STEFANO BENEDETTI
Boccaccio lettore di Orazio
I rapporti del Boccaccio con l’opera oraziana, al di là di una pagina dell’Hortis, una nota di Vittore Branca all’edizione dell’Amorosa Visione e pochi
altri cenni, non sono mai stati fatti oggetto di attenzione specifica1. Si tratta di
una circostanza a tutta prima spiegabile in termini abbastanza lineari. A differenza di quanto avviene per altri autori classici, variamente assunti a grandi
modelli, quali Ovidio o Apuleio, Virgilio o Stazio, il corpus oraziano non si è
rivelato mai una fonte privilegiata per l’immaginario e per i generi boccacciani,
e ciò senza nulla togliere all’auctoritas che il Boccaccio indiscutibilmente riconosceva al Venosino, giungendo a tributare parole di grande ammirazione per
chi «uomo di altissima scienza e di profonda fu, e massimamente in poesia fu
espertissimo»2. Eccettuata l’ipotesi, proposta a più riprese da Hollander, di una
complessiva esemplarità di genere dell’Orazio satirico per l’autore del
Decameron3, argomenti e indizi circa una presenza importante del referente oraziano nell’opera del Boccaccio risulterebbero – ancora a quanto è possibile
1
A. HORTIS, Studj sulle opere latine del Boccaccio, Trieste, Libreria Julius Dase, 1879,
pp. 402-403; V. BRANCA, commento a G. BOCCACCIO, Amorosa Visione, Firenze, Sansoni,
1944, pp. 421-22 (nota ripresa, in forma più scorciata, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, Milano, Mondadori, vol. III, 1974, pp. 586-87); G. PADOAN, commento a G. BOCCACCIO,
Esposizioni sopra la Comedia, in Tutte le opere, cit., vol. VI, 1965, p. 828 (che cito dalla
ristampa Milano, Mondadori, 1994).
2
Il giudizio è tratto dalla ampia chiosa a Inf. IV, 89, ivi, pp. 198-99.
3
R. HOLLANDER, «Utilità» in Boccaccio’s Decameron, in «Studi sul Boccaccio», XV,
1985-86, pp. 215-33: 215-16 e n. 2; ID., The proem of the Decameron: Boccaccio between
Ovid and Dante, in Miscellanea di studi danteschi in memoria di Silvio Pasquazi, 2 voll.,
Napoli, Federico & Ardia, 1993, vol. I, pp. 423-40: 435; ID., C. CAHILL, Day ten of the
Decameron: the myth of order, in «Studi sul Boccaccio», XXIII, 1995, pp. 113-70: 163-66 e n.
100. In tutti i casi Hollander ha corroborato la sua tesi sull’esemplarità oraziana rimarcando la
sorprendente identità di parola in incipit (umana/humano) fra l’Ars poetica e il Decameron.
Ma sul valore modellizzante dell’Ars nella poetica boccacciana cfr. infra, pp. 111-13.
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dedurre dall’esegesi e dalla critica più recenti – alquanto esigui se solo paragonati a qualsiasi altro degli autori sopra ricordati.
Eppure, a fronte dell’indagine ormai consolidata sui rapporti con Orazio dei
nostri grandi trecentisti4, rimane in realtà ancora tutto da esplorare il terreno della
lettura boccacciana che, per quanto non privilegiata, certo fu diretta ed integrale,
multiforme e probabilmente soggetta a riprese ed incrementi nel corso dell’attività
letteraria ed erudita del Certaldese, e comunque sia non rubricabile nei termini affatto liquidatori di una ricezione parziale e sporadica, come ancora poteva intendere il
profilo di un’invecchiata monografia sulla fortuna italiana di Orazio5. Scopo del presente contributo, dunque, è quello di predisporre alcune coordinate d’insieme utili a
un’indagine sulla lettura oraziana del Boccaccio, in una prospettiva che, all’interno
di un sistema vasto e complesso quale si configura quello della memoria letteraria
boccacciana6, valorizzi l’ipotesi di un rapporto di lettura come insieme di fenomeni
non necessariamente subordinati ad esiti intertestuali. Fenomeni di cui potrà rivelarsi opportuno tentare un inquadramento sui due versanti, distinti ma interrelati, da un
lato della tradizione materiale, e dall’altro delle referenze esplicite all’immagine e
all’opera oraziana, rinvenibili nei testi boccacciani sino all’estrema testimonianza
del profilo di Orazio incluso nel commento a Dante7.
4
Stando ai contributi più recenti, per Dante cfr. G. BRUGNOLI, R. MERCURI, s. v. Orazio
Flacco, Quinto, in Enciclopedia Dantesca, vol. IV, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,
1985, pp. 173-80; R. MERCURI, Il canone della «Commedia», in ID., Genesi della tradizione letteraria italiana in Dante, Petrarca e Boccaccio, in Letteratura Italiana. Storia e geografia, I,
L’età medievale, Torino, Einaudi, 1987, pp. 273-78; C. VILLA, Dante lettore di Orazio, in Dante
e la «bella scola» della poesia, a cura di A. A. Iannucci, Ravenna, Longo, 1993, pp. 87-106;
EAD., s. v. Dante Alighieri, in Enciclopedia Oraziana, vol. III, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, 1998, pp. 189-90. Su Petrarca: U. DOTTI, Orazio e Petrarca, in Orazio e la letteratura
italiana. Contributi alla storia della fortuna del poeta latino, Atti del Convegno di Vicenza (1923 aprile 1993), Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1994, pp. 11-28; M. FEO, s. v.
Petrarca, Francesco, in Enciclopedia Oraziana, cit., vol. III, pp. 405-25.
5
G. CURCIO, Q. Orazio Flacco studiato in Italia dal secolo XIII al XVIII, Catania, F.
Battiato, 1913, pp. 27-31 (cito passim: «Probabilmente il Boccaccio altro non lesse che qualche
brano della Poetica e delle Satire»; «lesse poco, assai poco, le poesie di Orazio»; «Se il
Boccaccio, nel Commento, che è opera di età matura e di erudizione, dimostra così poca dimestichezza con Orazio, poca o nessuna meraviglia è da fare se in altri scritti non attesti il contrario»;
sino a concludere, che dal Boccaccio «tutto sommato, Orazio non fu poeta letto, apprezzato»).
6
Per un bilancio recente sul Boccaccio lettore si vedano le Parole di apertura premesse
da V. B RANCA a Gli Zibaldoni di Boccaccio. Memoria, scrittura, riscrittura. Atti del
Seminario internazionale di Firenze-Certaldo (26-28 aprile 1996), a cura di M. Picone e C.
Cazalé Bérard, Firenze, Franco Cesati, 1998, pp. 5-10.
7
Il presente intervento si basa in parte sulla voce Boccaccio, Giovanni, da me redatta per
l’Enciclopedia Oraziana, cit., vol. III, 1998, pp. 130-34, che mi limito a citare qui una volta
per tutte. Avverto inoltre che per i riscontri sul testo oraziano mi servirò dell’edizione a cura
di T. Colamarino e D. Bo, Torino, UTET, 1983.
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Boccaccio lettore di Orazio
Documento da approfondire, per uno scavo in ordine al primo aspetto,
dovranno considerarsi quelle trascrizioni autografe di luoghi oraziani che la
mano del Boccaccio ha lasciato sulle carte terminali dello Zibaldone Magliabechiano (il ms. Banco Rari 50, d’ora in avanti ZM)8. Si tratta di liste di nomi prelevati da alcuni testi di Orazio, nel primo caso notabilia storici, mitologici e
geografici (ZM, c. 300r =a), nel secondo nomi di poeti e filosofi, estratti dalle
Satire di Persio oltre che dal corpus oraziano (cc. 302v-303r =b)9. Queste due
sequenze di excerpta non hanno finora ricevuto l’attenzione che meritavano,
forse per la loro stessa liminarità nell’ambito del peraltro studiatissimo codice10,
e ciò malgrado la c. 302v fosse stato riprodotta quale specimen in appendice al
contributo di Pier Giorgio Ricci sulla scrittura corsiva del Boccaccio11.
La prima serie di estratti si dispone sulla metà superiore della pagina, e consta di 27 righe, in ciascuna delle quali è indicato il lemma trascelto con il riferimento puntuale al luogo oraziano, e nella maggior parte (21 casi) con citazione
del verso o dell’incipit. La serie rispetta l’ordine delle composizioni partendo
8
Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. B. R. 50. La bibliografia su ZM deve far
capo a S. CIAMPI, Monumenti di un manoscritto autografo e lettere inedite di Messer Giovanni
Boccaccio, Milano, Molina, 18302; HORTIS, Studj sulle opere latine, cit., Appendice I, pp. 32842; F. MACRÌ-LEONE, Il Zibaldone boccaccesco della Magliabechiana, in «Giornale storico
della letteratura italiana», V, vol. X, 1887, pp. 1-41; G. VANDELLI , Lo Zibaldone
Magliabechiano è veramente autografo del Boccaccio, in «Studi di filologia italiana», I, 1927,
pp. 69-86; A. M. COSTANTINI, Studi sullo Zibaldone Magliabechiano. I, Descrizione e analisi,
in «Studi sul Boccaccio», VII, 1973, pp. 21-58; le schede di F. DI BENEDETTO in VI Centenario
della morte di Giovanni Boccaccio. Mostra di manoscritti, documenti e edizioni, Firenze,
Biblioteca Medicea Laurenziana, 22 maggio-31 agosto 1975. I, Manoscritti e documenti, a
cura di E. Casamassima, Certaldo, 1975, n° 102, pp. 124-26 e di G. SAVINO in Codici latini del
Petrarca nelle biblioteche fiorentine, catalogo della mostra, 19 maggio-30 giugno 1991, a cura
di M. Feo, Firenze, Le Lettere, 1991, n° 92, pp. 141-45. Per altre voci cfr. la Bibliografia degli
Zibaldoni di Boccaccio (1976-1995), Roma, Viella, 1996, pp. 47-57.
9
Nel riferirmi a queste pagine, d’ora in avanti, indicherò in forma breve le due sequenze
rispettivamente con a e b, precedute dal numero dei singoli excerpta fornito nei regesti prodotti infra, alle note 12 e 19.
10
Nella sua descrizione analitica COSTANTINI, Studi, cit., pp. 57-58 si limitava a recepire
l’indicazione generica di MACRÌ-LEONE, Il Zibaldone, cit., p. 9 (ma cfr. ivi, p. 12, i riferimenti
agli estratti da Orazio e Persio), mentre dubitava dell’ascrivibilità di queste ultime carte al
corpus boccacciano («noi crediamo che con il f. 276r lo ZM debba ritenersi definitivamente
concluso»). La scheda di DI BENEDETTO in VI Centenario, cit., p. 147, ha segnalato le carte
che ci interessano, dando anche una prima informazione sui rapporti del Boccaccio con l’opera oraziana.
