silver coin).
81
«NOIANAīīȅȁ. Head of young Herakles r., in lion’s skin: border of dots. Young head I. of
river-god Amenanos, with short horn above forehead» (POOLE, p. 96).
82
JENKINS 1975, pp. 99-101. La testa di Eracle che caratterizza le litre di Longane risulta
confrontabile con lo stesso eroe mitologico che ricorre nella monetazione emessa da Kamarina
negli ultimi decenni del V sec. a.C. (CONSOLO LANGHER, p. 143; JENKINS 1980, pp. 40-56;
80
31
detto Longane, legato ad un fiume e battente moneta durante il periodo greco.
Fig. 14 – Litre su cui è riportato l’epiteto ȁȅīīANAION (Bibliothèque nationale de France,
Département monnaies, médailles et antiques).
INGOGLIA 2011, p. 261). La divinità fluviale delle litre (con la testa rivolta a destra o a sinistra),
invece, trova analogie con il dio fluviale Gelas che caratterizza la monetazione bronzea coniata
da Gela dopo il 425 a. C. (JENKINS 1970, nn. 499-501 e 521-529; INGOGLIA 2011, p. 262). Tutto
ciò sembrebbe attestare l’esistenza di rapporti politici e culturali tra Longane, Kamarina e Gela
negli ultimi decenni del V secolo a. C.. Due litre di Longane, oggi custodite nel Museo
Nazionale di Siracusa, provengono da Halaesa (Tusa) e Kamarina (JENKINS 1975, p. 102;
INGOGLIA 2011, p. 261).
32
Fig. 15 – Litre su cui sono riportati gli epiteti ȁȅīīANAION e ȁȅNīHNAION (collezioni private).
33
Il dibattito su questo antico
insediamento
prese
maggiore
consistenza dal 1875, anno in cui
il British Museum di Londra
acquisì un caduceo (OLV»OIMSR)
bronzeo
recante
sullo
cilindrico
stelo
l’iscrizione
ȁȅȃīǼȃǹǿȅȈ
EMI
83
(sono l’araldo
ǻHMOȈIOȈ
pubblico
importante
proveniente
longanese).
reperto
da
Questo
(Fig.
un
16),
sepolcro
imprecisato della Sicilia e riferito
alla sepoltura di un araldo o
ambasciatore (O¢VY\ , presenta
nella sommità dello stelo due
serpenti con le teste contrapposte
e con occhi e bocca incisi, i cui
corpi si fondono per formare un
Fig. 16 – Il caduceo di Longane esposto nel British
Museum di Londra.
anello (Fig. 16). 84
Nel
ventennio
seguente,
il
85
caduceo fu segnalato alla comunità scientifica da Max Fränkel (1876),
Hermann Rohel (1882),86 Ernest Stewart Roberts (1887)87 e Henry Beauchamp
BERNABÒ BREA 1967, p. 41; FRÄNKEL, p. 40; ROHEL, p. 150; ROBERTS, p. 206; WALTERS, p.
48.
84
Il caduceo, emblema degli araldi e dei messaggeri ed espressione dell’identità politicoculturale di un insediamento, era «particolarmente necessario presso comunità ostili ed in
guerra». L’invio di araldi o messaggeri senza caduceo «indicava che non vi era ancora uno stato
di guerra dichiarata» (AMPOLO, p. 182). I serpenti del caduceo rappresentavano genericamente
la forza, e la loro disposizione con simmetria bilaterale sembra esprimere «l’idea di equilibrio
attivo di forze avversarie che si oppongono per dare luogo a una forma statica e superiore»
(GATTO, pp. 76-77).
83
34
Walters (1899),88 i quali, in modo particolare, sottolinearono che l’iscrizione
presentava alfabeto calcidese e dialetto
ionico, e che il nome di questo
insediamento, dall’originario «Longene», era in seguito divenuto «Longane».89
Il rinnovato interesse verso quest’antica civiltà portò alcuni studiosi ad
avanzare delle ipotesi circa l’ubicazione della città di «Longone», «Longane» o
«Longene», seguendo le fonti antiche conosciute.
Al Roberts che riferì il caduceo a «Longana» sita «near Messene»,90 si
associarono l’Hill che legò le litre con l’iscrizione ȁȅīīANAION a un luogo
sito «near Mylae (Milazzo)»,91 l’Holm che le riferì al fiume della piana di
Milazzo,92 e l’Head che, datando una litra tra il 466 e il 415 a.C., dapprima
(1887) la collegò a Longone «in the territory of Catana» (menzionando anche il
fiume «Longanus» di Polibio),93 e in un secondo tempo (1911) la riferì a «some
town on the river Longanus», sita «in the Mylaean plain».94
«Caduceus von Bronze mit Inschrift archaischen Charakters ȁȅȃīǼȃǹǿȅȈEMIǻEMOȈ….
In einem sicilischen Grabe gefunden; wahrscheinlich Amtsstab eines Heroldes der Stadt
Longane, von welcher wir Münzen haben» (FRÄNKEL, p. 40).
86
«Titulus Longenaeus in caduceo aeneo musei Britannici reperto in sepulcro Siciliensi […]
ȁȅȃīǼȃǹǿȅȈEMIǻǼMOȈ…. 0SRKLREl³N IeQMHLQ³W?MSNA Hunc caduceum gestavit praeco
publicus urbis Longanae haud procul a Messana sitae; eam, quo tempore a Chalcidensibus
incolebatur, Longenem appellatum esse consentaneum est» (ROHEL, p. 150).
87
«On a bronze caduceus from Longana (near Messene) found in a Siciliam tomb, and now in
the Br. Mus. […] ȁȅȃīǼȃǹǿȅȈEMIǻEMOȈ…. 0SRKLREl³N IeQM HLQ³W?MSNA It is natural
suppose that under Chalcidian rule the name of the town was Longene, not Longane»
(ROBERTS, p. 206).
88
«Caduceus. On the shaft is inscribed: ȁȅȃīǼȃǹǿȅȈ EMI ǻǼMOȈIO., ȁSRKLREl³N IeQM
HLQ³WMS?NA, i.e. the staff of the public herald of the town of Longenè […] Sicily, 1875; found in
a tomb […] The alphabet is Chalcidian, the dialect Ionic» (WALTERS, p. 48).
La forma ionica ȁȅȃīǼȃǹǿȅȈ che fu registrata sul caduceo indica che esso è più antico
delle litre con l’epiteto dorico ȁȅīīANAION, in modo analogo a quanto avvenne nella
monetazione di Messina, che intorno alla metà del V sec. a.C. sostituì la legenda Messene con la
forma dorica Messana (JENKINS 1975, p. 101; INGOGLIA 2011, p. 261; BERNABÒ BREA 1967, p.
41). Considerazioni di carattere epigrafico farebbero ritenere il caduceo di Longane «anteriore
al 461 a.C.» (BERNABÒ BREA 1967, p. 41). Le litre su cui appare la variante ȁȅNīHNAION,
invece, sembrano cronologicamente vicine al caduceo bronzeo.
90
ROBERTS, p. 206.
91
«The litrae reading ȁȅīīANAION (heads of Heracles and of a young river-god) and
IīANATAN (eagle standing on a capital, and dolphin with shellfish) belong to small places, the
first perhaps near Mylae (Milazzo), the second near Palermo» (HILL, p. 92).
92
HOLM 1870, p. 345; MIRONE 1916, p. 451.
93
«Longane. Diodorus (xxiv. 6) mentions a fortress, Longon, in the territory of Catana. A river
Longanus is also mentioned by Polybius (i. 9) as being in the Mylaean plain (Holm, Gesch.
85
35
Nel 1914, il Casagrandi, riprendendo i rilievi del Ciaceri (che collegavano il
santuario della dea Longatis di Licofrone di Calcide, la città di 0SKKÉRL
menzionata da Filisto e il castello 0¶KK[R di Diodoro Siculo con la borgata
catanese detta Ognina o Lognina),95 ubicò l’insediamento di Longane e il
santuario di Atena Longatis su una collina catanese percorsa da una strada
provinciale, nelle cui prossimità doveva scorrere il fiume Longano, rappresentato
nelle monete con la «testa giovanile di un dio fluviale».96 La collina su cui era
ubicata Longane, secondo il Casagrandi, serviva da spartiacque per il fiume
Amenano ad ovest, e «per il Lòngano ad est».97
Due anni più tardi, Salvatore Mirone, basandosi sul testo di Polibio in cui si fa
menzione «non di una città ma del fiume 0SKKRSN con il quale poi si deve
correggere il PSiXERSRTSXEQ¶Rdi Diodoro», criticò le tesi di Holm, Head e Hill
per il fatto che lo storico greco, «con tutta certezza, avrebbe fatto cenno della
Sic., i. 345). Circ. B.C. 466-415. ȁȅīīANAION (retrogr.) Head of Herakles. Head of young
river-god with short horns» (HEAD 1887, p. 132).
94
«Longane. Diodorus (xxiv. 6) mentions a fortress, Longon, in the territory of Catana, but the
following coin was more probably struck at some town on the river Longanus, mentioned by
Polybius (I.9) as being in the Mylaean plain (Holm, Gesch. Sic., i. 345). Circ. B.C. 466-413.
ȁȅīīANAION (retrogr.) Head of young Herakles in lion-skin. Head of young river-god with
short horns» (HEAD 1911, p. 151).
95
CASAGRANDI 1914, p. 29; CIACERI 1901, pp. 209, 290; CIACERI 1911, p. 157; MIRONE 1916,
p. 453.
96
La personificazione monetale dei fiumi, molto diffusa nel periodo greco, nasceva dal bisogno
di identificare gli insediamenti con le divinità locali oggetto di pratiche cultuali (CAHN, p. 33).
La figura di Eracle, che compare nelle litre di Longane, fu molte volte unita nella numismatica
greca alle divinità fluviali indigene, poiché era legata in maniera diretta a componenti socioculturali universali (forza, potenza, transumanza, valore militare, religione) e all’acqua (CAHN,
p. 33; COLLIN BOUFFIER, P. 43; GENOVESE 1999, p. 202).
97
«Il porto di Catana antica, che ha veduto impegnarsi nel suo seno strepitose battaglie navali,
come quella fra Siracusani e Cartaginesi nell’anno 405 a.C., [...] non può essere riscontrato
nell’insignificante Porto Saraceno alle foci dell’Amenano, e tanto meno a Murgantia ?A Il
porto doveva essere vicino a Lòngane e la presenza di un tempio ad Athena lo conferma; e
l’appellativo di Longatis acquistatosi dalla Dea prova pure che doveva essere ben noto ai
naviganti ?A il Porto di Catania antica nei tempi greci e romani dovrà cercarsi nella zona
interposta in quella insenatura, cioè fra il promontorio del Gaìto a sud, e quello Capace ad est ?A
Sulla collina circolare soprastante, percorsa ora dalla strada provinciale dalla Guardia al Rotolo,
doveva sorgere il sobborgo Lòngane e il santuario di Athena e per la valle retrostante ad ovest,
che a poco a poco fu invasa dalle seguenti lave, doveva scorrere l’omonimo fiume (nelle monete
di Lòngane è raffigurato in una testa giovanile di un dio fluviale) ?A La quale collina come in
tutti i tempi servì di spartilave, così sempre di spartiacque, per l’Amenano ad ovest, per il
Lòngano ad est della città» (CASAGRANDI 1914, pp. 29-30).
36
città di Lòngane posta nel territorio di Milazzo e non del fiume, massimamente
che si trattava di descrivere la battaglia avvenuta, poco tempo prima della sua
nascita, fra i Siracusani, comandati da Gerone II, ed i Mamertini che furono
sconfitti».98 Sebbene il nome «Longana» fosse dato «a quella punta di terra nelle
vicinanze di Milazzo ove sbocca il piccolo fiume di Castro e ricorda il fiume
menzionato dal detto Polibio (I, 9) e da Diodoro», il Mirone, riprendendo la tesi
del Casagrandi, ritenne che l’insediamento di «Lòngane o Lòngone» fosse da
identificare con «il castello 0¶KK[R» di Diodoro Siculo e «con la città di
0¶KK[RLricordata da Filisto», siti in prossimità di Catania e nelle vicinanze di
un tempio dedicato alla dea Longatis.99 Salvatore Mirone riferì la testa del dio
fluviale raffigurata sulle litre con la legenda ȁȅīīANAION al «fiume
Leucatea» presso Catania, collegando a Longane anche due monete romane in
bronzo riportanti sul diritto una testa imberbe diademata e sul rovescio una
cornucopia con la legenda ȁȅī (Fig. 17), simili alla moneta che fu attenzionata
da Joseph Pellerin nel 1763 (Fig. 11).100
Fig. 17 – Moneta in bronzo su cui è presente la legenda ȁȅī (Bibliothèque nationale de France,
Département monnaies, médailles et antiques).
MIRONE 1916, pp. 451-452, 458.
99
MIRONE 1916, pp. 452-455.
100
MIRONE 1916, pp. 456-457,459-460; PELLERIN, p. 106. Il Mirone, che attinse queste due
monete da una pubblicazione del Mionnet (MIONNET, p. 250), le riferì alla «dominazione
romana», data la presenza della «leggenda accorciata». Esse tuttavia non appaiono riconducibili
all’antica civiltà di Longane (MINÌ, p. 274).
98
37
Il Mirone confermò la sua tesi su Longane anche in una pubblicazione del
1930, giudicando inoltre la divinità presente sulle litre con l’epiteto
ȁȅīīANAION molto simile, «per lo stile», al dio fluviale Amenano (che ricorre
su varie dracme coniate da /EXRL nel V sec. a.C.).101
Vari esperti di numismatica contemporanei del Mirone, tra cui Jean Babelon,
invece, ritennero che la divinità presente sulle litre con la legenda
ȁȅīīANAION corrispondesse al dio fluviale Amenano102 (Fig. 18B).
Fig. 18 – Divinità fluviale presente sulle litre con gli epiteti ȁȅīīANAION e
ȁȅNīHNAION (A), e il dio fluviale %1)2%237 (B) raffigurato su una moneta del 405402 a.C. (collezione privata).
La tesi che voleva Longane e Longone come un unico sito catanese, trovò in
seguito scarso riscontro, sia per la mancanza di rispondenze archeologiche nel
sito presunto, sia per la notevole differenza rappresentativa che intercorre tra il
dio fluviale «%1)2%237» e la divinità che caratterizza le litre con gli epiteti
ȁȅīīANAION e ȁȅNīHNAION (Figg. 18A e 18B).
Cominciò così a prendere corpo l’ipotesi che in Sicilia, durante la
colonizzazione greca, fossero stati presenti due diversi insediamenti: Longone,
MIRONE 1916, p. 459; MIRONE 1930, pp. 5-13.
BABELON, p. 196; MIRONE S
38
legato all’epiteto ȁȅīīȅNAIOȈ di Filisto e connesso al «OEXRLNJV¾VMSR»di
Diodoro Siculo, e Longane, caratterizzato dagli epiteti ȁȅīīANAION,
ȁȅNīHNAION e ȁȅȃīǼȃǹǿȅȈ, registrati sulle litre e sul caduceo del British
Museum di Londra, che iniziò ad apparire indissolubilmente congiunto al fiume
«0SKKER¶R» della piana di Milazzo, sede della battaglia tra i Mamertini di Kios e
i Siracusani di Ierone II.
Per cercare di risovere l’enigma di un antico insediamento legato ad un fiume
della piana occidentale di Milazzo, bisognerà attendere le indagini archeologiche
che saranno avviate a partire dal 1910.
39
LE INDAGINI
DI VINCENZO CANNIZZO E PAOLO ORSI
Le prime indagini archeologiche che furono condotte nel vasto comprensorio
della valle del Longano risalgono al 1910, quando Vincenzo Cannizzo, su invito
dell’archeologo Paolo Orsi con cui aveva fatto pratica «esplorando le vaste
necropoli sicule della sua borgata nativa (Licodia Eublea)», cominciò a indagare
le aree site nel «versante settentrionale dei Peloritani».103 Come scriverà qualche
anno dopo Paolo Orsi, il Cannizzo fu attratto da una vasta necropoli ormai
«destinata alla ruina e al saccheggio», adagiata «sul dorso di una collina
denominata Oliveto104 attigua all’abitato di Pozzo di Gotto, dove i «villici» locali
riferivano «di aver ivi trovato scheletri distesi con piccole suppellettili» (Fig. 19).
L’intera area, che aveva subito in precedenza varie violazioni, era stata visitata
anche dall’archeologo Antonino Salinas, il quale vi aveva scattato fotografie,
«comperando qualche oggetto dai villici».105
La necropoli era contraddistinta, sul colmo della collina, da molte «fosse
rettangolari aperte nella roccia e protette da copertoni di tegole e di lastre calcari»
(che furono riferite da Orsi al periodo greco o ellenistico). Altre tombe furono
individuate sulla «collina opposta» della valle.106
L’area che fu indagata dal Cannizzo, sita sui «fianchi» terrazzati della collina
Oliveto, era caratterizzata da «alcune decine di tombe sicule», aventi camere con
forme circolari e rettangolari (prive di «panconi, letti funebri e loculi»). Le tombe
presentavano nell’ingresso «porticine rettangolari, alle volte munite di
corniciature e incassi», su cui dovevano essere presenti «lastroni» di chiusura,
ORSI, p. 71.
104
La collina Oliveto ricade nell’attuale contrada Cavalieri.
105
«Pare, secondo notizie che il prof. Cannizzo attinse da persone del paese, che anche il prof.
Salinas abbia visitato la località, eseguendo fotografie di alcuni gruppetti, e comperando qualche
oggetto dai villici» (ORSI, p. 73). Antonino Salinas (1841-1914) fu professore di archeologia
nell'università di Palermo e direttore del Museo Nazionale di Palermo e degli scavi della Sicilia
occidentale. Tra le sue pubblicazioni spicca il volume Le monete delle antiche città di Sicilia
(Stabilimento tipografico di Francesco Lao, Palermo, 1867-1872).
103
40
Fig. 19 – Le contrade Oliveto-Cavalieri e Mustaco.
«tenuti a posto da un travicello orizzontale innestato in due fori degli stipiti
laterali».107
Vincenzo Cannizzo riuscì a scoprire tre sepolcri ancora grossolanamente intatti,
eseguendo alcune «giornate di scavo». Il primo sito indagato, ubicato nella
«penultima terrazza del declive nord-est», fu una grotta delle dimensioni di «m.
1,80 x 1,60». La volta e l’alzata delle pareti si presentavano «franate ab
immemorabili», condizione che tuttavia consentì di recuperare i resti di non
meno di tre persone («coi crani verso mezzogiorno»), due anfore e un anellino di
bronzo.108 Il secondo sito era una «grotta dell’ultima terrazza, priva di soffitto e
di laterali», con «ingresso a nord-est» e «pianta circolare». Furono rinvenuti i
resti di un numero imprecisato di persone, «due scodelle, un fiaschetto, un
poculo, una oenochoe, una mezza rotella ed uno spillo di bronzo».109 L’ultima
p. 72.
ORSI, pp. 72-73.
ORSI, p. 73.
ORSI, p. 73.
ORSI,
107
41
grotta indagata era costituita da un vano «di forma circolare» («assi m. 1,70 x
1,90, alt. 1,50») chiuso da una lastrina intatta. Al suo interno furono ritrovati
«parecchi scheletri disfatti accompagnati da una decina di vasi (scodelle,
bicchieri, oenochoai, fiaschettini)».110
I reperti rinvenuti furono dapprima trasportati a Castroreale, e in seguito inviati,
insieme a un adeguato «rapporto» di Vincenzo Cannizzo, a Siracusa dove,
giungendo mescolati tra loro a causa del viaggio, furono acquisiti dall’archeologo
Paolo Orsi.
Tra i reperti consegnati vi era anche «una grande anfora biansata, sebbene
ridotta in frammenti», formata da un «impasto ordinario rossigno commisto a
grossi
tritumi
dentro
cui,
Cannizzo,
quarzitici»,
secondo
erano
il
state
recuperate le «ossa bruciate
di un bambino».111 Paolo
Orsi,
giudicando
l’anfora
(Fig. 20) poco comune e
simile ad alcune tipologie
rinvenute
nella
«necropoli
sicula di Locri», fu subito
attratto dal suo contenuto,
Fig. 20 - Schizzo ricostruttivo dell’anfora (ORSI, p. 74).
costituito da un «pugno (non
più di tanto) di esili ossa
cremate». La tipologia funeraria attenzionata dal Cannizzo trovò titubante
l’archeologo Orsi, il quale, «dopo oltre cinque lustri di ricerche» e «migliaia di
tombe» esplorate, non era riuscito a rinvenire nessun «caso di cremazione»,
essendo «assurdo il pensiero che i siculi neolitici cremassero, quando, semmai, la
cremazione sarebbe stata loro appresa, parecchi e parecchi secoli dopo, dai
ORSI, p. 73.
111
ORSI, p. 74.
110
42
Greci».112 L’incertezza del rinvenimento portò Paolo Orsi a inviare le ossa
combuste alla direzione del Museo Antropologico di Firenze, chiedendo
l’esecuzione di opportune indagini. Le analisi eseguite, comunicate dal direttore
Aldobrandino Mochi, giudicarono le ossa «certamente cremate» e appartenenti
«a individui o ad un individuo assai giovane, ma probabilmente non addirittura
infantile».113 L’eccezionalità del primo «caso di cremazione» riscontrato, portò
Orsi a giudicarlo legato «a contatti ed influenze greche», o «contemporaneo
all’apparizione delle prime colonie greche in Sicilia».114
Tra i ritrovamenti inviati dal Cannizzo spiccava inoltre un’anfora quasi integra,
simile alla precedente, caratterizzata da una «decorazione geometrica tracciata a
punta assai sottile sulle spalle», con «una fascia a denti di lupo ed una sottostante
a campi metopiformi divisi da triglifi ed occupati da clepsidre e fasci adagiati di
spinapesce». Le sue forme, la partizione e la distribuzione organica furono
giudicate vicine alla «ceramica geometrica dipinta di origine greca».115
Gli altri reperti rinvenuti dal Cannizzo, e in seguito segnalati da Paolo Orsi sul
Bullettino di Paletnologia Italiana (1915), furono: un’«anfora in creta plumbea e
liscia», un’«anforetta in creta bigia», un «pentolino o bicchiere di forma ovolare
in creta rossigna», un pentolino od olletta in «creta bigia», una piccolla olletta
«Ad ogni modo non è il vaso di per sè solo che attira la nostra attenzione, ma si bene il suo
contenuto. Infatti sul fondo di esso venne raccolto un pugno (non più di tanto) di esili ossa
cremate, che il prof. Cannizzo, forse troppo affrettatamente, dichiarò di fanciullo. Che i Siculi
cremassero non consta; dalle migliaia di tombe fin qui esplorate non un solo caso di cremazione
indiscutibile mi è venuto di constatare» (ORSI, pp. 75-76).
113
«Davanti a tanta incertezza, ed alle gravissime conseguenze che discendono dall’ammettere
la cremazione umana, ho voluto erigere in giudice competentissimo ed inappellabile la direzione
del R. Museo Antropologico di Firenze, a cui ho mandato le ossa in esame. Ecco il giudizio
pronunziato dal ch. Direttore Aldob. Mochi. “Ho esaminato i fram. di ossa certamente cremate
di Pozzo di Gotto; questo materiale è così scarso ed in tale stato che non permette un lungo
studio; molti dei fram. sono così minuti da non consentire veruna diagnosi. In complesso essi
sembrano appartenere a individui o ad un individuo assai giovane, ma probabilmente non
addirittura infantile”» (ORSI, pp. 75-76).
114
«Constatato, dirò così, in modo ufficiale, questo caso di cremazione, il primo che si presenta
dopo oltre cinque lustri di ricerche, e su migliaia di tombe esplorate, ognuno avvertirà di
leggieri, come esso rappresenti una anomalia, ed una eccezione […] Cronologicamente la
necropoli di Pozzo di Gotto è certo contemporanea all’apparizione delle prime colonie greche in
Sicilia, che fecero conoscere nell’isola l’uso della cremazione. A contatti ed influenze greche io
attribuisco pertanto questo isolato ed eccezionalissimo caso di cremazione» (ORSI, p. 76).
115
ORSI, p. 76.
112
43
«ad anse biforate», 17 esemplari di «boccali o oenochoai a bocca trilobata o
circolare», quattro esemplari di «scodelloni» muniti di anse, due ciotole, due
«capeduncole o Kyathoi ad alto manico», una «piccola cuspide di lancia in ferro
col relativo sauroter», due «fibule a quattro dischi spiraliformi in bronzo» (di
«importazione paleogreca»), una «doppia rotella ornamentale a giorno» e una
«catenella in frammenti» con «pendaglietti globulari»116 (Figg. 21 e 22).
Le analisi effettuate e il materiale fittile e ceramico rinvenuto portarono Paolo
Orsi ad affermare che «sulla collina Oliveto, presso Pozzo di Gotto, esisteva un
abitato siculo colla rispettiva necropoli, la cui età viene a cadere in media nel sec.
VIII a.C.».117
Le indagini del collaboratore di Orsi si estesero anche ad un sito ricadente «in
contrada Mustaca» (o Mustaco), costituito da un «piccolo acrocoro» posto «sulla
sponda destra del fiume di Rodì» (torrente Patrì o Termini). Nell’area indagata,
oggi ricadente nel territorio di Rodì Milici (Fig. 19), Vincenzo Cannizzo
rinvenne «numerosi sepolcri formati da lastroni calcari e protetti al di sopra da
ciotoloni vari», manomessi in gran parte dai contadini del luogo.118 Il Cannizzo
visionò anche alcuni vasi «in mano dei villici», raccogliendo voce che in un
sepolcro era stato trovato lo scheletro «di un guerriero con elmo e corazza in
bronzo, e una spada». Lo scarso materiale ceramico rinvenuto e il contenuto di
una tomba (in cui furono recuperate «due anfore grezze, un cratere e quattro
scodelline») spinsero a riferire i reperti al periodo compreso tra il VI e il IV
secolo a.C..
La vastità della necropoli segnalata dal Cannizzo, inoltre, fece avanzare
all’archeologo Orsi la «semplice congettura» che il sito, «in attesa di scavi
regolari», fosse stato abitato da una «grossa borgata di indigeni» che «nel 5°
secolo aveva adottato le forme sepolcrali ed i portati industriali della ormai pre-
ORSI, pp. 76-81.
117
ORSI, p. 83.
118
ORSI, p. 83.
116
44
Fig. 21 - Alcuni reperti che furono rinvenuti da Vincenzo Cannizzo a Pozzo di Gotto (ORSI, TAV.
II): catenella con pendaglietti globulari (1), doppia rotella ornamentale (2), fibula a 4 dischi
spiraliformi in bronzo (3), boccale in creta bigia o rossastra (4) capeduncola ad alto manico (5),
ciotola con fregio a croci oblique e triglifi (6), anfora in creta plumbea e liscia (7), anfora con
decorazione geometrica (8) e pentolino in creta rossigna (9).
45
Fig. 22 - Alcuni reperti che furono recuperati da Vincenzo Cannizzo a Pozzo di Gotto (ORSI, TAV.
III): boccali od oinochai in creta bigia o rossastra (1, 3, 4, 5, 6), cuspide di lancia con sauroter (2, 7),
pentolino in creta bigia (8) e olletta ad anse biforate (9).
46
dominante civiltà greca».119
Nel suo saggio, Paolo Orsi dimostrava di non conoscere il dibattito scientifico
legato alle litre e al caduceo di Longane, poiché riferiva che le «fonti scritte» e le
«carte archeologiche della Sicilia» non segnalavano in quelle contrade «veruna
città greca», tranne «la città di Abacenum, sicula di origine e col 5° secolo
grecizzata», «S. Mauro di Centuripa» e «altri piccoli centri dell’interno».120
«Il materiale ceramico rinvenuto, e solo in piccola parte conservato, è così tenue, che non
permette una esatta valutazione cronologica; parmi si tratti di una necropoli del 5° secolo, che
coi suoi estremi potrebbe anche estendersi un po’ nel VI e nel IV; ma è prudente non azzardare
ipotesi, in attesa di scavi regolari. Ad ogni modo fino a nuove e vaste esplorazioni io baso la mia
determinazione cronologica sui relitti fittili esaminati sul terreno, sui pochi vasi visti dal prof.
Cannizzo in mano dei villici, e sul contenuto di una tomba da lui esplorata che ha dato due
anfore grezze, un cratere, e quattro scodelline. La vastità non indifferente della necropoli allude
ad un abitato di notevole vastità; era, se non una città vera e propria, una grande borgata di
mezza montagna […] Io avanzo pertanto la congettura che noi ci troviamo davanti alla
necropoli di una grossa borgata di indigeni, che nel 5° secolo aveva adottato le forme sepolcrali
ed i portali industriali della ormai predominate civiltà greca» (ORSI, pp. 83-84).
120
ORSI, p. 84.
119
47
LA TESI
DI DOMENICO RYOLO E LUIGI BERNABÒ BREA
Intorno alla metà del secolo scorso, l’ingegnere milazzese Domenico Ryolo,
considerando la segnalazione della vasta necropoli sita nella contrada Mustaco
che Paolo Orsi giudicò legata ad «una città vera e propria» o ad «una grande
borgata di mezza montagna»,121 cominciò a indagare le aree poste a ridosso del
torrente Patrì o di Rodì. Principale motivo delle sue ricerche fu cercare di
stabilire l’ubicazione «del torrente Longano o Loitano», sede della battaglia della
«prima metà del III secolo a.C.», la cui individuazione non era stata risolta
«convincentemente».122 Supportava le ricerche anche la volontà di individuare
l’antica città di Longane, della quale non erano mai state rinvenute testimonianze
archeologiche.
Il Ryolo, nonostante molti storici identificassero il fiume Longanòs con il
«torrentello di scarsa importanza e di limitato bacino idrico» che «scorre tra
Barcellona e Pozzo di Gotto», durante vari sopralluoghi, non riuscì a
«giustificare le varie fasi del combattimento» descritto da Diodoro Siculo. Dopo
un attento «esame della configurazione del terreno di tutta la zona», formulò
l’ipotesi «che l'antico Longano» fosse il torrente, «di maggiore importanza e di
più grande bacino idrico», che «oggi si chiama torrente di Rodì e non quello che
scorre tra Barcellona e Pozzo di Gotto». Forte di questa ipotesi, l’ingegnere
Ryolo la discusse «col prof. Luigi Bernabò Brea, che l'approvò pienamente».123
ORSI, p. 84.
«E' noto che nella prima metà del III secolo a.C. sulle rive del torrente Longano, o Loitano, i
Siracusani, condotti da Gerone II, vinsero in aspra battaglia i Mamertini, guidati dal loro capo
Chione. Or se da una parte è sicuro lo avvenimento, non altrettanto indiscussa dall'altra è la
ubicazione del torrente. Già la stessa denominazione dà luogo ad incertezze: Longano lo chiama
Polibio, mentre Diodoro Siculo lo dice Loitano. La dizione di Polibio è però oggi
universalmente accettata: essa trova anche conferma nella numismatica – vi è infatti una moneta
d’incerta attribuzione su cui rilevasi la dizione Longano. Gli studiosi che si sono occupati di
accertare la ubicazione di tale torrente sono stati numerosi, ma non si può dire ancora che essi
abbiano risolto il problema convincentemente» (RYOLO 1950-1951, p. 347).
123
«Mi aveva sempre destato non poca meraviglia il fatto che si fosse conservato il nome
dell'epoca greca ad un torrentello di scarsa importanza e di limitato bacino idrico -il torrentello
121
122
48
Partendo
da
questa
considerazione, Bernabò
Brea e il Ryolo, nel 1950,
esplorando
limitrofe
le
alla
Mustaco
zone
contrada
(Fig.
individuarono
27),
resti
fortificazioni
di
ed
importanti
evidenze
archeologiche nell’area di
monte
Fig. 23 – L’ubicazione di Longane secondo Domenico Ryolo.
L'attuale torrente Patrì fu da lui fatto coincidere con il fiume
Longanòs di Polibio.
Cocuzzo
Pirgo
pizzo
(territorio
Rodì Milici).
Alle
e
di
124
ricognizioni
seguirono «due saggi di
scavo in contrada Mustaco», che portarono al ritrovamento di «tre tombe ad
incinerazione sconvolte, frammenti di tegole piatte con listello modanato e
materiale databile al V secolo a.C.». Un contadino, inoltre, gli consegnò
«frammenti bronzei pertinenti alle anse di una situla (secchio) e di un lebete
che scorre tra Barcellona e Pozzo di Gotto, in provincia di Messina cui da molti storici viene
riconosciuto il nome di Longano- mentre si sarebbe perduto nel succedersi dei tempi il nome
della stessa epoca greca ad un torrente di maggiore importanza e di più grande bacino idrico,
posto immediatamente ad occidente del primo: il torrente che oggi, prendendo nome da paeselli
di recente costruzione, è inteso come torrente di Rodì o Patrì. Esaminando poi la battaglia
svoltasi verso il 270 a.C. tra Mamertini e Siracusani sulle rive del Longano, mi riuscì
impossibile sul terreno, nelle vicinanze di Barcellona, giustificare le varie fasi del
combattimento. Passai perciò ad un accurato studio del testo di Diodoro, che descrive tale
battaglia, e ad un esame della configurazione del terreno di tutta la zona, e giunsi alla
conclusione che l'antico Longano è proprio il torrente che oggi si chiama torrente di Rodì e non
quello che scorre tra Barcellona e Pozzo di Gotto. Una tale conclusione mi poneva in contrasto
con le opinioni di numerosi storici e molti di riconosciuto valore: la discussi col prof. Luigi
Bernabò Brea, che l'approvò pienamente. E fummo da ciò spinti, il prof. Bernabò Brea ed io,
alla ricerca della ubicazione della città di Longane, di cui nessuno storico antico parla, ma la cui
esistenza viene documentata da due cimeli esistenti al British Museum di Londra» (RYOLO
1956, p. 255).
124
RYOLO 1967, pp. 9, 23; BERNABÒ BREA 1967, p. 42.
49
(bacile)».125
Questi rinvenimenti convinsero i due studiosi di avere scoperto «testimonianze
ineccepibili dell’esistenza di un’antica città» nel territorio di Rodì Milici, che
subito identificarono con l’antica Longane126 (Fig. 23).
In seguito alla loro segnalazione, nel 1951-1952, la Soprintendenza di Siracusa
intraprese, sotto la direzione di Gian Filippo Carettoni, una campagna di scavo
(circa 54 trincee di saggi) nella zona di casina d’Alcontres (monte Pirgo), che
portò al rinvenimento «di strutture murarie a piccoli blocchi squadrati riferibili a
due ambienti».127
Furono anche indagate le vette di monte Ciappa e pizzo Cocuzzo (Fig. 27). Sul
monte Ciappa «vennero alla luce resti di fortificazioni, datate rispettivamente
all’Età del Bronzo Finale e alla metà del V secolo a.C.».128
Le indagini
rivelarono che monte Ciappa si trovava circondato, tranne il pendio nord, da un
muro di fortificazione («aggere in opera incerta») interrotto «da una serie di torri
quadrate prominenti, in qualche caso porte-torri con spigoli costruiti solidamente
in blocchi squadrati».129 La muratura della cinta muraria, costituita da conci
squadrati uniti a pietre informi, presentava uno spessore variabile tra m. 1,00 e m.
