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Senza parole 3. Da Lombroso a Scilipoti: repatriation all’italiana. La notizia è su tutti i giornali. Il sindaco di Motta Santa Lucia ha chiesto alla magistratura di obbligare il Museo antropologico dell’Università di Torino a “restituire” il cranio del brigante Giuseppe Vilella, morto nel 1872, per seppellirlo degnamente. Dopo una prima sentenza favorevole, si è attualmente in attesa di un secondo grado di giudizio. Questi i fatti. Ovviamente il cranio è un bene (culturale) inalienabile dello Stato, ma quel che interessa è che quanto altrove si definisce Repatriation, e riguarda il rapporto fra archeologi e aborigeni australiani o nativi americani, in una logica giustamente postcoloniale, in Italia diventa altra cosa. La questione che altrove è etica qui è declinata in farsa: a chiedere una “restituzione” che non è tale, in quanto Vilella morì in carcere a Torino, sono i cosiddetti neoborbonici capitanati dall’on.le Domenico Scilipoti, persona che, come ricorda Repubblica del 11 gennaio 2013, è già stata condannata in Cassazione per reati gravi. Il senso dell’operazione è riabilitare Vilella oggi, per riabilitare Scilipoti domani? Non credo (qui non si pensa al futuro, ma a riempiere tasche e urne) e comunque si è certi che Vilella, uomo che immaginiamo duro e d’onore, vorrebbe avere a che fare con Scilipoti? E Lombroso che se ne farebbe del suo cranio? Ah, dimenticavo. Il giudice di primo grado aveva suggerito all’Università di fare un calco del cranio e, quindi, cederlo. Come se un calco e l’originale fossero oggetti di studio equivalenti. Meglio sarebbe “restituire” un calco da seppellire fra fanfare di paese, con la certezza che nessuno se ne accorgerà.