11
P. G. RICCI [et V. BRANCA], Notizie e documenti per la biografia del Boccaccio, in
«Studi sul Boccaccio», V, 1969, pp. 12-18: 14-15 e tav. IV (poi in ID., Studi sulla vita e le
opere di Giovanni Boccaccio, Milano-Napoli, Ricciardi, 1985, tav. XVIII); il Ricci si avvaleva
di c. 302v come termine di confronto per la corsiva di più corrente esecuzione del Boccaccio.
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dal quarto libro delle Odi, quindi proseguendo con Epodi, Ars poetica e Satire12.
È più che probabile, accertata la caduta del bifoglio precedente (cc. 298-299)13,
che si tratti di un blocco acefalo, il quale doveva esser preceduto da una serie
non sappiamo quanto estesa di citazioni tratte almeno dai primi tre libri dei
Carmina. L’ordine, infatti, risulta qui prevalentemente sequenziale, e le opere
citate sono uniformi all’altra lista, in quanto anche lì gli estratti sono prelevati
da tutte le raccolte oraziane ad esclusione delle Epistole (sta ovviamente a parte
l’Ad Pisones) e del Carmen saeculare. Non c’è dunque ragione di credere che il
Boccaccio si soffermasse, in questa prima serie, solo sul quarto libro delle Odi,
mentre pure improbabile appare, data l’assenza delle Epistole dagli estratti di
nomi poetici (per i quali esse avrebbero potuto fornire non pochi spunti di annotazione)14, la presenza di allegazioni dalle Epistole medesime nella parte caduta
di questa prima serie.
La successiva lista di nomi (cc. 302v e 303r) risulta più articolata, oltre a
presentarsi diversamente disposta sulla pagina, giacché la c. 302v è vergata su
due colonne e riempita per intero (mentre le poche linee all’inizio di c. 303r
ritornano a piena pagina), secondo un modulo certo meno comune nel
Boccaccio trascrittore in privato, ma che qui risulta senz’altro meno calibrato di
quanto non avvenga nella più ampia sezione a due colonne di ZM, le carte occupate dal florilegio senechiano15. La facies grafica, d’altra parte, si presenta in tal
12
Fornisco qui, in forma breve e numerata, l’elenco dei luoghi oraziani citati, preceduti
dal lemma di riferimento (conservo la forma grafica usata dal Boccaccio): 1. Nerones [Carm.
IV 4, 28]; 2. Phebus [Carm. IV 6, 25]; 3. Romulus [Carm. IV 8, 22-23]; 4. Appii corona
[Carm. IV 11, 3]; 5. Pegasus [Carm. IV 11, 27]; 6. Daunus [Carm. IV 14, 26]; 7. Iasonis
uxor [Epod. V, 63-64]; 8. Creusa [Epod. V, 61 ss.]; 9. Socchus [Ars 80]; 10. Coturni [Ars 8081]; 11. Leda [Ars 147]; 12. Dyomedes [Ars 146]; 13. Silenus [Ars 239]; 14. Poesis a grecis
habuit originem [Ars 268 ss.]; 15. Moralitas fabule Orfei. Amfionis [Ars 391 ss.]; 16. Fausta
[Serm. I 2, 64]; 17. Canusium [Serm. I 5, 91-92]; 18. Tuscia [Serm. I 6, 1-2]; 19. Oratius [...]
amicus Mecenatis [Serm. I 6, 53]; 20. Rupilius [Serm. I 7, 1]; 21. Priapus [Serm. I 8, 1]; 22.
Canidia [Serm. I 8, 24]; 23. Ecaten [Serm. I 8, 33]; 24. Venusi<n>um [Serm. II 1, 34-35]; 25.
Saturnalia [Serm. II 3, 5]; 26. Sisifus [Serm. II 3, 21]; 27. Electra [Serm. II 3, 139-40].
13
Come dimostra ora l’esauriente analisi codicologica di G. POMARO, Memoria della
scrittura e scrittura della memoria: a proposito dello Zibaldone Magliabechiano, in Gli
Zibaldoni di Boccaccio, cit., pp. 259-79: 264-66.
14
Penso a testi fondamentali, per l’orizzonte poetico oraziano, come Epist. I 19 (dove tra
gli altri sono menzionati i nomi di Cratino, Ennio, Archiloco, Alceo, che il Boccaccio trascrive in ZM, b, estraendoli da altri componimenti) o Epist. II 1.
15
Dove le carte mostrano la mise en page predisposta con rigatura (cfr. A. M. COSTANTINI , Studi sullo Zibaldone Magliabechiano. II, Il florilegio senechiano, in «Studi sul
Boccaccio», VIII, 1974, pp. 79-126: 90), laddove a c. 303r la disposizione appare contestuale
alla stesura, sicché si è determinato nella metà inferiore del foglio un certo spostamento del
margine centrale verso destra.
110
Boccaccio lettore di Orazio
caso più accurata rispetto al precedente elenco, come può mostrare il tratteggio
delle maiuscole, in diversi casi alquanto calligrafico16. I due elementi (mise en
page, cura scrittoria) potrebbero essere indizio di una qualche distanza fra le due
trascrizioni, forse redatte in fasi distinte, sebbene la tecnica excerptatoria e il
bacino di riferimento le mostrino appartenenti a un’operazione di lettura sostanzialmente unitaria (ma su deduzioni di ordine critico si ritornerà più avanti)17.
In questa seconda sequenza sono elencati, come si è detto, nomi di personaggi antichi (poeti in massima parte, ma anche filosofi, retori e artisti), tratti per lo
più dai testi oraziani, ma anche (9 casi) dalle Satire di Persio. L’ordine, in questo caso, appare meno rigoroso, in quanto precedono estratti dal quarto libro
delle Odi, quindi dalla quarta satira del libro I (di cui si può giustificare l’anteposizione18); poi, dopo le citazioni da Persio, la serie riprende ordinata con luoghi dai Carmina (I-IV libro), Epodi, Ars poetica, Sermones (I e II libro)19.
16
Alcune osservazioni in merito nel sopra citato RICCI, Notizie e documenti, cit., pp. 14-15.
Nessun ostacolo all’ipotesi di una redazione coeva è rappresentato dalle pagine bianche (300v-302r) che separano i due elenchi, conforme la fisionomia “aperta” di ZM, dove il
Boccaccio trascrittore intercalava intervalli alle parti compilate.
18
Boccaccio si riferisce a Carm. IV 9 come «ad carminum consecrationem» (ZM, 3b),
probabilmente interpretando in senso emblematico per la raccolta la serie canonica dei lirici
greci e il motivo dell’immortalità della poesia presenti nell’ode.
19
Anche in questo caso, produco un regesto delle trascrizioni, numerandole per luogo
citato (a cui può corrispondere anche il rinvio a più di un nome): 1. Alceus poeta [Carm. IV
6, 1 e 35]; 2. Parasius pictor. Scopas scultor [Carm. IV 8, 6-7]; 3. Alceus poeta [Carm. IV 9,
7]; 4. Simonides poeta [ibid.]; 5. Stersicorus poeta [Carm. IV 9, 8]; 6. Anacreon poeta
[Carm. IV 9, 9]; 7. Eupolis Cratinus Aristofanes Lucilius Crispinus poete [Serm. I 4, 1 ss.]; 8.
Labeo poeta [PERS. I, 4]; 9. Pacuvius poeta [PERS. I, 4]; 10. Briseus Attius poeta [PERS. I, 76];
11. Lucilius poeta [PERS. I, 114]; 12. Cratinus Eupolis Aristofanes poete [PERS. I, 123-24];
13. Archesilaus philosophus [PERS. III, 99]; 14. Glicon poeta [PERS. V, 9]; 15. Cleantes philosophus [PERS. V, 64]; 16. Bassus poeta [PERS. VI, 1]; 17. Arcita philosophus [Carm. I 28, 1];
18. Panetus philosophus [Carm. I 29, 14]; 19. Symonides poeta [Carm. II 1, 38]; 20.
Corvinus poeta [Carm. III 21, 7]; 21. Pindarus poeta [Carm. IV 2, 1 ss.]; 22. Mevius poeta
[Epod. X, 2]; 23. Anacreon poeta [Epod. XIV, 9-10]; 24. Cecilius Plautus Varo poete [Ars 5455]; 25. Archilocus poeta [Ars 79]; 26. Cidicus poeta [Ars 136]; 27. Accius Ennius poete [Ars
258-59]; 28. Thespis poeta [Ars 275-76]; 29. Eschilus poeta [Ars 279]; 30. Ramnes poeta
[Ars 342]; 31. Quintilius poeta [Ars 438]; 32. Empedocles poeta [Ars 463]; 33. Crispinus
poeta [Serm. I 1, 120]; 34. Hermogenes tigellius musice artis peritissimus [Serm. I 2, 3; Serm.
I 3, 3-4]; 35. Heliodorus rector [Serm. I 5, 2]; 36. Laberus poeta [...] in hoc eodem multa et
Lucilius poeta promeritur [Serm. I 10, 6 e 53 ss.]; 37. Epitoleontus poeta [Serm. I 10, 22]; 38.
Alpinus poeta [Serm. I 10, 36]; 39. Pollio Varius poete [Serm. I 10, 42-43]; 40. Varro atracinus [Serm. I 10, 46]; 41. Cassius poeta [Serm. I 10, 62]; 42. Plotius Varrus Mecenas Valgius
Octavius Fuscus poete [Serm. I 10, 81-83]; // (c. 303r) 43. Menander Eupolis Archilocus
poete [Serm. II 3, 11-12]; 44. Stertinus philosophus [Serm. II 3, 33]; 45. Damasippus philosophus [Serm. II 3, 64-65]; 46. Aristippus philosophus [Serm. II 3, 99 ss.].
17
111
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Sulla base di questi excerpta è innanzitutto possibile sgombrare definitivamente il campo dal dubbio circa una parziale conoscenza del corpus oraziano da
parte del Boccaccio, dubbio che si originava dall’elenco di opere che egli forniva nella chiosa delle Esposizioni sopra la Comedia, ove, dopo il profilo biografico di Orazio, erano ricordati «un suo libro, il quale è nominato Ode» e, a
seguire, «un libro chiamato Poetria», quindi le «Pìstole» e i «Sermoni»20. La
conclusione («altri libri de’ suoi, che i quatro predetti, non credo si truovino»),
aveva fatto porre in dubbio la familiarità che il Boccaccio poteva avere con gli
Epodi, che in ipotesi venivano inclusi nel novero delle Odi 21. In questi elenchi,
dagli Epodi (che il Boccaccio cita sempre come «epodon», indicando «clausula» per il singolo componimento) sono cavate tre distinte citazioni22, tutte a
seguire le allegazioni dai Carmina, consentendo di accertare quanto era già
desumibile stando alla tradizione manoscritta oraziana23 (in cui Odi ed Epodi
vanno di regola associate), ovvero l’inclusione di essi sotto la generica intitolazione del «libro il quale è nominato Ode» della chiosa dantesca.