2,40, mentre le torri erano caratterizzate in massima parte da conci squadrati
lunghi fino a m. 1,40, «con altezze tra cm. 35 e cm. 40» (Fig. 24).130
Negli scavi di monte Ciappa furono recuperati frammenti di ceramica che
Bernabò Brea riferì «ad una facies culturale particolare, fiorita tra il XVIII e il
XV secolo a.C.», i cui orizzonti culturali presentavano analogie con le civiltà di
PUMO, p. 15.
BERNABÒ BREA 1967, p. 42.
127
PUMO, p. 15; BERNABÒ BREA 1967, p. 43. Su monte Pirgo venne ipotizzata la presenza di
«un luogo di culto in relazione a sorgenti d’acqua» (PUMO, p. 15).
128
BERNABÒ BREA 1967, p. 44; PUMO, p. 15. La ceramica raccolta nello scavo della Trincea III
era esclusivamente di impasto preistorico. Ciò fece ipotizzare una frequentazione durante l’età
del bronzo antico.
BERNABÒ BREA 1967, p. 43.
130
RYOLO 1967, p 27. Sul lato ovest, le indagini rilevarono «il tracciato della fortificazione per
260 metri: essa presenta muri a grandi blocchi isodromi e con alcune facce bugnate, a doppia
cortina e con riempimento di piccoli blocchi, in cui si aprono tre porte torri, scale e vani
fortificati identificati come magazzini o corpi di guardia» (PUMO, pp. 15-16).
125
126
50
Fig. 24 – Schema planimetrico e resti delle fortificazioni di monte Ciappa (INGOGLIA 2012, p.181;
PUMO, p. 16; RYOLO 1967, p. 17).
Tindari e Vallelunga (Caltanissetta).131
Su pizzo Cocuzzo, invece, furono rinvenute mura megalitiche non squadrate, di
circa 50 cm. di spessore, con due lati (ml. 24,25 e ml. 27,50) che s’incrociavano
ad angolo retto, mentre «il resto della muratura» era «costituito da un lato
curvilineo». Le strutture, collegate da Bernabò Brea alle «vestigia di un castello
sito in posizione fortissima inespugnabile», furono fatte risalire «alla fine dell’età
BERNABÒ BREA 1967, p. 44. La facies Rodì-Tindari-Vallelunga si riteneva originariamente
limitata a questi tre siti. Indagini successive a quelle di Bernabò Brea hanno consentito di
ampliare notevolmente il suo panorama geografico. Il Ryolo, inoltre, ipotizzò che la zona posta
a sud-ovest di monte Ciappa fosse occupata da un teatro. Le indagini allora eseguite non
131
51
del
bronzo
medio»
(«secolo XIII a.C.»).132
Le indagini di Luigi
Bernabò Brea e di
Domenico
Ryolo
proseguirono
l’individuazione
con
di
tombe a grotticella («a
forno o a fornicello») e
«a sezione rettangolare
o quadrata» (talvolta
Fig. 25 – Tomba che fu indagata nella contrada Grassorella (RYOLO
1967, p. 9).
con tetto piano) in
contrada
Grassorella
(pendio di monte Gonia, non molto distante da monte Ciappa e pizzo Cocuzzo) e
in contrada Paparini (posta a nord-ovest di Monte Gonia), che furono riferite
principalmente al IX e VIII secolo a.C. (Fig. 25), anche per il rinvenimento di
«lame», «fibule», «pendagli», «pesi in terracotta» e di vasi «a due anse» con
«collo lungo» e «a superficie granulare con tratti lisci disegnati a zig-zag» (Fig.
26).133
Gli scavi e le indagini eseguite non rinvennero tracce di abitazioni. Bernabò
Brea ritenne che esse fossero state realizzate «nella quasi totalità in legname», e
in seguito cancellate dall’usura del tempo.134
rinvennero però i «residui di pietra che avrebbero dovuto costituire i gradoni» della cavea
(RYOLO 1967, pp. 27-28).
132
BERNABÒ BREA 1967, pp. 42-43; RYOLO 1967, p. 23.
133
BERNABÒ BREA 1967, p. 44; PUMO, pp. 15-16; RYOLO 1967, pp 23-26. Le tombe sono
cronologicamente riferibili «alla facies dell’Età del Bronzo definita appunto di Rodì-TindariVallelunga (XVIII-XIII a.C.) e a quella del Ferro di Pantalica Sud-Finocchitto (850-650 a.C.)».
Uno «spillone bronzeo crociforme coi bracci desinenti a globuli», rinvenuto nella tomba 21, fu
riferito, «per i confronti trovati a Lipari», «all’Età del Bronzo Finale» (PUMO, pp. 15-16).
134
«Delle abitazioni, così come dei monumenti in genere dell’antica città i nostri scavi
trovarono pochissime tracce tanto che dobbiamo supporre che esse fossero nella quasi totalità in
legname e che quindi nulla se ne sia conservato. Infatti i Peloritani nell’antichità dovevano
essere ricoperti da folte foreste di querce, di cui il Bosco di Caronia costituisce l’ultima traccia
superstite» (BERNABÒ BREA 1967, p. 43).
52
Fig. 26 – Reperti che furono rinvenuti nella necropoli di monte Gonia (INGOGLIA 2012, p.178).
Tutti i rinvenimenti effettuati portarono Luigi Bernabò Brea ad affermare che
l’antica Longane, con la sua necropoli di contrada Mustaco, era un tempo ubicata
53
su un piccolo altipiano «misurante m. 500 x 1000 circa», limitato a nord e a sud
da pizzo Cocuzzo e monte Ciappa, e compreso «fra la valle del fiume Termini a
Est e quella del fiume di Mazzarrà a Ovest» (Fig. 27). Le mura megalitiche di
pizzo Cocuzzo furono riferite a «un piccolo forte avanzato a difesa del pianoro»,
mentre monte Ciappa rappresentava «l’acropoli vera e propria della città, dove
dovevano sorgere i templi e gli edifici pubblici, e dove la popolazione poteva
trovare ultimo rifugio e ultima difesa in caso di un assedio nemico».135 La
ceramica raccolta negli scavi non oltrepassava però il V secolo a.C., condizione
che portò a ritenere che Longane era stata violentemente distrutta (e non più
ricostruita, nonostante tracce di frequentazioni posteriori136) «sul finire del V
secolo, nell’agitato periodo che vide le due spedizioni ateniesi contro Siracusa e
«Longane si sviluppò sul piccolo altipiano che sovrasta l’abitato di Rodì fra la valle del
fiume Termini a Est e quella del fiume di Mazzarrà a Ovest. Altipiano dalla superficie non
molto ampia misurante m. 500 x 1000 circa ma difeso tutto intorno da pendici ripidissime e
limitato ai due estremi Nord e Sud da due cime più elevate. L’uno, quello meridionale,
conosciuto col nome di Monte Ferri o Monte Cocuzza, più alto, conico, a forma di pan di
zucchero, sbarrava l’accesso al pianoro per chi scendesse dall’alto dei Peloritani. Sulla sua vetta
riconoscemmo le vestigia di un castello sito in posizione fortissima inespugnabile, del quale
ancora si riconoscono le fondazioni dei muri. L’altro dosso, quello con cui l’altipiano si affaccia
verso la piana costiera, indicato dalle carte dell’Istituto Geografico militare come Monte Ciappa,
è assai più ampio, a sommi tratti pianeggiante. Lo si può considerare un grande torrione
soprelevantesi dall’altipiano. Gli scavi da noi effettuati rilevarono che esso era interamente
circondato (salvo verso Nord dove il pendio scosceso formava già un sufficiente elemento di
difesa) da un muro di fortificazione, un aggere in opera incerta, interrotto da una serie di torri
quadrate prominenti, in qualche caso porte-torri, con spigoli costruiti solidamente in blocchi
squadrati. Mentre il Monte Ferri era un piccolo forte avanzato a difesa del pianoro, il Monte
Ciappa rappresentava dunque l’acropoli vera e propria della città, dove dovevano sorgere i
templi e gli edifici pubblici e dove la popolazione poteva trovare ultimo rifugio e ultima difesa
in caso di un assedio nemico, quando già l’area della città fosse stata occupata dal nemico.
Questa acropoli sembra infatti troppo piccola per rappresentare da sola l’intera area della città.
E’ probabile che la maggior parte della popolazione vivesse in gruppi di abitazioni sparse
sull’altipiano che già di per sé rappresentava una fortezza naturale e che questa acropoli cintata
di mura costituisse per essa solo l’ultimo presidio in caso di guerra» (BERNABÒ BREA 1967, pp.
42-43).
136
Domenico Ryolo riferiva che nell’area di pizzo Ciappa («pianoro tra il Monte Lombia e la
Rocca Bianca») erano state rinvenute due monete in bronzo, coniate dalle zecche di Tindari e
Siracusa. La prima, «ritenuta tra le più antiche della emissione fatta da Tindari dal 395 al 345
a.C.», presentava sul diritto la testa di Elena cinta di corona (sovrastata dall’iscrizione
«892(%6-7») e sul rovescio «uno dei Dioscuri a cavallo con elmo e clamide». L’altra moneta,
forse riferibile «al III secolo a C.», presentava sul diritto la testa di Atena con elmo, mentre il
rovescio era illeggibile. Il Ryolo ritenne che esse fossero appartenute a «qualche nucleo di
coltivatori» o a «gruppi di abitatori» che avevano avuto «rapporti economici» con Tindari e
Siracusa (RYOLO 1967, p. 34).
135
54
più tardi l’avanzata dei cartaginesi contro l’elemento greco in Sicilia, e infine
l’avvento della tirannide di Dionigi il vecchio».137
Fig. 27 – Aree che furono indagate da Luigi Bernabò Brea e Domenico Ryolo.
La tesi avanzata da Luigi Bernabò Brea e Domenico Ryolo, radicata
sull’identificazione del Longanòs di Polibio con il torrente Patrì,138 generò in
seguito molti dubbi, sia per l’esiguità delle testimonianze raccolte, sia per i
ritrovamenti archeologici che saranno effettuati nei decenni seguenti nei vasti
bacini dei torrenti limitrofi.
«La ceramica raccolta negli scavi non sembra però oltrepassare il V secolo a.C.. Nulla si è
trovato sul sito della città che possa sicuramente attribuirsi ad età successiva. La città sembra
quindi essere scomparsa forse violentemente distrutta, sul finire del V secolo nell’agitato
periodo che vide le due spedizioni ateniesi contro Siracusa e più tardi l’avanzata dei Cartaginesi
contro l’elemento greco di Sicilia e infine l’avvento della tirannide di Dionigi il vecchio. E’
verosimile che sia stata Messana a distruggere Longane per annettersene il territorio. Infatti nei
secoli successivi il territorio di Messana confinava con quello di Abacaenum, l’attuale Tripi.
Questa precoce scomparsa di Longane, che dopo la distruzione non fu più ricostruita, spiega il
silenzio delle fonti a suo riguardo» (BERNABÒ BREA 1967, p. 45).
138
«Questa città, che resterebbe vaga, acquista consistenza e nome solo se si riconosce come il
greco Longano il torrente più prossimo, quello cioè oggi denominato sulle carte topografiche
come torrente di Rodì o Patrì. Così con la individuazione della ubicazione della sicula città di
Longane si chiude un’affannosa ricerca che ha appassionato non pochi studiosi» (RYOLO 1956,
p. 256).
137
55
LE RICERCHE DI CARMELO FAMÁ A MALOTO
Nella seconda metà anni sessanta, il barcellonese Carmelo Famà, incuriosito dai
cocci di ceramica, di vasi e di anfore che furono portati alla luce durante i lavori
di realizzazione della strada di collegamento tra il centro urbano di Barcellona
Pozzo di Gotto e la frazione Maloto (Fig. 28), e da quelli che venivano
continuamente rinvenuti nella zona durante i lavori agricoli, cominciò ad
indagare la contrada collinare barcellonese alla ricerca di indizi che potessero
spiegare i continui ritrovamenti.
Fig. 28 – La contrada Maloto.
Esplorando diverse contrade («Bringhoie, Doddo, Fossa Longo»), ebbe modo
di rinvenire tombe dell’età del bronzo e del ferro, grotte di origine antichissima
(le quali mostravano analogie «con quelle della necropoli di Oliveto»),
«costruzioni strane in pietra arenaria, mezze scodelle di terracotta rozza e
56
primitiva, un piccolo lacrimatoio» (che
esperti facevano «risalire al quarto
secolo avanti Cristo»), numerosi «pezzi
di vasi ellenici, una grande «quantità di
rottami di ceramica» (fatti «risalire a
tempi addirittura preistorici») e «cocci
di anfore e di vasi d’origine aretina»
(Figg. 29 e 30).
«Sin dal primo affiorare di reperti
antichi» Famà ritenne che il costone di
Maloto, «da secoli isolato» per la
mancanza di una strada di collegamento
Fig. 29 – Carmelo Famà con alcuni reperti
rinvenuti a Maloto.
con il centro urbano, «fosse in tempo
remoto occupato da una città, forse
l’antichissima
Longane»,
poiché
la
frazione collinare barcellonese si trova attorniata dal torrente Longano e dai suoi
affluenti (Fig. 28).139
Così riporta un articolo del tempo: «Maloto è un piccolo villaggio, per molti secoli rimasto
isolato dal mondo per la mancanza di una strada di collegamento; dista da Barcellona appena tre
chilometri ed è attualmente unito al resto del paese da una provvisoria traccia viaria, che attende
di essere trasformata in strada carrozzabile. Le attuali condizioni di disagio di Maloto, destinate
ad essere migliorate dall’intervento della pubblica amministrazione che si è proposta la
costruzione della strada di collegamento, di un plesso scolastico e di altre opere necessarie per il
rifornimento idrico della zona, probabilmente, nel giro di un paio di anni, potrebbero essere
addirittura rovesciate per l’esistenza di una potenziale ricchezza che pare sia rimasta celata per
millenni negli antri del costone su cui il villaggio sorge e sotto la crosta del suo lungo dorsale.
Di tanto in tanto, in tutta la zona, affiorano piccoli frammenti di quest’antico tesoro; la mano
tenace di un ostinato giovane del luogo, improvvisatosi archeologo, cerca di strapparli al segreto
della terra e delle grotte per metterli in evidenza e indurre la Sovrintendenza alle antichità a
disporre opportuni sondaggi nei luoghi da lui esplorati, che pare celino da secoli i resti di una
antichissima civiltà. Carmelo Famà, da quando le ruspe della provincia e i trattori dei contadini
hanno cominciato ad affondare i loro cingoli nelle terre forti di Maloto, sin dal primo affiorare
di reperti antichi, si è messo in testa che il costone su cui Maloto sorge, da secoli isolato, fosse,
in tempo remoto, occupato da una città, forse l’antichissima Longane, da cui avrebbe preso
nome l’attuale Longano che, appunto, costeggia a sud-ovest la base della singolare collina. I
suoi reperti sono spesso cocci di ceramica; fino ad oggi ne ha rinvenuto a centinaia, di ogni
dimensione e di forme diverse, alcune di fattura assai remota. Razzolando per le diverse
contrade del costone (Maloto, Bringhoie, Doddo, Fossa Longo) ha avuto modo d’individuare
139
57
Come riportano le cronache del tempo, in alcune tombe furono rinvenute ossa
umane, in seguito trattate «con il carbonio 14 dal prof. Segre dell’istituto di
geologia e paleontologia dell’università di Messina». I risultati delle analisi
stabilirono che le ossa erano «appartenenti a gente di razza mediterranea»,
vissuta «tra il 12° e il 13° secolo avanti Cristo» e morta in modo violento in
giovane età (forse durante «lo svolgimento di una battaglia sulle colline di
Maloto»).
L’importanza dei ritrovamenti richiamò in zona anche l’ing. Domenico Ryolo,
allora «ispettore onorario per le antichità e belle arti della provincia di Messina»,
il quale, nel dicembre del 1968, ebbe modo di visitare l’intera area in presenza
dello stesso Famà. Risalendo le «rive del torrente S. Gaetano, tra il complesso di
Serra Maloto e Piano Maloto» e le pendici della collina, il Ryolo visionò «una
decina di grotte, esplorandone 4 in tutti i dettagli». Gli ipogei, che non
Fig. 30 – Due grotte che furono rinvenute nella contrada Maloto (archivio privato di Carmelo Famà).
tombe che pare risalgano ad alcuni millenni or sono, grotte, le cui caratteristiche mostrano
analogie con quelle della necropoli di Oliveto, scoperta molti anni addietro in altra località di
Barcellona, costruzioni strane in pietra arenaria, mezze scodelle di terracotta rozza e primitiva,
un piccolo lacrimatoio che esperti fanno risalire al quarto secolo avanti Cristo, pezzi di vasi
ellenici, cocci di anfore e di vasi di origine aretina e gran quantità di rottami di ceramica che,
secondo il giudizio di un competente, dovrebbero farsi risalire a tempi addirittura preistorici»
(Giornale di Sicilia, 3 ottobre 1968).
58
presentavano «le caratteristiche riseghe tipiche dell’età preistorica per alloggiare
i coperchi», furono giudicati dal Ryolo «tombe preistoriche a grotticella»,
attribuibili «all’età del bronzo recente» (tranne una che fu riferita «all’età del
ferro»), e «indubbiamente di civiltà sicana». L’ingegnere milazzese, che insieme
a Luigi Bernabò Brea aveva già identificato Longane con l’area pizzo Cocuzzomonte Ciappa di Rodì Milici, invitò Carmelo Famà a «ricercare la località
abitata» dal popolo che occupava la collina di Maloto, forse legato alla tesi, da
sempre avallata dal Ryolo, secondo la quale i sicani locali erano stati costretti «ad
abbandonare la pianura che abitavano per rifugiarsi sulle montagne nel 12°
secolo avanti Cristo, allorquando avvenne l’invasione dei siculi che sbarcarono a
Messina».140
Così riporta un articolo del 1968: «Tombe del XII secolo avanti Cristo scoperte sulle colline
di Maloto. Sopralluogo dell’ispettore onorario alle antichità ing. Ryolo dopo i ritrovamenti
effettuati da Carmelo Famà. Teschi di razza mediterranea esaminati dall’istituto di geologia e
paleontologia dell’Università di Messina. Barcellona - E’ avvenuto ieri il sopralluogo del barone
ing. Domenico Ryolo, di Bordonaro, ispettore onorario per le antichità e belle arti della
provincia di Messina, sulle colline di Maloto, dove da tre anni si sono intensificate le ricerche
archeologiche dopo i ritrovamenti di ceramiche e di necropoli probabilmente appartenenti a un
agglomerato urbano risalente al decimo secolo avanti Cristo. Le recenti scoperte fatte dal sig.
Carmelo Famà, un abitante del luogo, sono state confortate dall’importanza attribuita
dall’ispettore Ryolo a tutto il materiale rinvenuto. In particolare sono state esaminate delle
grotte che fino a poco tempo addietro erano comunemente ritenute di origine naturale o
comunque di recente istituzione. Tali grotte, invece, corrispondono, secondo la tesi dell’ing.
Ryolo e secondo le testimonianze venute alla luce recentemente, a delle tombe del periodo del
bronzo recente (12° secolo avanti Cristo). In queste grotte e nelle vicinanze di esse,
recentemente erano state rinvenute delle ossa umane; i teschi trattati con il carbonio 14 dal prof.
Segre dell’istituo di geologia e paleontologia dell’università di Messina, erano stati giudicati
appartenenti a gente di razza mediterranea, vissuta appunto tra il 12° e il 13° secolo avanti
Cristo; per la maggior parte questi teschi erano di giovani fisiologicamente sani e periti di morte
violenta, cosa questa che lascia supporre lo svolgimento di una battaglia sulle colline di Maloto.
Inoltre l’accertamento scientifico delle ossa umane rinvenute e la presenza delle tombe dà
ragione all’ipotesi, da sempre avallata dal barone Ryolo, secondo cui i sicani sarebbero stati
costretti ad abbandonare la pianura che abitavano per rifugiarsi sulle montagne nel 12° secolo
avanti Cristo, allorquando avvenne l’invasione dei siculi che sbarcarono a Messina. A
conclusione del suo sopralluogo il barone Ryolo, che ha visto una decina di grotte, esplorandone
4 in tutti i dettagli, ha così dichiarato: “Il sig. Carmelo Famà è un benemerito delle ricerche e mi
ha condotto oggi sulle rive del torrente S. Gaetano, tra il complesso di Serra Maloto e Piano
Maloto, e mi ha fatto vedere da lontano numerose grotte; abbiamo quindi superato il torrente
San Gaetano e ci siamo portati sulle pendici di Maloto. Qui abbiamo visto da lontano nove
tombe di cui quattro visitate interamente. Le grotte sono scavate nel tufo pliocenico, roccia
quanto mai erodibile sia dalla mano dell’uomo che dagli agenti atmosferici. Le grotte non
presentano le caratteristiche riseghe tipiche dell’età preistorica per alloggiare i coperchi, ma è
possibile che gli agenti atmosferici e la mano dell’uomo abbiano cancellato ogni traccia.
140
59
In varie ricognizioni effettuate tra il 1967 e il 1975, Carmelo Famà recuperò
anche una moneta bronzea (Fig. 31A), campioni di ossidiana (Fig. 31B), un altro
lacrimatoio (Fig. 31C), varie testimonianze paleo-greche e romane,141 e un
Fig. 31– Alcuni rinvenimenti effettuati a Maloto (archivio privato di Carmelo Famà): moneta
bronzea (A), ossidiana (B), due lacrimatoi del IV e II secolo a.C. (C) e un coltello in selce del
Paleolitico superiore (D).
Comunque il numero delle grotte viste, aggiunto a quello segnalato in altre località dal sig.
Famà, mi fanno orientare per dire che siamo in presenza di tombe preistoriche a grotticella;
alcune di queste tombe hanno la sezione a fornicello, attribuibile perciò all’età del bronzo
recente, mentre una di esse mi è sembrata più recente ancora (età del ferro). Se le mie opinioni
rispondono al vero, noi ci troviamo in presenza di una necropoli interessante. Tocca ora al
benemerito Carmelo Famà ricercare la località abitata da questo popolo, indubbiamente di
civiltà sicana» (Tribuna del Mezzogiorno, 6 dicembre 1968).
141
GENOVESE 1977, p. 10.
60
coltello in selce del Paleolitico superiore (Fig. 31D). Tutti i reperti rinvenuti, su
invito di Paola Pelagatti, allora Soprintendente alle Antichità della Sicilia
Orientale (Siracusa), furono consegnati nel 1975 all’«Ufficio Scavi di
Tindari».142
L’importanza dei ritrovamenti creò interesse archeologico sul territorio di
Barcellona Pozzo di Gotto, facendo da input per le indagini sull’insediamento di
Longane che saranno in seguito condotte dall’architetto Pietro Genovese.
Nella nota che la Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale di Siracusa inviò a
Carmelo Famà, così si riporta: «29 novembre 1975. Oggetto: Ritiro materiale archeologico. In
relazione a quanto fatto presente con la Sua del 20/11/1975, la scrivente ritiene opportuno
trasportare il materiale archeologico in Suo possesso presso l’Ufficio Scavi di Tindari a cura del
Sig. Tindaro Sidoti, dipendente di questa Amministrazione, cui la presente è diretta per
conoscenza, che l’avvertirà con congruo anticipo. Si ringrazia e si porgono distinti saluti. Il
soprintendente Dott. Paola Pelagatti» (Archivio privato di Carmelo Famà). I reperti furono
consegnati al signor Tindaro Sidoti, «assistente della Soprintendenza alle Antichità della Sicilia
Orientale (Siracusa)», il 29 dicembre del 1975 («Il giorno 29 dicembre 1975 il sottoscritto sig.
Tindaro Sidoti, assistente della Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale –Siracusain seguito a disposizioni ricevute dalla Soprintendenza, riceve in consegna dal sig. Carmelo
Famà, residente in Maloto, Barcellona P. G., Stretto II Case Famà 10, il materiale archeologico
sotto indicato, dallo stesso Sig. Famà raccolto in seguito a ripetute ricognizioni effettuate tra il
1967 e il 1975 nella zona di Maloto» (Archivio privato di Carmelo Famà).
142
61
LE INDAGINI DI PIETRO GENOVESE
Un importantissimo contributo per la conoscenza archeologica del vasto bacino
del Longano si deve all’architetto barcellonese Pietro Genovese, il quale, già nel
1967, in seguito ai rinvenimenti effettuati da Carmelo Famà, aveva «individuato
in contrada Ciavolaro-Maloto un gruppo di tombe a grotticella del tipo a forno»,
recuperando «materiale archeologico protostorico sia a Serro Maloto, sia sulle
pendici orientali del costone di monte S. Onofrio, presso la grotta Mandra».143
Partendo da questi indizi, Genovese, a partire dai primi mesi del 1974,
cominciò ad esplorare con continuità il territorio occupato dai comuni di
Barcellona Pozzo di Gotto e Castroreale, e i contigui bacini, per cercare di far
luce sulle culture umane che si erano sviluppate e succedute, e «sulle relative
forme di strutturazione territoriale».144
Il sito di monte S. Onofrio
Nelle prime ricognizioni, Pietro Genovese individuò un’area archeologica di
grandi dimensioni nel sottobacino di monte S. Onofrio (frazione Acquaficara di
Barcellona Pozzo di Gotto), ricco «di filoni di pirite e calciopirite» (Figg. 32 e
36A), rilevando inoltre la presenza di numerose tombe (Figg. 39 e 40). La vastità
del sito, scoperto «il 24 maggio del 1974», lo portò a ipotizzare l’esistenza di un
importante insediamento arcaico, da lui ritenuto un possibile collegamento con
l’antica città di Longane, poiché il sito è delimitato sul versante orientale dal
torrente Longano.145
L’area, oggi in gran parte stravolta dall’azione dell’uomo, presentava due
importanti cinte fortificate. La prima, con andamento curvilineo, era
caratterizzata da «una struttura ciclopica» realizzata «con grossi massi di selce, in
calcare arenitico ed in arenaria sovrapposti a secco» (Fig. 33). I reperti recuperati
GENOVESE 1977, pp. 10-11.
144
GENOVESE 1977, p. 10.
145
GENOVESE 1977, pp. 11, 46-47.
143
62
Fig. 32 – Monte S. Onofrio.
(«frammenti di macine» e «qualche traccia di ossidiana») e alcune tombe a
grotticella («due delle quali trasformate in tombe a camera nell’età del ferro»)
nelle necropoli di Acquaficara e pizzo S. Domenica (collina limitrofa a monte S.
Onofrio, ricadente nel comune di Castroreale) fecero ricondurre questa struttura
fortificata a «un insediamento della prima età del Bronzo».146
Altre tracce riscontrate nel sito, costituite da una spessa struttura muraria (Fig.
33) e da numerosi reperti, gli fecero ipotizzare l’esistenza di un successivo
«Detta cinta, infatti, ha un andamento curvilineo ed una struttura ciclopica, cioè realizzata
con grossi massi di selce, in calcare arenitico ed in arenaria sovrapposti a secco. Alcuni di tali
massi, reimpiegati nelle strutture paleogreche, presentano una grossolana squadratura. Trattasi
di resti di opere riferibili ad un centro fortificato preistorico? Alcuni reperti (frammenti di
macine e qualche traccia di ossidiana) già recuperati nell’area archeologica ed alcune tombe a
grotticella (due delle quali trasformate in tombe a camera nell’Età del Ferro) delle necropoli di
Acquaficara e di S. Domenica ci consentono di riferire con una certa attendibilità tali resti ad un
insediamento della prima età del Bronzo. E’ da notare che già altri centri fortificati della stessa
età sono stati portati alla luce nella Sicilia sud-orientale, a Melilli ed a Tapsos. Tracce di un
insediamento della prima Età del Bronzo sono state già portate alla luce sull’altopiano di M.
Ciappa, all’interno del centro fortificato paleo greco, mentre un gruppo di tombe a grotticella è
stato individuato sulle pendici orientali di M.te Gonia» (GENOVESE 1977, pp. 20-21).
146
63
villaggio sicano-paleo-greco, caratterizzato da una «concentrazione di capanne»,
«da una serie di stazioni e nuclei» circostanti e da una «cinquantina di tombe a
grande e media camera» nelle valli sottostanti («costoni di M.te S. OnofrioArgentieri, Serro Cannata, Costa Calda-Acquaficara e S. Domenica»).147
Fig. 33 – Il centro archeologico di monte S. Onofrio (GENOVESE 1977, p. 38).
147
GENOVESE 1977, p. 39.
64
La prima fortificazione, delimitante una «rocca di mq. 4200», sovrastava la
seconda cinta posta su un sottostante pianoro del versante nord-occidentale e
nord-orientale (Fig. 33).148
Le opere della rocca, indagate con una campagna di scavi dalla Soprintendenza
alle Antichità della Sicilia Orientale, consistevano in torri e in muri con spessore
compreso tra mt. 2,30 e mt. 3,00, «realizzati in conci irregolari di tufo calcareo –
estratti in loco – e giustapposti a secco» (Figg. 34C, 35, 36B, 36C, 36D e 36E).
Fig. 34 – Reperti protostorici (A) e paleogreci (B) che furono rinvenuti nell’area di monte S.
Onofrio, e rilievo delle opere di fortificazione meridionali (C). Da GENOVESE 1977, pp. 45-46, 48.
148
GENOVESE 1977, pp. 39-40.
65
La torre sud (Fig. 36C), caratterizzata da «grandi conci squadrati», risultava
aggiunta alla cinta meridionale per potenziarla in corrispondenza dello stretto in-
Fig. 35 – Scavi effettuati dalla Soprintendenza nell’area archeologica di monte S. Onofrio
(GENOVESE 1977, p. 43).
66
Fig. 36 – Veduta di monte S. Onofrio (A), resti della fortificazione meridionale (B), resti della
torre sud (C) e resti della fortificazione orientale (D ed E). Da GENOVESE 1977, pp. 39-40, 43-44.
67
gresso della rocca, situato sul lato della valle S. Domenica. In tali opere furono
rinvenuti frammenti reimpiegati «di pithoi e di macine» (del tipo ausonio e del
tipo sicano), e «una risega di 15 cm.» con funzione statica. Sul tratto della cinta
fu intercettata «una struttura quasi megalitica» con conci anche irregolari delle
dimensioni di «metri 2,00 x 1,50 x 0,90», su cui erano presenti «frammenti di
vasi indigeni (ceramica d’impasto rossiccio o ceramica fine di colore nerastro)
anche assieme a reperti paleogreci». Genovese riferì il tratto occidentale e quello
settentrionale «all’VIII-VII secolo a C.», quello orientale (con lunghezza di circa
30 metri e «uno spessore di mt. 2,30») al VI secolo a. C., le opere di
fortificazione meridionali al VI-V secolo a.C. e la fortificazione dell’abitato al VI
secolo a.C.. Avallavano queste datazioni anche numerosi reperti sicani e greco
arcaici, frammenti di vasi attici e frammenti di calcopirite legati all’attività
siderurgica (Figg. 34A e 34B).
Lo stato in cui furono rinvenute le opere difensive fece pensare «ad una loro
distruzione violenta», operata «nel V sec. a.C., forse nel corso di una delle guerre
condotte dai Siracusani contro i Cartaginesi». Il sito di monte S. Onofrio,
tuttavia, non risultava successivamente abbandonato, in quanto erano presenti
«opere di riadattamento, forse ad edificio sacro», nei resti di «un breve tratto del
muro meridionale e nella contigua torre sud», costituite, tra l’altro, da «una breve
rampa d’accesso» su cui erano presenti «conci squadrati», «tegole piane», «colmi
frantumati» e «scarse tracce di reperti ceramici» («stile di Gnathia e presigillata
romana, rispettivamente del VI-III e del II-I sec. a C.»).149
«Alcuni tratti delle suddette opere della Rocca sono state portate a completa luce dal recente
intervento della Soprintendenza. Tali opere consistono in muri dello spessore che varia dai mt.
2,30 ai mt. 3,00, ed in torri da questi sporgenti, realizzati in conci irregolari di tufo calcareo –
estratto in loco- e giustapposti a secco. La torre Sud, di cui rimangono consistenti resti
caratterizzati dalla struttura regolare a grandi conci squadrati, è stata aggiunta alla cinta
meridionale onde potenziarla in corrispondenza del crinale del costone pliocenico e dello stretto
ingresso della rocca. Quest’ultimo è situato dal lato della valle di S. Domenica, in prossimità
della stessa torre, parallelamente al primo tratto del muro sud-occidentale e tra questo ed il
secondo tratto che è traslato di circa mt. 1,65 (misura interna). In tali opere si notano reimpiegati
frammenti di pithoi e di macine del tipo ausonio e del tipo sicano. Nella struttura delle stesse
opere è da notare la presenza di una risega di 15 cm. tra il filare dei conci che poggiano a terra e
quelli successivi, la cui funzione è evidentemente statica. Lo stesso accorgimento non si
riscontra nei restanti tratti, orientale, settentrionale e occidentale. Inoltre quest’ultimo tratto
149
68
Durante gli scavi fu rinvenuto anche il «fondo di una kylix» a vernice nera
(«prima
metà
del
V
secolo»),
caratterizzato
dall’iscrizione
calcidese
«HEMETERE» (Fig. 37), che fu collegata al «vocativo maschile in forma ionica
di un Q{XIVSN».150
presenta una struttura quasi megalitica, cioè impiega anche conci irregolari –estratti nella
sottostante costa- le cui dimensioni raggiungono i metri 2,00 x 1,50 x 0,90. Tenuto conto che
all’interno di questo tratto in un saggio (D) effettuato dalla Soprintendenza sono stati rinvenuti
frammenti di vasi indigeni (ceramica d’impasto rossiccio o ceramica fine di colore nerastro)
anche assieme a reperti paleo greci, si può far risalire all’VIII-VII sec. a.C., io ritengo, non solo
detto tratto occidentale, ma anche il più rovinato tratto settentrionale. Il tratto orientale della
stessa cinta (metri 30 circa) ha un andamento rettilineo ed uno spessore di mt. 2,30. In questo
non si nota alcuna traccia megalitica per cui ritengo che sia stato realizzato nel VI sec. a.C.. La
struttura degli altri tratti, occidentale e settentrionale, attesta indubbiamente l’influenza della
cultura greco-jonia sull’anonimo centro di M.te S. Onofrio fino alla fine del VI sec. a.C.. Alla
stessa età, o ad età di poco più tarda, ritengo debba riferirsi la realizzazione della cinta a difesa
dell’abitato (la seconda cinta) di cui si notano i resti nel tratto occidentale. Ritengo invece che
debbano riferirsi alla fine del VI o alla metà del V sec. a.C., ed alla presenza della influenza
della cultura greco-dorica, le opere di fortificazione meridionali di cui già si è parlato. Di queste,
la Torre Sud costituisce un’aggiunta successiva. Ad avvalorare tale mia tesi, relativa alla
datazione di queste ultime opere, sono, oltre alla struttura della stessa -prima descritta- i reperti
sicani e greco arcaici rinvenuti nello strato sottostante al muro di fortificazione esterno
dell’ingresso. Le opere di fortificazione, l’abbondante e preziosa presenza di frammenti di vasi
attici, ed il rinvenimento tra questi di frammenti del minerale di calcopirite proveniente dalle
miniere della Valle Pumia e/o dalla Valle Carbone attestano un indubbio sviluppo del nostro
centro nel VI-V sec. a.C. legato all’attività siderurgica. Lo stato in cui sono state rinvenute le
suddette opere difensive, fa pensare ad una loro distruzione violenta. Infatti proprio quelle della
zona meridionale sembrano essere state rase al suolo. Inoltre all’abbondante presenza di
frammenti di vasi attici del VI-V secolo a.C. fanno riscontro le scarse tracce della successiva età
classica ed ellenistico romana, nonché della più tarda età bizantina. Conseguentemente è da
ritenere che la suddetta distruzione sia stata operata nel V sec. a.C., forse nel corso di una delle
guerre condotte dai Siracusani contro i Cartaginesi tra la fine di detto secolo e l’inizio del secolo
successivo. In seguito a tale distruzione il centro di M.te S. Onofrio non sembra essere stato
abbandonato del tutto. Infatti si notano opere di riadattamento forse ad edificio sacro, dei resti di
un breve tratto del muro meridionale e della contigua Torre Sud. Tali opere consistono, tra
l’altro, in una breve rampa di accesso alla parte superiore dei predetti resti opportunamente
ristrutturati sul lato interno. Su detta rampa si notano assieme a conci squadrati anche tegole
piane e colmi frantumati, evidentemente tutto materiale che doveva far parte della struttura di un
edificio di età classica, cui si riferiscono scarse tracce di reperti ceramici (ceramica nello stile di
Gnathia e presigillata romana, rispettivamente del VI-III e del II-I sec. a.C.). Quanto sopra
attesta, quindi, il permanere della presenza umana nel centro di M.te S. Onofrio, senza
interruzioni, fin dopo la battaglia del Longano (269 a.C.). Conseguentemente è possibile pensare
che lo stesso centro abbia potuto conservare l’antica denominazione fino al suo totale
abbandono avvenuto tra il II ed il I sec. a.C.» (GENOVESE 1977, pp. 40-46).
150
«Chiuderò con un inedito gentilmente concessomi dall’amico G. Voza della Soprintendenza
di Siracusa. Si tratta del fondo di una kylix a v. n. degradata rinvenuta poco più di un mese fa
sul monte S. Onofrio a sud di Barcellona di Sicilia. Su di esso è chiaramente graffito
HEMETERE. La zona di rinvenimento è calcidese e ad essa del resto si addice il tipo di rho. La
datazione si fissa alla prima metà del V sec., ma l’interpretazione non mi sembra sicura e ne
69
Nell’area di monte S. Onofrio,
Genovese
rinvenne
altresì
uno
statere d’argento emesso dal conio
di Anaktorion (IV-III secolo a.C.)151
e una cinquantina di tombe dell’età
del bronzo e del ferro, legate alla
civiltà sicano-sicula. Alcune tombe
dell’età
del
ferro
erano
caratterizzate da «grande e media
camera
Fig. 37 – Fondo di una kylix a vernice nera
recante l’iscrizione «HEMETERE» (MANNI
PIRAINO, Tav. XVI).
con
pianta
pressoché
quadrata, rettangolare oppure ovale,
e raramente con loculi» (Figg. 39 e
40). Alcune di esse risultavano franate o «riutilizzate, probabilmente fin dall’età
bizantina, anche come abitazione».152
Le importantissime ricerche di Genovese consentirono di attestare, dall’VIII
secolo a.C., «il permanere della presenza umana nel centro di M.te S. Onofrio,
senza interruzioni, fin dopo la battaglia del Longano (269 a.C.)» e il «totale
abbandono» dell’area «avvenuto tra il II ed il I sec. a.C.».153
propongo due alternative: l’una potrebbe sottintendere TSX{V o un TEl si tratterebbe cioè di
un’invocazione alla coppa dal buon vino o di un’invocazione ad un fanciullo amato, ma è
un’interpretazione che nell’un caso come nell’altro non mi pare trovi riscontro altrove; l’altra,
che mi sembra più accettabile, è che si possa trattare del vocativo maschile in forma ionica di un
Q{XIVSN D%Q{XIVE il cui femminile è già testimoniato in una iscrizione di Megalopoli»
(MANNI PIRAINO, p. 280).
151
Lo statere, che presenta sul diritto la testa di Atena con elmo corinzio e sul rovescio il cavallo
alato Pegaso, fu rinvenuto sulla cima di monte S. Onofrio il 12 febbraio del 1978. Secondo
Genovese, esso attestava che nel IV-III secolo a.C. il sito di monte S. Onofrio aveva continuato
a rivestire «un ruolo importante, o come centro commerciale e religioso e/o come sito
fortificato» (GENOVESE 1978, pp. 27-29).
152
GENOVESE 1977, pp. 27-30.
153
GENOVESE 1977, p. 46. Secondo Giuseppe Voza, la tecnica muraria delle fondazioni di
monte S. Onofrio sembra «indicare una cronologia del V sec. a.C.» e l’esistenza di un
«insediamento molto analogo a quello di M. Ciappa» (VOZA, pp. 580-581). Al Voza, che fu
soprintendente alle Antichità della Sicilia Orientale, si deve l’apposizione del vincolo
archeologico nell’area di monte S. Onofrio. La richiesta di vincolo fu motivata con la seguente
relazione: «Comune di Barcellona P.d.G. – Proposta di vincolo archeologico della fortificazione
di Monte S. Onofrio. Nel 1977, a seguito di una segnalazione, fu condotta una breve campagna
70
Le speranze dell’architetto barcellonese
di poter acquisire, con altre campagne di
scavo, elementi per l’identificazione di
monte S. Onofrio con l’antico centro di
Longane,
si
scontrarono
con
l’indifferenza dell’ambiente scientifico e
Fig. 38 – Vaso rinvenuto da un
contadino in contrada “Ghianu da
Reina” (area di monte S. Onofrio).
degli
enti
all’abbandono
preposti,
del
distruttrice dell’uomo.
sito
che
e
portò
all’azione
154
di scavi sul monte S. Onofrio, un’altura che domina, sulla destra, l’ultimo tratto di un’ampia
vallata del fiume di Rodì e, sulla sinistra, il vario degradare del sistema di colline che scendono
verso la pianura costiera. Gli scavi (cfr, G. Voza in Kokalos XXII-XXIII, 1976-1977, p. 579
sgg.) furono eseguiti sulla sommità pianeggiante del colle, cui si accede da una breve sella sul
lato meridionale; la spianata, di forma irregolarmente circolare, con un diametro di circa 80 m.,
costituisce una piccola acropoli situata in posizione strategicamente dominante, alta sulla
pianura costiera e visivamente collegata con l’insediamento di Monte Ciappa (che la fronteggia
al di là del fiume di Rodì e che è stato identificato con l’antica Longane). Il carattere difensivo
del sito è testimoniato dalla poderosa cinta muraria che attornia tutto il pianoro, con un
andamento curvilineo e irregolare che si adatta alle condizioni del suolo. Di questa
fortificazione, costituita da una struttura a doppia cortina di blocchi calcarai con emplecton
interno, della larghezza variabile tra i 2 e i 3 metri, sono stati riportati in luce diversi tratti, ben
conservati, per una lunghezza complessiva di circa 30-40 metri. Il tratto più interessante è quello
del lato sud, presso la sella che unisce l’acropoli al resto della collina; esso è rafforzato da due
grandi torri quadrangolari, distanziate m. 16 l’una dall’altra, che aggettano dalla cortina esterna;
una delle due presenta un insolito orientamento non ortogonale rispetto al muro di
fortificazione. Sebbene non siano stati raccolti elementi sufficienti per la definizione di una
cronologia basata sui dati stratigrafici, le particolarità della tecnica muraria autorizzano l’ipotesi
di una datazione al V secolo a.C.. Alcuni saggi sono stati condotti nell’area racchiusa dalla cinta
muraria; sebbene non sia stata finora individuata la presenza di ulteriori strutture, gli strati del
deposito archeologico testimoniano due fasi di insediamento: la prima riferibile ad un livello
pregreco di facies ausonia, la seconda riferibile alla frequentazione del VI-V secolo a.C.; fra le
due fasi, uno strato archeologicamente sterile attesta una lunga interruzione di vita nell’area.
Alla luce delle considerazioni esposte, appare evidente che il sito presenta un notevole interesse
archeologico, che successive esplorazioni potranno ulteriormente accrescere; sembra comunque
opportuno fin da ora proporre l’emanazione di un provvedimento che tuteli nel modo più
idoneo, ai sensi dell’art. 1 della legge 1/6/1939 n. 1089, l’integrità dei resti archeologici finora
messi in luce, in attesa che nuove campagne di scavo accertino l’effettiva estensione
dell’insediamento antico. Il Soprintendente Dott. Giuseppe Voza» (Biblioteca Nannino di
Giovanni di Barcellona Pozzo di Gotto, fondo Genovese).
154
«Mi auguro, quindi, che dopo i positivi risultati del primo intervento di ricerca –effettuato tra
il dicembre del 1975 e marzo 1976- la Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale
possa condurre al più presto una campagna di scavi che interessi l’intera area del suddetto
centro archeologico, comprese le sottostanti necropoli. E ciò anche nella speranza di poter
acquisire elementi di certezza sulla possibile identificazione di questo nell’antico centro di
Longane» (GENOVESE 1977, p. 46).
71
Fig. 39 – Tombe dell’età del bronzo e del ferro site nella contrada
(GENOVESE 1977, pp. 31, 35).
72
Acquaficara
Fig. 40 – Una delle tombe a forno che furono rinvenute da Pietro Genovese nell’area di monte S.
Onofrio (GENOVESE 1977, p. 30). Per le sue caratteristiche architettoniche (trincea d’accesso simile al
dromos delle tholos micenee, ingresso ad arco, pianta ovale con pancone perimetrale e due loculi)
egli la denominò, provocatoriamente, “Tomba dei Principi di Longane”.
Le indagini nei bacini del Longano e del Patrì
A Pietro Genovese si deve anche un’ipotesi cronologica sui primitivi
stanziamenti umani che caratterizzarono la vasta area compresa tra i torrenti
Mela e Patrì, da lui analizzata in numerose ricognizioni, durante le quali rinvenne
significative testimonianze e importanti reperti.
Alla «prima fase del neolitico (V-IV millennio a.C.)» l’architetto barcellonese
riferì un’area sita sulla rocca di contrada Pietro Pallio (territorio di Castroreale),
dove furono recuperati «frammenti di ceramica incisa a stecca, a conchiglia, con
osso prima della cottura, nello stile della cultura di Stentinello, nonché coltelli di
selce, numerosi frammenti di punteruoli, lamette e raschiatoi d’ossidiana»,
«punteruoli d’osso» e «tracce di ceramica dipinta dell’età medioneolitica» (Fig.
41).155
«Nel bacino del Longano, fino ad oggi, non si è rinvenuta alcuna testimonianza di presenza
umana dell’età paleolitica. Si hanno, invece, tracce sicure di tale presenza relativamente alla
155
73
Tracce «di un insediamento umano riferibile al primo neolitico siciliano, cioè
alla civiltà di Stentinello», furono da lui individuate anche nella contrada Limina
di Barcellona Pozzo di Gotto, in cui fu recuperata ceramica grossolana
(«frammenti di vasi medio-grandi») e «di fine frattura» («frammenti di vasi
medio-piccoli»), decorata «con motivi geometrici e/o simbolici, formanti spesso
composizioni complesse, impressi e/o incisi con conchiglia, con punzone d’osso,
con stecca» e «con stampi di terracotta». Altri reperti erano costituiti da «tracce
di ceramica color crema in argilla» («indubbiamente importata nel periodo
stentinelliano dall’Italia Meridionale»), da «nuclei d’ossidiana» e «frammenti di
vasi d’età classica (III-I secolo a.C.)», da alcune lame e raschiatoi in selce e da
frammenti di macina trachitica e di ossa.156 La decorazione riscontrata sui
frammenti dei vasi (Fig. 42) era caratterizzata da motivi lineari «a forma ovale»,
«a V diritto o rovesciato», «a fasce a zig-zag» e «puntiformi o a brevi tratti linea-
prima fase del neolitico (V-IV millennio a.C.). Questo si riscontra sulla Rocca di contrada Pietro
Pallio. Qui infatti si sono già rinvenuti frammenti di ceramica incisa a stecca, a conchiglia, con
osso, prima della cottura nello stile della cultura di Stentinello nonché coltelli di selce e
numerosi frammenti di punteruoli, lamette e raschiatoi d’ossidiana, e punteruoli d’osso. Non si è
mancato di riscontrare anche tracce di ceramica dipinta dell’età medioneolitica. Il sito della
stazione è una rocca che costituisce una difesa naturale purtroppo dissestata e ridotta di molto
dalle cave che vi hanno funzionato fino a qualche decennio addietro. La stessa rocca domina un
vasto bacino cerealitico» (GENOVESE 1977, pp. 14-15).
156
«Nel corso delle mie recenti ricerche nel Bacino del Longano (Maggio-Giugno 1978) sono
state individuate le tracce di un insediamento umano riferibile al primo neolitico siciliano, cioè
alla civiltà di Stentinello, nella c/da Limina del Comune di Barcellona P. G. […] L’analisi della
distribuzione dei reperti su detto altopiano ci porta a localizzare un nucleo insediativo principale
in un’area prossima alla saia di Zigari, oggi interessata da un nuovo ed esteso impianto di
vigneto, e da uno o due altri nuclei insediativi minori in un’area sita ad oriente, ad un centinaio
di metri dalla prima […] Le testimonianze archeologiche e paletnologiche raccolte sul piano di
c/da Limina nel corso di diverse perlustrazioni comprendono: 1) due tipi di ceramica riferibile
alla civiltà neolitica di Stentinello: uno relativamente grossolano, nei frammenti di vasi mediograndi, e l’altro di fine fattura, nei frammenti di vasi medio-piccoli, entrambi decorati con
motivi geometrici e/o simbolici – formanti spesso composizioni complesse – impressi e/od
incisi con conchiglia, con punzone d’osso, con stecca, con stampi di terracotta (circa 160 reperti
di ceramica, di cui un centinaio interessanti, raccolti in superficie fino ad oggi); 2) tracce di
ceramica color crema in argilla depurata riferibile a vasi decorati con bande o fiamme rosse –
ceramica indubbiamente importata nel periodo stentinelliano dall’Italia Meridionale (Puglia,
Basilicata, Calabria); 3) frammenti di vasi d’età classica (III-I sec. a.C.); 4) poche lame,
raschiatoi e schegge in selce bianca, gialla o rossa; 5) lame, punteruoli, schegge, nuclei
d’ossidiana (in tutto circa 250 reperti); 6) macina trachitica (framm.ta); 7) frammenti di ossa,
denti di pecore e di capre» (GENOVESE 1978/2, pp. 85-87).
74
Fig. 41 – Alcuni reperti di ceramica neolitica (stile della cultura di Stentinello) che furono
rinvenuti da Genovese in contrada Pietro Pallio, e ricostruzione di un vaso dipinto (A). Da
GENOVESE 1977, pp. 14-15.
75
Fig. 42 – Alcuni rinvenimenti di contrada Lìmina: frammenti di vasi con motivi decorativi impressi
(A, B e C) e un reperto in selce (D). DA GENOVESE 1978/2, pp. 87-88.
ri».157
A Pietro Genovese si deve anche l’individuazione delle prime due stazioni
siciliane caratterizzate dalla cultura di Piano Conte (III millennio a.C.), fino ad
allora riscontrata soltanto nell’isola di Lipari. Nelle due stazioni, poste nelle
contrade Pietro Pallio e piano Llaria-monte Soglio (Maloto), furono rinvenuti
frammenti di «vasi a superficie nera o bruna, recanti solcature verticali ed
orizzontali, ed anche a bugna piena o forata, e a cannone» (Fig. 43). Questi
reperti, uniti a «numerose lamette di ossidiana», furono giudicati appartenenti
«all’inizio dell’Età del Rame» e in stretto rapporto culturale «con le isole Eolie e
con tutta l’Europa occidentale (culture di Chassey-Constalloid-Lagozza; culture
di Rinaldone, Angelo Rju e di Fontobouisse; cultura della stazione di Locri in
Calabria)». L’architetto barcellonese riferì a questa età anche alcuni «frammenti
«La decorazione riscontrata sui frammenti di vasi è caratterizzata dalla composizione più o
meno complessa dei seguenti motivi: a) serie lineare di impressioni a forma ovale o circolare
realizzate con punzone d’osso; b) serie lineare di impressioni a V diritto o rovesciato; c) motivo
lineare o a fasce a zig-zag realizzato con impressioni od incisioni a segmenti, lineari o
curvilinei, più o meno sottili e più o meno estesi, sia in senso orizzontale che verticale; d)
impressioni puntiformi o a brevi tratti lineari verticali, orizzontali od obliqui, in serie lineare o
estese a zone; e) impressioni luniformi estese a zone; f) impressioni con stampi di terracotta di
varia forma. E’ da porre in evidenza l’originale composizione decorativa che si ispira forse ad
una grossa spiga di grano, impressa sulla superficie bruno-rossastra, ben levigata, di un
frammento (8,7 x 4,5 x 0,6 cm.) pertinente ad un orlo di vaso» (GENOVESE 1978/2, pp. 87-88).
157
76
Fig. 43 – Alcuni reperti di ceramica eneolitica (stile della cultura di Piano Conte) che furono
rinvenuti da Genovese in contrada Pietro Pallio (GENOVESE 1977, p. 17).
di tazze carenate con disegno inciso» (recuperati presso le case Miano di
Maloto), «due tombe a cista litica distrutte», «due vasetti in ceramica d’impasto
bruno» (rinvenuti da Carmelo Famà) e «le incisioni di grandi occhi» presenti in
una parete della “grotta Mandra”, presso monte S. Onofrio (Fig. 44).158
«Della prima età dei metalli, si hanno consistenti testimonianze costituite da abbondanti
frammenti di ceramica nello stile della cultura di Piano Conte (stazione eneolitica dell’Isola di
Lipari del III millennio a.C.). Questa si è rinvenuta, abbondantissima, sia sulla rocca di
Contrada Pietro Pallio, sia in un’altra stazione preistorica, situata sull’altopiano Llaria, sulle
pendici nord-occidentali di Pizzo Soglio (Maloto). Trattasi delle prime due stazioni della
suddetta cultura individuata in Sicilia fino ad oggi. La ceramica di questa cultura è caratterizzata
da vasi a superficie nera o bruna, recanti solcature verticali ed orizzontali, ed anche a bugna
piena o forata, e a cannone. Associate ai frammenti di tali vasi si sono rinvenute numerose
lamette d’ossidiana. Tali scoperte ripropongono, relativamente all’inizio dell’Età del Rame, il
collegamento culturale con le Isole Eolie e con tutta l’Europa occidentale (Culture di ChasseyConstaillod-Lagozza; culture di Rinaldone, Angelo Rju e di Fontobouisse; cultura della stazione
di Locri in Calabria), almeno di una parte della nostra isola, cioè del Comprensorio Tirrenico.
Tale collegamento fino ad oggi è stato escluso dagli studiosi, secondo i quali tutto il
mezzogiorno d’Italia, eccettuate le Isole Eolie, gravitava sull’Egeo. Esistono, però, anche
testimonianze di legami con culture della Sicilia sud-orientale. Infatti, presso le Case Miano di
Maloto, in prossimità di una grotta naturale, sono stati rinvenuti frammenti di tazze carenate,
con disegno inciso il cui stile si collega a quello di S. Cono-Piano Notaro (villaggi preistorici
della regione dei Monti Iblei e del Gelese). Inoltre, in prossimità della stessa località, in c.da
158
77
L’architetto
Genovese
inoltre collegò all’età del
bronzo le contrade Pietro
Pallio, Serro Maloto, S.
Venera,
Ciavolaro-
Maloto, Serro Cannata,
Lanzaria, S. Onofrio e la
«rocca»
su
cui
sorge
Castroreale,
Fig. 44 – Incisioni rupestri presenti nella grotta Mandra (monte
S. Onofrio-Barcellona Pozzo di Gotto).
tutte
gravitanti nel bacino del
Longano,
rinvenute
dove
furono
tombe
a
grotticella («tipo a forno senza o con loculi»), e recuperati vari reperti riferibili
all’Ausonio I («1250-1150 anni a.C.»), alla cultura di Rodì-Tindari-Vallelunga e
alla fase «detta del Milazzese» (tutte testimoniate da «un frammento di tazza
attingitoio», da «frammenti di anse appiattite», da «una grossa fuseruola
biconica», da «frammenti di macina rachitica» e da «frammenti di tazze con ansa
cilindro-retta, cornuta e a protome animale»).159
Case Crisafulli, il poeta Carmelo Famà ha rinvenuto, nel sito di due tombe a cista litica distrutte,
resti di due vasetti in ceramica d’impasto bruno, di cui uno con ansa a stretto nastro e le cui
forme si collegano approssimativamente a quella dei tipi dipinti di Serraferlicchio (Agrigento).
In una parete della Grotta Mandra, sulle pendici orientali di monte S. Onofrio, sono presenti
incisioni di grandi occhi, simbolo diffuso già nel neolitico della civiltà di Stentinello, ma molto
presente con il simbolo delle corna nelle culture dell’Età del Rame e sempre con valore di
amuleto» (GENOVESE 1977, pp. 15-18).
159
«Del primo periodo dell’Età del Bronzo sono state rinvenute alcune testimonianze costituite
da un frammento di tazza attingitoio, da frammenti di anse appiattite, probabilmente da riferire a
vasi nello stile della cultura di Rodì-Tindari-Vallelunga, da una grossa fuseruola biconica,
nonché da frammenti di macina trachitica. Detti reperti sono stati rinvenuti sulla stessa rocca di
contrada Pietro Pallio. Il pseudo-brassard (tipo R/2, con due fori in talcoscisto verde), anche qui
rinvenuto, probabilmente deve riferirsi a tale periodo; infatti detto reperto, in alcuni esemplari, è
stato rinvenuto in tombe della Sicilia sud-orientale e riferito alla cultura di Castelluccio (XVIIIXV sec. a.C.). Nella stessa località sono state riscontrate tracce di ceramica (bordi di vasi)
riferibili alla cultura della media Età del Bronzo detta del Milazzese. Nella cava 1 e 3 della
rocca di C.da Pietro Pallio sono state riscontrate consistenti tracce della Cultura nordappenninica detta dell’Ausonio I (1250-1150 anni a.C.). Tali tracce consistono in diversi
frammenti di tazze, una quasi intera, tipiche di questa cultura, cioè frammenti di tazze con ansa
cilindro-retta, cornuta e a protome animale. Scarse tracce di questa cultura sono state dal poeta
78
Alla seguente fase dell’Ausonio II (XI-X sec. a.C.), Genovese legò molti siti
gravitanti nel bacino del Longano («c.da Mpisu-M.te S. Onofrio», «costone di
tufo pliocenico situato a monte della Grotta di S. Venera», contrade «Serro e
Croce Maloto», «rocca di C.da Pietro Pallio», «costone di M.te S. Onofrio»,
«Monte Marro»), in cui furono recuperati vari reperti («macine trachitiche del
tipo convesso», «resti di situle decorate sotto l’orlo da cordone e con presa a
bugna sporgente, tazze carenate con alta ansa a nastro, resti di ciotole
monoansate, fuseruole troncoconiche e biconiche», «resti di giare» e «una fibula
bronzea ad arco con noduli agli estremi» del «tipo Pantalica Nord-Caltagirone
datata al XII-X sec. a.C.»).160
Il più importante sito dell’Ausonio II individuato da Pietro Genovese fu un
Carmelo Famà riscontrate a Serro Maloto, ma da me anche in c.da Grotta di S. Venera. Tali
presenze costituiscono un fatto molto significativo dal punto di vista paletnologico,
testimoniando la penetrazione nel nostro territorio di detta cultura, già riscontrata nella
necropoli dell’Istmo di Milazzo e sulla Rocca di Lipari. Riguardo a quest’ultimo centro è
archeologicamente accertato che la cultura dell’Ausonio I si è imposta violentemente sulla
suddetta cultura della media età del Bronzo. Molto interessante è la testimonianza offertaci
dall’architettura funeraria di questa età, caratterizzata da tombe a grotticella del tipo a forno
senza o con loculi. E queste sono presenti a gruppi, sulla sommità del monte Lanzaria, in c/da
Ciavolaro Maloto e, sporadiche, sotto la rocca di Castroreale, a Serro Cannata e nella necropoli
di monte S. Onofrio (Valle Argentieri-S. Domenica-Acquaficara)» (GENOVESE 1977, pp. 1819).
160
«Proprio nell’ambito delle culture delle terramare della valle del Po, della media valle del
Danubio e dei suoi affluenti (Tibisco, Drava e Sava) si sviluppa il rito della cremazione dei
morti con cenere raccolta in urna posta in apposito pozzetto (necropoli a tombe
protovillanoviane). Tale rito viene recepito dalle culture Appenniniche, sicchè si deve
presumere che si sia sviluppato anche in questi territori della Sicilia Orientale in cui le stesse,
con gli Ausoni, sono riuscite a penetrare. Ciò è testimoniato dai campi di urne di Piazza
Monfalcone-Lipari e di Piazza Roma e Via XX Sett. Milazzo, da due tombe rinvenute a Naxos,
dalle tombe rinvenute in c.da Mpisu-M.te S. Onofrio e dalle tracce di urne riscontrate sulle
pendici nord-occidentali dello stesso monte, presso il Centro Archeologico ivi situato. In una
delle tombe di contrada Mpisu (o Impiso) è stata rinvenuta una fibula bronzea ad arco con
noduli agli estremi, recante tra questi un motivo a zig-zag finemente inciso. Trattasi di una
fibula tipo Pantalica Nord-Caltagirone datata al XII-X sec. a.C.. Il sito di queste tombe, inoltre,
è stato riutilizzato in età proto-greca. Ivi sono stati rinvenuti, infatti, resti di urne di questa età.
Ciò trova riscontro anche nella necropoli dell’Istmo di Milazzo. La presenza della cultura detta
dell’Ausonio II, portatrice appunto del suddetto rito protovillanoviano della cremazione dei
morti, nel nostro bacino è attestata anche da numerosi altri reperti rinvenuti in diverse aree site
in posizioni ben difendibili e interessanti tutti e cinque i sottobacini in cui lo stesso è divisibile.
Trattasi sempre di utensili e di vasi molto usati negli insediamenti e nelle stazioni protostoriche
quali: macine trachitiche del tipo convesso, con convessità poco accentuata e a forma
quadrilatera tendente all’ovale, resti di situle decorate sotto l’orlo da cordone e con presa a
79
ripostiglio su piano Cannafè (pendici orientali di pizzo Lando), contenente «sette
tazze carenate monoansate», «fuseruole, parti e frammenti di vasi e tazze, un
askos ed il fondo di una tazza recante inciso il contrassegno del vasaio» (Fig.
45).161
Fig. 45 – Reperti che furono rinvenuti da Pietro Genovese nel ripostiglio ausonio (X sec. a.C.) di
piano Cannafè (GENOVESE 1977, p. 26).
Il sito di Piano Cannafè e la vicina contrada Serra di Spadolelle furono in
seguito maggiormente indagati da Genovese e dal suo gruppo di ricerca. Il
supplemento di indagini portò al ritrovamento di numerosi reperti (in seguito
bugna sporgente, tazze carenate con alta ansa a nastro, resti di ciotole monoansate, fuseruole
troncoconiche e biconiche, nonché resti di giare» (GENOVESE 1977, pp. 22-25).
161
«Il sito che fino ad oggi ci ha dato i reperti più rappresentativi è Piano Cannafè, scosceso
altopiano formato a conca, situato a quota 550 mt. s.l.m. sulle pendici meridionali di Pizzo
Lando (q. 619 mt. s.l.m.). Qui è stato rinvenuto un ripostiglio di sette tazze carenate monoansate
restaurabili in parte, ma contenente anche altri numerosi reperti del tipo summenzionato e cioè:
fuseruole, parti e frammenti di vasi e di tazze, un askos ed il fondo di una tazza recante inciso il
contrassegno del vasaio. I reperti rinvenuti qui in superficie attestano la sopravvivenza
dell’insediamento o stazione ausonia fino all’età paleo-greca. Ma reperti del tipo di cui sopra,
anche se frantumati nel corso dei lavori agricoli, sono stati riscontrati sul costone di tufo
pliocenico situato a monte della Grotta di S. Venera, a Serro e Croce Maloto (dal poeta Carmelo
Famà), sulla rocca di C.da Pietro Pallio, sul costone di M.te S. Onofrio e, nel contiguo bacino,
su Monte Marro. Sul M.te S. Onofrio sono state rinvenute tracce di tale cultura sia sparse, sulle
80
consegnati alla Biblioteca Comunale Nannino di Giovanni di Barcellona Pozzo di
Gotto), tra cui spiccano: frammenti di vasi greco-ellenistici e romano-bizantini,
una testina di scultura fittile (Fig. 46 A), parti di macine trachitiche (Fig. 46 B),
frammenti di ceramica a vernice nera e in terracotta (Fig. 46 C), cuspidi di frecce
in ferro (Fig. 46 D), un anello e uno spillone in bronzo (Fig. 46 E ), una moneta
in bronzo dell’età di Costantino V di Bisanzio (Fig. 46 F) e un pesetto recante
l’iscrizione AijȡȠįȓIJȘ (Fig. 46 G).
Genovese raccolse nel bacino del Longano anche numerose testimonianze
protostoriche della civiltà sicano-sicula, a cui collegò tombe site su monte
Lanzaria,162 sulle pendici occidentali di Castroreale e nelle contrade Maloto,
Parmento Grande, Serro Cannata, Catalimita e Grotta S. Venera.163 Avallavano
tale facies culturale anche numerosi «frammenti di macine trachitiche e
basaltiche» («a forma ovale e a sezione piano-convessa»), resti di «giare (pithos)
d’impasto bruno rossiccio o nero» e «tracce di ceramica proto-greca».164
pendici sud-orientali, sia concentrate sull’altipiano della Riforma (c.da Parmento Grande) e sul
breve altopiano sottostante la rocca paleo-greca» (GENOVESE 1977, pp. 24-25).
162
Su monte Lanzaria, Genovese individuò una necropoli della prima età del bronzo
(GENOVESE 1977, pp. 19-21).
163
GENOVESE 1977, pp. 27-33. Le tombe rinvenute erano principalmente «del tipo a camera,
con pianta irregolarmente circolare e, soprattutto rettangolare, con soffitto piano e con o senza
pancone, limitato al fondo o ad un tratto dei lati» (GENOVESE 1977, p. 27). Nel sito soprastante
la grotta Santa Venera, Genovese recuperò «frammenti di vasi di varie dimensioni» e di «tazze
carenate con anse cilindro-rette», «fuseruole biconiche e tronconiche», «macine trachitiche»,
«pochi frammenti di vasi proto greci» e «frammenti di ossa e denti di ovini/caprini e di bovini».
I reperti furono collegati al periodo compreso tra la tarda età del bronzo e l’inizio dell’età del
ferro. Questo sito, secondo Genovese, costituiva durante l’Ausonio I «il centro di strutturazione
territoriale del bacino del Longano» (GENOVESE 1979, p. 73; GENOVESE 1979/2, pp. 43-44).
Nella contrada Santa Venera, l’architetto barcellonese individuò anche un sito (“grotta della
Civetta”) con tracce di frequentazioni del neolitico inferiore (DE PASQUALE, p. 8).
164
«Nello stesso territorio, oltre alle suddette necropoli sono state riscontrate tracce riferibili al
periodo sicano-siculo sia nelle stesse località interessate dalle presenze ausonie sia in altre
prossime alle prime. Ciò testimonia una ulteriore espansione della precedente struttura
territoriale. Trattasi in genere di frammenti di macine trachitiche e basaltiche a forma ovale ed a
sezione piano-convessa, con convessità accentuata, e di frammenti di vasi, di giare (pithos)
d’impasto bruno rossiccio o nero. A questi quasi sempre si associano tracce di ceramica protogreca. Le località in cui si è rinvenuta una certa concentrazione di indizi archeologici sono: 1)
M.te S. Onofrio Turriuni o chianu da reina, sia all’interno della rocca fortificata sia sulle pendici
orientali ed occidentali; 2) M.te S. Onofrio Chianu da riforma (c.da Parmento grande) – a circa
400-500 mt. dalla predetta rocca; 3) Serro Cannata situato a circa 2 Km. a Sud della precedente
località e presso la relativa necropoli; 4) C.da Grotta di S. Venera - dove sono già state
rinvenute, oltre a numerosi reperti ceramici, una mezza dozzina di macine riferibili ad un
81
Fig. 46 – Alcuni reperti che furono rinvenuti nell’area pizzo Lando-Serra di Spadolelle.
insediamento di questo periodo; 5) Serro Maloto. Qui ritengo di aver individuato ai piedi di un
rustico moderno, le tracce superficiali di una struttura muraria (resti di un edificio d’abitazione?)
realizzato probabilmente in questa età in conci più o meno regolari di tufo calcareo giustapposti
a secco. Lo spessore di tale struttura è di circa 60 cm.. Detta opera si situa a circa 200 metri
dalla già menzionata grande tomba a camera. Sul costone pliocenico di M.te Gonia-Marro, ad
occidente di M.te S. Onofrio e precisamente su M.te Marro ed in contrada Scorciacapre, sono
stati individuati i siti archeologici di insediamenti che si servivano delle sottostanti necropoli di
c.da Grassorella-Scorciacapre-Gonia» (GENOVESE 1977, pp. 33-34).
82
L’architetto Pietro Genovese, dopo aver individuato altri siti archeologici
nell’area compresa tra i torrenti Mazzarrà e Mela (Figg. 47 e 48), concluse le sue
indagini nell’asse monte Marro-contrada Scorciacapre-monte Gonia (comuni di
Rodì Milici e Terme Vigliatore), rinvenendo «frammenti di ceramica cordonata»
sulla cima di monte Marro,165 e tre tombe a grotticella e vari reperti (ceramica
paleo-greca e «frammenti di grossi pythoi, di situle e di vasi del IX-VIII sec.
a.C.») nella contrada Scorciacapre.166
Le importantissime ricerche dell’architetto barcellonese, da lui riassunte in una
mappa (Figg. 47 e 48), divennero il principale punto di riferimento per tutte le
indagini che saranno in seguito condotte nella vasta area compresa tra i torrenti
Mazzarrà e Mela.