Più complessa è la questione del testo oraziano utilizzato dal Boccaccio, per
cui occorre in primo luogo rifarsi all’inventario della parva libraria del convento di Santo Spirito, dove alla morte di fra’ Martino da Signa confluì il nucleo
della biblioteca boccacciana, in cui Orazio figura con due codici: segnato II 5,
l’uno, «Flaccus conpletus et copertus corio albo, cuius <principium> est humano capiti etc., finis vero anticipat usus»; VII 12, l’altro, «liber [...] oddarum
Oratii, Mecenas principium, finis decentius etas»24. Il primo venne identificato
già dallo Hecker nel ms. Plut. 34, 5 della Laurenziana di Firenze, giusta la corri-
20
Le denominazioni corrispondono all’uso testimoniato dai riferimenti citazioniali in
ZM: «oda» o «liber odarum» per i Carmina, «sermo» o «sermonun liber» per le Satirae (solo
in un caso «satira» [7b da Serm. I 4, 1 ss.], mentre sistematico è «satira» per la citazioni di
Persio); «poetria» per l’Ars.
21
Cfr. HORTIS, Studj sulle opere latine, cit., p. 403 n. 5; BRANCA, commento ad Amor.
Vis., cit., p. 422; PADOAN, commento a Esposiz., cit., p. 828 n. 134.
22
La numerazione, tuttavia, non pare corrispondere all’ordinamento canonico.
Nell’excerptum 7a (da Epod. V, 63-64), Boccaccio indica «in epodon. clausula vi°»; nel 22b
(da Epod. X, 2), indica «clausula ii°»; nel 23b (da Epod. XIV, 9-10), indica «clau. XV°».
Altre difformità di citazione quanto all’ordine numerico, segnalo per gli excerpta: 17a (da
Serm. I 5, 91-92, indicato «sermone 4°») e 34b (dove la svista parrebbe aver causato uno slittamento di numerazione: da Serm. I 2, 3, indicato come «sermone i°», a Serm. I 3, 3-4, indicato «ii°»). Senza addentrarsi qui in riscontri con la tradizione manoscritta, sembra tuttavia
ragionevole desumere una certa frettolosità da queste citazioni boccacciane.
23
Cfr. C. VILLA, I manoscritti di Orazio, in «Aevum», LXVI, 1992, 1, pp. 95-135;
LXVII, 1993, 1, pp 55-103; LXVIII, 1994, 1, pp. 117-46 (ora in EAD., Censimento dei codici
di Orazio, in Enciclopedia Oraziana, cit., vol. I, pp. 319-29).
24
A. MAZZA, L’inventario della «parva libraria» di S. Spirito e la biblioteca del
Boccaccio, in «Italia medioevale e umanistica», IX, 1966, pp. 1-74: 20 e 54.
112
Boccaccio lettore di Orazio
spondenza dell’explicit annotato (Epist. II 2,159, ma con erronea lettura di
«mancepat usus») con il verso della penultima carta del codice, solitamente
registrata nell’inventario. Si tratta di un codice in minuscola del sec. XII, da
Santo Spirito passato al canonico Antonio Petrei e da questi alla Medicea privata che contiene nell’ordine l’Ars poetica, le Satire e le Epistole 25. Nel manoscritto, che non pare recare segni di annotazione autografa né altre riconoscibili
tracce di lettura, tranne che per la manicula all’inizio di Serm. I 3 (c. 8v)26, è
probabile che Boccaccio, almeno da un certo punto in poi, abbia letto i versi
dell’Orazio satirico e teorico27. L’altra voce oraziana dell’inventario della parva
libraria corrisponde a un non identificato codice dei Carmina (ma l’explicit
segnalato è quello di Epist. II 2, 156, in una silloge quindi chiusa dalle Epistulae), non appartenuto però al Boccaccio in quanto posteriore acquisizione di
Santo Spirito28.
Non essere in possesso di un codice dove il Boccaccio potesse leggere i testi
dell’Orazio lirico è senz’altro il maggiore ostacolo per una verifica diretta circa
la tradizione oraziana a lui effettivamente presente, dal momento che le citazioni testuali che l’opera boccacciana reca da Orazio provengono esclusivamente
dalle Odi, tranne un solo caso, dalle Epistole 29. In tal senso le nostre trascrizioni
assumono una rilevanza ancora maggiore, giacché solo a partire da esse è possibile rintracciare indizi testualmente cogenti. Ora, un confronto delle citazioni
oraziane a nostra disposizione (nelle quali un’istanza di precisione non pare da
revocare in dubbio, senza peraltro poter affatto escludere sviste ed errori di trascrizione, tutt’altro che infrequenti come si sa nel Boccaccio copista) induce a
dubitare fortemente che questi excerpta siano stati tratti dal ms. Laur. Plut. 34,
25
O. HECKER, Boccaccio-Funde, Braunschweig, Westermann, 1902, pp. 29-30; DI
BENEDETTO, VI Centenario, cit., p. 147.
26
Ibid. In effetti, oltre allo stile grafico, anche l’inchiostro di questa manicula risulta
diverso da quello delle glosse, e la segnalazione di locus notabilis non discorderebbe con
l’excerptum da Serm. I 3, 3-4, relativo a Ermogene Tigellio in ZM, 34b.
27
Si conferma, peraltro, da rinvenimenti più recenti, come nella parva libraria «il II
banco costituisce, a differenza di altri, un compatto specimen degli autori più frequentati ed
amati dal Boccaccio», oltre ad essere quello che presenta il più alto numero di codici identificati (giunti ora, appunto con il rinvenimento dello Stazio barberiniano, a cinque): cfr. A.
PUNZI, I libri del Boccaccio e un nuovo codice di Santo Spirito: il Barberiniano Lat. 74, in
«Italia medioevale e umanistica», XXXVII, 1994, pp. 193-203 (il passo da me citato a p.
203). Cfr. anche, in questi atti, EAD., Boccaccio lettore di Stazio, pp. 131-45.
28
MAZZA, L’inventario della «parva libraria», cit., p. 60.
29
Rileva la conformità della lezione contacta di Epist. II 2, 80 con la citazione nelle Genealogie deorum gentilium, XIV 11, DI BENEDETTO, VI Centenario, cit., p. 147. Tuttavia
occorre tener presente che lì il Boccaccio riproduceva la citazione petrarchesca dal De vita
solitaria, cfr. infra, p. 119, pertanto è malcerto il riscontro su un passo che egli poteva citare
da fonte indiretta.
113
Stefano Benedetti
5 (=L), l’Orazio della parva libraria. Segnalo a titolo indicativo (anteriormente
a una verifica sistematica, ancora da svolgersi al vaglio della tradizione oraziana) le seguenti varianti30: [Ars 81]: aptis (10a), aptum (L, c. 1v); [Serm. I 6, 53]:
possim (19a), possem (L, c. 13v); [Serm. I 8, 33]: sevis (23a), sevam (L, c. 15r);
[Serm. II 3, 33]: veri (44b), verum (L, c. 19v).
Anche altri indizi possono risultare dirimenti ad escludere che le trascrizioni
si basino su L. Così in riferimento a Leda (12a : Ars 147), il Boccaccio rinvia
esplicitamente a una glossa sulla fabula della madre di Castore e Polluce (il cui
nome non è effettivamente ricavabile dalla lettura del solo testo), mentre L non
presenta se non una chiosa marginale «Iuppiter. Leda» (c. 11v). Nel riferimento
ai Saturnalia festa (25a : Serm. II 3, 5) l’erronea esplicazione «in septembri
mense probant» discorda con la glossa di L «in mense debembris» (c. 19v). In
un altro caso, infine, il riferimento a un poeta Cidicus (26b : Ars 136), vistoso
errore di lettura da ciclicus, non sembra giustificabile in base all’assetto grafico
di L (c. 2r), difficilmente passibile di fraintendimento31.
Se dunque non fa difficoltà pensare che il Boccaccio trascrittore da Orazio in
ZM potesse avere dinanzi a sé un codice diverso da L (un codice contenente
nell’ordine le Odi, gli Epodi, l’Ars poetica e le Satire), rimane puramente congetturale ogni ipotesi sulla appartenenza o meno di questo altro manoscritto alla
sua biblioteca, potendosi al limite inferire, dinanzi al metodo di puntuale allegazione del luogo estrapolato che questi excerpta documentano, che egli trascri-
30
Tralascio dalla collazione le varianti grafo-fonetiche relative alle denominazioni, particolarmente oscillanti come si sa in Boccaccio, e numerosissime nelle trascrizioni di cui ci
occupiamo.
31
L peraltro reca la glossa interlineare «Antimachus» (che recepisce dai commenti di
Pseudo-Acrone, dove il riferimento a Cyclicus come nome proprio è dato come esplicazione
alternativa, o più probabilmente di Porfirione, in cui l’identificazione è univoca). Un altro
luogo controverso per l’intelligenza boccacciana del testo dell’Ars, che non pare spiegabile se
non per arbitraria interpretazione, è nell’excerptum 30b («Ramnes poeta de quo [...]», da Ars
342). Oltre a non dipendere da L, pare dunque probabile che stilando queste trascrizioni il
Boccaccio non avesse a disposizione il supporto degli scoliasti. Supporto di cui si sarebbe
avvalso, visto che per il già citato luogo 11a egli richiama una glossa, così come per i loci da
Persio trascrive le informazioni che trovava nelle chiose dell’antigrafo (cfr. infra, n. 34). Se
può risultare improbabile che il Boccaccio, leggendo Orazio su codici diversi in momenti
distinti della sua attività, non avesse occasione di consultare i commenti di Porfirione e
Pseudo-Acrone, pure bisogna rilevare che nella biografia oraziana delle Esposizioni egli non
pare aver presenti le vitae che precedono gli scoliasti (cfr. PADOAN, commento a Esposiz., cit.,
p. 828 n. 134), mentre dichiara, riferendosi alla residenza di Orazio, «per quello che comprender si possa nelle sue opere», cfr. infra, p. 122. Le stesse annotazioni di ZM attestano un
interesse per la biografia oraziana legato alla lettura diretta, come nelle due informazioni
estratte in 19a (da Serm. I 6, 53, circa l’amicizia con Mecenate) e 24a (da Serm. II 1, 34-36,
sulla nascita venosina «inter lucanos et apulos»).
114
Boccaccio lettore di Orazio
vesse proprio al fine di conservare memoria di testi di cui non disponeva stabilmente. Si tratta di considerazioni che comunque inducono a sollevare la questione della cronologia di queste trascrizioni, non collocabili se non basandosi
sulla datazione dell’intero ZM, come si sa non univoca, visto che entro la collocazione tradizionalmente accettata 1351-56, non si possono escludere nuclei più
antichi, risalenti agli anni napoletani, che hanno indotto a dilatare i termini del
lavoro di Boccaccio su questo codice nell’arco di un ventennio32. La stessa posizione delle carte nel codice, da questo punto di vista, non offre prove rilevanti,
trattandosi di elenchi irrelati, posizionati marginalmente, e anche in certa misura
autonomi tra loro.