Questi reperti presentavano impasti simili a quelli che erano stati rinvenuti nel centro
archeologico di monte S. Onofrio e in altri siti della valle del Longano (GENOVESE 1979, p. 73).
166
GENOVESE 1979, p. 74.
165
83
Figg. 47 e 48 (pagina seguente) – La mappa archeologica e la relativa legenda (anno 1977) con i
siti che furono indagati da Pietro Genovese (GENOVESE 1977, pp. 12-13).
84
85
GLI SCAVI DI PIZZO LANDO
Alla fine del 1995, circa un ventennio dopo la segnalazione dell’architetto
Pietro Genovese, la Soprintendenza di Messina eseguì alcuni scavi in un settore
di pizzo Lando (Figg. 49 e 50A) compreso tra il vallone della Scaletta e la valle
di Pietralunga. Le indagini, dirette dall’archeologa Carmela Bonanno,
consentirono di aggiungere importanti dettagli per la conoscenza di un’area
attigua alla valle del Longano e anche per l’insoluto dibattito sull’ubicazione
dell’insediamento di Longane.
Fig. 49 – Pizzo Lando.
L’area di piano Cannafè, su cui Genovese aveva rinvenuto un ripostiglio
dell’Ausonio e vari reperti (Fig. 45), fu oggetto di due saggi di scavo.
Il primo permise di evidenziare un piano «interamente ricoperto da frammenti
di spesse pareti e di colli di pithoi ad impasto» (Fig. 50B), e inoltre furono
rinvenuti «5 grossi pesi fittili», simili per dimensioni ad un peso del IX secolo
a.C. recuperato a Roccella Ionica, e «un frammento di vaso globulare con presa a
86
semiluna» e impasto grossolano (Fig. 51F). Questi reperti furono riferiti a
un’ampia capanna dell’Ausonio II, anche per la presenza «dei crolli delle pietre
che ne dovevano costituire le fondazioni».167 Tutta la ceramica recuperata aveva
«un impasto piuttosto compatto di tipo grossolano con molti inclusi», e
presentava «una colorazione rossa in superficie e nerastra in frattura».168
Fig. 50 – Cima sud di pizzo Lando (A), piano con frammenti di pareti e di colli di pithoi (B), vano
adibito a forno (C) e fossa rinvenuta nel saggio K1 (D). Da BONANNO, Tavole XC e XCII.
«Sempre a Piano Cannafè, che, per la sua posizione, in una conca ampia e riparata appare la
sede ideale per un abitato preistorico, sono stati eseguiti due saggi di scavo: un saggio nell’area
E ha permesso di evidenziare un piano (m. 14 N-S x m. 1,00 circa E-O) interamente ricoperto da
frammenti di spesse pareti e di colli di pithoi ad impasto, e inoltre 5 grossi pesi fittili e un
frammento di vaso globulare di medie dimensioni con presa a semiluna appena rilevata sulla
spalla, ad impasto grossolano con molti inclusi; si tratta, molto probabilmente, del piano di
frequentazione di un’ampia capanna, come si presume dalla presenza nel lato O dei crolli delle
pietre che ne dovevano costituire le fondazioni; queste capanne, molto ampie come la capanna
II del Castello di Lipari e di varie forme, compaiono nell’Ausonio II. Una di forma quadrata è
stata trovata sulla rocca della Motta di Rometta, non molto distante da Pizzo Lando»
(BONANNO, pp. 379-380).
168
«Tutta la ceramica rinvenuta sul piano ha un impasto piuttosto compatto di tipo grossolano
con molti inclusi, e presenta una colorazione rossa in superficie e nerastra in frattura; lo stesso
tipo di impasto è stato utilizzato per plasmare vasi sia di grande che di medio formato, le cui
pareti, sempre piuttosto spesse perché eseguite a cercine e senza mai usare il tornio,
originariamente dovevano avere la superficie esterna levigata o lucidata» (BONANNO, p. 380).
167
87
Il secondo saggio mise in luce «due muri realizzati in parte con grosse pietre
locali sbozzate, legate a secco», che delimitavano un ambiente probabilmente
chiuso da un altro muro costituito da grosse pietre, alcune ben squadrate.169
Indagando una parete angolare, a circa 45 cm. di profondità, fu individuato un
piano di calpestio su cui si adagiava un’anfora di età greca. Lo scavo rinvenne
nel terreno rimaneggiato anche «una fibula in bronzo del tipo cruciforme a
quattro spirali» (Fig. 51B), che fu riferita alla prima metà dell’VIII sec. a.C.,
essendo molto simile a quelle recuperate nella «tomba 7 della necropoli della
Grassorella di Rodì Milici» e nella necropoli di Pozzo di Gotto.170 Furono anche
rinvenuti alcuni frammenti di «ceramica d’impasto depurato con decorazione
geometrica incisa», coeva alla fibula, e un frammento di ceramica «con cerchietti
concentrici incisi» (Fig. 51D) separati «da tre linee verticali in un campo
delimitato inferiormente da tre bande orizzontali» (simile a reperti che erano stati
«Un saggio nell’area F ha messo in luce due muri realizzati in parte con grosse pietre locali
sbozzate e legate a secco: il M2 N-S (lungh. m. 6; largh. cm. 80 a Sud e cm. 60 a Nord), forse
rifatto, e il M3 E-O (lungh. m. 10,00, largh. cm. 60); essi delimitavano un ambiente che
probabilmente era chiuso a Sud da un altro muro M1 (lungh. m. 3,30; largh. cm. 60), direzione
E-O, costituito da grosse pietre, alcune ben squadrate e in parte distrutto forse a causa dei lavori
agricoli di coltivazione che, fino a poco tempo fa, hanno interessato la zona; per lo stesso
motivo le strutture, che quasi affioravano, erano ricoperte da terreno più volte rimescolato, in
cui la ceramica preistorica ad impasto si trova mescolata a frammenti di ceramica ellenistica»
(BONANNO, pp. 380-381).
170
«Tuttavia un saggio (m. 1 x 1) immediatamente a Sud del muro 3, a m. 3,20 circa dall’angolo
formato a Est dai muri 2 e 3, ha permesso di raggiungere, alla profondità di cm. 45 dalla
sommità del muro 3, un piano di calpestio con tracce di bruciato su cui poggiava un’anfora
sicuramente di età greca, ma della quale non è stato, però, possibile definire la forma né la
datazione, perché le pareti erano talmente corrose, a causa della forte acidità del terreno, che
non si è potuta recuperare. All’interno dell’ambiente, nel terreno rimaneggiato, è stata ritrovata
una fibula in bronzo del tipo cruciforme a quattro spirali […] Si tratta di un tipo poco diffuso in
Sicilia che potrebbe essere stato importato dall’area nord-calabra, dove invece era molto usato e
veniva prodotto, ed è databile alla prima metà dell’VIII sec. a.C.. Esemplari simili si trovano
nella Sicilia occidentale ad Erice e a Segesta, e nella Sicilia orientale nelle necropoli della facies
di Pantalica Sud, nel complesso dei bronzi della Montagna di Noto, nella tomba A3 della
necropoli di Cozzo S. Giuseppe di Realmese di Calascibetta (tipo 5) con lamina centrale a
losanga, mentre sulla costa settentrionale della Sicilia un esemplare simile al nostro con lamina
discoidale al centro, proviene dalla tomba 7 della necropoli della Grassorella di Rodì Milici e
due provengono dalla necropoli di Pozzo di Gotto, di cui una con piastra circolare in ferro e
l’altra molto lacunosa; invece nella tomba XI della necropoli di Cocolonazzo di Mola di
Taormina si trova il tipo senza più lamina centrale» (BONANNO, pp. 381, 383).
169
88
precedentemente recuperati nelle tombe di contrada Grassorella a Rodì Milici e
nella necropoli di Pozzo di Gotto). 171
Sul versante sud di pizzo Lando un altro saggio restituì «un breve tratto di un
piano di frequentazione» su cui si adagiavano numerosi frammenti di pareti di
ceramica ad impasto poco depurato e grossolano, quattro piccole fuseruole
biconiche e troncoconiche, e alcuni rocchetti a doppia capocchia. Sulla cresta sud
del monte furono inoltre recuperati «due frammenti del fondo di un grosso orcio
o pithos».172
I rinvenimenti più interessanti furono effettuati sul versante nord-ovest della
cima sud di pizzo Lando. Tre saggi portarono alla luce parti consistenti «di un
abitato di età greca», disposto su diversi livelli, e di cui furono rilevate almeno tre
fasi: «la più recente databile alla metà del III sec. a.C.», una precedente «del IV
sec. a.C.» e «una, più antica, della prima metà del V sec. a.C.» (sotto la quale fu
possibile rilevare indizi sulla «presenza di abitazioni» che risalivano «alla metà
del VI sec. a.C.»).173 La fase compresa tra il IV e il III secolo a.C. era
«E’ stato trovato finora soltanto qualche frammento sporadico di ceramica d’impasto
depurato con decorazione geometrica incisa, coeva a questa fibula, e si ha notizia del
rinvenimento di qualche frammento di essa anche a Piano Arancio, sul pendio di una collinetta a
N-E di Pizzo Lando, mentre assente è la ceramica dipinta con motivi tardo geometrici di
imitazione greca, che invece si trova nella necropoli di Cocolonazzo di Mola. Interessante è
anche il frammento, anch’esso sporadico, con cerchietti concentrici incisi separati da tre linee
verticali in un campo delimitato inferiormente da tre bande orizzontali, che non sembra rientrare
nel repertorio decorativo della ceramica con decorazione geometrica impressa noto per la
cuspide nord-orientale della Sicilia, e che riporta ad altre aree culturali forse della Sicilia stessa.
A N di Pizzo Lando, al di là di una profonda vallata, si trova la necropoli di Uliveto di Pozzo di
Gotto, scavata dal Cannizzo nel 1910 e pubblicata da P. Orsi, e le vicine tombe a grotticella
artificiale di contrada Villa De Luca-Cavaliere, coeve a quelle dell’Età del Ferro della
Grassorella di Rodì Milici dell’VIII sec. a.C., che hanno restituito, oltre alle fibule, anche
ceramica con decorazione geometrica incisa» (BONANNO, pp. 383-384).
172
«Sempre sul versante sud della cima sud di Pizzo Lando (a quota 600 m s.1.rn.), nell’area I,
un altro saggio ha messo in luce un breve tratto di un piano di frequentazione (m. 1,60 E-O x
cm. 80 N-S) con numerosi frammenti di pareti di ceramica ad impasto poco depurato e
grossolano, quattro piccole fuseruole biconiche e troncoconiche e alcuni rocchetti a doppia
capocchia; questa zona della montagna è stata interessata in passato dall’attività estrattiva di una
cava di pietra, come dimostrano i numerosi tagli visibili nei banchi rocciosi circostanti, per cui
null’altro è rimasto. Anche sulla cresta sommitale sud del monte si sono trovate tracce di
frequentazione: due frammenti del fondo di un grosso orcio o pithos ancora in posto»
(BONANNO, p. 384).
173
«Nello scosceso versante N-O sempre dalla cima sud di Pizzo Lando è stata esplorata una
vasta area (K) e sono stati eseguiti tre saggi (KKIK mettendo in luce parti di un abitato di
171
89
caratterizzata da sei vani, di cui uno «adibito a cucina» e caratterizzato da «un
piccolo forno» rettangolare con copertura in «argilla cruda» (Fig. 50C). In
quest’ambiente furono rinvenute anfore di tipo greco-italico (Fig. 51A), una
«pentolina», alcuni «frammenti di lopadia» e «una conduttura fittile cilindrica»
legata ad «un sistema per il deflusso delle acque».174
Fu inoltre individuata «una struttura curvilinea (lungh. m. 2,50; largh. cm. 40;
alt. cm. 60) costituita da un unico filare di grosse pietre locali (cm. 60 x 60)
appena sbozzate, messe in opera con una tecnica primitiva e rudimentale», che fu
ricondotta alla struttura fondiaria di una capanna, cui erano legati «un frammento
di orlo di un grande pithos» e «un’olletta frammentaria» («forse riferibile
all’Ausonio II»). La capanna risultava successivamente distrutta in seguito alla
realizzazione di tre fosse (due rettangolari e una quadrata), scavate nel sottostante
banco roccioso (Fig. 50D), in cui furono recuperati un dente (forse umano) e una
fibula in bronzo (Fig. 51C) riconducibile al periodo compreso tra l’VIII e la
prima metà del VII secolo a.C. (simile, tra l’altro, a quelle che furono rinvenute a
Pithecusa, Pontecagnano, Preneste, Siracusa, Calascibetta, Adrano e nella
età greca, che doveva essere disposto su diversi livelli, conformemente alla morfologia del
ripido pendio; di esso sono state individuate nel saggio 2 almeno tre fasi: la più recente databile
alla metà del III sec. a.C., una precedente del IV sec. a.C. e una, più antica, della prima metà del
V sec. a.C., sotto la quale è stato possibile individuare indizi della presenza di abitazioni che
risalgono alla metà del VI sec. a.C., ma ancora i livelli di VI sec. non sono stati raggiunti, sicchè
non è possibile, al momento, affermare che nell’abitato ci sia stata continuità di vita dal VI al III
sec. a.C., come sembra tuttavia probabile. L’abitato di età greca ha occupato anche la stretta
sella che congiunge la cima sud con la cima nord di Pizzo Lando, anch’essa interessata dalla
presenza di strutture murarie di età classica e dove uno sbancamento per la costruzione di una
strada ha evidenziato in parte tegole e mattoni. Si tratta di un insediamento di notevole
estensione e sembra che il centro sia stato abitato anche in età tardo-romana, come si evince dal
rinvenimento in esso di un’anfora con solcature orizzontali sulle pareti, consegnata alla
Soprintendenza» (BONANNO, p. 385).
174
«Il saggio Kha messo in luce sei vani, databili tra la metà del IV e forse solo la prima metà
del III sec. a.C.; nell’angolo NE dell’ambiente 2 è stata trovata una piccola anfora di tipo grecoitalico, che doveva forse contenere un vino particolarmente pregiato. Il vano 4 era un ambiente
adibito a cucina, in esso sono stati trovati numerosi frammenti di anfore greco-italiche, una
quasi intera, una pentolina, e nell’angolo NE un piccolo forno di forma rettangolare (cm. 45 x
68; alt. cm. 56), la cui copertura era realizzata in argilla cruda e aveva in origine forma di
cupola; all’interno e al di fuori di esso sono stati trovati alcuni frammenti di lopadia. A O
dell’ambiente 4 una conduttura fittile cilindrica è indizio dell’esistenza di un sistema per il
deflusso delle acque» (BONANNO, p. 385-386).
90
necropoli del Finocchito).175
In un altro saggio, eseguito sul versante nord-ovest, furono individuati nove
ambienti, in parte esplorati, che vennero ricondotti a fasi costruttive databili tra la
metà del IV secolo a.C. e la metà del III sec. a.C.. In uno degli ambienti furono
recuperate due monete, «tra cui un pentonkion di zecca mamertina perfettamente
leggibile» (metà del III sec. a.C.). Altri resti di strutture abitative (caratterizzate
da frammenti di ceramica attica) e alcuni frammenti di hydrie e anfore «di
produzione greco-occidentale» furono riferiti alla prima metà del V sec. a.C. e
alla seconda metà del VI secolo.176
«Sempre nel saggio K a S dell’ambiente 1, al di sotto di un ambiente di età ellenistica
(ambiente 1 bis), si trova una struttura curvilinea (lungh. m. 2,50; largh. cm. 40; alt. cm.60)
costituita da un unico filare di grosse pietre locali (cm. 60 x 60) appena sbozzate, messe in opera
con tecnica primitiva e rudimentale. Si tratta con molta probabilità delle fondazioni di una
capanna; infatti essa delimita la parte superstite di un piano di calpestio realizzato con pietrame
su cui si trovano: un frammento di orlo di un grande pithos, alcuni frammenti di pareti sempre
ad impasto e un’olletta frammentaria e mal conservata con puntini impressi sulla parete, forse
riferibile all’Ausonio II. La capanna è stata successivamente in gran parte distrutta dalla
realizzazione di alcune fosse scavate direttamente nel sottostante banco roccioso; ne sono state
individuate tre: esse erano riempite da terra sabbiosa, molto soffice con numerosi finissimi
grasselli di mica, di colore bruno molto chiaro (5/4 2.5 Y M.S.C.), ed erano state forse già
manomesse in antico; la fossa 1 (direzione N-S; lungh. m. 1,20; largh. cm. 50; prof. cm. 30) di
forma approssimativamente rettangolare, il cui lato est non è perfettamente delimitato come gli
altri, presenta sul fondo una buca profonda cm. 15 e larga cm. 30 x 40; in essa è stato trovato un
dente forse umano molto usurato, ancora da analizzare; uno dei suoi lati corti era in parte
rivestito da una tegola piana, della quale resta ancora un frammento (alt. cm. 20; largh. cm. 18)
aderente alla parete rocciosa. La fossa 2 (direzione E-O; lungh. m. 1; largh. cm. 65; prof. cm.
40) di forma anch’essa rettangolare, più larga a Sud, era riempita soltanto da terreno soffice
misto a qualche frammento di roccia. Nella fossa 3 di forma approssimativamente quadrata
(direzione E-O; lungh. m. 1; largh. m. 1; prof. cm. 60 circa) è stata trovata sul fondo una fibula
in bronzo […] Si tratta di un esemplare molto raffinato e perfettamente conservato. Il tipo deriva
dalla fibula con arco serpeggiante a bastoncelli che ha una vasta diffusione in area peninsulare;
esso è presente in contesti del terzo e ultimo quarto dell’VIII sec. a.C. a Pithecusa e si trova
frequentemente in Campania, in Calabria e anche in Etruria; di questo tipo di fibula vennero
realizzate numerose varianti anche in argento, come gli esemplari di Pontecagnano e
l’esemplare proveniente dalla tomba Bernardini di Preneste (seconda metà del VII sec. A.C.)
simile al nostro per la forma anche se molto più elaborato e in metalli pregiati, oro ed elettro,
come gli esemplari di Cuma; mentre in Sicilia il tipo appare sia in contesti coloniali a Siracusa
nell’Athenaion e nelle tombe 308 e 326 del Fusco, databili, secondo Hencken, entro la prima
metà del VII sec. a.C., che in contesti indigeni della facies del Finocchito e nella stessa
necropoli del Finocchito, ed è presente con un unico esemplare (tipo 8) nella necropoli in
contrada Realmese di Calascibetta, alcuni esemplari si trovano anche nel ripostiglio del
Mendolito di Adrano, e sono tutti databili tra l’ultimo quarto dell’VIII e la prima metà del VII
sec. a.C.» (BONANNO, pp. 386, 388-389).
176
«Sempre sullo stesso versante, più in basso, nel saggio Ksono stati evidenziati sei ambienti
175
91
Fig. 51 – Alcuni rinvenimenti di pizzo Lando: piccola anfora di tipo greco-italico (A), fibula a
quattro spirali (B), fibula a drago (C), frammento di ceramica con cerchietti incisi (D),
frammento di ansa a gomito dell’Eneolitico (E) e frammento di vaso globulare con presa a
semiluna (F). Da BONANNO, Figg. 3, 4 e 6, Tav. XCI.
L’ultimo saggio mise in luce «strutture murarie pertinenti ad ambienti del IV
sec. a.C.», un forno di forma circolare, un piano di frequentazione con
«frammenti di pithoi ad impasto» e una zona «con tracce di bruciato e
carbonella».177
e altri tre su una terrazza sottostante; di essi sono stati esplorati soltanto i vani 2 e 3, entrambi
con ingresso ad Est; si tratta di piccoli ambienti (m. 2 x 2 circa), di cui sono state individuate tre
fasi costruttive: una (metà IV sec. a.C.) con pietre locali accuratamente squadrate, legate a secco
e messe in opera con buona tecnica costruttiva, e un’altra (metà III sec. a.C.), forse un
rifacimento dei vani, realizzata con piccole pietre raccolte in loco e messe insieme senza alcuna
pretesa; ad Est dell’ambiente 2 sono state trovate due monete, tra cui un pentonkion di zecca
mamertina, perfettamente leggibile; a strutture abitative con orientamento leggermente diverso
(SE-NO) appartengono il muro 9 e il muro 10: essi, sulla base del rinvenimento in strato di
alcuni frammenti di ceramica attica, si datano alla prima metà del V sec. a.C.; inoltre, numerosi
frammenti di coppe di tipo ionico B2, hydrie e anfore per lo più di produzione grecooccidentale, databili alla seconda metà del VI sec. a.C., sono stati rinvenuti smontando uno
spesso strato di crollo, sottostante le suddette strutture» (BONANNO, pp. 392-393).
177
«Nel saggio K si è avuto appena il tempo di mettere in evidenza alcune strutture murarie
pertinenti ad ambienti del IV sec. a.C. e un forno di forma approssimativamente circolare (diam.
92
Le indagini allora condotte attestarono, su entrambi i versanti della cima sud di
pizzo Lando, «una continua frequentazione durante il periodo dell’Ausonio II e
fino alla prima età del Ferro», e tracce consistenti d’insediamenti della prima
metà dell’VIII secolo e della prima metà del VI secolo a.C.. Risultava tuttavia
mancante il collegamento antropico tra la fine dell’VIII secolo a.C. e la prima
metà del VI secolo a.C..178
I risultati delle indagini non consentirono di stabilire se Pizzo Lando, già
frequentato nell’Eneolitico (Fig. 51E),179 fosse «da porre in relazione con la piana
di Milazzo» o se fosse stato «un insediamento siculo ormai ellenizzato, forse
avamposto di un altro centro dell’interno».180
cm. 95) con copertura a cupola in argilla cruda; nell’angolo SE è stato eseguito un saggio
stratigrafico, nel cui strato 4, spesso cm. 34, terreno argilloso di colore bruno scuro con ghiaia,
si è evidenziato un breve tratto (m. 4,20 E-O x m. 1,35 N-S) di un piano di frequentazione, su
cui si trovano numerosi frammenti di pithoi ad impasto, tra i quali il collo svasato in alto di un
grande pithos e due frammenti di pareti di forme chiuse con nervature a rilievo; in esso, inoltre,
è stato possibile isolare una zona con tracce di bruciato e carbonella; al di sotto lo strato 5 di
colore ancora più scuro poggia direttamente sulla roccia; anch’esso, con frammenti di ceramica
ad impasto di colore bruno e ricco di carbonella, dimostra un elevato grado di frequentazione
antropica della zona tra la fine dell’età del Bronzo e gli inizi dell’età del Ferro» (BONANNO, p.
393).
«Per concludere, tracce di insediamenti e una continua frequentazione durante il periodo
dell’Ausonio II e fino alla prima età del Ferro sembrano abbastanza evidenti su entrambi i
versanti della cima sud di Pizzo Lando. L’Ausonio II nel territorio di Barcellona è noto anche a
Monte S. Onofrio e in località S. Venera. Probabilmente la nuova ondata di popolazioni
provenienti dall’Italia avrà preferito stabilirsi nell’entroterra o sulle alture come Pizzo Lando e
Monte S. Onofrio, siti arroccati, veri e propri nidi d’aquila, come avviene in questo periodo
anche altrove in Sicilia e nell’Italia Meridionale per motivi di difesa. Sono comunque attestati
dal ritrovamento della fibula a quattro spirali la frequentazione del sito nella prima metà
dell’VIII sec. a.C. e i contatti di esso con le culture del nord della Calabria, come è per tutta
questa zona. Basta vedere i corredi della necropoli della Grassorella di Rodì Milici e quelli della
vicina necropoli di Pozzo di Gotto nello stesso territorio di Barcellona. Nessun elemento
possediamo, almeno finora, per il periodo che va dalla fine dell’VIII sec. a.C. alla prima metà
del VI sec. a.C.» (BONANNO, p. 395).
179
«A Pizzo Lando è nota già da tempo la presenza di ceramica dell’Eneolitico, come il
frammento di ansa a gomito con appendice sopraelevata di salsiera, caratteristico della cultura di
Piano Quartara (BERNABÒ BREA – CAVALIER 1960, pp. 70-71 fig. 23 b, tav. XXV, 1 f); tuttavia,
allo stato attuale delle nostre conoscenze possiamo soltanto pensare ad una frequentazione
stagionale del sito legata alla transumanza: ancora oggi i pastori portano le greggi a svernare a
Pizzo Lando dal vicino Colle del Re» (BONANNO, p. 377).
180
«Nella metà del VI sec. a.C. l’abitato dell’anonimo sito di Pizzo Lando, in posizione
strategica, è da porre in relazione con la piana di Milazzo e con la sua difesa da eventuali
incursioni dall’interno, oppure è da considerarsi un insediamento siculo ormai ellenizzato, forse
avamposto di un grosso centro dell’interno che batteva moneta, come potrebbe essere
Longane?» (BONANNO, p. 395).
93
Fig. 52 – Pizzo Lando, monte S. Onofrio e monte Ciappa.
Le presenze delle aree fortificate di pizzo Ciappa e monte S. Onofrio (entrambe
del V secolo a.C.), e di «alcune strutture murarie di grandi dimensioni» che
furono rinvenute su pizzo Lando, indussero l’archeologa Carmela Bonanno, sulle
orme di Giacomo Scibona, a formulare l’ipotesi che questi tre siti, tra loro
visivamente collegati (Fig. 52) e frequentati nello stesso periodo, potevano aver
fatto parte «di un sistema di fortificazioni erette a difesa della chora di un centro
siculo ellenizzato» più interno, quale poteva essere «Longane o addirittura
Abakainon».181
«Il professor Bernabò Brea, sulla base dell’identificazione del fiume Longano con il torrente
Termini, a O di Pizzo Lando, ha localizzato Longane sull’altipiano che si erge a NO del
villaggio di Milici, protetto nei punti più accessibili da due acropoli fortificate: a Nord Pizzo
Ciappa e a Sud Pizzo Cocuzzo. Sul Pizzo Cocuzzo si trovano cospicui resti di una fortificazione
in parte in tecnica megalitica con grossi blocchi non squadrati; sul Pizzo Ciappa l’area
fortificata, estesa 600 mq., era rinforzata, nei punti più accessibili, da torri o porte torri quadrate,
costruite con blocchi poligonali; essa, secondo Bernabò Brea, doveva costituire l’acropoli della
città greco-sicula di Longane. A Pizzo Ciappa i livelli più ricchi sono del V sec. a.C. e continua
ad essere frequentato fino agli inizi del III sec. a.C., ma dell’abitato di Longane non è stata
trovata finora traccia. Un’altra area fortificata con torri quadrangolari, quella di Monte S.
181
94
LE ALTRE INDAGINI CONDOTTE NELL’AREA
E GLI OBIETTIVI DELLE ESPLORAZIONI
Nello stesso anno degli scavi di pizzo Lando, la vasta area compresa tra i
torrenti Patrì e Mazzarà, in precedenza indagata da Luigi Bernabò Brea,
Domenico Ryolo e Pietro Genovese, iniziò ad essere esplorata dall’archeologa
Biagina Campagna.
Le sue indagini portarono al rinvenimento d’impasti della prima età del bronzo
(Fig. 53A) sulla sommità di monte Lombia (piccolo versante sito a nord di pizzo
Ciappa), che furono ricondotti a un piccolo insediamento coevo ai limitrofi siti di
pizzo Ciappa e monte Gonia (Fig. 54).182 In contrada Paparini e su monte Marro
furono inoltre rinvenute alcune tombe a pianta circolare dell’età del bronzo,183
Onofrio, si trova sulla riva destra del torrente Termini, anch’essa in posizione strategicamente
dominante e visivamente collegata sia con l’insediamento di Pizzo Ciappa che con quello di
Pizzo Lando; nel V sec. a.C. la fortezza di Monte S. Onofrio decade. Su Pizzo Lando non è stata
trovata finora una fortificazione, ma alcune strutture murarie di grandi dimensioni a S della
cima Nord ne lasciano presupporre l’esistenza. Se realmente così fosse, si potrebbe pensare che
Monte Ciappa, Monte S. Onofrio e Pizzo Lando abbiano potuto fare parte di un sistema di
fortificazioni erette a difesa della chora di un centro siculo ellenizzato, quale potrebbe essere
Longane o addirittura Abakainon. Nel IV-III sec. a.C., dopo la scomparsa di Longane,
l’anonimo sito di Pizzo Lando sarà stato probabilmente assorbito dal territorio di Messana o
meglio dello stato mamertino; significativa a questo proposito può essere la moneta di zecca
mamertina ritrovata» (BONANNO, pp. 395-396). Si veda anche SCIBONA 1984, p. 406.
182
«Le evidenze relative al popolamento del territorio durante l’Età del Bronzo, come si è detto,
erano in parte già state localizzate in due aree topograficamente delimitate e distanti tra loro: la
sommità di Pizzo Ciappa e i pendii di Monte Gonia. Adesso sono state ulteriormente arricchite e
meglio definite, grazie all’acquisizione di nuovi dati. Frammenti di impasti della prima Età del
Bronzo, tipologicamente vicini ai materiali presenti nelle tre tombe a grotticella di Monte
Gonia, sono stati rinvenuti anche a Sud-Ovest dell’attuale centro di Rodì, sulla sommità di
Monte Lombia, in un’area di ca. m. 50 x 70. La presenza di impasti databili alla prima Età del
Bronzo anche su Monte Lombia consente così di arricchire il quadro degli stanziamenti in
questo territorio, individuando un’altra area di frequentazione, precedentemente attestata, come
s’è detto, solo nei livelli sottostanti la fortificazione di Pizzo Ciappa e sul Monte Gonia. Infatti
tali frammenti permettono di ipotizzare l’esistenza di un piccolo insediamento (forse un
avamposto di quello esistente immediatamente a Sud, su Pizzo Ciappa) su un’altura molto
scoscesa, difesa naturalmente, dalla quale si poteva sorvegliare la pianura sottostante e dunque
tutto il territorio che si estende fino alla costa tirrenica» (CAMPAGNA, p. 153).
183
«Per quanto concerne invece l’area a Nord-Est dell’attuale centro urbano di Rodì, le
ricognizioni archeologiche hanno consentito innanzitutto l’individuazione di altre tombe a
pianta circolare, per lo più già scavate, sia in Contrada Paparini che su Monte Marro, un’altura
che sorge Km 1 a Nord di Monte Gonia» (CAMPAGNA, p. 154).
95
mentre sulla sommità di monte Marro, «in una piccola area di m. 20 x 30»,
furono recuperati «tre frammenti di ossidiana e numerosi frammenti d’impasto»
(riferiti «alla prima Età del Bronzo» e riconducibili alla «presenza di un piccolo
nucleo abitativo»).184 Il rinvenimento d’impasti simili nelle aree di pizzo Ciappa,
monte Lombia, monte Gonia e monte Marro portò Biagina Campagna a
ipotizzare l’esistenza di quattro villaggi «differenti, ma probabilmente affini», già
esistenti «a partire dal XVIII sec. a.C.», cui erano collegate le tombe a grotticella
Fig. 53 – Alcuni reperti che furono recuperati da Biagina Campagna: frammenti fittili rinvenuti su
monte Lombia (1), frammenti fittili recuperati su monte Marro (2) e frammento di un pithos
rinvenuto in contrada Scorciacapre (3). Da CAMPAGNA, Tavole III e IV.
«Contrariamente, sulla sommità di Monte Marro, in una piccola area di m. 20 x 30 ca., si
sono rinvenuti, nel corso delle ricognizioni, tre frammenti di ossidiana e numerosi frammenti
d’impasto, purtroppo non sempre tipologicamente classificabili per la totale assenza di orli, ma
riferibili in parte alla prima Età del Bronzo. L’ipotesi della presenza di un piccolo nucleo
abitativo sulla sommità di Monte Marro e la totale assenza di indizi riferibili ad un abitato su
Monte Gonia non possono certamente far pensare all’esistenza di un’unica area abitativa sul
pianoro di Monte Marro, cui sarebbero riferibili anche le tombe rinvenute lungo le pendici di
Monte Gonia» (CAMPAGNA, p. 154).
184
96
artificiale di monte Gonia, contrada Paparini e monte Marro (Fig. 54).185
Durante le ricognizioni furono rilevati «numerosi tagli artificiali» sul costone
tufaceo che unisce monte Gonia a monte Marro, caratterizzato, nella limitrofa
contrada Paparini, da «tombe della prima Età del Bronzo adicacenti a tombe
dell’Età del Ferro» (individuate anni prima da Bernabò Brea). Numerosi
«frammenti di impasto riferibili all’età del Ferro» recuperati sulla sommità di
monte Marro (Fig. 53B) consentirono di attestare la frequentazione protostorica
in tutta l’area. Le indagini non rinvennero tracce d’insediamenti dell’età del
ferro, che furono ipotizzati soltanto su monte Gonia, vasta area dominante i
luoghi limitrofi.186
Riguardo all’età greca, le ricerche dell’archeologa Campagna permisero di
rinvenire tegole «d’impasto grezzo rossiccio» con «listello a profilo curvilineo»
«Il rinvenimento di impasti molto simili in due aree distanti e geologicamente differenti,
precisamente a Sud-Ovest (Pizzo Ciappa e Monte Lombia) e a Nord-Est (Monte Gonia e Monte
Marro) dall’attuale centro di Rodì permette di fare le seguenti ipotesi: - nella prima area, quella
di Sud-Ovest, dovevano esistere due piccoli abitati, differenti ma probabilmente affini, sorti nei
punti più elevati, come Pizzo Ciappa e Monte Lombia. Le necropoli relative, non ancora
localizzate, non potevano però essere del tipo a grotticella artificiale a causa della morfologia
del terreno, privo di costoni tufacei nei quali scavare le sepolture. – nella seconda area, quella di
Nord-Est, gli abitati si sviluppavano probabilmente sui pianori delle due colline più elevate,
Monte Gonia e Monte Marro. Le tombe a grotticella artificiale scavate sul versante orientale di
Monte Gonia e le altre tombe a pianta circolare di Contrada Paparini e Monte Marro rientrano
tutte in un’area geologicamente differente, che bene si prestava, per i costoni tufacei presenti
lungo i pendii, alla realizzazione di questa tipologia tombale. Alla luce delle considerazioni e
delle ipotesi fatte, si può pertanto parlare con certezza di un popolamento di queste aree già a
partire dal XVIII sec. a.C., aggiungendo un altro tassello a quanto si conosceva della costa
tirrenica nord-orientale della Sicilia» (CAMPAGNA, p. 154).
186
«Dalla ricognizione archeologica emerge innanzitutto che in tutto il costone tufaceo
emergente da Monte Gonia fino a Monte Marro, sono ancora parzialmente visibili numerosi
tagli artificiali, non sempre ben riconoscibili perché alterati sia da cave moderne di pietra che da
numerosi scavi clandestini. Altro importante dato è quello della presenza, soprattutto in
Contrada Paparini, di tombe della prima Età del Bronzo adiacenti a tombe dell’Età del Ferro.
Infatti sepolture, di dimensioni maggiori, a pianta quasi circolare e con soffitto a volta, si
trovano accanto a piccole sepolture a pianta quadrata e con soffitto piano. Inoltre, già nel corso
degli scavi di Bernabò Brea era stata notata la presenza regolare di tombe dell’Età del Ferro
rispetto a quella sporadica di tombe dell’Età del Bronzo. Il fenomeno descritto ci sembra degno
di nota perché attesta una continuità d’uso di determinate aree in un arco di tempo notevolmente
ampio […] E’ ipotizzabile, tuttavia, che, nonostante gli esiti negativi della ricognizione in
superficie, solo il pianoro di Monte Gonia si prestava ad ospitare un abitato correlato alle
necropoli delle pendici. Tale ipotesi ovviamente potrà essere confermata solo da uno scavo
archeologico. Così come si è già visto per l’Età del Bronzo, l’unica area in cui si sono rinvenuti
185
97
(VI-V secolo a.C.) nella contrada Mustaco e, nell’area di monte Lombia, resti «di
anfore da trasporto», «ceramica acroma» e un «frammento di un piede di coppa
ionica» della «prima metà del VI sec. a.C.».187 Inoltre, su monte Marro, furono
recuperati numerosi frammenti di ceramica a vernice nera, che vennero collegati
a «un piccolo avamposto, difeso naturalmente, sito in posizione molto favorevole
per il controllo della pianura sottostante».188
Le ricognizioni aggiunsero anche nuovi dati per lo studio dell’area durante l’età
ellenistica attraverso il rinvenimento di frammenti di tegole e di due pithoi (Fig.
53C) nella contrada Scorciacapre (precedentemente indagata da Pietro
Genovese),189 che portarono ad ipotizzare l’«esistenza di piccole fattorie»
disposte vicino alla costa e legate all’abbandono dell’area di pizzo Ciappa dopo il
V secolo (come attestano anche alcune monete in bronzo).190
numerosi frammenti di impasto riferibili all’Età del Ferro, è il pianoro che si estende sulla
sommità di Monte Marro, ca. Km. 1,5 a Nord della necropoli» (CAMPAGNA, p. 154).
187
«Le prime indicazioni di una frequentazione dell’area provengono, come già detto, dalla
necropoli di Contrada Mustaco, ubicata in un piccolo terrazzo posto a valle e a Nord-Est
dell’altipiano di Contrada Pirgo, da cui dista in linea d’aria ca. m. 500. La recente ricognizione
ha restituito solo numerose tegole. Tutte d’impasto grezzo rossiccio con listello a profilo
curvilineo, esse non permettono di stabilire in maniera puntuale la cronologia. Tegole dello
stesso tipo, infatti, sono state rinvenute in contesti stratigrafici databili sia al V sec. a.C., come
ad Himera, sia in livelli archeologici del VI sec. a.C. […] Sul piccolo pianoro, nell’area a Nord
di Pizzo Ciappa, sulla sommità di monte Lombia, infatti, oltre ai frammenti di impasti relativi
alla prima Età del Bronzo sono stati rinvenuti frammenti di anfore da trasporto, ceramica
acroma e un frammento di un piede di coppa ionica databile alla prima metà del VI sec. a.C.»
(CAMPAGNA, p. 156).
188
«Un’altra area interessata da frequentazione greca è la sommità di Monte Marro, a Sud-Est
dell’attuale centro urbano di Rodì. Numerosi sono infatti i frammenti di ceramica a v.n.. Ciò
suggerisce l’ipotesi che, nel corso del V sec. a.C., l’area fosse occupata da un piccolo
insediamento. L’assenza in superficie di tracce relative ad opere di difesa farebbe pensare ad un
piccolo avamposto, difeso naturalmente, sito in posizione molto favorevole per il controllo della
pianura sottostante» (CAMPAGNA, pp. 156-157).
189
GENOVESE 1979, p. 74.
190
«Nuove attestazioni relative al IV sec. a.C. si ricavano solo grazie al rinvenimento, nell’area
circostante Monte Lombia, di monete di bronzo; si tratta di esemplari emessi dalle zecche di
Tindari, Abakainon e di Siracusa, rispettivamente della 2a metà del IV secolo le prime due, nel
III secolo la terza. Durante il IV sec. a.C. l’area rientrava probabilmente nella sfera d’influenza
di Abakainon, il centro indigeno localizzato nell’attuale comune di Tripi, pochi Km a Sud-Ovest
di Rodì. Come ci conferma Diodoro (Diod. XIV, 78,5), Abakainon fu privata di parte del
territorio, quando Dionigi il Vecchio, con un gruppo di esuli messeni, fondò nel 396 a.C.
Tindari […] Numerosi frammenti di tegole, reimpiegati in muretti a secco e frammenti di due
grossi pithoi sono stati, infatti, rinvenuti in Contrada Scorciacapre (località “Vadduni o fundu”),
poche centinaia di metri a Est delle contrade Magiaramigna e Pietre Rosse. La tipologia dei
98
Le importanti indagini condotte dall’archeologa Campagna consentirono, in
modo particolare, di ipotizzare l’esistenza di quattro villaggi dell’età del bronzo
(cime di pizzo Ciappa, monte Lombia, monte Gonia e monte Marro), e di
attestare frequentazioni di età greca su monte Lombia e dell’età del ferro su
monte Gonia e monte Marro (Fig. 54).
Fig. 54 – Siti che furono indagati da Biagina Campagna.
Qualche anno più tardi, nel 2003 - dopo che la Soprintendenza di Messina aveva
portato alla luce su monte Gonia «una fattoria ellenistica» o «un complesso
rurale a destinazione produttiva» («cui erano pertinenti tre tombe a fossa del III
sec. a. C. »)191 - Antonino De Pasquale, uno dei collaboratori dell’architetto
Pietro Genovese, avendo rinvenuto vari reperti fittili nell’area compresa tra i
torrenti Patrì e Mela, divulgò alcune mappe archeologiche con lo scopo di
invitare i redattori del Piano Regolatore Generale di Barcellona Pozzo di Gotto
all’apposizione dei vincoli.192 Le indagini di Antonino De Pasquale,193 riassunte
materiali rinvenuti suggerisce pertanto l’ipotesi dell’esistenza di piccole fattorie in aree in cui la
conformazione topografica, piccole terrazze pianeggianti a ridosso di una stretta vallata, appare
ancora oggi particolarmente adatta ad attività agricole» (CAMPAGNA, p. 157). Le indagini di
Biagina Campagna rilevarono anche la presenza di due aree rurali d’età romana in contrada
Scorciacapre e in contrada Sulleria, che forse costituivano il «retroterra agricolo» della vicina
villa romana di contrada San Biagio (CAMPAGNA, pp. 157-158).
191
PUMO, p. 16.
192
«Gli allegati che inoltriamo si prefiggono di sensibilizzare i redattori del P.R.G. allo scopo di
riconfermare i precedenti vincoli Archeologici-Ambientali del vecchio P.R.G., e
contemporaneamente di considerare la possibilità, in riferimento agli allegati, di estendere la
loro superficie (vedi per esempio la zona archeologica di Pizzo Lando). In subordine, dove
risultino siti archeologicamente interessanti e l’intensa urbanizzazione non permetta il vincolo,
99
negli schemi seguenti (tabella e Figg. 55 e 56), consentirono di potenziare le
conoscenze storico-archeologiche dell’area nel periodo compreso tra il
Mesolitico e l’epoca bizantino-medievale.
PERIODO
SITI
MESOLITICO
NEOLITICO
Contrada Pietro Pallio (1).
Contrada Pietro Pallio (1), grotta della Civetta (13), contrada
Lìmina (20), contrada Vernacola-Protonotaro (23) e grotta
Mandra (33).194
Contrada Pietro Pallio (1), contrada Case Miano (5), contrada
Case Crisafulli (6), Maloto-Vallecola meridionale (7), pizzo
Lando (17), monte Soglio-piano Llaria (21), contrada Vignale
(22) e contrada Torre Longa (27).
Contrada Pietro Pallio (1), monte S. Onofrio (2), contrada Feo
Ospedale (3), contrada Mpisu-valle Argentieri (4), contrada Case
Bucca (8), Croce Maloto (9), contrada Luricito (12), contrada
Grotta Santa Venera (14),195 versante nord-est del costone di
Santa Venera (15), contrada Tramontana (16), pizzo Lando (17),
piano Cannafè (18 e 19) e monte Lanzaria (32).
Monte S. Onofrio (2), contrada Maloto (10), contrada Ciavolaro
(11), contrada Tramontana (16), monte Oliveto-Risica (30),
contrada Cavalieri-villa De Luca (31), area del monastero di Gala
(35)196 e contrada Serro Cannata (38).
Monte S. Onofrio (2), pizzo Lando (17), contrada Lìmina (20) e
monte Croci (25).197
Contrada Vignale (22), contrada Vernacola-Protonotaro (23),
contrada Torre Lunga-Centineo (27), contrada Palcotto-Calderà
(29), contrada Serro Cannata (38), contrada Serra di Spadolelle
(34), area del monastero di Gala (35), Protonotaro (36) e monte
Cappuccini (37).
Pizzo Lando (17), monte S. Croce (24), Chianu Chiesa-Bafia
(26) e area del monastero di Gala (35).
ENEOLITICO
ETA’ DEL BRONZO
ETA’ DEL FERRO
EPOCA GRECA
ED ELLENISTICA
EPOCA ROMANA
EPOCA
BIZANTINO-MEDIEVALE
suggeriamo di dichiarare queste località “zone di attenzione archeologica”. Ciò vuol dire che
anche in assenza di vincolo per qualsiasi movimento terra pubblico o privato, l’amministrazione
comunale è tenuta preventivamente ad informare la Soprintendenza di Messina la quale seguirà
le operazioni di scavo. In questo nostro lavoro di riorganizzazione delle preesistenze
archeologiche abbiamo fatto largo uso degli elaborati teorici dell’arch. Pietro Genovese, in parte
da lui pubblicati nei numeri 33, 38 e 40 della rivista “Sicilia Archeologica” e ripresi da S. Tusa
nel suo libro “La Sicilia nella preistoria”» (DE PASQUALE, p. 1).
193
DE PASQUALE, pp. 1-16.
194
In prossimità della grotta Mandra fu recuperata «ceramica preistorica e protostorica» (DE
PASQUALE, p. 2).
195
I reperti rinvenuti in questa contrada, riferiti inizialmente all’Ausonio I e II, furono estesi
cronologicamente da Bernabò Brea fino all’Ausonio III, «periodo successivo alla distruzione dei
villaggi di Lipari e di Milazzo» (DE PASQUALE, p. 8).
196
All’interno dell’area occupata dal complesso monastico di Gala furono individuate «tracce di
un villaggio di epoca sicula» (DE PASQUALE, p. 7).
197
In seguito a uno sbancamento furono rinvenute «tracce di un piccolo insediamento e di
tombe d’epoca paleo-greca» (DE PASQUALE, p. 14).
100
Fig. 55 – Mappa della riorganizzazione archeologica nell’area compresa tra i torrenti Mela e
Patrì (DE PASQUALE, tav. I). Per la legenda dei luoghi si veda la precedente tabella.
101
Fig. 56 – Mappa delle necropoli (DE PASQUALE, tav. VIII).
Legenda dei luoghi e consistenza dei rinvenimenti (DE PASQUALE, tav. VIII).
«MEDIO-TARDO-ENEOLITICO: 1) Vallecola meridionale di Serro Maloto (tomba a grotticella).
ETÁ DEL BRONZO (tombe a grotticella del tipo a forno): 2) Monte Lanzaria (consistenza a gruppi); 3)
Contrada Ciavolaro-Maloto (consistenza a gruppi); 4) Sotto la rocca di Castroreale (sporadiche); 5) Monte
S. Onofrio, valle Argentieri, S. Domenica, valle di Acquaficara (sporadiche).
CAMPI DI URNE CINERARIE: 6) Contrada Mpisu; 7) Pendici nord-est di Monte San Onofrio.
ETÁ DEL FERRO (tombe a camera media e grande, e tombe a cella): 8) Monte S. Onofrio, Argentieri, S.
Domenica, valle di Acquaficara (n.° 50 circa); 9) Contrada Cavaliere (n.° 7 tombe a cella e n.° 1 a
camera); 10) Serro Maloto lato est (gruppi di tombe di cui una a grande camera); 11) Croce Maloto
(gruppi di tombe a camera); 12) Serro Cannata (n.° 3 tombe a grande camera); 13) Contrada Grotta S.
Venera (gruppi sporadici); 14) Pendici occidentali di Castroreale (gruppi sporadici); 15) Monte Catalimita
(gruppi sporadici); 16) Monte Oliveto-Risica (necropoli scavata nel 1910 dal prof. V. Cannizzo per conto
di Paolo Orsi).
EPOCA GRECA: 17) Via G. Leopardi-monte Croci (tombe paleogreche)».
102
Tutte le indagini che furono condotte dal 1910 fino al 2003 nel comprensorio
gravitante tra i torrenti Mela e Patrì, generarono dubbi sull’ubicazione
dell’insediamento di Longane nella piana occidentale di Milazzo, abitata da
popolazioni indigene in contatto con i Greci e attorniata dalle fortificazioni coeve
di monte S. Onofrio e pizzo Ciappa e dalle strutture murarie di grandi dimensioni
di pizzo Lando (Fig. 57). Le indagini archeologiche, dopo il 2003, via via si
spensero generando l’ipotesi che le strutture difensive presenti nell’area potevano
aver caratterizzato o un sistema atto a controllare gli accessi fluviali o un
complesso difensivo volto a proteggere un importante sito sconosciuto
dell’interno,198 lasciando così insoluto il mistero dell’antica civiltà a cui erano
«Le proposte, dunque, del Ryolo di Maria, insieme con i ritrovamenti dei fortini di Rodì
Milici e i reperti provenienti dalla non identificata Longane, hanno animato gli studiosi locali, i
quali da allora si contendono sia l’area che, in un lontano passato, avrebbe ospitato l’antica città,
che, soprattutto, l’individuazione del fiume Longano tra i torrenti della Sicilia nord-orientale. In
realtà, tale identificazione è affidata solo a supposizioni. La ricostruzione dei luoghi della
battaglia proposta dal Ryolo di Maria che tanto peso dà all’ampiezza dell’alveo del fiume per le
manovre militari non tiene in considerazione i cambiamenti climatici e le dinamiche fluviali che
certamente, nel passare dei secoli, avranno condizionato anche l’aspetto attuale del corso
d’acqua. I dati archeologici in nostro possesso, come si è detto, si riferiscono a cinte fortificate
rinvenute ad Est ed ad Ovest del torrente Patrì, ma dei loro abitanti non conosciamo neanche
l’ethnos di appartenenza. L’unica certezza, come abbiamo visto, riguarda il fatto che,
presumibilmente negli ultimi decenni del V sec., una città di nome Longane emise moneta,
imitando iconografie greche che richiamano il legame con un fiume. Non riteniamo opportuno,
al momento, entrare nel merito dell’identificazione del Patrì con il Longano delle fonti, né della
città di Longane con uno dei siti individuati. Se consideriamo l’abbondanza di sepolture a
grotticella attribuite alla prima età del ferro rinvenute su entrambi i versanti del Patrì possiamo
affermare che l’area fu più intensamente abitata in uno o più periodi compresi durante i primi tre
quarti dell’VIII sec. a.C., anche se non conosciamo l’ubicazione degli insediamenti relativi alle
necropoli. Dopo un vuoto di quasi due secoli – per i quali ci si interroga sul rapporto tra il
territorio in esame e la chora di Zancle e Mylai – la stessa area tornò ad essere intensamente
abitata, come attestano l’abitato su Pizzo Lando e le fortificazioni su Monte Sant’Onofrio, ad
Ovest, e su Monte Ciappa e Pizzo Cocuzzo, ad Est. La ceramica e le tipologie tombali adottate
da chi utilizzò questi fortini lasciano ipotizzare che gli abitanti di queste alture fossero indigeni,
in contatto con i Greci: ma non sappiamo di che natura fosse questo contatto, né quali tipi di
relazioni intercorressero tra gli abitanti delle fortificazioni e i Greci delle colonie. Se le
datazioni proposte per i siti archeologici dell’area saranno confermate, non potremo esimerci dal
chiederci la funzione e l’occupazione di queste alture anche nel periodo del disegno
espansionistico del re siculo Ducezio, che, intorno alla metà del V sec. a.C., costituì uno stato
federale di tutte le città dello stesso ceppo siculo (ad eccezione di Ibla) che culmina, nel 448
a.C., con la fondazione, proprio nella Sicilia settentrionale, di Kale Akte. Ma non è questa la
sede per affrontare tali problemi. Ad una rapida osservazione, appare evidente, a nostro avviso,
che i ‘fortini’sulle pendici dei Monti Peloritani, ad Est e ad Ovest dell’alveo del torrente Patrì,
non lontano dalla foce, vadano interpretati come insediamenti difensivi componenti di un
‘sistema’ certamente importante di controllo dell’accesso fluviale (o degli accessi fluviali) dalla
198
103
legati il caduceo del British Museum di Londra e le litre con gli epiteti
ȁȅNīANAION e ȁȅNīHNAION.
La ricerca di un antico insediamento nella piana occidentale di Milazzo è stato
l’obiettivo di alcune campagne di esplorazioni condotte nel biennio 2010-2012 e
nel 2015.
La prima campagna di indagini, originata dal rinvenimento di alcune strutture
funerarie sconosciute, ha consentito, in modo particolare, di censire e di
attenzionare i più rilevanti siti archeologici che sono presenti nell’area compresa
tra i torrenti Mela e Patrì. 199
Le evidenze che emergono dai dati storici, numismatici e archeologici di
Longane -attestanti che un insediamento indigeno, in contatto con i greci, emise
moneta nel V secolo a.C. richiamando il legame con un fiume, per scomparire del
tutto nei secoli seguenti- hanno invece generato la seconda campagna di
esplorazioni (gennaio-giugno 2015) che, in riferimento a tali assunti, è stata
principalmente indirizzata verso la ricerca di tipologie sepolcrali protostoriche,200
che sono state rapportate con le fiumare e i siti paleo-greci dell’area, tenendo
conto dell’ipotesi avanzata da vari studiosi secondo cui i phrouria presenti nel
costa, sia che lo consideriamo genericamente di carattere militare che, più precisamente, di
protezione per l’utilizzo delle risorse dell’area, soprattutto di quelle, importantissime, minerarie.
Tale sistema – anche nel quadro generale del controllo della costa – è in corso di definizione
nella sua conservazione, organizzazione e finalità. E in quest’ottica non va trascurato, a nostro
avviso, il dato, finora non evidenziato, che dal sito di Monte Ciappa si controlla verso Ovest la
valle di un affluente del Mazzarrà, il torrente Brandino, mentre, ad Est, dal sito di Pizzo Lando
si controlla la valle del torrente attualmente denominato Longano. I fortini possono considerarsi
infrastrutture territoriali funzionali ad un sito importante? O soltanto cinte finalizzate a
proteggere l’accesso al territorio gravitante sul fiume, in difesa da chi proveniva dal mare? Le
ricerche effettuate sino a questo momento ci inducono a credere che la prima ipotesi sia
percorribile, ma abbiamo bisogno di ulteriori conferme per poterne essere certi, consapevoli che
la seconda ipotesi non debba necessariamente escludere la prima» (INGOGLIA 2011, pp. 262264).
199
Per la prima campagna di indagini si vedano: IMBESI 2012, pp. 189-199; IMBESI 2013, pp.
253-269.
200
I modelli tipologici e cronologici utilizzati come riferimenti sono stati desunti da vari studi e
scavi che hanno interessato il versante tirrenico messinese (BERNABÒ BREA 1967, pp. 44-45;
CAMPAGNA, p. 152; GENOVESE 1977, pp. 19-21, 27-32; RYOLO 1967, pp. 23-26). Da tali
indagini è emerso che la tipologia a grotticella e a camera curvilinea (con o senza loculi) fu in
uso fino all’età del bronzo, mentre la camera ipogeica con pianta ellissoidale-quadrangolare
104
(anche con tetto piano) caratterizzò principalmente la seguente età del ferro (Si veda anche
SPATAFORA, p. 61).
105
l’area avrebbero potuto difendere un insediamento siculo ellenizzato, costituito
da vari centri abitati tra loro collegati.201
Utilizzando le indeterminate descrizioni di Diodoro Siculo e Polibio che
inducono a far ricadere il fiume Longanòs (Fig. 58) nel territorio compreso tra
Mylai (Milazzo) e l’asse che collegava Tyndarys (Tindari) con Abakainon
(Tripi),202 le esplorazioni hanno interessato il comprensorio gravitante
tra i
Fig. 58– Area in cui risulta collocabile il fiume «0SKKER¶R».
torrenti Idria e Patrì (Fig. 59), escludendo le aree orientali prossime ai torrenti
Mela (che anticamente sfociava nel porto di Milazzo)203 e Mazzarrà (molto
vicino alle città greche di Tyndaris ed Abakainon).
Su queste ipotesi, in modo particolare, si vedano: BONANNO, p. 396; CAVALIER, p. 126;
SCIBONA 1984, p. 406.
202
Alcuni studiosi, pensando che l’avanzata di Ierone II fosse avvenuta da ovest verso est,
collocarono il Longanòs nel territorio compreso tra Milazzo e Messina (HOLM 1901, p. 537;
RIZZO, p. 64). Il Casagrandi, con più credibilità, invece, ritenne che Ierone II, prima della
battaglia del Longanòs, provenisse dal versante ionico (CASAGRANDI 1894, pp. 29, 195, 205;
INGOGLIA 2011, p. 260).
203
ROSSITTO, p. 99. Il torrente Mela è stato escluso perché anticamente era strettamente
connesso alla città di Milazzo e non alla piana circostante.
201
106
Tutte le indagini che sono state condotte – di seguito descritte singolarmente e
per comparazione dei dati – hanno anche consentito di formulare una nuova tesi
sull’ubicazione dell’insediamento di Longane.204
Fig. 59 – Le fiumare comprese tra Milazzo (Mylai), Tindari (Tyndaris) e Tripi (Abakainon).
Le indagini non si sono avvalse dei reperti fittili di superficie, la cui raccolta non è stata
autorizzata dalla Soprintendenza di Messina. Le tipologie sepolcrali protostoriche che sono state
indagate e ricercate nelle esplorazioni costituiscono, in mancanza di dati di scavo, le uniche
evidenze archeologiche che sono leggibili nelle aree (come è emerso dalla prima campagna di
esplorazioni). Le strutture funerarie dell’età del ferro, che precedette l’avvento dei greci in
Sicilia (734 a.C.), rappresentano il collegamento cronologico più vicino al V secolo a.C., epoca
del caduceo e delle litre di Longane.
204
107
L’AREA COMPRESA TRA I TORRENTI MELA E IDRIA
La vasta area compresa tra la Statale 113, il torrente Idria, la contrada Serra di
Spadolelle e il torrente Mela è caratterizzata da cinque colline (monte Risica,
colle Cavalieri, monte Lanzaria, pizzo Lando e Serra di Spadolelle) con dislivelli
compresi tra i 109 e i 619 metri s.l.m., separate tra loro da strette valli e saie (saia
Bizzarro, vallone Saettone, vallone Ficarazza, vallone Fontanella, vallone Varela,
vallone di Pietralunga e vallone della Scaletta) in gran parte confluenti nei due
torrenti limitrofi (Figg. 60 e 61).
Fig. 60 – Aree archeologiche comprese tra i torrenti Mela e Idria.
I siti archeologici più prossimi alla Statale 113 sono monte Risica e la contrada
Oliveto-Cavalieri, primi significativi rilievi dopo la vasta piana che degrada ver-
108
Fig. 61 –Aree archeologiche esplorate, comprese tra i torrenti Idria e Mela (IGM, scala
1:25.000): monte Risica (1), contrada Oliveto-Cavalieri (2), monte Lanzaria (3), vallone
Fontanella (4), pizzo Lando (5) e contrada Serra di Spadolelle (6).
109
so il mare Tirreno, indagati da Vincenzo Cannizzo intorno al 1910, e in seguito
studiati da Paolo Orsi.205
L’area di monte Risica, caratterizzata da calcare arenario, evidenzia numerose
tombe a camera circolare, in gran parte crollate, distribuite principalmente nelle
contrade Serro Giardino e Grotticelle (Figg. 62 e 63). Alcune strutture sepolcrali
presentano panconi perimetrali (Fig. 62), caratteristica che le esclude dal gruppo
di tombe che furono esplorate dal Cannizzo, il quale riferiva che le grotte presenti
nell’area erano prive di «panconi, letti funebri e loculi».206 La classica pianta a
“forno” e la sommità esterna con assetto irregolarmente orizzontale le assimilano
tipologicamente alle tombe protostoriche che furono individuate nei bacini del
Fig. 62 – Tomba con pancone nella contrada Serro Giardino (monte Risica).
ORSI, pp. 71-83.
206
ORSI, p. 72. Luigi Bernabò Brea, invece, attestava che le tombe della necropoli di Contrada
Uliveto presentavano «piccoli banchi laterali» (BERNABÒ BREA 1960, p. 182).
205
110
Fig. 63 – Alcuni resti di escavazioni che caratterizzano la contrada Serro Giardino.
Longano e del Patrì da Pietro Genovese,207 Domenico Ryolo208 e Luigi Bernabò
Brea.209
GENOVESE 1977, pp. 19, 31, 35.
208
RYOLO 1967, pp. 23-25. Domenico Ryolo riferiva che le tombe a grotticella che furono
indagate nella contrada Grassorella di Rodì Milici erano collegabili ad un arco cronologico
compreso tra il XIII secolo a.C. e l’VIII secolo a.C., come attestavano anche i corredi funerari
che erano stati rinvenuti.
209
BERNABÒ BREA 1967, p. 44. Così Luigi Bernabò Brea descriveva le necropoli di Rodì e
della contrada Oliveto (o Uliveto): «Per completare il panorama della Sicilia nella prima età del
ferro dobbiamo fare ancora cenno di due piccole necropoli, molto simili fra loro, scoperte nel
versante tirrenico della provincia di Messina, quella della contrada Uliveto, presso Pozzo di
Gotto, e quella di Rodì, presso Castroreale. Appartengono entrambe alla fase del Finocchito e
sono molto simili fra loro. Distano d’altronde pochi Km l’una dall’altra. Sono formate da tombe
a grotticella artificiale, rotonde o con tendenza alla forma quadrata, sovente con piccoli banchi
laterali, ma senza nicchie né anticella. Le ceramiche che vi si sono raccolte, di colore grigio o
nerastro, presentano poca varietà di forme. Vi predominano le brocchette con corpo globulare,
207
111
Fig. 64 – Tomba a due camere nella contrada Grotticelle.
Tra i siti esplorati nell’area spicca, per dimensioni, una grande escavazione a
due camere (Fig. 64), in parte crollata, costituita da una parte antistante a pianta
con collo alto e stretto, decorate con solchi orizzontali fatti al tornio o con motivi geometrici
finemente incisi. Vi si ritrovano anforette, tazze carenate, scodelle, ecc. Le poche fibule sono
formate da una verghetta di ferro rifasciata da un sottile filo di rame oppure sono del tipo a
quattro spirali, che è ormai di influenza greca. Vi sono spirali ornamentali in bronzo e, a Rodì,
anche un coltellino e una cuspide di lancia in ferro. Le somiglianze con l’orizzonte del
Finocchito sono evidenti, ma la decorazione incisa dei vasi non trova confronti in altre zone
della Sicilia. Analogie ancora più strette sembrano intercorrere nei tipi delle ceramiche con le
necropoli calabresi di Torre Galli e del territorio di Locri. L’abisso che separa le necropoli di
Rodì e di Pozzo di Gotto da quella vicinissima di Milazzo è enorme, anche se in una delle
tombe a grotticella artificiale di Pozzo di Gotto è stata trovata un’urna cineraria coperta con la
sua ciotola, identica a quelle di Milazzo. Singolare connessione di due diversi riti e di due
diversi mondi culturali, che per ora resta un esempio unico» (BERNABÒ BREA 1960, pp. 182183).
112
ellissoidale (con nicchie a sinistra dell’ingresso), e da una seconda camera a
grotticella. Le caratteristiche tipologiche e planimetriche riconducono la struttura
ad una tomba a due camere dell’età del ferro, molto simile ad escavazioni che
furono rinvenute nell’area di monte S. Onofrio da Pietro Genovese.210
La frequentazione di monte Risica durante l’età del ferro trova inoltre riscontro
in due tombe con pianta ellittica (Fig. 65A e 65C), oggetto di modifiche
antropiche, che sono state rinvenute nel versante sud-est.
Molto particolare invece risulta una profonda grotta dell’area (Fig. 65B), in
parte interrata, che presenta al suo interno piccole cavità artificiali semi-arcuate e
alcuni grossolani segni di scavo.
Un altro gruppo di tombe dell’età del ferro è presente nella contrada Oliveto-
Fig. 65 – Alcune escavazioni e ipogei che caratterizzano la contrada Grotticelle (monte Risica).
«Ma nel bacino del Longano ed in particolare nell’ambito archeologico di M.te S. Onofrio
esiste un’altra tipologia di tombe dell’età del Ferro che si differenzia da quella precedentemente
descritta. Essa si caratterizza per le forme a grande e media camera, qualcuna anche a più
camere, con pianta pressoché quadrata, rettangolare oppure ovale, raramente con loculi»
(GENOVESE 1977, p. 27).
210
113
Cavalieri, a nord-est delle contrade Grotticelle e Serro Giardino. Esso fa parte
della necropoli sicula dell’VIII secolo a.C. - attestante la presenza di casi di
cremazione - che fu descritta da Paolo Orsi nel 1915,211 ed in seguito attenzionata
da Luigi Bernabò Brea212 e Pietro Genovese213 (Fig. 66). L’area, durante gli
ultimi decenni, è stata interessata dalla realizzazione della strada OretoFemminamorta e dalla costruzione di numerosi edifici, con la conseguente
perdita di molte tombe, tra cui gran parte di quelle che furono descritte da Orsi214
e Genovese.
Oggi sopravvivono soltanto i resti più o meno consistenti di alcune tombe (Fig.
67) nell’area compresa tra la contrada ex Fornace, il vallone Saettone, la contrada
De Luca e il colle Cavalieri,215 collegati alla necropoli con «fosse rettangolari
aperte nella roccia e protette da copertoni di tegole e di lastre calcari» che fu
rilevata da Vincenzo Cannizzo nel 1910 e che Orsi riferì al periodo greco o
ellenistico.216
Fig. 66 – Tombe nella contrada Cavalieri (GENOVESE 1977, p. 28).
211
ORSI, pp. 72-83.
212
BERNABÒ BREA 1960, pp. 182-183.
213
GENOVESE 1977, pp. 27-28.
214
Paolo Orsi, su indicazione di Vincenzo Cannizzo, riferiva che nell’area di monte Oliveto si
aprivano «le bocche di alcune decine di tombe sicule» (ORSI, p. 72).
215
Nei costoni rocciosi dell’area sono presenti numerosi tagli artificiali di forma arcuata.
216
ORSI, p. 72.
114
Le notevoli modifiche antropiche subite dall’intera area, che ha restituito
importanti dati archeologici, impediscono anche l’individuazione del nucleo
abitato legato alle necropoli, che doveva probabilmente sorgere, per
caratteristiche orografiche, sulla sommità di monte Risica o di colle Cavalieri.217
Subito dopo questi due rilievi, proseguendo verso monte, è presente il sito
archeologico di monte Lanzaria (281 m. slm.), piccola collina delimitata sul
versante orientale dal torrente Mela. L’area, scoperta da Pietro Genovese,
presentava una piccola necropoli con tombe a grotticella (Fig. 68A), collegabile,
secondo l’architetto barcellonese, a un villaggio che doveva sorgere sulla
sommità del monte.218 L’esplorazione del sito, oggetto nell’ultimo ventennio di
qualche edificazione e di una recente frana (novembre 2011) che ha eroso gran
Fig. 67 – Tombe nella contrada Cavalieri-De Luca.
La distanza tra il colle Cavalieri e monte Risica potrebbe anche far presupporre l’esistenza di
due diversi insediamenti sulle loro sommità.
218
GENOVESE 1977, pp. 19-21. Nell’area di monte Lanzaria, Genovese rinvenne «il fondo di un
anforone paleo-greco» (GENOVESE 1977, p. 21).
217
115
parte
del
versante
orientale, ha consentito
soltanto di rilevare, in
mezzo
alla
ricca
vegetazione,
poche
tracce (Fig. 68B) della
necropoli
che
fu
attenzionata
da
Genovese.
Solo nei pressi del
vallone
Fontanella,
nell’area
di
contrada
Lando, è stato possibile
attestare l’esistenza di un
altro interessante sito,
orientato verso il torrente
Idria e posto sul costone
che sovrasta il luogo in
cui sorgeva la chiesa di
Santa Maria di Lando.219
Quest’area
è
caratterizzata
dalla
presenza di agglomerati
sedimentari
composti
Fig. 68 – Necropoli di monte Lanzaria.
clastici,
da
ciottoli
e
argilla,
con
sabbia,
tracce
di
probabile
Questa chiesa, di cui sopravvivono pochissimi resti, faceva parte di un antico casale che fu
forse distrutto da un’esondazione del torrente Idria («fino all’anno 1600 era sacramentale perché
anticamente questo loco era casale e si chiamava Santa Maria di Lando; dal 1600 in poi mancò
il casale, e non vi è lume né di libri, né di rendite di detta chiesa»; BILARDO, p. 81).
219
116
natura carbonatica originata dall’erosione di formazioni più antiche (sedimentate
dai meccanismi idrici). Una lunga struttura appena percepibile in alcuni tratti,
formata da grossi blocchi clastici tra loro incastrati e con andamento rettilineo,
occupa il costone prossimo al vallone Fontanella. La notevole altezza di un tratto
rettilineo posto quasi a strapiombo verso il torrente Idria sembrerebbe richiamare
una struttura difensiva o di controllo dell’area (Fig. 69).220
Fig. 69 – Resti di strutture nei pressi del vallone Fontanella.
Superato il vallone Fontanella, ascendendo dal lato nord-est verso pizzo Lando,
è presente il sito di piano Arancio, area pianeggiante posta a 446 metri s.l.m. su
cui furono rinvenuti alcuni frammenti di «ceramica d’impasto depurato con
Ad est e a sud di un pianoro sono presenti alcuni tagli artificiali arcuati e profondi, ricavati in
vari agglomerati clastici quasi interamente sommersi da terra e detriti. Una cavità maggiormente
leggibile, presentando pianta circolare e superficie quasi a forno, sembra visivamente
assimilabile ai resti di una tomba a grotticella. La vicina area di pizzo Lando fu frequentata nel
periodo compreso tra l’età del bronzo finale e l’età del ferro, come attestano i risultati delle
indagini che furono effettuate nel 1995 (BONANNO, pp. 375-395).