Nessun indizio sicuro di cronologia relativa pare ricavarsi dagli estratti da
Persio (ZM, 8-16b) se messi in rapporto alla trascrizione delle Satirae persiane
nel ms. Laur. Plut. 33, 31 (la Miscellanea Laurenziana =ML), cc. 4r-16v33.
Anche tali citazioni meriterebbero un riscontro sistematico, tuttavia al momento
ci si limita a rilevarne la compatibilità testuale con il manoscritto in cui il
Boccaccio leggeva Persio, il Laur. Plut. 37, 19 (=La) antigrafo di ML, cc. 4r16v34. Le informazioni allegate ai nostri estratti, dove in buona parte sono recepite le chiose del manoscritto, rendono probabile che anche in tal caso il
Boccaccio trascrivesse da quel codice35. La sezione persiana di ML, già colloca-
32
Per le questioni di cronologia di ZM si vedano COSTANTINI, Studi sullo Zibaldone
Magliabechiano. I, cit., p. 22 e n. 1; G. PADOAN, Petrarca, Boccaccio e la scoperta delle
Canarie, in «Italia medioevale e umanistica», VII, 1964, pp. 263-77; DI BENEDETTO, scheda
in VI Centenario, cit., p. 126; SAVINO, scheda in Codici latini del Petrarca, cit., pp. 141-45;
la più recente indagine della POMARO, Memoria della scriitura, cit., pp. 267-72 e 276-79,
tende però a restringere nuovamente alla fase 1350-56 la cronologia del libro, «che parte da
un termine inferiore non accertabile – questo è vero – ma che innegabilmente si presenta
collegato con gli interessi di un Boccaccio già maturo e con testi di percorso veneto» (ivi,
p. 277).
33
Cfr. B. M. DA RIF, La Miscellanea Laurenziana XXXIII 31*, in «Studi sul Boccaccio»,
VII, 1973, pp. 59-124: 97-99.
34
F. RAMORINO, De duobus Persii codicibus qui inter ceteros Laurentianae bibliothecae
servantur, in «Studi italiani di filologia classica», XII, 1904, pp. 229-60; per gli aspetti grafico-testuali della copia boccacciana dal ms. Laur. Plut. 37, 19, cfr. P. RAFTI, Riflessioni sull’usus distinguendi del Boccaccio negli zibaldoni, in Gli Zibaldoni di Boccaccio, cit., pp. 283306: 287-89. Mi pare più probabile che, trascrivendo gli estratti in ZM, Boccaccio leggesse
Persio in questo codice che non in ML, per almeno due indizi: la variante di Sat. V, 64, cleantea, in ML, c. 13r, per erronea lettura è corrotta in deantea, mentre è evidentemente corretta
(dato che proprio al filosofo si riferisce l’excerptum) in ZM, 15b; inoltre, gli excerpta 14b e
15b (da Sat. V) recepiscono la glossa di La, mentre la copia di ML proprio all’altezza della
quinta satira sospende la trascrizione dell’apparato di glossa interlineare e marginale.
35
Così in 8b (da Sat. I, 4, su Labeone): «Et Fulgentius in libro mitologiarum dicit quod
iste tangens disciplinas etruscas et Bachides xii libros scripsit. Alii autem dicunt istum fuisse
115
Stefano Benedetti
ta secondo la cronologia complessiva del manoscritto alla prima metà degli anni
Quaranta, viene ora più puntualmente datata al biennio 1339-4036. Tuttavia non
c’è nulla negli estratti da Persio di ZM che possa certificarne la contiguità alla
copia delle Satirae in ML, mentre si può invece supporre che essi siano frutto di
una lettura autonoma, evidentemente mirata alla esclusiva selezione dei riferimenti a poeti e filosofi presenti nel testo di Persio, in linea con l’interesse specifico che poteva muovere il Boccaccio scrutinatore di figure poetiche e culturali
presenti nelle poesie oraziane. La possibilità di collocare cronologicamente gli
estratti di ZM rimane pertanto difficoltosa, al limite affidata a un expertise
paleografico capace di ricostruire tempi ed evoluzione della scrittura corsiva del
Boccaccio.
La questione cronologica, d’altra parte, pertiene all’aspetto certo più problematico dei rapporti di Boccaccio con la fonte oraziana. Se infatti è inopinabile
la conoscenza diretta e l’incondizionata ammirazione tributata al Venosino da
parte del Boccaccio maturo, meno documentabile è lo stratificarsi diacronico
della presenza oraziana nella sua opera. Il nome stesso di Orazio, che diverrà
segnale pressoché costante nelle rassegne di auctores del Boccaccio, è ancora
assente dall’orizzonte spiccatamente ovidiano degli anni napoletani, escluso tra
i classici evocati nell’epilogo del Filocolo (se ispirato al canone di De vulg.
eloq. II vi 7)37, e dall’elenco di autori su cui si è formato l’ignoto destinatario
dell’epistola Sacre famis (dove si ripropone l’assenza di Orazio dalla medesima
quaterna dei poetae regulati Virgilio, Ovidio, Lucano, Stazio)38.
poeta latinum et transtulisse Homerum de greco in latino» (cfr. glossa in La, c. 2v); in 12b
(da Sat. I, 123-24, su Cratino, Eupoli e Aristofane): «poete satiri primi et antecellentes omnes
alios [...]»; e, in riferimento a pregrandi cum sene (perifrasi per Aristofane in Sat. I, 124),
l’annotazione di ZM precisa «scilicet cum Aristofanes» (cfr. glossa in La, c. 5v); in 13b (da
Sat. III, 99, su Archesilao): «Archesilaus philosophus Sciti filius pitaneus cireanicus» (cfr.
glossa in La, c. 10r); in 14b (da Sat. V, 9, su Glicone): «Glicon poeta tragicus» (ma la glossa
in La, c. 12r indica soltanto «Glicon tragicus», sicché del Boccaccio è il fraintendimento che
lo indica poeta anziché attore); in 15b (da Sat. V, 64, su Cleante): «Cleantes philosophus
magister Cornuti magistri Persii» (cfr. glossa in La, c. 13v).
36
S. ZAMPONI, M. PANTAROTTO, A. TOMIELLO, Stratigrafia dello Zibaldone e della
Miscellanea Laurenziana, in Gli Zibaldoni di Boccaccio, cit., pp. 181-258: 239 n. 184.
37
Ma cfr. M. PASTORE STOCCHI, Il primo Omero del Boccaccio, in «Studi sul Boccaccio»,
V, 1969, p. 105, per la derivazione dalla «bella scola» di Inf. IV, 88-90, con eliminazione di
Orazio per l’inopportuna presenza del «satiro» accanto agli elevati poeti di armi e amori. Sulla
stessa linea, sottolineando la presenza di Stazio «reintegrato fra i grandi poeti narratori al posto
di Orazio satiro», F. FIDO, Dante personaggio mancato nel Decameron, in Boccaccio: secoli di
vita, Atti del Congresso internazionale Boccaccio 1975, Los Angeles, 17-19 ottobre 1975, a
cura di M. Cottino-Jones e E. F. Tuttle, Ravenna, Longo, 1977, pp. 177-89: 177.
38
In G. BOCCACCIO, Epistole e lettere, a cura di G. Auzzas e con un contributo di A.
Campana, in Tutte le opere, cit., vol. V, t. I, 1992, IV 12.
116
Boccaccio lettore di Orazio
Il rapporto diretto del giovane Boccaccio con l’opera di Orazio parrebbe da
circoscrivere per lo più all’Ars poetica, alla cui esegesi sicuramente lo introduceva il magistero di Paolo da Perugia, fra l’altro commentatore di Persio39 e
mediatore di quelle Glose super Poetria de Horatio, tràdite da un codice della
Nazionale di Napoli, il ms. V F 2140, recante in realtà il commento all’Ars più
vulgato fra sec. XII e XV, il cosiddetto «Materia»41. Silloge, questa composta
dal Perugino, verosimilmente nota al Boccaccio, data anche la presenza in essa
della expositio di Giovanni del Virgilio alle Metamorfosi ovidiane42 e di un
rimaneggiamento dell’Eneide43. Non è un caso che del libro «nel quale egli
[Orazio] ammaestra coloro, li quali a poesia vogliono attendere, di quello che
operando seguir debbono e di quello da che si debbono guardare volendo laudevolmente comporre» (così nelle Esposizioni sopra la Comedia, IV 1, 115),
appunto dell’Ars poetica, il Boccaccio indicasse proprio il disporsi sulle direttrici di prescrizione e proibizione, tipiche dell’esegesi mediolatina della Poetria 44.
E certo non mancano in tutta l’opera boccacciana richiami a luoghi per lo
più topici, come il riferimento ad Anfione di Ars 394-96, pure estrapolato nelle
trascrizioni di ZM (15a) e riecheggiato, tra l’altro, nelle Rime, V 3-4 e VIII 3-4;
nel Teseida, IV 13, 3-7 e chiosa; nella Comedia delle ninfe fiorentine, XXXII 4;
nella Amorosa Visione, VII 43-45; nella Elegia di madonna Fiammetta, VIII 9,
6. Oppure, l’invocazione musaica di Omero in Ars 140-42, «li versi del quale
ottimamente traslatò in latino Orazio», come il commentatore di Dante riprende
nelle Esposizioni sopra la Comedia, II 1, 13 (forse per la suggestione dantesca
di Vita nuova XXV, 9; come, sempre in tema di invocazione alle muse, la
mediazione di Dante pare motivare l’appello in Teseida, XII 52, 1-2, mutuato da
39
Sul commento del Perugino a Persio cfr. F. GHISALBERTI, Paolo da Perugia commentatore di Persio, in «Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere», s. II, LXII,
1929, pp. 535-98, dal cui spoglio di citazioni si evidenzia il costante ricorso del commentatore alla fonte oraziana (in particolare pp. 566-68).
40
Cfr. F. TORRACA, Giovanni Boccaccio a Napoli, in «Archivio Storico per le Province
Napoletane», XXXIX, 1914, pp. 264-67, che della glossa inferiva però erroneamente la paternità dell’editore.
41
C. VILLA, Per una tipologia del commento mediolatino: l’Ars poetica di Orazio, in Il
commento ai testi, atti del Seminario di Ascona, 2-9 ottobre 1989, a cura di O. Besomi e C.
Caruso, Basel-Boston-Berlin, Birkhauser, 1992, pp. 19-42: 29; EAD., La tradizione medioevale di Orazio, in Atti del Convegno di Venosa, 8-15 novembre 1992, Venosa, Osanna, 1993,
pp. 193-202.
42
G. PADOAN, Il Boccaccio, le Muse, il Parnaso e l’Arno, Firenze, Olschki, 1978, p. 162.
43
Cfr. F. BRUNI, Boccaccio. L’invenzione della letteratura mezzana, Bologna, Il Mulino,
1990, pp. 100-106, che sottolinea il nesso fra la glossa oraziana, che lì distingueva fra ordo
naturalis e artificialis della narrazione poetica, e la riscrittura compendiosa dell’Eneide a partire dal sogno di Enea, episodio ripreso dal Boccaccio nel Filocolo.
44
VILLA, Per una tipologia, cit., pp. 32 sgg.
117
Stefano Benedetti
Inf. XXXII, 10-11). Si veda infine, ancora evocando Omero, la citazione esplicita di Ars 359 in Geneal. XV 4, 32.
Su un altro piano è altresì notevole l’ascendenza delle categorie – peraltro
affatto usuali nelle retoriche dei secoli XII-XIII – dell’Orazio teorico presso
l’autore del Decameron, evidentemente del binomio prodesse e delectare quale
traspare in alcuni snodi riflessivi dei novellatori (Decam. II 3, 5; II Concl., 9; VI
4, 3; X 9, 4, qui con scarto dalla funzione didascalico-morale rimarcato da
Dioneo «per ciò che altro è il nostro fine»45), e soprattutto nel Proemio, dove
informa uno dei passaggi chiave («parimente diletto delle sollazzevoli cose in
quelle [novelle] mostrate e utile consiglio», Decam., Proemio 14)46, non senza
aver dato modo di sottolineare variamente la rilevanza dell’Ars nella poetica
complessiva del Decameron47. Il paradigma oraziano del «delectando pariterque
monendo», consueto alla topica boccacciana dell’esordio48, si ripropone come
invariante della fabula anche nell’accezione allegorica (in Geneal., XIV 9, le
«fabule [...] et sic una et eadem lectione proficiunt et delectant»; effetto che in
Geneal., XV 1, è attribuito all’opera stessa del mitografo, il quale «facit fabulas
cum delectatione fructuosas») e, in quanto principio di contiguità tra fondamento di verità morale e artificiatum della forma dilettevole, attraversa in genere
tutta la riflessione poetologica del Boccaccio, dal Trattatello in laude di Dante
in avanti49.
Non secondaria, in ogni caso, per la ricezione boccacciana dei postulati retorico-stilistici dell’Ars poetica, sarà da considerare l’incidenza dei testi mediatori50,
45
Cfr. HOLLANDER, «Utilità» in Boccaccio’s Decameron, cit., pp. 223-28.
Dove opportunamente è stata rilevata la resa diretta del pariter di Ars poet. 344, da
P. M. FORNI, Realtà/Verità, in «Studi sul Boccaccio», XXII, 1994, pp. 235-56: 237 (poi in
Lessico critico decameroniano, a cura di R. Bragantini e P. M. Forni, Torino, UTET, 1995).
47
Cfr., oltre agli studi di HOLLANDER già citati, supra, alla n. 3, M. PICONE, Gioco e/o letteratura. Per una lettura ludica del Decameron, in Passare il tempo. La letteratura del gioco e
dell’intrattenimento dal XII al XVI secolo, atti del Convegno di Pienza, 10-14 settembre 1991, 2
voll., Roma, Salerno, 1993, vol. I, pp. 105-106 e 120; FORNI, Realtà/Verità, cit., pp. 236 sgg.
48
Ritorna infatti nella Amorosa Visione, sonetto 3, 13-14; nel Proemio al volgarizzamento liviano, 9-10, cfr. M. T. CASELLA, Nuovi appunti intorno al Boccaccio traduttore di Livio,
in «Italia medioevale e umanistica», IV, 1961, pp. 77-129: 102-103 (poi in E AD ., Tra
Boccaccio e Petrarca. I volgarizzamenti di Tito Livio e di Valerio Massimo, Padova, Antenore, 1982); nel De mulieribus claris, Proemio 7. Cfr. anche V. KIRKHAM, Morale, in Lessico
critico decameroniano, cit., pp. 254 sgg.
49
Cfr. A. CERBO, Retorica e ideologia nel Boccaccio latino, Napoli, Ferraro, 1984, pp.
94-96. Ribadisce la persistenza del paradigma oraziano di prodesse/delectare lungo tutto l’operato poetico del Boccaccio L. BATTAGLIA RICCI, Giovanni Boccaccio, in Storia della letteratura italiana. II. Il Trecento, Roma, Salerno, 1995, p. 748.
50
Cfr. V. BRANCA, Registri strutturali e stilistici nel Decameron, in ID., Boccaccio medievale e nuovi studi sul Decameron, Firenze, Sansoni, 19928, pp. 86 sgg.
46
118
Boccaccio lettore di Orazio
tra gli altri della Epistola a Cangrande, probabilmente nota al Boccaccio priva
della parte nuncupativa e perciò usufruita come anonima nell’Accessus al commento dantesco51, ripresa anche là dove l’epistola allegava l’autorità oraziana:
sicuramente per il remisse et humiliter dello «stilo comico» (da Ep. a Cangr., 30
a Esposiz., Accessus 19) così centrale nella retorica boccacciana, dalla «bassezza» intesa come «mezzana via» di Filoc. V 97, 6, sino alla piena enunciazione
di poetica dello «istilo umilissimo e rimesso» della introduzione alla IV giornata del Decameron 52. Tuttavia, in almeno un caso, con una variante significativa
del Boccaccio, il quale, ricapitolando i generi passati in rassegna dall’epistola
(dopo tragedia e commedia, «sunt et alia genera narrationum poeticarum, scilicet carmen bucolicum, elegia, satira, et sententia votiva, ut etiam per Oratium
patere potest in sua Poetria»53), sostituiva il lirico alla sententia votiva, il solo
genere corrispondente in effetti al testo dell’Ars 54 («[...] è da sapere che le poetiche narrazioni sono di più e varie maniere, sì come è tragedìa, satira e comedìa,
buccolica, elegìa, lirica ed altre»55). Seppure dovesse trattarsi di un’inserzione
scontata, in linea con i codici retorico-stilistici diffusi, certo ad essa non doveva
essere estranea, per la nozione dei generi poetici maturata dal Certaldese, proprio l’esemplarità dell’Orazio lirico.
Può importare, in tal senso, che la prima menzione di Orazio nell’opera del
Boccaccio56 si dia sotto l’insegna del Petrarca, per il cui transito dagli studi giu-
51
Cfr. PADOAN, commento a Esposiz., pp. 767-68, nn. 11 e 17; ma cfr. anche L. JENAROMACLENNAN, The Trecento Commentaries on the Divina Commedia and the Epistle to
Cangrande, Oxford, Clarendon Press, 1974, pp. 108-23 e C. PAOLAZZI, Le letture dantesche
di Benvenuto da Imola, in «Italia Medioevale e Umanistica», XXII, 1979, pp. 319-66: 325
(poi in ID., Dante e la Comedia nel Trecento, Milano, Vita e Pensiero, 1989, pp. 223-76).
52
Si vedano, tra gli altri, R. H OLLANDER , Boccaccio’s Dante: Imitative distance
(Decameron I 1 and IV 10), in «Studi sul Boccaccio», XIII, 1981-82, pp. 169-98: 172-73 e n.
13; ID., Decameron: the sun rises in Dante, in «Studi sul Boccaccio», XIV, 1983-84, pp. 24155: 246-47; quindi l’analisi di R. FEDI, Il “regno di Filostrato”. Natura e struttura della
Giornata IV del Decameron, in «Modern Language Notes», 102, 1987, n. 1, pp. 39-54: 46-47.
Può essere tuttavia interessante evidenziare come la diretta referenza all’elogio della mediocritas si avvalga in apertura dell’immagine di torri e cime degli alberi percosse dal vento dell’invidia, tòpos frequente nel Boccaccio, ch pure si può far risalire a Carm. II 10, 9-11.
53
D. ALIGHIERI, Epistola a Cangrande, a cura di E. Cecchini, Firenze, Giunti, 1996, par.
32, p. 12.
54
BRUGNOLI, MERCURI, Orazio Flacco, Quinto, cit., pp. 174-75.
55
BOCCACCIO, Esposiz., Accessus 17.
56
Secondo la datazione della biografia petrarchesca, a ridosso della laurea romana, agli
anni 1341-42 (cfr. G. BILLANOVICH, Petrarca letterato. I, Lo scrittoio di Petrarca, Roma,
Storia e Letteratura, 19952, pp. 74-78; datazione ora ribadita da FEO, Codici latini del
Petrarca, cit., p. 346); ma per l’abbassamento al 1348-50 (secondo la tesi già del Massèra)
cfr. l’edizione a cura di R. Fabbri, G. BOCCACCIO, Vite di Petrarca, Pier Damiani e Livio, in
Tutte le opere, cit., vol. V, to. I, 1992, pp. 881-85.
119
Stefano Benedetti
ridici alla vocazione letteraria tracciato nel De vita et moribus Domini Francisci
Petracchi si delinea un canone che dopo Omero, Terenzio e Virgilio, e prima di
Ovidio, Lucano, Stazio e Giovenale pone Orazio: «quid Flaccus lirica suavitate
ac acerbitate satyrica decantarit» (De vita et moribus, 6). Luogo in cui il
Boccaccio teneva dinanzi la Collatio laureationis, sia per la presenza di Orazio
nell’aureo canone dei vates egregii dell’età augustea («Virgilius, Varus, Ovidius, Flaccus», Collatio, 4, 1), sia per il non minore rilievo conferito all’Orazio
lirico, di cui l’orazione petrarchesca esibiva esclusivamente citazioni dai Carmina, per di più alternandole ad allegazioni dal Satyricus, che era però, come sempre in Petrarca, Giovenale.
Ma è poi l’esempio dantesco ad imporre il nome di Orazio negli anni anteriori alla diretta influenza petrarchesca, come mostra il trionfo in Amorosa
Visione V 17, strettamente modellato su Inf. IV, 88: «Omero e Orazio quivi,
dopo di lui» (preceduti cioè da Virgilio «più ch’altro esaltato», in Dante escluso
in qualità di agens, e seguiti da Lucano e Ovidio). Equiparazione nella quale il
Boccaccio riproduceva l’innovazione dantesca entro la quaterna dei regulati 57,
certo indotto dal pressante contesto metrico e visionistico, mentre peraltro operava un’appropriazione del canone dantesco con l’estenderlo poi fino al suo più
prossimo patrimonio culturale. La presenza di Orazio risulterà d’ora innanzi
obbligata, quando non topica, nella trafila dei poeti onorati in patria (così nel
Trattatello in laude di Dante, I red., 97), o destinati a fama imperitura (Esposiz.
XV 94), oppure nell’altro stereotipo di poeti e mecenati dell’età antica (come
nella dedica della Comedia delle ninfe fiorentine a Niccolò di Bartolo del
Buono, Comedia ninfe, L 4; o ancora nella più ampia rassegna di poeti e prestantissimi viri, coronata dal binomio Orazio-Mecenate, della tarda epistola al
Pizzinga, Epist. XIX 15-16).