220
117
decorazione geometrica incisa» della prima metà dell’VIII sec. a.C.,221 e che
necessiterebbe di opportune indagini di scavo in quanto ricca di frammenti
fittili.222 Questo piano costituisce quasi una vera e propria sella di accesso a pizzo
Lando (posto su un acrocoro a sud-est), interessato dalle ricerche di Pietro
Genovese, che portarono al rinvenimento di un ripostiglio dell’Ausonio II
(contenente «sette tazze carenate monoansate», «fuseruole, parti e frammenti di
vasi e tazze, un askos ed il fondo di una tazza recante inciso il contrassegno del
vasaio»)223 e al recupero di numerosi frammenti di pithoi, di brocchette, di
ciotole e di anfore, oltre a parti di vasi di epoca greco-ellenistica, punte di lance,
parti di macine a tramoggia e a un pesetto recante l’iscrizione AijȡȠįȓIJȘ.
A queste testimonianze si aggiunsero anche i risultati delle indagini effettuate
nel 1995 dalla Soprintendenza di Messina, che permisero di rinvenire numerosi
reperti collegabili a un’ampia capanna dell’Ausonio II e «due muri realizzati in
parte con grosse pietre locali sbozzate, legate a secco», inferiormente
caratterizzati da un piano di calpestio su cui si adagiavano un’anfora di età greca
e una fibula in bronzo.224
Altre indagini del 1995 restituirono, sul versante nord-ovest di pizzo Lando
(cima sud), parti consistenti «di un abitato di età greca» disposto su diversi livelli
e caratterizzato da quattro fasi insediative (metà del VI secolo a.C., prima metà
del V secolo a.C., IV secolo a.C. e metà del III secolo a.C.), la struttura fondiaria
di una capanna («forse riferibile all’Ausonio II» e in seguito modificata da fosse),
e nove ambienti attestanti fasi costruttive comprese tra la metà del IV secolo a.C.
e la metà del III secolo a.C.. Tutte le indagini eseguite evidenziarono che pizzo
Lando era stato interessato da una continua frequentazione «durante il periodo
dell’Ausonio II e fino alla prima età del Ferro», e in seguito occupato da
BONANNO, p. 383.
Nelle vicinanze di piano Arancio è stata rinvenuta l’incisione «V» su un masso di piccola
dimensione.
223
GENOVESE 1977, p. 24.
224
BONANNO, pp. 379-384.
221
222
118
insediamenti di età greca (VI – III secolo a.C.).225
L’area di pizzo Lando che fu caratterizzata da questi importanti ritrovamenti
oggi si presenta quasi interamente coperta dalla vegetazione e soggetta a
modifiche antropiche che impediscono di poter leggere le sue notevoli peculiarità
archeologiche.226
Le ricognizioni effettuate nei versanti hanno portato al rinvenimento di alcune
grotte e cavità ubicate sulla falda sud-ovest (Fig. 70). Tre di esse presentano le
caratteristiche dei ripari sotto roccia, in parte originati dall’azione erosiva degli
agenti atmosferici sulle rocce sedimentarie dell’area («Oligocene superioreBurdigaliano inferiore»),227 e forse in piccola parte dall’azione antropica. La
morfologia topografica su cui esse ricadono garantisce un’ottima posizione di
controllo sulla valle fluviale dell’Idria e, data la limitata altezza dei rilievi
antistanti, anche un’eccellente posizione in piena luce durante tutto il giorno.
Alcune di queste cavità, con media profondità (3,00-3,50 ml.) e con pianori
antistanti molto ampi, potrebbero essere state interessate da antichi stazionamenti
umani, considerando «il frammento ad ansa a gomito» dell’Eneolitico che fu
recuperato nell’area228 e le tracce della stessa facies archeologica che furono
rinvenute da Pietro Genovese.229
Superato il rilievo di pizzo Lando e ascendendo il torrente Idria si raggiunge una
piccola collinetta sita in contrada Serra di Spadolelle (a est della frazione
Migliardo), caratterizzata da un pianoro di media ampiezza, e delimitata sul
versante occidentale dal torrente Idria e su quello orientale dal vallone di
Pietralunga. L’intera area fu oggetto di sommarie indagini da parte di Pietro
Genovese, che la riferì al periodo bizantino-romano per il rinvenimento di vari
BONANNO, pp. 385-395.
226
Sarebbe auspicabile, da parte degli enti preposti, un’importante azione volta a tutelare e a
rendere fruibile l’intera area.
BONANNO, p. 377.
BONANNO, p. 377.
DE PASQUALE, p. 11.
225
119
frammenti fittili e di reperti.230
Le esplorazioni hanno consentito di individuare sulla sommità di questa collina
un’area che evidenzia strutture riconducibili a una fortificazione e una cavità-
Fig. 70 – Cavità site nel versante sud-ovest di pizzo Lando.
In contrada Serra di Spadolelle furono anche rinvenuti un «frammento d’orlo di pithos
d’epoca romana» e «una moneta in bronzo dell’epoca di Costantino V» (DE PASQUALE, p. 12).
Sul vicino monte Migliardo, inoltre, furono individuate «tracce di frequentazione dell’età del
ferro» (LGP, p. 26).
230
120
Fig. 71 – Resti di strutture nella contrada Serra di Spadolelle.
121
cunicolo. In mezzo alla ricca vegetazione che contraddistingue il pianoro
sommitale risultano chiaramente leggibili blocchi in pietra squadrata (Fig. 71),
Fig. 72– Cavità-cunicolo nella contrada Serra di Spadolelle.
caratterizzati in elevazione da tre filari apposti con andamento regolare e secondo
uno sviluppo costante. Sul versante nord sono inoltre presenti alcuni scalini in
pietra, posti vicino a vari resti, che sembrano caratterizzare una torre orientata
verso il torrente Idria.
Esternamente a quest’area, sullo stesso livello, è presente una cavità-cunicolo
lunga circa trenta metri (Fig. 72), con andamento est-ovest, in gran parte
interessata da frane. La sua esplorazione non ha consentito di ricavare elementi
122
utili per determinarne la natura e per funzionalizzarla nell’area, perché è coperta
da uno spesso strato di detriti.
Le indagini condotte nell’area compresa tra i torrenti Mela e Idria hanno
evidenziato la presenza di stazioni di controllo (con carattere difensivo o disposte
a protezione delle vie fluviali) e di nuclei isolati che si svilupparono
principalmente durante l’età del ferro e l’epoca greca, ma che sicuramente non
appaiono legati, per caratteristiche distribuitive e tipologiche, ad un antico e
significativo insediamento.
123
LE AREE ARCHEOLOGICHE DEL TORRENTE LONGANO
Il territorio attraversato dal torrente Longano e dai suoi affluenti occupa una
vastissima area ricadente nei comuni di Barcellona Pozzo di Gotto e Castroreale,
che è strettamente collegata, attraverso alcune valli, ai torrenti Idria e Patrì.
L’area che è stata indagata nelle esplorazioni (Figg. 73 e 74), caratterizzata da
versanti scoscesi e da ampie zone pianeggianti, è compresa tra l’asse della Statale
113, il torrente Idria, la vasta zona collinare disposta sotto il rilievo del Colle del
Re e l’asse che collega i nuclei di Catalimita, Castroreale, Gurafi, Acquaficara e
Nasari, sormontati da vari costoni e colline (Serro Cannata, Parmento Grande,
monte S. Onofrio, Moasi, Centineo, Miranda e monte Le Croci).
La zona posta a nord-ovest della Statale 113, occupata dal centro di Barcellona
Pozzo di Gotto e da numerose frazioni urbanizzate che degradano verso il mare
Tirreno, non presenta, per le notevoli trasformazioni subite, alcuna particolarità
archeologica di rilievo o evidente.
Le prime due aree d’interesse prossime alla Statale 113 sono le contrade monte
Croci e Lìmina-Zigari, oggetto di ritrovamenti da parte di Pietro Genovese.
Fig. 73 – Area che è stata indagata nel bacino del Longano
124
Fig. 74 – Aree archeologiche esplorate nel bacino del Longano (IGM, scala 1:25.000): monte Le Croci
(1), Torre Longa-Centineo (2), Moasi-Acquaficara (3), Feo Ospedale (4), monte S. Onofrio (5), Gurafi
(6), Parmento Grande (7), Argentieri (8), Brefale (9), Serro Cannata (10), Vignale (11), Pietro PallioPiano Telloso (12), Catalimita (13), Castroreale (14), Mortellito-Ciavolaro (15), contrada Case Miano
(16), Serra di Maloto (17), contrada Case Bucca (18), Croce Maloto (19), Intrizzato (20), pizzo SoglioLlaria-Praga (21), Limina-Zigari (22), San Paolo (23), contrada S. Venera (24), Gala-Tramontana (25)
e Rocca Lassafare (26).
125
Nella prima (Fig. 74), oggi quasi totalmente occupata da edifici residenziali,
furono rinvenute, in seguito a uno sbancamento per lavori edilizi, «tracce di un
piccolo insediamento e di tombe d’epoca paleo-greca».231
Nella contrada Limina-Zigari (Fig. 74), attraversata dall’omonima saia,
Genovese rinvenne «tracce di un insediamento umano riferibile al primo
neolitico siciliano» (Stentinello), costituite da «ceramica color crema in argilla» e
da «frammenti di vasi» decorati con motivi geometrici («a forma ovale», «a V
diritto o rovesciato», «a fasce a zig-zag» e «puntiformi o a brevi tratti lineari»),
«impressi e/o incisi con conchiglia, con punzone d’osso, con stecca» e «con
stampi di terracotta». Nella stessa area furono anche recuperati «frammenti di
vasi d’età classica (III-I secolo a.C.)», alcune lame e raschiatoi in selce, «nuclei
d’ossidiana», resti di macine e frammenti d’ossa.232 Anche questa contrada è
stata interessata da numerose edificazioni, che impediscono di cogliere le sue
notevoli particolarità archeologiche.
Identico stravolgimento dei luoghi per effetto dell’antropizzazione si rileva
nella contrada Torre Longa (a valle della frazione Centineo), dove furono
rinvenuti reperti preistorici («selce, ossidiana») e «tracce di un insediamento
romano» (Fig. 74).233
Ascendendo verso monte, a ridosso del braccio occidentale del Longano, inizia
una vastissima zona ricca di presenze archeologiche, caratterizzata, sul versante
sud-ovest, dall’area Moasi-Acquaficara, che è strettamente collegata a tutto il
costone tufaceo che da monte S. Onofrio, ascendendo verso Castroreale e
Catalimita, attraversa le contrade Feo Ospedale, Gurafi, Parmento Grande,
Argentieri, Brefale e Serro Cannata (Fig. 74).
Nell’area compresa tra la contrada Due Mulini e il vallone Coco (asse MoasiAcquaficara) sono stati individuati pochi resti di tombe protostoriche, marginali
rispetto a quelle che sono presenti sul costone che sovrasta il nucleo abitato della
DE PASQUALE, p. 14.
232
GENOVESE 1978/2, pp. 85-88; DE PASQUALE, p. 10.
233
DE PASQUALE, p. 14.
231
126
Fig. 75 – Alcune tombe protostoriche che caratterizzano la contrada Acquaficara.
frazione Acquaficara. In quest’area (attorniata dalle contrade Vernacola e
Nicolaci, e dalla strada che conduce alla frazione Protonotaro di Castroreale)
127
Fig. 76 – Alcune tombe protostoriche che insistono nella contrada Acquaficara.
sono state censite numerose strutture sepolcrali, in gran parte inglobate nelle
abitazioni o riutilizzate nei fondi agricoli. Molte strutture funerarie presentano la
classica distribuzione a grotticella, mentre altre esibiscono piante quadrangolari
ed ellissoidali, raramente con loculi e con tetto piano (Figg. 75 e 76).234
In alcune tombe si notano modifiche operate sulla pianta a grotticella per trasformarla in
ellissoidale.
234
128
Fig. 77 – Escavazioni site nella contrada Acquaficara.
Altre escavazioni presenti sul costone, riutilizzate e ingrandite in varie epoche,
hanno assunto caratteristiche difficilmente decifrabili, anche se un gruppo di esse
evidenzia peculiarità planimetriche tipiche delle tipologie sepolcrali protostoriche
(Figg. 77B e 77C) e delle tombe ad arcosolio (Fig. 77A). Le attuali condizioni
dell’area, totalmente stravolta dalle edificazioni, consentono tuttavia di attestare
una importante frequentazione durante l’età protostorica.
Superata la frazione Acquaficara, nell’area attigua al torrente Longano, sono
state censite altre tombe protostoriche nella contrada Feo Ospedale (Fig. 78).
Esse, collegandosi alla necropoli che interessa l’area Moasi-Acquaficara,
ascendono nella loro distribuzione verso la cima est di monte S. Onofrio. Le
strutture funerarie che sono state rinvenute, utilizzate come depositi e in gran
129
Fig. 78 – Alcune escavazioni e tombe che insistono nella contrada Feo Ospedale.
parte antropizzate, si associano a varie escavazioni di difficile decifrazione in
mancanza di dati di scavo.
Numerose altre tombe sono state rilevate sui versanti nord e ovest di monte S.
Onofrio, collina posta a 307 metri s.l.m., che fu interessata dagli importanti ritro130
Fig. 79 – Alcune tombe protostoriche che caratterizzano i versanti nord e ovest di monte S. Onofrio.
vamenti di Pietro Genovese e dai seguenti scavi della Soprintendenza alle
Antichità della Sicilia Orientale. Anche su questi due versanti è possibile
attestare la prosecuzione di una vasta necropoli protostorica attraverso numerose
131
tombe a grotticella, a pianta quadrangolare e di forma ovale-ellissoidale (di cui
alcune con pancone perimetrale e nicchie interne), in gran parte segnalate da
Pietro Genovese nella seconda metà degli anni settanta235 (Figg. 79 e 80).
Tra di esse spicca una tomba a camera ovale sul versante ovest (Fig. 81),
Fig. 80 – Alcune tombe protostoriche che caratterizzano i versanti nord e ovest di monte S. Onofrio.
235
GENOVESE 1977, pp. 27, 29-32, 35.
132
caratterizzata da una fossa rettangolare, da una nicchia e da un piccolo condotto
di aerazione.
Fig. 81 – Struttura funeraria sita sul versante ovest di monte S. Onofrio.
Ascendendo verso la cima di monte S. Onofrio, sono presenti le fortificazioni che
caratterizzano l’area sommitale (Figg. 82 e 83), indagate da Pietro Genovese e da
una campagna di scavi che portò al rinvenimento di due ampie cinte murarie: una
costituita da strutture ciclopiche realizzate «con grossi massi di selce, in calcare
133
arenitico ed in arenaria sovrapposti a secco», e l’altra facente parte di un
successivo villaggio sicano-paleo-greco, caratterizzato da una «concentrazione di
capanne» e da una serie di stazioni e nuclei lungo i costoni sottostanti.236 Le due
Fig. 82 – Area sommitale di monte S. Onofrio che fu indagata negli scavi del 1975-1976.
236
GENOVESE 1977, pp. 20, 39.
134
Fig. 83 – Strutture fortificate site sul versante occidentale di monte S. Onofrio.
strutture fortificate, edificate l’una a ridosso dell’altra, delimitavano una rocca di
mq. 4200, su cui insistevano due grandi torri quadrangolari che aggettano dalla
cortina esterna. I rinvenimenti allora effettuati attestarono la frequentazione del
135
Fig. 84 – Muri a secco che insistono sui versanti est e ovest di monte S. Onofrio.
sito dalla facies ausonia fino al V secolo a.C. (tecnica muraria), con tracce che
estendevano «il permanere della presenza umana nel centro di M.te S. Onofrio,
senza interruzioni, fin dopo la battaglia del Longano (269 a.C.)», e il «suo totale
136
abbandono avvenuto tra il II ed il I sec. a.C.».237
L’azione antropica e l’abbandono dell’area dopo le ricerche degli anni settanta
hanno reso irriconoscibili i luoghi sommitali, che oggi si presentano interamente
coperti dalla vegetazione e dai detriti (Figg. 82 e 83), e che necessitano, per le
loro particolarità, di un rilevante intervento di recupero.
Sui terrazzamenti che interessano i versanti est e ovest di monte S. Onofrio sono
inoltre presenti numerosi muri di contenimento a secco (Fig. 84), realizzati in
pietrame informe unito a conci di tufo e calcare (squadrati e regolarizzati), a resti
di tegole e a reperti fittili (sicuramente provenienti dall’intera area e retaggio
della cronologia storico-archeologica che caratterizza monte S. Onofrio).
La continuità protostorica prosegue anche nelle altre contrade sommitali poste a
sud dell’area fortificata e sui versanti del costone che degradano a est e ovest
verso le valli sottostanti. Nelle contrade Parmento Grande (posta a circa 500
metri dall’area fortificata di monte S. Onofrio), Argentieri e Brefale, sono stati
infatti rilevati i resti di altre tombe (di cui una con pancone e nicchia) che
discendono sui versanti terrazzati dei costoni inferiori (Fig. 85).238
Nella fascia occidentale prossima al Longano, occupata dalla contrada Gurafi,
la continuità prosegue con tracce meno consistenti dovute ai fenomeni
urbanizzativi dell’area. E’ tuttavia possibile rilevare l’esistenza di alcuni resti di
escavazioni poco decifrabili in mancanza di dati di scavo (Figg. 86A e 86B) e di
tipologie sepolcrali a grotticella e a camera quadrangolare con tetto piano (Fig.
86), nonché la presenza di numerose cavità artificiali profonde (arcuate e lineari)
che caratterizzano il versante tufaceo, con molta probabilità riconducibili a
originarie strutture funerarie e alle stesse tipologie archeologiche che,
dipartendosi dalla contrada Moasi-Acquaficara, interessano tutta l’area prossima
al Longano e al suo affluente Crizzina.
GENOVESE 1977, p. 46.
Una tomba rinvenuta presenta camera quadrangolare e pancone perimetrale. Genovese riferì
la contrada Parmento Grande al periodo sicano-siculo (GENOVESE 1977, p. 33). Nella stessa
contrada sono state individuate alcune strutture regolari, disposte lungo l’asse est-ovest e
delimitanti la parte sommitale del versante che degrada verso la valle Argentieri.
237
238
137
Fig. 85 – Alcune strutture funerarie ed escavazioni che insistono nelle contrade Parmento Grande,
Argentieri e Brefale.
In prossimità della contrada Gurafi, lungo la strada che conduce a Castroreale, è
inoltre presente la cosiddetta “grotta Mandra” (Fig. 87), sito rupestre interessato
da recenti frane, che presenta al suo interno «incisioni di grandi occhi» (Fig.
87A).
138
Fig. 86 – Alcune escavazioni e strutture funerarie che caratterizzano la contrada Gurafi.
La successiva contrada Serro Cannata, posta su una piccola collina
sottostante Castroreale, riproduce in modo consistente le caratteristiche
archeologiche delle aree precedenti. Le esplorazioni hanno portato al
rinvenimento di una necropoli disposta principalmente sui versanti sud e ovest
139
Fig. 87 – Grotta Mandra.
(Figg. 88 e 89), caratterizzata da numerose strutture sepolcrali (tipologie a
grotticella, a camera circolare-ellissoidale e a struttura quadrangolare), a volte
con tetto piano, e in gran parte inglobate dentro edifici e utilizzate come depositi
agricoli e per esigenze abitative e produttive (magazzini e stalle). 239
Sul versante ovest di questa contrada spicca una grande struttura a due camere
scavata nel tufo, inglobata in un fabbricato rurale che racchiude al suo interno
anche tre tombe a grotticella. Essa presenta, nello stato attuale, due ingressi (di
cui uno occultato) ed evidenti modifiche antropiche. In gran parte coperta da
Genovese rinvenne in questa contrada «3 tombe a grande camera», che furono riferite alla
civiltà sicano-sicula (GENOVESE 1977, p. 27; DE PASQUALE, p. 13).
239
140
detriti e utilizzata come deposito di legna, è caratterizzata da un grossolano
pilastro centrale che regge le volte arcuate delle due camere (Fig. 90). Le tombe
protostoriche presenti nell’area inducono a ricondurre questa struttura a un
primitivo uso funerario (forse un accorpamento di due tombe a camera).240
Fig. 88 – Alcune escavazioni che insistono nella contrada Serro Cannata.
Su un pianoro che degrada verso il torrente Crizzina, posto a sud-est di Serro Cannata, sono
stati individuati conci di tufo grossolanamente squadrati e alcuni resti di strutture regolari.
240
141
Fig. 89 – Alcune escavazioni che caratterizzano la contrada Serro Cannata.
Nella stessa contrada (ricadente nel territorio di Castroreale) emergono anche due
siti di difficile decifrazione (Figg. 91A e 91B), e un banco tufaceo staccato dal
versante (Fig. 91C) che è caratterizzato da regolarità e da incavi profondi (arcuati
e lineari).
L’area successiva posta a sud-est è occupata dalla collina su cui sorge
Castroreale. Anche su tutti i versanti che ascendono verso il centro abitato sono
state rinvenute strutture protostoriche d’identica tipologia a quelle presenti nella
vasta area posta a occidente dei torrenti Crizzina e Longano (Fig. 92). Tombe
sparse con pianta a grotticella, quadrangolare ed ellissoidale (in cattive
condizioni di conservazione e modificate dall’uomo), infatti, caratterizzano le
142
Fig. 90 – Escavazione a due camere nella contrada Serro Cannata.
aree prossime alle strade provinciali 82 e 85 (versanti sud e ovest) e le zone
sovrastanti e sottostanti la chiesa di S. Marco e il convento dei Cappuccini
(versante nord). Sulla parte sottostante del versante est, delimitato dal torrente
San Gaetano, le tracce risultano meno consistenti a causa delle numerose frane e
143
Fig. 91 – Siti di interesse che caratterizzano la contrada Serro Cannata.
degli insediamenti che hanno interessato il costone (contrada Fondacarso), per
poi divenire evidenti nella parte sommitale. Resti più o meno consistenti di
tombe protostoriche sono stati inoltre individuati nel centro abitato, inglobati in
molte abitazioni e adibiti a svariati usi (Fig. 93).241
Molto interessanti risultano una grotta (Fig. 92A) posta sul versante ovest
(ritenuta un antico passaggio che conduceva al castello di re Federico III) e
alcuni siti riutilizzati che sembrano denotare caratteristiche planimetriche e
spaziali proprie dell’età protostorica (Fig. 94B) e di epoche successive (Figg.
La conformazione della collina su cui sorge Castroreale, con un’ampia visuale compresa tra
il promontorio di Milazzo e l’area di Capo Tindari-Calavà, la rende fortemente interessata da
antichissimi insediamenti. La distribuzione delle tombe rinvenute, induce a riferire un nucleo
abitato protostorico all’area sommitale. Alcuni muri a secco presenti nei costoni terrazzati
241
144
94A, 94C, 94D e 94E).
Fig. 92 – Tombe protostoriche sui versanti che ascendono verso il centro di Castroreale.
Subito dopo la collina di Castroreale, la continuità della necropoli che si diparte
(ubicati in punti poco accessibili e scoscesi) presentano pietrame squadrato o grossolanamente
regolarizzato, sicuramente legato ad antiche vestigia dell’area.
145
dalla contrada Acquaficara di Barcellona Pozzo di Gotto e attraversa tutti i
versanti posti a occidente dei torrenti Longano e Crizzina, diminuisce in modo
significativo. Nell’area posta a sud-ovest dell’abitato sono stati rilevati soltanto
scarsissimi resti di tipologie a grotticella, che contraddistinguono le contrade
sormontate dall’asse che collega la valle Carbone al colle del Re (1180 metri
s.l.m.).
Fig. 93 – Alcune tombe protostoriche che insistono sul colle di Castroreale.
146
Fig. 94 – Escavazioni che caratterizzano il centro storico di Castroreale.
Gli ultimi significativi esempi di sepolture protostoriche presenti in quest’area
sono alcune tombe dell’età del ferro242 site nella frazione Catalimita di
Castroreale (Fig. 74), delimitata sulla parte orientale dal torrente Crizzina. Tra di
esse spicca una tomba a doppia camera nel versante sud-est di “pizzo Cucuzzu”,
PASQUALE, Tav. VIII.
DE
147
a monte dell'abitato di Catalimita.243
Nell’area posta a ovest di Castroreale sono inoltre presenti due importanti siti
scoperti da Pietro Genovese, oggi non più leggibili. Nel primo, ubicato nella
contrada Vignale (Fig. 74), furono rinvenute «tracce di un piccolo insediamento
eneolitico» e «frammenti di vasi e reperti d’ossidiana».244 Il secondo sito,
ricadente nelle contrade Pietro Pallio e piano Telloso (Fig. 74), attesta
frequentazioni consistenti avvenute durante il Mesolitico (frammenti di vasi
prestentinelliani),245 il Neolitico inferiore («frammenti di ceramica incisa a
stecca, a conchiglia, con osso prima della cottura, nello stile della cultura di
Stentinello, nonché coltelli di selce, numerosi frammenti di punteruoli, lamette e
raschiatoi d’ossidiana», «punteruoli d’osso» e «tracce di ceramica dipinta dell’età
medioneolitica»),246 l’Eneolitico medio («ceramica della cultura di Piano Conte»
e lamette di ossidiana»), l’Eneolitico superiore («ceramica nello stile di
Malpasso» e di «Piano Quartara» costituita da «frammenti di tazze con bocche
ogivali e manici dalla caratteristica punta»),247 l’età del bronzo248 e il
Medioevo.249
Altre ricognizioni hanno interessato l’area compresa tra il torrente Longano e i
suoi due affluenti San Gaetano e San Giacomo, oggi occupata dalle contrade
Mortellito, Ciavolaro, Case Miano, Serra di Maloto, Case Bucca, Croce Maloto,
Intrizzato e Pizzo Soglio (Fig. 74).
La prima zona d’interesse è quella che collega il villaggio di Mortellito (posto
sulla confluenza dei torrenti Longano e San Giacomo) alla contrada Ciavolaro
(attraversata dal torrente Longano). Anche in quest’area è stato possibile rilevare
la continuità di tombe protostoriche che caratterizza l’asse Feo Ospedale-Gurafi,
posto in corrispondenza sul lato opposto del Longano. La contrada Ciavolaro fu
Segnalazione del prof. Nino Quattrocchi.
244
DE PASQUALE, p. 13.
245
DE PASQUALE, p. 3.
246
GENOVESE 1977, pp. 14-15.
247
DE PASQUALE, p. 3.
248
DE PASQUALE, p. 4.
249
DE PASQUALE, p. 4.
243
148
interessata dalle ricerche di Carmelo Famà e Pietro Genovese, che portarono al
rinvenimento di «un gruppo di tombe a grotticella del tipo a forno».250 Le
ricognizioni effettuate nell’area posta attorno al villaggio di Mortellito hanno
permesso di censire alcune tombe, varie grotte, escavazioni e ripari sotto roccia
Fig. 95 – Alcune tombe. grotte e ripari che caratterizzano la contrada Mortellito.
1977, p. 10; DE PASQUALE, p. 5.
GENOVESE
149
(Fig. 95), distribuiti principalmente lungo i rilievi tufacei che ascendono verso la
contrada Case Bucca.251
Nelle vicinanze di Mortellito sono inoltre presenti alcuni resti sparsi di tombe a
grotticella che, unendosi alle strutture sepolcrali che sono presenti nel vallone
Ciavolaro, cominciano a caratterizzare i resti di una vasta necropoli che interessò
tutto il costone tufaceo che oggi è occupato a sud-ovest dalle contrade Serra di
Maloto e Intrizzato (attraversate dal Longano e dal suo affluente San Gaetano), e
a est dalla contrada Croce Maloto. L’estesissima area rilevata specchia sul lato
orientale la continuità di tombe protostoriche che sono presenti nel nucleo di
Castroreale e nelle contrade Gurafi, Argentieri, Brefale e Serro Cannata
(delimitate dai torrenti Longano, Crizzina e San Gaetano). Anche su questo
versante dell’area, infatti, è stato possibile rilevare tracce di tombe a grotticella e
Fig. 96 – Escavazioni site nelle contrade Ciavolaro e Serra di Maloto
escavazioni con pianta ovale o ellissoidale sono state trasformate in depositi agricoli.
Alcune
150
di strutture funerarie con camere quadrangolari ed ellissoidali (talvolta con tetto
piano),252 unite a strutture di difficile decifrazione in mancanza di dati di scavo
(Figg. 96, 97 e 98).
Fig. 97 – Escavazioni che caratterizzano le contrade Ciavolaro e Serra di Maloto
delle aree sommitali e l’erosione dei versanti hanno cancellato numerose
strutture sepolcrali, di cui sono visibili soltanto pochi resti nella ricchissima vegetazione che
avvolge tutti i versanti.
L’urbanizzazione
151
Fig. 98 – Escavazioni che insistono nella contrada Intrizzato.
Parte di queste aree furono interessate dalle ricerche di Carmelo Famà, che per
primo attenzionò l’esistenza delle necropoli, effettuando importanti rinvenimenti,
tra cui un coltello in selce del Paleolitico superiore,253 numerosi «pezzi di vasi
ellenici, cocci di anfore e di vasi», e due lacrimatoi del II e IV secolo a.C.. In
alcune tombe Famà rinvenne ossa umane, che il prof. Segre (Istituto di Geologia
e Paleontologia dell’Università di Messina), dopo analisi al carbonio 14, giudicò
«appartenenti a gente di razza mediterranea» vissuta «tra il 12° e il 13° secolo
avanti Cristo» e morta in modo violento. Ciò lasciava «supporre lo svolgimento
di una battaglia sulle colline di Maloto».254
L’area fu anche oggetto, nel 1968, di un sopralluogo da parte dell’ing.
Il versante occidentale della contrada Serra di Maloto è interessato da alcuni ripari sotto
roccia. Genovese, nella stessa area, rilevò l’esistenza di una grande tomba a camera
quadrangolare dell’età del ferro (GENOVESE 1977, p. 27).
253
152
Domenico Ryolo, il quale, visionando «una decina di grotte» ed «esplorandone 4
in tutti i dettagli», le attribuì «all’età del bronzo recente» e «all’età del ferro»,
riferendole alla «civiltà sicana».255
Varie escavazioni e tracce di tipologie funerarie protostoriche sono state rilevate
anche nel versante tufaceo che caratterizza la zona sud-est di Maloto, attraversata
dal torrente San Giacomo e occupata dalle contrade Croce Maloto, Case Bucca e
Fig. 99 – Alcune escavazioni che si rilevano nella contrada Croce Maloto.
254
Giornale di Sicilia, 3 ottobre 1968; Tribuna del Mezzogiorno, 6 dicembre 1968.
255
Tribuna del Mezzogiorno, 6 dicembre 1968.
153
Case Miano (Figg. 99 e 100).
Fig. 100 – Escavazioni che caratterizzano la contrada case Miano.
Anche su questo versante, l’urbanizzazione e l’erosione hanno cancellato
numerose escavazioni, di cui sono percepibili vari resti nei terrazzamenti che
ascendono verso la sommità. I costoni addossati al torrente San Giacomo e alla
154
contrada Serra di Maloto (che sono stati anche scalati per rinvenire tracce
archeologiche – Fig. 101), invece, sono quasi interamente coperti dalla
vegetazione, che ha impedito, in alcuni casi, l’esplorazione dei luoghi.256
Fig. 101 – Costone della contrada Serra di Maloto.
Tra le strutture rilevate nell’intera area spiccano, per dimensioni, una grande
escavazione a due camere (con pancone e nicchie) tra le contrade Case Miano e
Mortellito (Fig. 102),257 e una camera ellissoidale caratterizzata da riusi e da
numerose nicchie nella contrada Serra di Maloto (Fig. 103).258
L’importanza del costone di Maloto, ubicato al centro del bacino del Longano e
attorniato da due suoi affluenti, trova riscontro in un rilevante sito che è stato
individuato durante le ricognizioni. Su un terrazzamento che degrada verso il
versante sud-est di Maloto (area case Miano-case Crisafulli-Serro Maloto) sono collegati
alcuni importanti ritrovamenti dell’Eneolitico medio, effettuati da Pietro Genovese, costituiti da
«frammenti di tazze carenate», da «due vasetti di ceramica d’impasto bruno» e da una sepoltura
con «lo scheletro in posizione rannicchiata» (DE PASQUALE, p. 5).
257
Questa struttura, in assenza di dati di scavo, potrebbe voler indicare una tipologia sepolcrale
a due camere, in seguito modificata (forse per pratiche cultuali).
258
Sulle aree sommitali e sui versanti scoscesi della contrada Maloto sono stati rilevati alcuni
grandi conci di pietra squadrata e grossolanamente regolarizzata (inseriti nei muri a secco di
recinzione dei fondi) e resti di strutture lineari e regolari interrate, che appaiono indizi di vetustà
in cui ricercare riferimenti sugli insediamenti che in età protostorica dovevano caratterizzare la
sommità del versante. Pietro Genovese, in contrada Maloto, rilevò anche le «tracce superficiali
Al
155
Fig. 102 – Escavazione a due camere sita nella contrada Case Miano.
torrente San Gaetano, nella parte sottostante del costone che ascende verso la
contrada Case Miano, è stato esplorato un ipogeo costituito da un lungo cunicolo
scavato nel tufo, dentro cui sgorga continuamente acqua dalle pareti. La struttura,
di una struttura muraria» realizzata «in età sicula in conci più o meno regolari di tufo calcareo
giustapposti a secco», forse i «resti di un edificio di abitazione» (DE PASQUALE, p. 5).
156
Fig. 103 – Escavazione con pianta ellissoidale nella contrada Serra di Maloto.
lunga circa 20 metri, è formata da un livello antistante (molto alto e recentemente
modificato dall’uomo) avente la funzione di raccogliere l’acqua che proviene
dalla zona retrostante, posta su un livello più alto e caratterizzata da una profonda
nicchia nella parte terminale (Fig. 104). Le due pareti laterali della zona
antistante sono interessate da sporgenze larghe alcune decine di centimetri, che si
interrompono all’inizio del corpo superiore (Figg.105, 106 e 107). Esse sembrano
richiamare un alloggio per strutture calpestabili (lignee) con cui accedere
direttamente alla zona finale dell’ipogeo, superando il dislivello della parte
antistante. Nella parete verticale che separa i due livelli della struttura idrica,
157
Fig. 104 – Ipogeo sito nella contrada Case Miano.
sono anche presenti alcune canalizzazioni atte a immettere l’acqua nella zona
anteriore (Figg. 105 e 106).
La caratteristica più interessante del sito è la presenza della nicchia nella parete
frontale del livello soprastante, che sembra richiamare proprietà simbolicodevozionali estese all’intera struttura (Figg. 104, 108 e 109).