È d’altra parte nel riferimento al tirocinio dantesco sui classici che il nome di
Orazio si cristallizza nel più ristretto canone dei latini, quel canone atto a schiudere a Dante la
[...] piena notizia delle finzioni poetiche e dello artificioso dimostramento di quelle. Nel
quale esercizio familiarissimo divenne di Virgilio, d’Orazio, d’Ovidio, di Stazio e di ciascuno
altro poeta famoso: non solamente avendo caro il conoscergli, ma ancora, altamente cantando, s’ingegnò d’imitarli [...] 58.
A questo snodo dei primi anni Cinquanta, pertanto, quando il Boccaccio
viene assimilando il paradigma imitativo petrarchesco da lui proiettato sull’ap-
57
Cfr. R. MERCURI, Il canone della Commedia, in ID., Genesi della tradizione letteraria
italiana, cit., pp. 273-78; C. VILLA, Dante lettore di Orazio, cit., pp. 94-95.
58
BOCCACCIO, Trattatello in laude di Dante, a cura di P. G. Ricci, in Tutte le opere, cit.,
vol. III, 1974, I red., 22.
120
Boccaccio lettore di Orazio
prendistato poetico di Dante59, si può forse riportare anche l’avvenuto passaggio
del Boccaccio da una conoscenza ancora generica alla più attiva frequentazione
della poesia di Orazio, di cui nelle opere anteriori al 1348 sono documentate
tracce sporadiche ed esili.
Qualche eco si può rintracciare nella Amorosa visione 60: da Carm. I 15, 1-2
per la figura di Paride, in Amor. Vis. VII, 62-66 e per i «freti» solcati dalla nave
di Elena, in Amor. Vis. XXVII, 42; da Carm. III 16, 1 per Danae, in Amor. Vis.
XVI, 70-74; mentre parrebbe da escludere Carm. I 28 come fonte per il pitagorico Archita collocato fra i poeti in Amor. Vis. V, 41, se in ZM, 17b, Boccaccio
lo qualifica come philosophus61. Appena un riferimento nella Elegia di madonna Fiammetta per il motivo della fabula vulgi (da Epod. XI 7-8, usufruito insieme ad Ovidio, Amorum VII 1, 21 in Elegia V 25, 9; luogo del resto topico per
ascendenza petrarchesca, si vedano anche Rime LXXXIII, 12-14 e Corbaccio,
112). Mentre ancora nel solco della tradizione dei florilegi si situa un’annotazione come quella a c. 46r di ML, il distico «Oderunt peccare mali, formidine pene
/ Oderunt peccare boni, virtutis amore», che è riduzione proverbiale di Epist. I
16, 5362.
È quindi agli anni del magistero petrarchesco che pare opportuno riferirsi per
circoscrivere con maggiore attendibilità la zona in cui il Boccaccio compulsa
più attentamente i versi oraziani, e a questa fase potremmo ragionevolmente
attribuire la compilazione delle liste di notabilia oraziani in ZM, in particolare
della prima serie di estratti. Invano cercheremmo in questo scarno regesto di lettura il documento di un gusto instrinsecamente poetico o stilistico, e del tutto
isolata sta l’unica traccia di un apprezzamento personale (l’attributo «magnifica» riferito alla quarta ode del libro IV)63. Non c’è dubbio infatti che in quella
sequenza di excerpta il Boccaccio assecondi un’istanza tipica della sua tecnica
59
Cfr. CERBO, Retorica e ideologia nel Boccaccio latino, cit., pp. 89-90.
Per questi riscontri mi rifaccio a BRANCA, commento ad Amor. Vis., cit., ad loc.
61
Analogamente, nella sezione De doctoribus seu inventoribus, philosophis, poetis tratta
da Paolino Veneto, in ZM, c. 227r, Archita è indicato come «philosophus optimus quem
docentem audivit Plato» (per la sezione paoliniana di ZM cfr. A. M. COSTANTINI, Studi sullo
Zibaldone Magliabechiano. III, La polemica con Paolino Veneto, in «Studi sul Boccaccio»,
X, 1977, pp. 255-75).
62
Cfr. B.M. DA RIF, La Miscellanea Laurenziana, cit., p. 118; A. MONTEVERDI, Orazio
nel Medioevo, in «Studi Medievali», n.s., IX, 1936, pp. 162-80: 168. Nella medesima ML una
citazione oraziana (ancora su Danae, da Carm. III 16, 8) si rinviene nelle glosse del
Boccaccio alle Dirae-Lydia (cfr. M. L. LORD, Boccaccio’s Virgiliana in the Miscellanea latina, in «Italia medioevale e umanistica», XXXIV, 1991, pp. 127-97: 192 e nn. 157-58).
63
ZM, 1a: «Nerones seu drusi nobiles romani de quibus magnifica Oratius oda 4° l.
iiii°».
60
121
Stefano Benedetti
di acquisizione erudita, la medesima per la quale tessere oraziane rifluiranno nel
mosaico enciclopedico-mitologico delle Genealogie; lì ben più sensibilmente
che nel dizionario geografico De montibus, silvis, fontibus [...] 64 o nell’archivio
storico-moraleggiante del De mulieribus claris e del De casibus virorum illustrium65; ma in ogni caso secondo una modalità che permarrà costante nella
referenza ad Orazio, segnatamente il lirico, come ancora nelle Esposizioni sopra
la Comedia testimonia la citazione diretta di Carm. III 17, 7-8, in riferimento
alla ninfa Marica madre di Latino66.
Si tratta di un’attitudine di lettura che d’altra parte sarebbe riduttivo esaurire
in un’operazione di spoglio meramente strumentale e aliena da passione conoscitiva, mentre semmai essa testimonia di un’autentica fede nella poesia per la
quale – avvalendoci di parole autorevolmente spese riguardo all’erudizione poetica di quel grandissimo cultore di Orazio che fu il Petrarca – il Boccaccio
[...] annota la presenza di utili informazioni di antiquaria, fiducioso che siano ‘vere’, cioè
storicamente affidabili, perché sa che i poeti, accanto a poche grandi verità nascoste, testimoniano anche una quantità infinita di piccole verità concrete e palesi67.
Nel contempo, non sarebbe attendibile schiacciare la lettura oraziana del
Boccaccio tutta nei termini di una pur stimolante ricerca erudita quale ci documenta il primo gruppo di excerpta in ZM. Non pare dubbio, infatti, che paralle-
64
Segnala un caso eclatante di risonanza oraziana, sulla fonte di Bandusia da Carm. III
13, 1, M. PASTORE STOCCHI, Tradizione medievale e gusto umanistico nel De montibus del
Boccaccio, Firenze, Olschki, 1963, p. 78 e n. 55; che di nuovo sottolinea, nella Introduzione
all’edizione del De montibus, in BOCCACCIO, Tutte le opere, cit., vol. VII-VIII, to. II, 1998, p.
1821, il carattere autoschediastico della allusione, che «non accresce di molto le conoscenze
di chi leggendo i Carmina si imbatta nell’oraziana fonte splendidior vitro». Sulla scorta del
commento si possono indicare anche altri luoghi oraziani probabilmente presenti al
Boccaccio, quasi tutti dalle Odi: cfr. sui montes Aulon (I, 79) da Carm. II 6, 18-19; sul
Lucretilis (I, 323) da Carm. I 17, 1; sul Matinus (I, 337) da Carm. I 28, 3; sul Petrinus (I,
442) da Epist. I 5, 5; sul Vultur (I, 571) da Carm. III 4, 9-10. In due casi Pastore Stocchi rileva fraintendimento (sui fiumi Iectus, V, 474 da Serm. II 2, 31-32; e Niphates, V, 629, da
Carm. II 9, 20-21). Unici riferimenti possibili ai luoghi trascritti in ZM, trovo circa il mare
Tuscum (VII, 113), cfr. Serm. I 6, 1-2 [18a], e la selva Dauna, cfr. Carm. IV 14, 26 [6a]; ma
va osservato in entrambi i casi come il richiamo non sia affatto cogente sì da porre questi
excerpta all’origine delle schede geografiche boccacciane.
65
Sulla base del commento di V. ZACCARIA, P. G. RICCI al De casibus virorum illustrium,
in Tutte le opere, cit., vol. IX, 1983, si possono segnalare la ripresa letterale della sentenza
«tractant fabrilia fabri» in De cas. I 11, 9 da Epist. II 1, 116, e del già richiamato Carm. II 10,
9-12 in De cas. III 17, 8.
66
BOCCACCIO, Esposiz. IV 1, 215.
67
FEO, Petrarca, Francesco, cit., p. 40.
122
Boccaccio lettore di Orazio
lamente egli andasse praticando una più diffusa delibazione del testo oraziano,
quale trapela dalla cospicua assimilazione di stilemi, quando non di motivi, nel
dettato latino delle egloghe del Buccolicum carmen. Ben più corposo – rispetto
alle opere precedenti – si fa a questa altezza e in tale contesto il referto degli
echi oraziani, ad esempio, nelle variazioni da Carm. IV 7, 1 in Bucc. II, 145 e
III, 5 (e dallo stesso Carm. IV 7, 3 in Bucc. XIV, 33) e da Carm. I 1, 2 in Bucc.
II, 75 e XIV, 40. Oppure, con gusto sintetico, da Carm. I 7, 23 in Bucc. VI, 61;
da Carm. saec. 1-2 in Bucc. VI, 96; da Carm. III 13, 1 in Bucc. VII, 95; da
Epist. I 2, 63 in Bucc. III, 121. Mentre allusioni a motivi si rilevano nel makarismóv rivolto a Damone in Bucc. I, 8 da Epod. II 1 e ss.; nel tòpos della memyimoiría da Sat. I 1, 1 e ss. in Bucc. XII, 172; nel non sum que fueram di Bucc.
XIV, 141 da Carm. IV 1, 368.
Questa predominante referenza all’Orazio lirico non può che confermarsi,
atteso l’utilizzo a carattere repertoriale per l’edificio mitografico, nelle citazioni
oraziane esplicite presenti nelle Genealogie deorum gentilium 69: su Mercurio
(Geneal. II 7, 2 cita Carm. I 10, 1-4); Lucina (Geneal. IV 16, 14, cita Carm.
saec. 15); Encelado e Tifeo (Geneal. IV 25, 3, cita Carm. III 4, 53-56; di nuovo
allegato per l’altro titano Porfirione, Geneal. IV 65, 2); Apollo (Geneal. V 3, 12,
cita Carm. saec. 33-34); Marica (Geneal. VIII 17, 3, cita Carm. III 17, 7-8; poi,
come già detto, anche in Esposiz. IV 1, 215); Orione (Geneal. XI 19, 5, da
Carm. III 4, 69-72); Sisifo (Geneal. XIII 56, 1, cita Carm. II 14, 20); Prometeo
(Geneal. IV 44, 1, cita Carm. I 16, 13-16 e poco oltre Carm. I 3, 27-31), in un
passaggio di particolare interesse per il mito di Prometeo, già evocato dal
Boccaccio in apertura all’epistola a Zanobi da Strada del 1348, e qui sottoposto
a intensa risemantizzazione70.
68
Per questa messe cospicua di riscontri cfr. il commento di G. BERNARDI PERINI, in Tutte
le opere, cit., vol. V, to. II, 1994, ad loc.; G. VELLI, Petrarca e Boccaccio. Tradizione, memoria, invenzione, Padova, Antenore, 1979, p. 110 n. 30; G. RESTA, Il codice bucolico boccacciano, in I classici nel Medioevo e nell’Umanesimo, Genova, 1975, pp. 59-90: 72 n. 20. Per
l’epressione nemo secundus tibi della prima redazione di Bucc. I, 93-94, è da vedere il rilievo
di M. MARTELLI, Nemo tibi secundus. Nota a Buccolicum Carmen I 93-94, in «Studi sul
Boccaccio», XIX, 1990, pp. 369-72 circa la derivazione da Carm. I 12, 17-21; cfr. G. VELLI,
A proposito di una recente edizione del Buccolicum Carmen del Boccaccio, in «Modern
Language Notes», 105, 1990, n. 1, pp. 33-49: 41, per Bucc. XI, 3-4 da Carm. II 7, 18-19, ma
con mediazione da Petrarca.
69
Leggo il testo nella recente edizione curata da V. Zaccaria in Tutte le opere, cit., vol.
VII-VIII, 1998.
70
Cfr C. MUSCETTA, Boccaccio, in Letteratura Italiana Laterza, Bari, Laterza, 1972, pp.
325 e 328, e, anche per altre suggestioni oraziane, L. M ARINO , Prometheus, or the
Mythographer’s Self-Image in Boccaccio’s Genealogie, in «Studi sul Boccaccio», XII, 1980,
pp. 263-73.
123
Stefano Benedetti
Se, come si è visto, la prima delle sequenze oraziane di ZM ben riflette tale
istanza citazionale (senza peraltro esservi direttamente correlata, dal momento
che nessuno dei luoghi in essa riportati trova riscontro nelle schede mitografiche)71, lo spoglio successivo documenta un interesse solo in parte consentaneo
al precedente. La schedatura anche qui si presenta come frutto di un’annotazione di lettura privata e non immediatamente finalizzata, tuttavia in tal caso vi
sono esclusivamente selezionati nomi di poeti e dotti dell’antichità, sicché il
catalogo si inscrive nettamente all’interno della passione boccacciana per la storia della poesia e la ricerca dei suoi fondamenti antichi. Già nella prima lista, a
ben vedere, due excerpta dall’Ars poetica denunciano questo interesse, estrapolandovi il Boccaccio notazioni circa l’origine greca della poesia e il senso morale del mito di Orfeo e Anfione72. La serie successiva, mentre persegue pure uno
scopo di carattere erudito e informativo, è tuttavia integralmente orientata a
scandagliare un panorama di interesse letterario e culturale73, testimoniando
oltretutto di un’attenzione ai generi poetici74, nonché di un riguardo per gli auto-
71
A ben vedere, dal momento che le citazioni provengono tutte dai soli primi tre libri
delle Odi, non si può escludere che i luoghi allegati nelle Genealogie fossero dal Boccaccio
stati schedati proprio nella serie caduta di ZM a, di cui, come si è mostrato, conosciamo solo
il relitto di uno spoglio più ampio, la serie di excerpta a partire da Carm. IV, 4. È pur vero
che pochi dei luoghi estrapolati dal Boccaccio trovano poi qualche riscontro diretto in altri
suoi testi, confermando il carattere sostanzialmente privato e non funzionale di queste trascrizioni, legate appunto ad una attività di lettura e di esegesi non concepita, o almeno non necessariamente, in vista di un riuso.
72
ZM, 14a: «Poesis a grecis habuit originem Oratius in poetria ultra versus 280»; 15a:
«Moralitas fabule Orfei Amfionis [...] Oratius in poetria “Silvestre homines sacer interpresque deorum” etc. per x versus».
73
Non sempre le qualificazioni fornite dal Boccaccio appaiono pertinenti. Tra i pochi
nomi di filosofi, è interessante segnalare come, in riferimento a Stertinio, Damasippo e
Aristippo di Serm. II 3, ciascuno di essi è schedato come «philosophus stoicus» (ZM, 4446b), indicazione corretta solo per il primo (e al limite per Damasippo che se ne fa seguace).
Pure il Corvino di Carm. III 21, 7-8 (ZM, 20b), è indebitamente indicato come «poeta» (si
tratta di Messalla Corvino oratore), ma il fatto che poi Boccaccio lo qualifichi come «magnus
potator», fa credere che egli si basi solo sul testo oraziano (dove appunto di Corvino si dice
che ordina di «promere languidiora vina»). Più problematico da spiegare è il riferimento di
ZM, 40b a «Varro atracinus tragedus» (da Serm. I 10, 46, ove Orazio si riferisce al Varrone
Atacino che invano ha tentato il genere della satira); né sembra probabile che Boccaccio faccia confusione con il Varius, epico e presunto autore di un Thiestes, nominato poco sopra (da
Serm. I 10, 43), e schedato al 39b. Del resto, in merito a Varrone Atacino, anche in altri casi il
Boccaccio manifesta confusione, altrove scambiandolo con il Reatino (cfr. ZACCARIA, commento a Geneal., cit., p. 1625 n. 99).
74
Boccaccio fa riferimento ai generi: satirico (per Lucilio [11b]; Cratino, Eupoli e
Aristofane [12b]; ma in tutti i casi sulla scorta delle glosse al Persio), giambico (per
Archiloco «poeta primus iambici versus repertor» [25b]; Accio ed Ennio «poete iambico
124
Boccaccio lettore di Orazio
ri greci, in linea con quel culto per la notitia graecitatis così sensibile nel Boccaccio maturo75.
A questa meticolosa esplorazione storico-poetica, della quale alla lettura del
Boccaccio il corpus oraziano pare farsi collettore emblematico e privilegiato,
ben si riconnette l’esemplarità che il nome e la figura di Orazio assumono poi
nelle numerose menzioni all’interno XIV libro delle Genealogie, dove anche un
caso di citazione testuale viene ad assumere un valore ben più rilevato della funzione di supporto erudito che motiva le altre dirette riprese oraziane nel corso
dell’intera opera. Tale risulta l’ampia lettura tratta dall’Epist. II 2 (con citazione
dei vv. 65-66, 76, 79-80 e 84-86) in Geneal. XIV 11, 5, in tema di lontananza
del poeta dalla vita urbana, indubbio calco dalla pagina petrarchesca del De vita
solitaria II 12, di cui sono riprodotti persino i medesimi tagli citazionali, e dove
si può vedere un esempio concreto del peso determinante avuto dalla mediazione petrarchesca nell’assimilazione del modello oraziano da parte del Boccaccio.
Le frequenti nominazioni di Orazio nelle sequenze spesso variate di auctores
che è dato incontrare nel XIV libro delle Genealogie, d’altra parte, ben illuminano i termini di una esemplarità mai unilaterale o rigida, quale la posizione
canonica di Orazio dovette sempre conservare nella matura considerazione boccacciana. Una linea è quella per cui Orazio viene posto alla guida della triade
dei satirici. Così in Geneal. XIV 15, 12, sono nominati Orazio, Persio e
Giovenale «quorum satyricum carmen tanto virtutis impetu in vicia viciososque
invehitur, ut eos exterminare videatur». Ancora in Geneal., XIV 19, 14, confutando la cacciata platonica dei poeti: «Possem de Horatio Flacco, de Persio vulterrano, de Iuvenale aquinate multa dicere, per que pateret liquido mentis
Platonis non fuisse tales urbe pellendos» (argomento riportato poi in Esposiz. I
1, 90). Quindi, con enfasi sulla tipicità stilistica, in Esposiz. IV 1, 131, dove in
versu usi sunt» [27b]), lirico (per Pindaro [21b]), funerario (Simonide «qui primus nenias
adinvenit, idest carmina lugubria» [19b]). Come si vede, in talune di queste annotazioni il
Boccaccio sottolinea l’iniziativa di primato, in un’ottica sempre sensibile al fatto poetico nel
suo aspetto fondativo o comunque innovativo (si tratti anche di Eschilo «poeta repertor larvarum in scena» [29b] da Ars 279). In ogni caso, per gli estratti oraziani la fonte dei notabilia
risulta sempre interna al testo, confermando così una modalità di lettura diretta ed esclusivamente concentrata sulle informazioni dal testo ricavabili.
75
Le notizie sulla patria sono tratte, anche in tal caso, direttamente dal testo: così per
Alceo «de insula Lesbos» (1b), Simonide «de insula Cea» (4b e 19b). Altre notazioni sull’appartenenza geografica si danno per Empedocle «poeta siculus» (32b; notizia discordante con
Esposiz. IV 1, 308, dove è detto, sulla scorta di Boezio, ateniese) e per Cassio «poeta parmensis» (41b; in questo caso, però, l’indicazione non può essere cavata dal luogo citato dal
Boccaccio [Serm. I 10, 62, dove si tratta di un altro Cassio, l’etruscus], mentre è presente in
Epist. I 4, 3; il riferimento a PS. ACRO, ad Sat., I 10, 61-62, che specifica «Cassio vero
Parmensis fuit», potrebbe spiegare, ma si tratterebbe dell’unico caso contro quanto ipotizzato
supra, n. 31, circa il fatto che Boccaccio non accedesse agli scoliasti).
125
Stefano Benedetti
merito a Lucano il Boccaccio richiama «lo stilo eroico d’Omero o di Virgilio o
il tragedo di Seneca poeta o il comico di Plauto e di Terrenzio o il satiro
d’Orazio o di Persio o di Giovenale»76. Genere, questo della satira, investito di
portata esemplare sia nella riflessione sull’ufficio del poeta (colui che mostra
«gli effetti delle virtù e de’ vizii, e che fuggire dobbiamo e che seguire» in
Trattatello, I red., 142; così come, in Esposiz. I 1, 79, Boccaccio ribadisce che i
poeti «furono grandissimi commendatori delle virtù e vituperatori de’ vizi»), sia
entro la generale prassi satirica del Decameron, dove certo poteva agire il
modello oraziano meglio che quello giovenaliano77.
In altri accostamenti Orazio figura nelle varianti più o meno articolate del
canone consueto, solitamente a seguire Virgilio: così in Geneal. XIV 4, 25,
dopo Omero, Esiodo, Euripide, Ennio, Terenzio e Virgilio, sulla povertà dei
poeti78; in Geneal. XIV 15, 25, con Omero, Esiodo, Virgilio e Giovenale; in
Geneal. XIV 18, 13, dopo Omero, Esiodo e Virgilio, nel paragone tra filosofi e
poeti; nella tarda epistola a Francesco da Brossano, infine, il canone pare ormai
quintessenziato nella triade di Cicerone, Orazio e Virgilio, evocati a difendere la
memoria del compianto Petrarca (Epist., XXVI 35).