La parte sottostante della nicchia terminale, inoltre, è caratterizzata da incisioni
rupestri (appena percepibili per le notevoli condizioni di degrado dell’intero
ipogeo), che rappresentano una “mappa” culturale e archeologica di notevole
158
Fig. 105 – Ipogeo sito nella contrada Case Miano.
importanza per tutta l’area. Nelle attuali condizioni, è stato possibile soltanto
rilevare alcune figure che sembrano assimilabili ad animali (Fig. 110).
La caratterizzazione che l’ipogeo assume con il suo tratto terminale, gli elevati
dettagli dell’intaglio e il manifesto riferimento alla sacralità dell’acqua che
159
sgorga dalle pareti interne, apparendo elementi estranei a una struttura realizzata
soltanto per captare la vena idrica, inducono ad attribuire a questo sito valenze
sacrali legate all’acqua, evidenziate anche da una nicchia posta all’inizio del
corpo superiore (Figg. 104, 109A), probabile loculo in cui inserire offerte
commemorative e/o richieste propiziatorie.
Fig. 106 – Ipogeo sito nella contrada Case Miano.
160
Fig. 107 – Ipogeo sito nella contrada Case Miano.
161
Fig. 108 – Ipogeo sito nella contrada Case Miano.
162
Fig. 109 – Ipogeo sito nella contrada Case Miano.
163
Fig. 110 – Incisioni rupestri caratterizzanti l’ipogeo che è stato esplorato nella contrada Case Miano.
164
La vasta area compresa tra i torrenti San Gaetano e San Giacomo, gravitante
attorno alla contrada Maloto, trova chiusura sulla parte sud-occidentale con il
rilievo di pizzo Soglio-piano Llaria (663 metri s.l.m.), a cui sono collegati
numerosi «reperti ceramici della cultura eneolitica di piano Conte» che furono
rinvenuti da Pietro Genovese (Fig. 111).259
Fig. 111 – Ceramica eneolitica (A) e reperti d’ossidiana (B) rinvenuti da Genovese su pizzo SogliopianoLlaria (GENOVESE 1977, p.16).
PASQUALE, p. 13; GENOVESE 1977, pp. 15-17.
DE
165
A questa facies archeologica sono da riferire varie grotte e ripari sotto roccia
(Fig. 112) che sono stati censiti durante le esplorazioni sulle pendici di pizzo
Soglio e nella contrada Praga (posta nel versante che discende verso il torrente
San Giacomo). Tra i siti individuati spiccano la cosiddetta “Casa del Brigante”
(grande riparo modificato dall’uomo – Fig. 112A) e un ampio sito rupestre che
chiude un percorso collegante vari ripari sotto roccia (Fig. 112B).
Fig. 112 – Alcuni siti rupestri che caratterizzano pizzo Soglio e la contrada Praga.
166
Su un pianoro della contrada Praga che degrada a ovest verso il torrente San
Giacomo è stato inoltre rinvenuto un agglomerato sedimentario clastico che
esibisce le caratteristiche di un vero e proprio teschio (Fig. 113), attraverso tre
incavi frontali (due uguali ed uno intermedio più piccolo), che sottintendono una
bucatura circolare posta sulla sommità.260 Considerando la frequentazione
preistorica della zona, la visione generale dell’intero agglomerato e dei quattro
Fig. 113 – Il “teschio” di contrada Praga.
260
Nell’agglomerato sono anche presenti altri incavi laterali e vani scavati.
167
incavi circolari sembra richiamare un teschio oggetto di trapanazione cranica
(Fig. 113A), pratica molto diffusa durante il Neolitico.
L’ultima area gravitante attorno al bacino del Longano è quella che collega le
contrade S. Venera, Gala, Rocca Lassafare, Monte S. Croce e Migliardo,
delimitate a occidente dal Longano e dal suo affluente San Giacomo (Fig. 74).
La prima contrada evidenzia la presenza di una grotta naturale (Fig. 114) che
fu, fin dall’antichità, oggetto di culto perché secondo una tradizione si ritirava a
pregare in essa una piccola martire cristiana di nome Venera.261
Nelle vicinanze di questa spelonca, sul versante nord-est del costone, è presente
un altro sito naturale (“grotta della Civetta”) presso cui furono rinvenuti «un
falcetto in basalto» e reperti del Neolitico inferiore,262 attestanti frequentazioni
preistoriche nell’area.263
Nel sito soprastante la grotta Santa Venera, Pietro Genovese recuperò
«frammenti di vasi di varie dimensioni» e di «tazze carenate con anse cilindrorette o a protome animale», «fuseruole biconiche e tronconiche, macine
trachitiche, frammenti di ossa e denti di ovini/caprini e di bovini». I reperti
rinvenuti furono inizialmente riferiti all’Ausonio I e II, e in seguito estesi
cronologicamente da Luigi Bernabò Brea fino all’Ausonio III, «periodo
successivo alla distruzione dei villaggi di Lipari e di Milazzo». Quest’area,
Secondo Ottavio Gaetani e Pietro Salerno, che ne divulgarono per primi l’agiografia
(GAETANI, p. 86), nella piccola cittadina di Gala, al tempo dei saraceni, era vissuta una bambina
di nome Venera, la quale, educata piamente dalla madre, aveva promesso la sua verginità a
Cristo, al contrario dei fratelli che, per la sua bellezza esteriore, la volevano fare sposare.
Ricevendo continue minacce dai fratelli, Venera usava nascondersi nella grotta dove pregava il
suo celeste sposo. Raggiunta nella spelonca dai fratelli e minacciata di morte, Venera, dopo
essere riuscita a fuggire, fu da loro catturata e barbaramente uccisa. Nella grotta, come
attestarono alcuni cappuccini e padre Anselmo Grasso nel XVII secolo (GRASSO, pp. 143-145,
152), convivevano due differenti pratiche cultuali, dedicate, quasi indistintamente, alla piccola
Venera di Gala e alla martire cristiana Veneranda Parasceve (a cui era connesso un polittico
nell’altare centrale). Dalla volta di questa spelunca, che fu menzionata nel 1104-1105 all’interno
del TIVMSVMWQ³Nconcesso al monastero di rito greco di Santa Maria di Gala (IMBESI 2009, pp.
617), cadevano «diversi stillicidi di acqua dolce e cristallina» che veniva ritenuta miracolosa
poiché, «bevuta con fede e divotione dagl'infermi, o lavandosi con essa», aveva procurato
«diversi Miracoli o Gratie» (GRASSO, p. 144).
262
DE PASQUALE, p. 8.
263
Nella vicina collina che a est è sormontata dalla contrada San Paolo sono presenti alcune
grotte e ripari (Fig. 74).
261
168
secondo Genovese, costituiva durante l’Ausonio I «il centro di strutturazione
territoriale del bacino del Longano».264 Pochi «frammenti di vasi protogreci»
recuperati attestavano inoltre la frequentazione durante questa facies.265
Tutti i versanti che occupano il costone sovrastante la grotta S. Venera sono
stati negli ultimi decenni interessati dalla realizzazione di numerosi edifici, da
Fig. 114 – Grotta di Santa Venera.
264
DE PASQUALE, pp. 8-9; GENOVESE 1979/2, pp. 43-44; GENOVESE 1979, p. 73.
265
GENOVESE 1979/2, p. 43.
169
operazioni agricole e da alcuni sbancamenti che hanno cancellato numerose e
significative tracce archeologiche.266
Alcuni resti di escavazioni quadrangolari ed ellissoidali che sono stati
individuati sui versanti (Fig. 115) consentono, però, di attestare la fase funeraria
Fig. 115 – Escavazioni e tagli artificiali nel costone soprastante la grotta di S. Venera.
Lungo l’asse che collega la sommità della grotta S. Venera alla contrada Case Cambriani
sono stati rilevati vari resti di strutture murarie ellissoidali in pietrame calcareo, affioranti dal
terreno e che discendono verso il versante orientale della collina, oltre alla presenza di numerose
scale ricavate nel tufo. Una muratura a secco di forma ellissoidale (in tufo) è stata inoltre
rilevata all’interno di un recente edificio agricolo, dove la sua forma risulta chiaramente
leggibile sulla roccia di base.
170
protostorica anche in quest’area.
L’importanza della contrada Santa Venera nel vasto contesto del bacino del
Longano, trova riscontro in un importante sito che è stato rinvenuto durante le
esplorazioni. Non molto distante dal punto in cui il torrente San Giacomo
s’immette nel Longano, su un terrazzamento prossimo alla vetta della collina, è
stato indagato un lungo cunicolo con sviluppo a Y, interamente scavato nel tufo
(Fig. 116). La parte antistante di esso è stata dimezzata in altezza da un canale
interno in mattoni, avente la funzione di convogliare l’acqua che da esso
fuoriesce per l’irrigazione dei fondi. Il cunicolo, in gran parte oggetto di una
frana nella parte antistante, risulta simile all’ipogeo che è stato rinvenuto lungo il
Fig. 116 – Ipogeo sito nella contrada Santa Venera.
171
torrente San Giacomo (Figg. 104-109). La prima parte di esso è costituita da una
ramificazione rettilinea lunga circa 30 metri, caratterizzata, nel tratto terminale,
da una nicchia posta in alto, e da due diramazioni molto brevi e più basse che si
sviluppano ai suoi lati (Figg. 117, 118, 119 e 122). La diramazione sinistra
Fig. 117 – Ipogeo sito nella contrada Santa Venera.
172
termina con un profondo incavo avente sezione arcuata (Fig. 120). Quella destra
si conclude con una sporgenza sottostante, sicuramente modificata dall’erosione
idrica (Fig. 121). Dai tratti terminali dei due cunicoli laterali fuoriesce copiosa
acqua che viene raccolta in due piccoli condotti centrali, i quali, collegandosi alla
canalizzazione principale della parte antistante dell’ipogeo, espellono l’acqua
Fig. 118 – Ipogeo sito nella contrada Santa Venera.
173
verso l’esterno. Questo sito risulta contraddistinto da tre diverse fasi realizzative.
La prima, caratterizzante il lungo corpo antistante, presenta una sezione molto
alta e stretta, e termina con una nicchia dal chiaro significato simbolicodevozionale posta quasi sopra l’accesso alla diramazione sinistra (Figg. 116,
119). La seconda interessa la ramificazione sinistra, che presenta una sezione più
arcuata ed è caratterizzata da un profondo incavo terminale che appare assumere
un significato sacrale legato all’acqua (Fig. 120). La terza fase realizzativa
Fig. 119 – Ipogeo sito nella contrada Santa Venera.
174
caratterizza la diramazione destra, anch’essa più bassa del cunicolo principale e
con un andamento planimetrico arcuato, che termina con una grossolana
sporgenza erosa dall’acqua. La notevole altezza del corpo antistante, le
dettagliate caratteristiche dell’intaglio e la presenza di nicchie interne,267 essendo
elementi estranei a un condotto realizzato soltanto per captare l’acqua dal
versante, inducono -anche in rapporto al sito che è stato rinvenuto sulla sponda
Fig. 120 – Diramazione sinistra dell’ipogeo che è sito nella contrada Santa Venera.
267
In vari punti dell’ipogeo sono presenti alcune nicchie o incavi.
175
Fig. 121 – Diramazione destra dell’ipogeo che è sito nella contrada Santa Venera.
opposta del torrente San Giacomo– ad attribuire all’intera escavazione valenze
sacrali legate all’acqua. In attesa di dati di scavo, la frequentazione dell’area
circostante durante l’età protostorica potrebbe indicare un riferimento
cronologico con l’origine/fruizione di questo sito.
176
Fig. 122 – Ipogeo sito nella contrada Santa Venera.
Superata l’area della grotta S. Venera, nella zona sud-est, sono presenti alcuni
piccoli corsi idrici che s’immettono nel San Giacomo (tra cui il torrente
Mandria), i quali delimitano la contrada Gala, sede dell’omonimo monastero di
rito greco del quale sopravvivono gran parte delle strutture in condizioni di
notevole degrado (Fig. 123). Nell’area del complesso monastico, oggi totalmente
177
abbandonata e avvolta dalla vegetazione, Genovese rinvenne «tracce di un
villaggio d’epoca sicula (IX e VIII sec. a.C)»,268 mentre nella contrada
Tramontana (ad ovest di Gala) egli recuperò significative tracce della cultura
dell’Ausonio I.269
Fig. 123 – Resti del monastero di Santa Maria di Gala.
Il comprensorio gravitante attorno al bacino del Longano e ai suoi affluenti
trova chiusura sui versanti collinari con il monte S. Croce (Fig. 74), su cui
Genovese rinvenne un «reperto di ossidiana», indizio comprovante l’esistenza
«di un insediamento preistorico» nella zona.270 Questa area risulta collegata alla
contrada Praga attraverso la Rocca Lassafare, nella quale sono state individuate
numerose grotte e ripari sotto roccia (Figg. 124 e 125), che proseguono sul lato
orientale del San Giacomo la continuità distribuitiva che si diparte da pizzo
DE PASQUALE, p. 7.
269
DE PASQUALE, p. 9; GENOVESE 1979/2, p. 44.
268
178
Fig. 124 – Una fenditura e alcune grotte che caratterizzano la contrada Rocca Lassafare.
Soglio. Nei versanti della Rocca Lassafare, attraverso cui si ascende a est verso
monte S. Croce e a nord verso la contrada Catrini, spiccano una profonda grotta
270
DE PASQUALE, p. 14.
179
attorniata da ripari sotto roccia (Fig. 124A) e una fenditura che, attraversando un
versante, collega due diverse zone dell’area (Fig. 124B).271
Fig. 125 – Due grotte e un riparo sotto roccia che sono presenti nella contrada Rocca Lassafare.
Le esplorazioni che sono state condotte nel vasto bacino del Longano hanno
permesso di rilevare l’esistenza di una vasta area protostorica, caratterizzata da
numerose tombe a grotticella e da escavazioni con camere quadrangolari ed
ellissoidali. Le caratteristiche distribuitive e tipologiche delle strutture funerarie
censite evidenziano, in maniera molto chiara, l’esistenza di un vasto e
significativo insediamento che ha contraddistinto tutte le aree poste attorno
all’attuale torrente Longano e ai suoi affluenti (torrenti San Giacomo, San
Gaetano e Crizzina)
Sul versante sud-ovest di monte Migliardo, collina posta a est di monte S. Croce (Fig. 74),
sono stati individuati alcuni ripari sotto roccia e varie escavazioni.
271
180
LE AREE ARCHEOLOGICHE DEL TORRENTE PATRÍ
Il torrente Patrì fa parte di un bacino imbrifero che si estende «su una superficie
di circa 102 Kmq» compresa tra il mare Tirreno e monte Pomaro (sito tra
Fondachelli Fantina e Francavilla di Sicilia). La rete idrografica in cui esso ricade
è caratterizzata da un asse principale che assume vari nomi lungo il suo corso:
fiume Madridi (da monte Pomaro fino all’abitato di Ruzzolino), torrente Fantina,
torrente Ruzzolino (dopo il punto di confluenza della fiumara S. Venera),
torrente Patrì (nel tratto compreso tra l’abitato di Milici e monte Marro) e
torrente Termini (nella parte terminale che s’immette nel mare Tirreno).272
Il tratto occupato dal torrente Patrì copre una lunghezza «di 5,5 km», bagnando
con il suo corso i territori di Barcellona Pozzo di Gotto, Castroreale, Rodì Milici
e Terme Vigliatore (Fig. 126). Il suo reticolo idrografico presenta una serie di
rami secondari, con andamento contorto e breve lunghezza, che hanno
determinato la formazione di un alveo torrentizio («ampio circa 250 metri») a
pochi chilometri di distanza dalla foce.273
Fig. 126 - Area che è stata indagata nel bacino del torrente Patrì.
272
PAI 2, p. 8.
273
PAI 2, pp. 8-9.
181
Fig. 127 – Aree archeologiche che sono state indagate nel bacino del Patrì (IGM, scala 1:25.000):
Portosalvo (1), Vernacola-Protonotaro (2), contrada Pizzo S. Domenica (3), Caruso (4), monte Marro
(5), Scorciacapre-Pietre Rosse (6), monte Gonia (7), monte Lombia (8), pizzo Ciappa (9), Mustaca
(10), monte Pirgo-Casina d’Alcontres (11) e pizzo Cocuzzo (12).
182
Il bacino idrografico del Patrì è strettamente collegato all’area del torrente
Longano attraverso valli, versanti scoscesi e zone pianeggianti, occupate, sul
versante orientale, anche dalle contrade Portosalvo, Vernacola-Protonotaro, S.
Domenica e Caruso, che sono state indagate nelle esplorazioni (Fig. 127).
La contrada Portosalvo, frazione di Barcellona Pozzo di Gotto ubicata sull’ultimo
versante nord-ovest prossimo al mare Tirreno, sembra costituire il tratto
terminale della vasta necropoli protostorica che caratterizza la vicina contrada
Fig. 128 - Resti di escavazioni nella contrada Portosalvo.
183
Acquaficara e il monte S. Onofrio. Nonostante l’area sia stata quasi totalmente
occupata da fondi antropizzati, strade di collegamento ed edifici di civile
abitazione, sul costone di Portosalvo che discende verso il torrente Patrì sono
stati rilevati i resti di alcune escavazioni (Fig. 128) che evidenziano le
caratteristiche protostoriche riscontrate nel bacino del Longano.
Identica situazione si rileva nelle contrade Vernacola e Protonotaro (collegate,
tramite la saia Pelicone, ai quartieri di Portosalvo e Acquaficara, e a monte S.
Fig. 129 - Escavazioni e resti di tombe protostoriche nelle contrade Vernacola e Protonotaro.
184
Onofrio), dove, nei terrazzamenti che dal Patrì ascendono verso la strada
provinciale 85 (tratto Portosalvo-Protonotaro), sono state rilevate alcune
escavazioni (Figg. 129A, 129D e 129E) e i resti sparsi di tombe con piante
circolari ed ellissoidali (Figg. 129B e 129C), in gran parte interrate e adattate a
usi agricoli. Alla contrada Vernacola sono anche legati «importanti reperti
ceramici» del Neolitico superiore (recuperati da Pietro Genovese), che furono
riferiti a un villaggio che doveva sorgere nella zona.274
L’area seguente è interessata a est dalla contrada pizzo S. Domenica (territorio
di Castroreale), sormontata dall’omonima collina che è posta lungo lo
spartiacque occidentale del torrente Longano.275 Essa confina sul versante
orientale con la contrada Acquaficara e con monte S. Onofrio. Tutti i
terrazzamenti di pizzo S. Domenica (313 metri s.l.m.) sono caratterizzati da
Fig. 130 – Alcune tombe protostoriche che caratterizzano la contrada pizzo Santa Domenica.
274
DE PASQUALE, p. 13.
275
PAI, p. 12.
185
numerose tombe protostoriche che garantiscono, insieme a quelle presenti nelle
contrade Vernacola, Protonotaro e Portosalvo, la continuità della vasta area
archeologica che, dipartendosi dalla grotta di S. Venera, dopo aver attraversato i
torrenti San Giacomo, San Gaetano e Longano arriva a congiungersi con il
torrente Patrì. Alcune tombe «a camera quadrangolare e circolare» che sono
presenti su questa collina furono segnalate da Pietro Genovese, che le riferì alla
«cultura sicana», penetrata nel «comprensorio tra la metà e la fine del IX secolo
a.C., sopraffacendo la cultura Ausonia».276
Fig. 131 - Alcune tombe protostoriche che caratterizzano la contrada pizzo Santa Domenica.
276
GENOVESE 1977, pp. 27, 29-30, 32, Tav. 26 1.
186
Le esplorazioni effettuate nell’area hanno permesso di rilevare varie tombe a
grotticella e strutture funerarie con camere ellissoidali e quadrangolari (età del
bronzo e del ferro), a volte con panconi, tetto piano e nicchie (Figg. 130, 131 e
132). Molte di esse presentano modifiche antropiche generate da usi agricoli e
produttivi, mentre altre risultano interrate o in parte crollate. Tra le strutture
censite spiccano, per caratteristiche, una grande tomba a due camere (Fig.
131A),277 una tomba con pianta quadrata, tetto piano e pancone (Fig. 131B), e
Fig. 132 - Alcune tombe protostoriche che caratterizzano la contrada pizzo Santa Domenica.
277
Questa tomba fu segnalata da Pietro Genovese (GENOVESE 1977, p. 32).
187
una struttura a due camere (Fig. 133)278 che risulta simile all’escavazione che è
stata rinvenuta nella contrada Case Miano (Fig. 102).279
Fig. 133 - Escavazione sita nella contrada pizzo S. Domenica.
Anche questa struttura fu segnalata dall’architetto Genovese (GENOVESE 1977, Tav. 26 1).
La camera antistante presenta un piccolo foro nella parte sommitale.
279
La sommità di pizzo S. Domenica, punto terminale della necropoli che interessa i suoi
versanti, è caratterizzata da alcuni terrazzamenti artificiali realizzati in pietrame e tufo
(squadrato e grossolanamente regolare), che creano un effetto a punta formando un piccolo
pianoro sulla parte terminale.
278
188
L’ultima area d’interesse archeologico che è posta sul lato orientale del Patrì è
la contrada Caruso, interessata da vari edifici di abitazione e da fondi
antropizzati. Gli ultimi terrazzamenti della collina che caratterizza questa
contrada evidenziano grossi conci squadrati (Figg. 134A e 134B) con andamenti
rettilinei e poligonali (forse i resti di strutture fortificate) e alcune scale in pietra
attraversanti vari terrazzamenti su cui sono presenti alcune escavazioni
protostoriche a grotticella e con camera quadrangolare (Fig. 134).
Fig. 134 – Resti di tombe protostoriche e di strutture che caratterizzano la contrada Caruso.
189
Il territorio disposto sul versante opposto del torrente Patrì o Termini, compreso
tra monte Marro (territorio di Terme Vigliatore) e l’area pizzo Cocuzzo-Casina
d’Alcontres (territorio di Rodì Milici), rispecchia in buona parte le stesse
caratteristiche archeologiche che sono state riscontrate lungo l’asse che collega le
contrade Portosalvo, Vernacola, Protonotaro, Pizzo S. Domenica e Caruso (Fig.
127).
L’area di monte Marro (203 metri s.l.m.), la prima d’interesse archeologico posta
a ridosso del fiume Patrì o Termini, fu oggetto d’indagini da parte di Pietro
Genovese e di Biagina Campagna. Le ricognizioni dell’architetto barcellonese
portarono al rinvenimento, sulla sommità della collina e sulle sue pendici, di
«reperti ceramici costituiti da cocci d’impasto identico a quello dei reperti
protostorici (frammenti di ceramica cordonata) del centro archeologico di Monte
S. Onofrio e di altri centri già individuati nel bacino» del Longano.280 Alla
sommità della collina sono anche legati «tre frammenti di ossidiana e numerosi
frammenti d’impasto» della «prima età del bronzo» e dell’età del ferro recuperati
da Biagina Campagna, che furono riferiti alla «presenza di un piccolo nucleo
abitativo»,281 probabile postazione di controllo per l’accesso alle aree interne.282
A questi dati, che attestano l’origine e la frequentazione protostorica del sito,
sono collegabili i resti interrati di due escavazioni a pianta ellittica che sono stati
individuati durante le esplorazioni sul versante orientale di monte Marro, quasi
alla stessa quota dell’alveo del torrente Patrì (Fig. 135A e 135B). La loro
posizione riconduce a un’antica geomorfologia del bacino, poiché nelle attuali
condizioni esse risultano facilmente soggette alle piene del torrente Patri.283
La facies protostorica che caratterizza monte Marro trova chiusura a sud-ovest
nell’area compresa tra le contrade Scorciacapre e Pietre Rosse (Fig. 127), dove
GENOVESE 1979, p. 73; GENOVESE 1977, p. 24.
281
CAMPAGNA, pp. 154-155. Nella stessa area furono rinvenute alcune tombe a pianta circolare.
282
Recenti lavori edilizi eseguiti sulla sommità di monte Marro hanno evidenziato la presenza di
conci in pietra grossolanamente squadrati. Alcune tracce di ceramica a vernice nera ritrovate
nell’area consentono di estendere la frequentazione di monte Marro fino al periodo greco
(CAMPAGNA, pp. 156-157).
280
190
Fig. 135 – Resti di escavazioni site sul versante orientale di monte Marro
Pietro Genovese individuò «tre tombe a grotticella protostoriche, di cui una a
camera (mt. 1,70 x 2,50 x 1,80) con due tratti di pancone sui lati», e le altre due
«del tipo a forno» (simili a quelle riscontrate nella necropoli di monte S.
Onofrio).284 Nelle stesse contrade l’architetto barcellonese rinvenne anche alcuni
«frammenti di grossi pythoi, di situle e di vasi del IX-VIII sec. a.C., nonché di
ceramica (vasetti e tegole piane)»,285 attestanti la frequentazione paleogreca, in
seguito estesa fino al III secolo a.C. da Biagina Campagna che recuperò nella
stessa area «numerosi frammenti di tegole» e i resti di «due grossi pithoi».286
Identica situazione è stata rilevata per una tomba che è sita nella contrada Portosalvo (Fig.
128), sul versante opposto del torrente.
284
GENOVESE 1979, p. 74.
285
GENOVESE 1979, p. 74.
286
CAMPAGNA, p. 157.
283
191
L’area di monte Marro è strettamente collegata a quella di monte Gonia, che è
caratterizzata su un suo pendio (contrada Grassorella) da «un gruppo di tombe a
forma di cameretta circolare» (Fig. 136), individuate da Luigi Bernabò Brea e
Domenico Ryolo e riferite al IX e VIII secolo a.C. anche per il rinvenimento di
oggetti di bronzo e ferro, e di «vasi di forme varie».287 Altre tombe dell’età del
bronzo e del ferro site nella contrada Paparini attestano la continua
frequentazione protostorica su monte Gonia, che doveva essere sicuramente
interessato da un insediamento sommitale.288
Fig. 136 – Parte della necropoli di monte Gonia.
Un’altra area di notevole interesse archeologico è quella occupata da monte
Lombia, pizzo Ciappa, monte Pirgo e pizzo Cocuzzo, quattro rilevi collegati tra
loro da un altipiano, che rappresentano la chiusura occidentale del vasto
287
BERNABÒ BREA 1967, p. 44.
192
comprensorio indagato che dal torrente Mela arriva a congiungersi al torrente
Patrì.
Su monte Lombia, sovrastante a ovest l’abitato di Rodì Milici, furono
recuperate monete in bronzo coniate dalle zecche di Tindari, Abakainon e
Siracusa (IV e III secolo a.C.), attestanti la frequentazione greca nella zona.289 Su
questa collina, interessata da alcune escavazioni a forno che attorniano il pianoro
Fig. 137 – Necropoli di monte Lombia.
CAMPAGNA, p. 154.
289
RYOLO 1967, p. 34; CAMPAGNA, p. 157.
288
193
sommitale (Fig. 137), furono rinvenuti anche alcuni «impasti databili alla prima
Età del Bronzo», che furono giudicati «tipologicamente vicini» ai materiali
presenti in tre tombe a grotticella di monte Gonia.290 Le caratteristiche del sito,
formato da un’altura scoscesa e ben difesa naturalmente, e la presenza della
necropoli inducono a ipotizzare l’esistenza di un piccolo insediamento dell’età
del bronzo sulla sua sommità.291
L’area seguente, che chiude l’altipiano che domina a occidente il Patrì, è
occupata dai rilievi di monte Ciappa, monte Pirgo e pizzo Cocuzzo (Fig. 138), tra
Fig. 138 – L’altipiano compreso tra pizzo Cocuzzo e monte Ciappa (Rodì Milici).
loro molto vicini e collegati alla necropoli greca di contrada Mustaco, che furono
oggetto delle ricerche di Luigi Bernabò Brea e Domenico Ryolo. Gli scavi
effettuati su monte Ciappa nel biennio 1951-1952 (54 trincee di saggi)
evidenziarono che esso si trova circondato da una fortificazione ad «aggere in
opera incerta», interrotta «da una serie di torri quadrate» o porte-torri (Fig. 139).
La muratura della cinta muraria era costituita da conci squadrati alternati a pietre
informi (di spessore variabile tra m. 1,00 e m. 2,40), mentre le torri erano
caratterizzate da conci squadrati lunghi fino a m. 1,40 e «con altezze tra cm. 35 e
CAMPAGNA, p. 153.
291
CAMPAGNA, p. 154.
290
194
Fig. 139 – L’area fortificata di monte Ciappa.
cm. 40».292 Negli scavi furono rinvenuti frammenti di ceramica, che Bernabò
Brea riferì all’età del bronzo (XVIII -XV secolo a.C.).293
Su pizzo Cocuzzo (Fig. 127) le indagini rinvennero fondazioni di mura
megalitiche non squadrate di circa 50 cm. di spessore, con due lati che
BERNABÒ BREA 1967, p. 43; RYOLO 1967, pp. 26-27.
293
BERNABÒ BREA 1967, p. 44.
292
195
s’incrociavano ad angolo retto, collegate alle «vestigia di un castello sito in
posizione fortissima inespugnabile», e fatte risalire «alla fine dell’età del bronzo
medio» (XIII secolo a.C.).294
Altri saggi nella zona compresa tra monte Pirgo e casina Alcontres (Fig. 127)
portarono al rinvenimento di strutture murarie riferibili a due grandi ambienti
(che Luigi Bernabò Brea identificò con un luogo di culto).295
L’altipiano trova chiusura a est con la necropoli di contrada Mustaco (ubicata
su un terrazzo a nord-est di contrada Pirgo), scoperta da Vincenzo Cannizzo
intorno al 1910,296 in cui Bernabò Brea e il Ryolo rinvennero «tre tombe ad
incinerazione sconvolte, insieme a frammenti di tegole piatte con listello
modanato e materiale databile al V secolo a.C.».297
Tutte le indagini effettuate nell’area portarono Luigi Bernabò Brea e Domenico
Ryolo ad affermare che Longane era ubicata sul piccolo altipiano compreso «fra
la valle del fiume Termini a Est e quella del fiume di Mazzarrà a Ovest», limitato
a nord e sud da monte Ciappa (ritenuto l’acropoli vera e propria della città) e da
pizzo Cocuzzo (le cui mura megalitiche furono riferite a un piccolo forte
avanzato). Poiché la ceramica rinvenuta negli scavi non oltrepassava il V secolo
a.C., il Ryolo e Bernabò Brea ritennero che Longane fosse stata violentemente
distrutta (e non più ricostruita) «sul finire del V secolo».298
L’asse monte Marro-pizzo Cocuzzo chiude la continuità archeologica della
vastissima area che è stata indagata nelle esplorazioni. A parte piccole stazioni
isolate (tra cui monte Giglione nel comune di Falcone),299 il territorio occidentale
riacquista importanza archeologica soltanto in prossimità di Abakainon (Tripi) e
di Tyndarys (Tindari), importanti colonie greche della Sicilia.
RYOLO 1967, p. 23; BERNABÒ BREA 1967, p. 43.
295
BERNABÒ BREA 1967, p.43; PUMO, p. 15. Un’ipotesi per l’area di monte Pirgo prevede che
essa fosse stata interessata da un insediamento di età classica (CAMPAGNA, p. 157).
296
ORSI, pp. 83-84.
297
PUMO, p. 15.
298
RYOLO 1967, pp. 19-22; BERNABÒ BREA 1967, pp. 42-45.
299
Un altro sito isolato appare anche il «villaggio della Media Età del Bronzo» che fu scoperto
nel 2000-2001 nei pressi della villa romana di Terme Vigliatore (PUMO, pp. 16-17).
294
196
Le indagini condotte nel comprensorio disposto attorno al bacino occidentale
del Patrì, che è stato oggetto di vari studi e di campagne di scavo per oltre un
secolo, evidenziano l’esistenza di un’area protostorica che fu caratterizzata, con
molta probabilità, da quattro villaggi sulle cime di pizzo Ciappa, monte Lombia,
monte Gonia e monte Marro (Fig. 127),300 in seguito interessata dalla facies di
età greca che trova il maggiore riferimento nelle strutture fortificate di monte
Ciappa, in cui Luigi Bernabò Brea e Domenico Ryolo vollero riconoscere
l’antico nucleo di Longane.
Le escavazioni protostoriche che sono presenti sul lato orientale del Patrì
(contrade Acquaficara, Vernacola, Protonotaro, Caruso e pizzo Santa Domenica),
invece, sembrano collegarsi, per continuità, alla vasta area protostorica che
gravita attorno al torrente Longano e ai suoi affluenti.
Il rinvenimento d’impasti simili nelle aree di pizzo Ciappa, monte Lombia, monte Gonia e
monte Marro portò Biagina Campagna a ipotizzare l’esistenza di quattro villaggi «differenti,
ma probabilmente affini», già esistenti «a partire dal XVIII sec. a.C.», cui erano collegate le
tombe a grotticella artificiale di monte Gonia, contrada Paparini e monte Marro (CAMPAGNA, p.
154). Secondo l’architetto Genovese, l’impasto della ceramica che fu rinvenuta su monte Marro
risulta identico a quello che caratterizza monte S. Onofrio e altri centri del bacino del Longano
(GENOVESE 1979, p. 73; GENOVESE 1977, p. 24.) Anche le tombe che insistono nella contrada
Scorciacapre appaiono legate ai principali rilievi dell’asse monte Gonia-monte Marro.
300
197
LA CIVILTÁ DEL LONGANO
L’esplorazione del comprensorio racchiuso tra il torrente Mela e le aree
occidentali prossime al torrente Patrì, sulla scorta delle precedenti ricerche e
campagne di scavo, ha evidenziato l’esistenza di una vasta estensione
archeologica che occupa tutta la fascia medio-collinare dei territori di Barcellona
Pozzo di Gotto, Castroreale, Rodì Milici e Terme Vigliatore.301
Dalla cronologia che si ricava da tutte le indagini che furono condotte fino al
2003, si deduce la maggiore importanza delle aree prossime al torrente Longano
e ai suoi affluenti durante la preistoria e le seguenti età del bronzo e del ferro, che
precedettero la fondazione delle prime colonie greche in Sicilia.
PERIODO
PREISTORIA
(Fig. 140)
BACINO
Torrente Idria
Torrente Longano
e suoi affluenti
SITI
Pizzo Lando.302
Contrada Pietro Pallio,303 area pizzo
Soglio-Piano Llaria,304 Maloto (contrade
Case Miano, Case Crisafulli, Serro
Maloto, Case Bucca e Burrone
Luricito),305 grotta Mandra,306 grotta
della Civetta (contrada S. Venera),307
contrada Limina,308 contrada Vignale309 e
contrada Torre Longa.310
Contrada Vernacola-Protonotaro.311
Pizzo Lando-piano Cannafè313 e monte
Lanzaria.314
Torrente Patrì
ETÁ DEL BRONZO
(Fig. 141)
Torrente Idria
301
I confini territoriali dell’area che è stata esplorata sono costituiti dal versante occidentale del
torrente Mela, dall’asse vallone Parrino - colle del Re - Bafia - Serro Runcia, dalla direttrice
pizzo Cocuzzo - pizzo Ciappa - monte Lombia - monte Gonia - monte Marro, e dall’asse
Portosalvo - monte Le Croci - monte Risica (Figg. 61, 74, 127).
302
BONANNO, p. 377; DE PASQUALE, p. 11.
303
DE PASQUALE, p. 3; GENOVESE 1977, pp. 14-15.
304
GENOVESE 1977, pp. 15-17.
305
DE PASQUALE, pp. 5-6; GENOVESE 1977, pp. 17-18.
306
DE PASQUALE, p. 2; GENOVESE 1977, p. 18.
307
Come riferiva Antonino De Pasquale, sul costone pliocenico che sovrasta la grotta di Santa
Venera fu individuata una grotta naturale e, a poca distanza da essa, erano stati recuperati
«materiale preistorico» e «un falcetto in basalto» (DE PASQUALE, p. 8). Antonino De Pasquale
integrò la cronologia archeologica di Pietro Genovese con numerosi reperti che rinvenne nel
comprensorio del torrente Longano. Il materiale archeologico da lui raccolto e custodito è stato
utilizzato per formulare le cronologie della prima campagna di esplorazioni.
308
DE PASQUALE, p. 10; GENOVESE 1978/2, pp. 85-90.
309
DE PASQUALE, p. 13.
310
DE PASQUALE, p. 14.
311
DE PASQUALE, p. 13.
198
ETÁ DEL BRONZO312
(Fig. 141)
Torrente Longano
e suoi affluenti
Torrente Patrì
ETÁ DEL FERRO
(Fig. 142)
Torrente Idria
Torrente Longano
e suoi affluenti
Monte S. Onofrio,315 contrada Pietro
Pallio,316 Maloto (contrade Croce
Maloto, Case Bucca, Serro Maloto e
Ciavolaro),317 grotta Mandra,318 contrada
Santa Venera,319 Castroreale,320 contrada
Serro
Cannata,321
contrada
Acquaficara,322 pizzo Santa Domenica,323
324
contrada
contrada
Argentieri,
Tramontana325
e
contrada
Feo
Ospedale.326
Contrada
Scorciacapre,327
monte
Marro,328 monte Gonia,329 monte
Ciappa,330 pizzo Cocuzzo,331 monte
Lombia332 e contrada Paparini.333
Monte Oliveto-contrada Cavalieri334,
pizzo Lando-piano Cannafè335 e monte
Migliardo.336
Monte S. Onofrio,337 Maloto (contrade
Serro Maloto, Croce Maloto),338 area
BONANNO, pp. 379, 395; DE PASQUALE, pp. 11-12.
DE PASQUALE, p. 16; GENOVESE 1977, pp. 19-21.
312
L’età del bronzo interessò genericamente il versante tirrenico messinese nel periodo
compreso tra il II millennio a.C. e il X sec. a.C.. Essa fu divisa nelle seguenti fasi: prima età del
bronzo-cultura di Capo Graziano (prima parte del II millennio a.C.), media età del bronzocultura del Milazzese (fine XV-prima metà XIII secolo a.C.), tarda età del bronzo-Ausonio I
(seconda metà XIII-fine XII secolo a.C.) ed età del bronzo finale-Ausonio II (XI-X secolo a.C.).
315
DE PASQUALE, p. 1; GENOVESE 1977, pp. 20-21.
316
DE PASQUALE, p. 4; GENOVESE 1977, pp. 18-19.
317
DE PASQUALE, p. 5; GENOVESE 1977, pp. 10,19.
318
Presso la grotta Mandra furono rinvenute tracce di ceramica protostorica (DE PASQUALE, p.
2).
319
DE PASQUALE, pp. 8-9; GENOVESE 1977, p. 19; GENOVESE 1979/2, pp. 43-44.
320
GENOVESE 1977, p. 19.
321
GENOVESE 1977, p. 19.
322
GENOVESE 1977, pp. 19, 31.
323
GENOVESE 1977, pp. 19, 32.
324
GENOVESE 1977, p. 19.
325
DE PASQUALE, p. 9; GENOVESE 1979/2, p. 44.
326
DE PASQUALE, p. 2.
327
GENOVESE 1979, p. 74.
328
CAMPAGNA, p. 154; GENOVESE 1979, p. 73.
329
BERNABÒ BREA 1967, p. 44; CAMPAGNA, p. 153; PUMO, pp. 15-16; RYOLO 1967, p 24.
330
BERNABÒ BREA 1967, p. 44; CAMPAGNA, p. 153.
331
RYOLO 1967, p 23.
332
CAMPAGNA, pp. 153-154.
333
CAMPAGNA, pp. 154-155.
334
BERNABÒ BREA 1960, pp. 182-183; DE PASQUALE, p. 15; GENOVESE 1977, pp. 10, 28;
ORSI, pp. 71-83.
335
BONANNO, pp. 381-383, 388-389, 395; GENOVESE 1977, p. 24.
336
LGP, p. 26.
337
DE PASQUALE, p. 1; GENOVESE 1977, pp. 20, 22-23, 29-32.
313
314
199
ETÁ DEL FERRO
(Fig. 142)
Torrente Longano
e suoi affluenti
Torrente Patrì
Torrente Idria
ETÁ PALEOGRECA
E GRECA
(Fig. 144)
Torrente Longano
e suoi affluenti
Torrente Patrì
monastica di Gala,339 contrada Santa
Venera,340 contrada Serro Cannata,341
contrada Parmento Grande,342 contrada
Acquaficara,343 pizzo Santa Domenica,344
contrada Argentieri345 e contrada
Tramontana.346
Monte
Marro,347
contrada
Scorciacapre,348 monte Gonia349 e
contrada Paparini.350
Pizzo Lando,351 monte Lanzaria352 e
contrada Oliveto.353
Area di monte S. Onofrio,354 contrada
Limina,355 contrada Santa Venera,356
contrada Maloto357 e Monte Croce.358
Monte Marro,359 monte Gonia.360
contrada
Scorciacapre,361
monte
Lombia,362 Contrada Mustaco,363 monte
Ciappa364 e monte Pirgo.365
DE PASQUALE, p. 5; GENOVESE 1977, pp. 24, 27, 32.
DE PASQUALE, p. 7.
340
DE PASQUALE, p. 9; GENOVESE 1977, p. 24.
341
DE PASQUALE, p. 13; GENOVESE 1977, p. 27.
342
GENOVESE 1977, p. 25.
343
GENOVESE 1977, pp. 27, 29, 32, 35.
344
GENOVESE 1977, pp. 27, 29.
345
GENOVESE 1977, pp. 27, 29.
346
DE PASQUALE, p. 9.
347
CAMPAGNA, p. 155; GENOVESE 1977, p. 24.
348
GENOVESE 1979, p. 74.
349
BERNABÒ BREA 1967, p. 44; CAMPAGNA, pp. 154-155; RYOLO 1967, p 24. «Lungo i versanti
sud-occidentale e sud-orientale di Monte Gonia e in Contrada Paparini (una valletta che limita a
Nord-Ovest il Monte Gonia)» furono rinvenute «venticinque sepolture a pianta rettangolare o
trapezioidale con soffitto piano, databili all’Età del Ferro» (CAMPAGNA, p. 152).
350
CAMPAGNA, p. 152.
351
BONANNO, pp. 385-393; DE PASQUALE, p. 12; Su pizzo Lando, Pietro Genovese e i suoi
collaboratori avevano anche rinvenuto «un vasetto (skyphos) integro», «un vaso (lutroforo) con
lunghe anse» e «una presunta effige di Demetra in terracotta». Questi tre reperti furono
consegnati all’archeologo Giacomo Scibona (DE PASQUALE, p. 12).
352
GENOVESE 1977, p. 21.
353
ORSI, p. 72.
354
GENOVESE 1977, pp. 39-46; GENOVESE 1978, pp. 27-29.
355
DE PASQUALE, p. 10; GENOVESE 1978/2, p. 87.
356
GENOVESE 1979/2, p. 43.
357
Giornale di Sicilia, 3 ottobre 1968.
358
DE PASQUALE, p. 14.
359
GENOVESE 1979, p. 73.
360
PUMO, p. 16.
361
CAMPAGNA, p. 157; GENOVESE 1979, p. 74.
362
CAMPAGNA, p. 157; RYOLO 1967, p 34.
363
CAMPAGNA, p. 156; PUMO, p. 15; ORSI, pp. 83-84.
338
339
200
La geomorfologia delle aree prossime al Longano, ricche di pascoli, foreste e
fonti idriche, costituì sicuramente un elemento fondamentale per la nascita di
piccole stazioni sparse durante la lunga facies preistorica (Fig. 140), collegate
alle numerose grotte e ai ripari naturali che sono presenti sui versanti collinari, tra
cui spiccano la “grotta Mandra” (contrada Gurafi) e la “grotta della Civetta”
(contrada S. Venera), site quasi nel punto in cui la principale fiumara di
Barcellona Pozzo di Gotto si divide in due ramificazioni.
Il potenziamento di questi primitivi insediamenti umani avvenne a partire
dall’età del bronzo (Fig. 141), quando la penetrazione nell’area si consolidò
attorno alle fiumare mediante lo sfruttamento delle risorse a loro legate (bacini
cerealicoli, pascoli e minerali) e a discapito dei siti collinari elevati (abbandono
della caccia). A questa fase sono pertinenti numerosi siti distribuiti
Fig. 140 – Siti di epoca preistorica che caratterizzano l’area indagata.
364
BERNABÒ BREA 1967, p. 45; CAMPAGNA, pp. 152-156; PUMO, p. 15; RYOLO 1967, pp. 26-
27.
CAMPAGNA, p. 157; RYOLO 1967, pp. 28-29.
365
201
principalmente lungo i fiumi Longano e Patrì, caratterizzati da tombe a grotticella
(maggiormente dell’età del bronzo recente) aventi molte volte identiche
caratteristiche dimensionali. La distribuzione delle strutture funerarie di questa
età archeologica attesta la presenza di una società organizzata in diversi villaggi
posti sui crinali collinari.366
Fig. 141 – Siti dell’età del bronzo che caratterizzano l’area indagata.
Uno stato di belligeranza nell’area del Longano durante la tarda età del bronzo
sembra evincersi dalle indagini al carbonio 14 che vennero eseguite sulle ossa
umane e sui teschi rinvenuti in alcune tombe della contrada Maloto, e che furono
giudicati appartenere «a gente di razza mediterranea» vissuta tra il XII e il XIII
secolo a.C. e morta in modo violento.367
Anche durante l’età del ferro il principale nucleo insediativo dell’area risulta
essere quello disposto attorno al Longano e ai suoi affluenti (Fig. 142), poiché
Le indagini che sono state condotte in passato nel comprensorio tirrenico hanno rivelato che
gli abitati protostorici venivano realizzati sulla sommità dei costoni. Le necropoli connesse agli
insediamenti, invece, venivano scavate nei sottostanti versanti (GENOVESE 1979, p. 71).
366
202
maggiormente caratterizzati da strutture sepolcrali con forme quadrangolari,
ovali ed ellissoidali (anche con tetto piano e pancone).368 In questa facies
archeologica sembra avvenire, secondo lo stato delle attuali conoscenze, una stasi
insediativa lungo l’asse pizzo Cocuzzo-monte Lombia, precedentemente
interessato da varie frequentazioni.
Fig. 142 – Siti dell’età del ferro che caratterizzano l’area indagata.
Le esplorazioni che sono state condotte hanno consentito di aggiungere
contributi per la conoscenza dell’area durante la fase protostorica, che precedette
la fondazione delle colonie greche di Sicilia e durante la quale avvennero scambi
commerciali e culturali con popolazioni elleniche. Dalle indagini effettuate si
evince l’esistenza di una continuità archeologica protostorica che interessò
l’attuale torrente Longano e i suoi affluenti secondo due assi di massima
Tribuna del Mezzogiorno, 6 dicembre 1968.
368
Alcune grandi escavazioni a due camere potrebbero indicare una strutturazione gerarchica e
pluristratificata degli insediamenti.
367
203
estensione (Fig. 143). Quello orizzontale (est-ovest), partendo dalla contrada
Santa Venera (territorio di Barcellona Pozzo di Gotto) arriva a congiungersi con
pizzo S. Domenica (comune di Castroreale), collina che è posta lungo lo
spartiacque occidentale del torrente Longano. L’asse verticale (nord-sud),
iniziando dalla frazione Acquaficara di Barcellona Pozzo di Gotto, dopo aver
attraversato numerose contrade, arriva a collegarsi con la frazione Catalimita di
Castroreale. Gravitanti attorno a questa area appaiono anche le escavazioni che
sono state rinvenute nelle contrade Portosalvo, Vernacola-Protonotaro e
Caruso.369
Dopo la frammentazione territoriale decretata dal torrente Patrì, un’altra
estensione protostorica (seppure con scarse tracce dell’età del ferro) si rileva
anche lungo l’asse monte Marro-pizzo Cocuzzo (comuni di Terme Vigliatore e
Fig. 143 – Strutturazione protostorica (età del bronzo e del ferro) delle aree che sono state esplorate.
I rinvenimenti effettuati sono stati segnalati alla Soprintendenza di Messina (sezione
archeologica) in data 9 febbraio 2012. Alcune aree esplorate sono avvolte dalla vegetazione. La
bonifica dei luoghi potrebbe portare al rinvenimento di altre evidenze archeologiche.
369
204
Rodì Milici). Questa seconda area appare collegata alla più consistente
strutturazione protostorica del Longano, sia per la presenza di uguali tipologie
funerarie (tombe a grotticella e con pianta quadrangolare sovrastata da tetto
piano),370 sia per il rinvenimento di impasto ceramico identico a quello che fu
recuperato su monte S. Onofrio e in altri luoghi disposti attorno alla principale
fiumara di Barcellona Pozzo di Gotto.371
Marginali, ma legate a queste due principali aree appaiono invece le
strutturazioni protostoriche di pizzo Lando, di monte Lanzaria e della contrada
Oliveto-Cavalieri (gravitanti tra i torrenti Mela e Idria).372
La distribuzione insediativa che il comprensorio indagato raggiunse durante l’età
del ferro trova scarso riferimento nei siti conosciuti di età paleogreca e greca, che
attestano una lenta fase di ellenizzazione dell’area -avviata lungo il Longano e
già consolidata lungo l’asse monte Marro/pizzo Cocuzzo- che fu interrotta
bruscamente (Fig. 144). Alle significative testimonianze di epoca classica
sopravvissute delle città di Abakainon e di Tindarys, site a occidente, infatti,
corrispondono scarse consistenze e una quasi totale stasi evolutiva nelle aree del
Longano e del Patrì.373
BERNABÒ BREA 1967, p. 44; CAMPAGNA, pp. 154-155; GENOVESE 1979, p. 74; RYOLO 1967,
pp. 23-25.
371
GENOVESE 1979, p. 73.
372
Le necropoli della contrada Oliveto-Cavalieri e di Rodì Milici (entrambe della «fase del
Finocchito»), presentano identiche tipologie funerarie e corredi (BERNABÒ BREA 1967, p. 44;
GENOVESE 1977, p. 27).
373
Nello stato delle attuali conoscenze, soltanto le seguenti evidenze testimoniano, per il
periodo seguente al V secolo a.C., frequentazioni nell’area compresa tra il torrente Mela e il
versante occidentale del Patrì: alcune tracce di reperti ceramici del III, II e I secolo a.C. su
monte S. Onofrio (GENOVESE 1977, p. 46); vari «frammenti di vasi di età classica (III-I secolo
a.C.)» nella contrada Lìmina (GENOVESE 1978/2, p. 87); due lacrimatoi del IV e II secolo a.C.
nella contrada Maloto (Giornale di Sicilia, 3 ottobre 1968); le tombe di età «greca od ellenistica
di contrada Oliveto-Cavalieri» (ORSI, p. 72); le tracce del III e IV secolo a.C. di pizzo Lando
(BONANNO, pp. 385-393); le scarse testimonianze di età greco-classica dell’area monte Pirgocasina d’Alcontres (CAMPAGNA, p. 157; RYOLO 1967, pp. 28-29); i «frammenti di tegole» e i
resti di «due grossi pithoi» (III secolo a.C.) dell’area Scorciacapre-Pietre Rosse (CAMPAGNA, p.
157; GENOVESE 1979, p. 74.); lo statere in argento emesso dal conio di Anaktorion (IV-III
secolo a.C.) che fu rinvenuto su monte S. Onofrio (GENOVESE 1978, pp. 27-29); due monete
(«tra cui un pentonkion di zecca mamertina» della metà del III sec. a.C.) che furono recuperate
su pizzo Lando (BONANNO, p. 392); alcune monete in bronzo (IV-III secolo a.C.), coniate dalle
zecche di Tindari, Abakainon e Siracusa, che furono rinvenute a nord di pizzo Ciappa e
370
205
Fig. 144 – Siti paleogreci e greci che caratterizzano l’area indagata.
Questa brusca interruzione trova riferimento cronologico nel V secolo a.C.,
epoca delle strutture di grandi dimensioni di pizzo Lando374 e delle opere
difensive di monte S. Onofrio375 e pizzo Ciappa.376 Le strutture fortificate
esistenti nell’area durante il V secolo a.C. trovano collegamento cronologico con
le litre (424-415 a.C.)377 e con il caduceo bronzeo (461 a.C.)378 riportanti gli
epiteti ȁȅīīANAION, ȁȅNīHNAION e ȁȅȃīǼȃǹǿȅȈ, che attestano
l’esistenza della civiltà di Longane. La mancanza d’informazioni dopo il V
nell’area di monte Lombia (CAMPAGNA, p. 157; RYOLO 1967, p. 34). Questi dati, attestando
sporadiche frequentazioni nell’area dopo il V secolo a.C., testimoniano che il comprensorio
gravitante tra i torrenti Mela e Patrì fu assorbito dalle aree limitrofe e che ebbe rapporti con
culture di altre località geografiche. Queste evidenze decretano inoltre l’interruzione dello
sviluppo territoriale che si riscontra nell’area indagata durante le età del bronzo e del ferro, poi
culminato nell’iniziale fase di ellenizzazione avviata con i siti di pizzo Lando, monte S. Onofrio
e pizzo Ciappa.
374
BONANNO, p. 396.
375
GENOVESE 1977, pp. 45-46.
376
BERNABÒ BREA 1967, p. 45.
377
JENKINS 1970, nn. 499-501 e 521-529; JENKINS 1975, pp. 99-101.
378
BERNABÒ BREA 1967, p. 42.
206
secolo a.C. induce a ritenere che questo insediamento non fosse più esistente,
come si rileva anche dai testi di Diodoro Siculo e Polibio, i quali, descrivendo la
battaglia avvenuta presso il fiume Longanòs nel III secolo a.C., non fecero
menzione di nuclei abitati lungo il suo corso e nelle aree interessate dallo scontro.
L’etnico retrogrado dell’iscrizione ȁȅīīǹȃǹǿȅȃ che caratterizza alcune litre,
con la lettera ī al posto di un ȃ, attesterebbe inoltre l’influenza della cultura
sicula nel conio e un’iniziale fase di ellenizzazione dell’insediamento di
Longane, che trova anche un importante riferimento nella forma ȁȅȃīǼȃǹǿȅȈ
del caduceo bronzeo, a sua volta denotante una connessione con le colonie
calcidesi fondate in Sicilia dopo Naxos.379 In tal senso, un collegamento con le
prime colonie greche dell’isola si ritrova nel contesto del fiume Longano
attraverso l’espressione «HEMETERE» - rinvenuta sul frammento di una kylix
della prima metà del V secolo (epoca del caduceo bronzeo) durante gli scavi di
monte S. Onofrio- che fu ritenuta, per «il tipo di rho utilizzata», un’iscrizione
calcidese.380
La fiumara di Barcellona e Castroreale, che dall’inizio del XVII secolo venne
denominata Longano, per le attuali conoscenze archeologiche dell’area,
risulterebbe pertanto collegabile all’antica civiltà di Longane e al fiume
«0SfXERSR» o «0SKKER¶R» di Diodoro Siculo e Polibio, sia per la mancanza di
significativi nuclei abitati durante il III secolo a.C. (epoca della battaglia del
Longanòs), sia perché, rispetto ai territori gravitanti attorno ai torrenti Idria e
Patrì, fu il fulcro della più consistente strutturazione protostorica dell’area
(includendo soprattutto l’età del ferro che precedette la fondazione delle prime
BERNABÒ BREA, p. 41; CONSOLO LANGHER, p. 143; JENKINS 1975, pp. 101-102; ROBERTS,
p. 206; ROHEL, p. 150; WALTERS, p. 48.
ϯϴϬ
MANNI PIRAINO, p. 280. Tra le concessioni che furono effettuate da Adelasia al monastero di
Gala, vi fu anche la chiesa di San Pantaleone nel porto Quison o Quinson, sito corrispondente
all’attuale capo Schisò di Giardini Naxos presso cui fu fondata la prima colonia calcidese di
Sicilia (IMBESI 2009, pp. 606, 619). Questa donazione potrebbe testimoniare un collegamento
tra il primo insediamento calcidese dell’isola e la penetrazione dell’elemento greco nel
comprensorio barcellonese attraverso la fondazione di una colonia, che si consolidò e perdurò
nei secoli seguenti con le testimonianze bizantine esistenti nel bacino del Longano (cube,
sepolture e siti rupestri) e con la rifondazione del monastero di Gala.
379
207
colonie calcidesi), come è stato rilevato anche durante le esplorazioni attraverso
numerose strutture funerarie che costeggiano il suo corso idrico e quelli dei suoi
affluenti (Figg. 141, 142 e 143).
Sotto questa ottica risultano molto importanti i due ipogei che sono stati
rinvenuti lungo il torrente san Giacomo, costituiti da lunghi cunicoli terminanti in
nicchie o incavi (Figg. 104-110; 116-122) che, esprimendo valenze sacrali legate
all’acqua, potrebbero essere collegabili alla divinità fluviale che caratterizza sul
rovescio le litre con le iscrizioni ȁȅīīANAION e ȁȅNīHNAION (Fig. 145).
Le caratteristiche espresse dalla
divinità
fluviale
delle
litre
appaiono assimilabili a quelle
delle
cosiddette
“Longane”
(note anche come Anguanes,
Acquane, Ongane, Anguane,
Angane o Langane), ninfe o
creature mitologiche legate alle
acque,
rappresentate
come
donne giovani, «con lunghi
capelli sciolti» e con tratti che
Fig. 145 – Divinità fluviale che caratterizza le litre
di Longane.
sottolineano
la
loro
«appartenenza a un mondo non
umano», molto diffuse nelle
tradizioni dell’area celtica e nell’Italia centro settentrionale (tra cui in Trentino,
Friuli e nei siti rupestri di Lagole, Calalzo di Cadore e Val Camonica). 381 Il loro
«Gli elementi di discontinuità presenti in un territorio (rilievi, grotte, asperità, laghi, sorgenti)
sono spesso percepiti come confini, come spartiacque tra mondi diversi (esterno/interno,
natura/cultura, ecc.) e ricevono una particolare attenzione linguistica da parte della comunità che
ad essi riserva denominazioni significative. Alcune di queste attingono alla sfera
dell'immaginario e del mito. Nell'Italia settentrionale, una ricca toponomastica, solo in parte
registrata nella cartografia, colloca in questi luoghi la dimora di figure mitiche femminili, che
pur nella diversità degli appellativi, sono spesso protagoniste di racconti e di credenze
sostanzialmente omologhi. El sass dele Guane, el buso dele Anguane, el crep dele Longane, el
covolo dele Guandane, el cadin dele Fate, el covolo dela Stria, el bus dele Fave, la grota dele
ϯϴϭ
208
culto, con probabili origini indoeuropee che riconducono all’età del bronzo, trova
anche un collegamento con le Nereidi greche.382
Selvadeghe definiscono zone spesso inaccessibili situate fuori dallo spazio antropizzato, quasi
sempre nel bosco o sui monti, dove l'elemento acquatico costituisce una presenza importante
[…] I linguisti concordano nella derivazione dei diversi appellativi Anguane, Vane, Aivane,
Longane, Vivane, Gane, Guandane, Angene, Aganis, ecc., dal latino popolare "Aquane", ninfe,
creature delle acque. G. B. Pellegrini non esclude tuttavia la possibilita di una sovrapposizione
con le celtiche Adganae. L'etimologia popolare avvicina questi appellativi ad "anguis" serpente,
in rapporto al soma ofidico che assumono le Anguane nelle loro metamorfosi […] Se ci
atteniamo a criteri puramente etimologici, con riferimento dunque ad Aquane e derivati,
l'ambito di diffusione di queste figure mitiche sembra estendersi ad alcune regioni dell'Italia
settentrionale: dalle Aganis friulane alle Naquane della Val Camonica, ma se passiamo ad
esaminare piu da vicino gli attributi che le connotano e le leggende di cui sono protagoniste, ci
accorgiamo che le attestazioni ci portano lontano nello spazio e nel tempo. Ci basti accennare
alle Gianas, Panas e Fadas sarde o alle Neraides greche, che mostrano una continuità
sorprendente con le antiche Nereidi, o ancora alle innumerevoli fate dei racconti medievali […]
In alcune aree sembrano prevalere le connotazioni positive di queste creature, accostabili alle
Ninfe e alle Fate (per es. nella zona della pianura e delle Prealpi del Veneto), in altre quelle
negative che le avvicinano alle streghe o alle donne selvagge (ad es. le Aganis friulane) […]
Nelle tradizioni esaminate le Anguane sono rappresentate come donne giovani e sole, vestite di
bianco, dotate di bellezza straordinaria e con i lunghi capelli sciolti. Assieme alla prevalenza
cromatica del bianco, esplicito richiamo al mondo dei morti, altri elementi tradiscono la loro
alterità, l 'appartenenza a un mondo non umano: il piede di capra, la schiena incavata o il piede
all'indietro […] Le Anguane, come le streghe, sono in grado di controllare le acque, scatenando
tempeste, fermando le piene dei torrenti, dimostrandosi in grado di prevedere i mutamenti
repentini e minacciosi delle condizioni atmosferiche» (PERCO, pp. 71-72, 76).
ϯϴϮ
«Questi due nomi, assieme ad altri come ad esempio le Anguanes (sing. Anguana), si
rivelano essere molto interessanti agli occhi dell’etnologia. Le Anguanes sono delle entità legate
alle acque così come le Ganes (sing. Gana), tant’è che nei toponimi locali troviamo un Ru de
Gannes (che potremmo tradurre come un ruscello delle fate). Questi nomi (con poche variazioni
fonetiche e lessicali) si ritrovano spesso non solo nell’arco alpino ma anche nell’alta pianura
padana ed in altre aree europee lontane dalle vallate dolomitiche. Ad esempio troviamo entità
simili (anche nel nome) alle Anguanes anche in Trentino (Ainguane o anche Gane) in Friuli e in
Carnia (Aquane). Questo nome doveva essere antico poiché se ne trovano tracce anche nel
passato: presso la Basilica di San Vincenzo a Galliano di Cantù, in provincia di Como, venne
ritrovata un’ara di epoca romana con una epigrafe indicante una dedica indirizzata alle
“Matronis et Adganae” (entità d’acqua pagane di probabile origine celtica chiamate
contemporaneamente col nome latino “matronis” e con quello celtico “adganae”) […] Altro
indizio interessante è il toponimo “Naquane” o “Aquane”, nome della località nei pressi di Capo
di Ponte, in Val Camonica, dove sono presenti la maggior parte delle famose incisioni rupestri
locali. E’ ipotizzabile che anche questo nome di luogo dove si trovano le tracce di un luogo
sacro preistorico, possa derivare dal nome di queste entità/divinità […] Secondo alcune
interpretazioni il termine Anguanes deriverebbe dalla parola latina aquana derivante a sua volta
da “aqua”, acqua (infatti si tratta di entità soprannaturali d’acqua), ma la similitudine con la
parola “aqua” probabilmente venne accentuata dopo la latinizzazione. Se prendiamo il nome
prima citato “Adganae” troviamo il suffisso “gan”, che nelle lingue celtiche corrisponde ai nomi
delle entità fatate. Troviamo infatti la “Morrigan” in Irlanda e le “Korrigans” in Bretagna; la
stessa fata “Morgana” dei cicli arturiani porta nel nome la stessa particella. Qualcosa di molto
simile troviamo anche in Sardegna dove, nella lingua locale, le fate si chiamano “janas”.
209
Nello stato attuale delle indagini, in mancanza di dati di scavo e di evidenze
cronologiche,383 è stato possibile soltanto rilevare che i due cunicoli ricadenti nel
territorio di Barcellona Pozzo di Gotto presentano sezioni e intagli simili a quelli
che caratterizzano il cosiddetto tunnel di Ezechia e le sue ramificazioni (Figg.
146, 147 e 148), realizzati nella media età del bronzo (1800 a.C. circa) e nell’VIII
Fig. 146 - Tunnel di Ezechia.
Probabilmente questo nome o suffisso legato alle “fate” ha origini indoeuropee arcaiche forse
risalenti addirittura all’Età del Bronzo» (AMIOTTI, pp. 115-116).
383
Uno degli ipogei è interessato da continue frane, dovute alle vibrazioni di una strada carrabile
che lo sovrasta.
210
Fig. 147 – Ipogei siti nelle contrade S. Venera (A) e Case Miano (B).
211
Fig. 148 – Il tunnel di Ezechia (A) e gli ipogei siti nelle contrade S. Venera (B) e Case Miano (C).
212
secolo a.C. per captare le acque della sorgente di Gihon (sita nell’antica città di
Sion, nucleo originario di Gerusalemme).384 Durante le esplorazioni, inoltre, non
sono state rinvenute valenze sacrali e cultuali legate all’acqua in altri condotti che
captano risorse idriche dai versanti collinari del Longano (Fig. 149).
Fig. 149 – Escavazioni che captano risorse idriche nelle contrade pizzo S. Domenica (A) e Maloto (B).
I due ipogei farebbero orientare verso la divinizzazione del fiume di Barcellona
e Castroreale, che, come attestato in vari centri indigeni ellenizzati,385 potrebbe
essere stata generata da influenze di popolazioni della Magna Grecia sulla civiltà
sicula locale, mediante l’unione del culto greco di Eracle (presente sul diritto
delle litre di Longane) con quello indigeno della divinità fluviale (che
EDT, p. 116; MAGNESS, PP. 38-45; STEINER, P. 22. Le contrade Maloto e S. Venera sono
caratterizzate da stratificazioni protostoriche molto evidenti, come si evince anche dalle indagini
che furono effettuate in passato (GENOVESE 1977, p. 10; GENOVESE 1979, p. 73; GENOVESE
1979/2, pp. 43-44; Giornale di Sicilia, 3 ottobre 1968; Tribuna del Mezzogiorno, 6 dicembre
1968). Secondo Pietro Genovese, il sito sovrastante la grotta di S. Venera era stato «nel periodo
dell’Ausonio I (1250-1050 a.C.) il centro di strutturazione territoriale del bacino del Longano»
(GENOVESE 1979/2, p. 44). Un altro sito simile ai due ipogei barcellonesi è una escavazione del
giardino della Kolymbethra di Agrigento (V sec. a.C.).
384
213
sicuramente trovava riferimento in pratiche cultuali dell'area ellenica).
L’affinità tipologica e stilistica tra l’Eracle di Longane e lo stesso eroe
mitologico che ricorre nella monetazione di Kamarina (V secolo a.C.),386 e le
forti analogie tra la divinità delle litre e il dio fluviale del conio di Gela,387
attesterebbero inoltre l’esistenza di stretti rapporti tra questi insediamenti della
Sicilia greca.388 In tale connessione è con molta probabilità da ricercare la breve
esistenza e la distruzione di Longane, forse avvenuta dopo il V secolo a.C.,
«periodo che vide le due spedizioni ateniesi contro Siracusa»389 (a cui
parteciparono anche le città calcidesi e Kamarina accanto ad Atene).390
I risultati delle recenti esplorazioni, unite alle indagini che furono condotte in
passato, inducono dunque a identificare l’antico insediamento di Longane con
una vasta area indigena in fase di ellenizzazione, avente il nucleo centrale posto a
ridosso dell’attuale torrente Longano e dei suoi affluenti, e una distribuzione
territoriale -formata da villaggi, ipogei, necropoli e strutture difensive (pizzo
Ciappa, monte S. Onofrio e pizzo Lando)- che occupava il comprensorio
anticamente confinante con Mylai, Tyndaris e Abakainon, importanti colonie
greche della Sicilia (Fig. 150).
BAGNASCO, pp. 25-52.
CONSOLO LANGHER, p. 143; JENKINS 1980, pp. 40-56; INGOGLIA 2011, p. 261.
387
JENKINS 1970, nn. 499-501 e 521-529; INGOGLIA 2011, p. 262.
388
Una litra di Longane fu rinvenuta a Kamarina (INGOGLIA 2011, p. 261). Ciò attesta
maggiormente il collegamento tra questi due insediamenti.
389
BERNABÒ BREA 1967, p. 45.
390
TUCIDIDE III, 86,2; TUCIDIDE VI, 75,3. La stretta connessione tra Longane, Kamarina e le
città calcidesi fu sottolineata anche dalla Consolo Langher («Se ora ripensiamo che un altro
centro dell’area sicula settentrionale –Longane- ha introdotto nelle sue litre argentee la
rappresentazione prettamente kamarinea della testa di Herakles coperta dalla leontè, potremo
serenamente concludere che si esprime su tutta la monetazione ora esaminata quel legame che
ha allineato Kamarina, assieme ai Siculi Settentrionali e alle città chalcidesi, accanto ad Atene
nella lotta contro Syrakousai»; CONSOLO LANGHER, p. 150).
385
386
* Dedico questa pubblicazione ai miei genitori Santa e Salvatore, e a mia moglie Carmelina.
* Le immagini tridimensionali dei luoghi sono state ottenute con il software Google Earth.
* Dal 2010, anno di inizio delle indagini, fino ad oggi, come ho più volte fatto presente anche
attraverso la stampa (Centonove, 1 giugno 2012), rilevo il totale disinteresse verso il ricco
patrimonio archeologico barcellonese da parte degli enti preposti alla sua tutela, divulgazione e
fruizione.
214
Fig. 150 – Ipotesi sull’ubicazione di Longane.
215
216
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224
225
INDICE
Il corso del Longano
5
Il fiume Longano e la battaglia del Longanós
9
La civiltá di Longane
29
Le indagini di Vincenzo Cannizzo e Paolo Orsi
40
La tesi di Domenico Ryolo e Luigi Bernabò Brea
48
Le ricerche di Carmelo Famá a Maloto
56
Le indagini di Pietro Genovese
62
Gli scavi di pizzo Lando
86
Le altre indagini condotte nell’area e gli obiettivi delle esplorazioni
95
L’area compresa tra i torrenti Mela e Idria
108
Le aree archeologiche del torrente Longano
124
Le aree archeologiche del torrente Patrí
181
La civiltà del Longano
198
226