Se alcuni dei passi qui citati dalle Genealogie confluiranno pressoché immutati nel commento dantesco, le chiose al IV canto dell’Inferno daranno al
Boccaccio l’opportunità per un’ulteriore messa a punto circa la fisionomia
canonica di Orazio. All’incontro di Dante con la «bella scola», ancora appare
sfocato il criterio per il quale il commentatore viene ad allineare i generi oraziani e ovidiani nel confronto con gli epici secondo le «materie»:
[...] nel qual nome [di «poeta»] dice questi quatro convenirsi con lui, in quanto ciascun di
questi quatro è così chiamato poeta come Virgilio: ma in altro con lui non si convengono, per
ciò che le materie, delle quali ciascun di loro parlò, non furono uniformi con quella di che
scrisse Virgilio, in quanto Omero scrisse della battaglie fatte a Troia e degli errori d’Ulisse,
Orazio scrisse ode e satire, Ovidio epistole e trasformazioni, Lucano le guerre cittadine di
Cesare e di Pompeo e Virgilio scrisse la venuta di Enea in Italia e le guerre quivi fatte da lui
con Turno, re de’ Rutoli79.
76
Cfr. VELLI, Petrarca e Boccaccio, cit., p. 77, sulla derivazione del giudizio su Lucano dalle
glosse di Arnolfo d’Orléans, nel cui passo però Orazio è qualificato «in odis purus liricus».
77
Cfr. HOLLANDER, CAHILL, Day ten of the Decameron, cit., pp. 163-66; diversamente, è
il Giovenale della VI Satira che predomina nel Corbaccio (cfr., oltre al commento di G.
PADOAN, in Tutte le opere, cit., vol. V, to. II, 1994; D. NARDO, Sulle fonti classiche del
Corbaccio, in Medioevo e Rinascimento veneto con altri studi in onore di Lino Lazzarini, I,
Dal Duecento al Quattrocento, Padova, Antenore, 1979, pp. 245-54; per l’influsso del modello satirico dell’Ibis ovidiano cfr. R. HOLLANDER, Boccaccio, Ovid’s Ibis and the Satirical
Tradition, in Gli Zibaldoni, cit., pp. 385-99: 393-94).
78
A cui sono anche presenti spunti da Serm. I 1, 61 sgg., come osserva R. STEFANELLI,
Boccaccio e la poesia, Napoli, Loffredo, 1978, p. 15 n. 22.
79
BOCCACCIO, Esposiz. IV 1, 135.
126
Boccaccio lettore di Orazio
Tuttavia il luogo è una volta di più indicativo della costante attenzione del
Boccaccio a contemperare dell’opera di Orazio il lirico e il satirico, ciò di cui è
testimonianza precipua la biografia già citata. Qui la funzione dell’Orazio
«acerrimo riprenditore de’ vizi» era contemplata, eppure, persino in chiosa al
ponderoso sigillo dell’epiteto dantesco (di cui il Boccaccio si era già appropriato nel sonetto Poi satiro sei fatto sì severo)80, il commentatore di Dante poteva
anteporre al «satiro» la primazia di colui che
[...] fu il primero poeta che in Italia recò lo stile de’ versi lirici, il quale, come che in
Roma conosciuto non fosse, era lungamente davanti da altre nazioni avuto in pregio, e massimamente appo gli Ebrei, per ciò che, secondo che san Geronimo scrive nel proemio libri
Temporum d’Eusebio cesariense, il quale esso traslatò di greco in latino, in versi lirici fu da’
Salmisti composto il Saltero, e questo stilo usò esso Orazio in un suo libro, il quale è nominato Ode 81.
L’auctoritas geronimiana già ricorreva in Geneal. XIV 18, 17, a legittimare
l’imitazione dei poeti (Orazio e Virgilio in primis, ma anche Persio), con argomento che il Boccaccio aveva tratto dalla lettera di Pietro Piccolo da
Monteforte, quindi travasato nel commento dantesco82. Il passo della prefazione
al Chronicon citato dal Boccaccio, mentre ricapitolava la varietà metrica dei
carmi oraziani, motivava ai suoi occhi la posizione capitale di Orazio nel processo transitivo che dalla tradizione lirica ebraica (i Salmi), attraverso quella
greca (Pindaro, di cui egli aveva ben presente l’esaltazione di Orazio in Carm.
IV 2, ode da cui, in ZM, 21b, non si limitava a estrarre un luogo, ma a cui si
riferiva per intero) giungeva alla fondazione della lirica latina. Un transito storico-poetico che per il Boccaccio si era già configurato, sulla base dagli assunti
petrarcheschi della Famil. X 4, 6-7, entro il più vasto fondamento teologicoscritturale della exquisita locutio83. In tale processo, per la tradizione latina
Orazio assumeva, accanto a Virgilio, un ruolo primario, come documentato
80
BOCCACCIO, Rime, CXXI, a cura di V. Branca, in Tutte le opere, cit., vol. V, to. I, 1992.
Così in Esposiz. IV 1, 114, che congiunge Epist. I 19, 23-33 con Girolamo: «Denique
quid psalterio canorius, quod in morem nostri Flacci et Graeci Pindari nunc iambo currit,
nunc Alcaico personat, nunc Saffico tumet, nunc senipede ingreditur» (Chronicon, ed. Helm,
p. 3).
82
Esposiz. I 1, 99: «E, se essi [scil. gli ignoranti detrattori della poesia] non credono questo,
veggano, tra gli altri suoi libri, il prolago del libro il quale egli chiama Hebraicarum questionum,
e considerino se quello è tutto terrenziano. Veggano se esso spessissime volte, quasi suoi assertori, induce Virgilio e Orazio, e non solamente questi, ma Persio e gli altri minori poeti [...]».
Cfr. G. BILLANOVICH, Pietro Piccolo da Monteforte tra il Petrarca e il Boccaccio, in Medioevo e
Rinascimento. Studi in onore di Bruno Nardi, 2 voll., Firenze, Sansoni, 1955, vol. I, pp. 3-76
(ora in ID., Petrarca e il primo Umanesimo, Padova, Antenore, 1996, pp. 459-524).
83
Cfr. BILLANOVICH, Petrarca letterato, cit., pp. 119-20.
81
127
Stefano Benedetti
ancora dal passo di Geneal. XIV 16, 3, là dove, difendendo i poeti dall’accusa
di essere «mentium seductores», il Boccaccio correlava il «lyricum carmen» di
David e il metro eroico di Giobbe, soggiungendo «et quod his dico, dictum sit
Orpheo, Homero, Maroni, Flacco et aliis»84.
Fonte privilegiata del profilo biografico oraziano era d’altronde proprio
l’Eusebio-Girolamo, che il Boccaccio leggeva in un codice di sua appartenenza85. In apertura egli si soffermava sull’umile censo del venosino, svolgendo la
traccia «libertino patre Venusi nascitur» del Chronicon nella più distesa esplicazione didascalica di Esposiz. IV 1, 112:
Orazio Flacco fu di nazione assai umile e depressa, per ciò che egli fu figliuolo d’uomo
libertino: e «libertini» si dicevan quegli li quali erano stati figliuoli d’alcun servo, il quale dal
suo signore fosse stato in libertà ridotto, e chiamavansi questi cotali «liberti» [...].
Quindi, dopo aver ricordato la nascita venosina di cui il Boccaccio ricavava
anche notizia diretta dai versi oraziani86, informava (sempre sulla scorta della
diretta lettura oraziana: «per quello che comprender si possa nelle sue opere»,
ma senza accennare al plagosus Orbilius: «Dove si studiasse e sotto cui, non
lessi mai, che io mi ricordi»87) circa la residenza romana, il favore di Augusto,
l’amicizia con Mecenate, e il ruolo di magister: «Fu [...] fatto maestro della
scena [...] ed in poesia ottimamente ammaestrò». Dove la prima curiosa informazione si può forse connettere alla diffusa lettura precettistico-teatrale dell’Ars
poetica88, o ricondurre alla notizia dell’incarico per i ludi saeculares 89; la secon-
84
Non sarà un caso che, sul finale di questa pagina, l’allocuzione topica ai poetastri
Bavio e Mevio congiunga la memoria virgiliana (Ecl. III 90) e oraziana (Epod. X 2), a suggellare l’abbinamento in un canone poetico latino ormai ristretto alla suprema diade. Ma per
quanto concerne i rapporti del Boccaccio con l’opera e l’immagine di Virgilio in genere,
occorre vedere L. PAOLETTI, Virgilio e Boccaccio, in Présence de Virgile. Actes du Colloque
des 9-12 Décembre 1976 (Paris-Tours), Paris, Les Belles Lettres, 1978, pp. 249-63 e G.
PADOAN, s. v. Boccaccio, Giovanni, in Enciclopedia Virgiliana, vol. I, Roma, Istituto della
Enciclopedia Italiana, 1985, pp. 511-16.
85
G. BILLANOVICH, Un nuovo esempio delle scoperte e delle letture del Petrarca:
l’Eusebio-Girolamo-Pseudo Prospero, Krefeld, Scherpe, 1954 (ora in ID., Petrarca e il primo
Umanesimo, cit., p. 198 n. 40).
86
Cfr., in proposito, la già ricordata annotazione in ZM, 24a.
87
Questo particolare, ove si voglia attribuire al commento dantesco l’attendibilità di indicatore esatto circa le letture effettivamente svolte dal Boccaccio, potrebbe indurre a dubitare
se non altro di una lettura attenta delle Epistole (in tal caso di Epist. II 1, 70-71), che il
Boccaccio ovviamente conosceva, ma che come si è visto in effetti non citava mai (se non per
la mediazione petrarchesca di cui si è detto); Epistole che peraltro risultano del tutto escluse
dalla schedatura di notabilia oraziani in ZM (cfr. qui, supra, n. 14).
88
Cfr. VILLA, Dante lettore di Orazio, cit., pp. 98-100.
89
PADOAN, commento a Esposiz., p. 828 n. 136.
128
Boccaccio lettore di Orazio
da alla più generale funzione normativa ascritta al «libro chiamato Poetria, nel
quale egli ammaestra coloro, li quali a poesia vogliono attendere, di quello che
operando seguir debbono e di quello da che si debbono guardare, volendo laudevolmente comporre», come poco più avanti viene argomentato.
La data di morte («Morì in Roma d’età di cinquantasette anni, secondo
Eusebio dice in libro Temporum, l’anno XXXVI dello ‘mperio d’Ottaviano
Augusto»), è esplicitamente fatta risalire al Chronicon; su di essa Boccaccio
non manifestava il dubbio che Petrarca, al vaglio della vita pseudo-acroniana
letta nell’Orazio laurenziano, registrava nella nota al suo Eusebio-Girolamo
(«In vita eius LXXVII° dicitur»)90, non senza l’incertezza pure da lui recepita
circa l’oscillazione dei codici tra septuagesimo septimo e septuagesimo, anno
quest’ultimo ricordato nella estrema Senile XVII 2, indirizzata proprio al Boccaccio.
90
BILLANOVICH, Petrarca e il primo umanesimo, cit., p. 226 e n. 180.
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