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S. Nicola di Trisulti: un insediamento certosino femminile?

2015 IV serie - anno V, 2015 Spedizione postale gruppo IV 70% SilvanaEditoriale 1 IV serie - anno V, 2015 IV serie - anno V, 2015 SilvanaEditoriale Arte medievale Periodico annuale IV serie - anno V, 2015 - ISNN 0393-7267 © Sapienza Università di Roma Direttore responsabile Marina Righetti Direzione, Redazione Dipartimento di Storia dell’arte e Spettacolo Sapienza Università di Roma P.le Aldo Moro, 5 - 00185 Roma Tel. 0039 06 49913409-49913949 e-mail: [email protected] www.artemedievale.it I testi proposti per la pubblicazione dovranno essere redatti secondo le norme adottate nella rivista e consultabili nel suo sito. Essi dovranno essere inviati, completi di corredo illustrativo (immagini in .tif o .jpg ad alta risoluzione di 300 dpi in un formato adatto alla leggibilità) e riassunto, per essere sottoposti all’approvazione del Comitato Scientifico al seguente indirizzo: [email protected] La rivista, impegnandosi a garantire in ogni fase il principio di terzietà della valutazione, adotta le vigenti procedure internazionali di peer review, con l’invio di ciascun contributo pervenuto, in forma anonima, a due revisori anch’essi anonimi. Il collegio stabile dei revisori scientifici della rivista, che si avvale di studiosi internazionali esperti nei diversi ambiti della storia dell’arte medievale, può essere di volta in volta integrato con ulteriori valutatori qualora ciò sia ritenuto utile o necessario per la revisione di contributi di argomento o taglio particolare. La Direzione della rivista conserva, sotto garanzia di assoluta riservatezza, la documentazione relativa al processo di valutazione, e si impegna a pubblicare con cadenza regolare sulla rivista stessa l’elenco dei valutatori che hanno collaborato nel biennio precedente. Autorizzazione Tribunale di Roma n. 241/2002 del 23/05/2002 In copertina: Milano, Biblioteca Ambrosiana, E 124 Inf, f. 214r, particolare. Distribuzione Silvana Editoriale Via de’ Lavoratori, 78 20092 Cinisello Balsamo, Milano Tel. 02.453951.01 Fax 02.453951.51 www.silvanaeditoriale.it Direzione editoriale Dario Cimorelli Coordinamento e grafica Piero Giussani Stampa e rilegatura Grafiche Aurora Verona Finito di stampare nel gennaio 2016 Comitato promotore F. Avril, B. Brenk, F. Bucher, A. Cadei, W. Cahn, V.H. Elbern, H. Fillitz, M.M. Gauthier, C. Gnudi, L. Grodecki, J. Hubert, E. Kitzinger, L. Pressouyre, M. Righetti, A.M. Romanini, W. Sauerländer, L. Seidel, P. Skubiszewski, H. Torp, J. White, D. Whitehouse Comitato direttivo M. Righetti, A.M. D’Achille, A. Iacobini, A. Tomei Comitato scientifico F. Aceto, M. Andaloro, F. Avril, X. Barral i Altet, M. Bonfioli, G. Bonsanti, B. Brenk, C.A. Bruzelius, S. Casartelli Novelli, M. D’Onofrio, J. Durand, V.H. Elbern, F. Gandolfo, A. Guiglia, H.L. Kessler, J. Mitchell, E. Neri, G. Orofino, A. Peroni, P.F. Pistilli, P. Piva, F. Pomarici, A.C. Quintavalle, R. Recht, S. Romano, A. Segagni, H. Torp, G. Valenzano, G. Wolf Redazione R. Cerone, A. Cosma, C. D’Alberto, B. Forti, M.T. Gigliozzi, F. Manzari, S. Moretti, M.R. Rinaldi, E. Scungio ANVUR: A SOMMARIO CRITICA 9 The Milan Five-Part Diptych as a Manifestation of Orthodoxy Zuzana Frantová MATERIALI 277 Il mosaico trasformato: un pavimento di una villa tardoantica nella Toscana costiera Elisabetta Giorgi, Enrico Zanini 27 «In summo montis cacumine»: il monastero di S. Silvestro al Soratte Elisabetta Scungio 59 Architettura dell’età ottoniana in Italia: il deambulatorio e il culto delle reliquie Carlo Tosco 87 Oxford, Magdalen College, MS. Gr. 3: Artistic Practice, Byzantine Drawings and Mobility in Mediterranean Painting around 1200 Manuel Castiñeiras 101 «Iustitia, maiestas, curialitas». Oldrado da Tresseno e il suo ritratto equestre nel broletto di Milano Saverio Lomartire 137 Un portale abruzzese dimenticato Francesco Gandolfo 153 S. Nicola di Trisulti: un insediamento certosino femminile? Valeria Danesi NOTIZIE E RECENSIONI 297 Ricordo di Italo Furlan Enrico Zanini 300 Ricordo di Enrico Castelnuovo Fabrizio Crivello 302 J.-B.-L.-G. Séroux d’Agincourt e la storia dell’arte intorno al 1800 Convegno internazionale di studi Roma, Accademia di Francia - Villa Medici, 23-24 settembre 2014 Ilaria Sgarbozza 303 Anna Delle Foglie, La cappella Caracciolo del Sole a San Giovanni a Carbonara Milano, Jaca Book, 2011 Gaetano Curzi 304 Richard Hodges, Sarah Leppard, John Mitchell, San Vincenzo Maggiore and its Workshops London, British School at Rome, 2011 165 Presenze cistercensi ad Amalfi: il caso controverso dell’abbazia di S. Pietro a Toczolo Nicola Caroppo 183 «Inexpugnabile est». Pierre D’Agincourt, il presidio di Ripa di Corno e la città di Leonessa Roberta Cerone 197 Cimabue reconsidered Joseph Polzer 225 Un’ulteriore traccia per l’attività a Brescia del Maestro di Santa Anastasia e della sua bottega: l’urna del giudice Corrado Fogolini Massimo Medica 235 Interferenze francesi nella produzione dei codici di lusso a Pavia sullo scadere del Trecento e qualche apertura sul primo Michelino da Besozzo Roberta Delmoro 261 Le affinità di Dufourny Maria Giulia Aurigemma Carmine Comunale 305 Decretales pictae. Le miniature nei manoscritti delle Decretali di Gregorio IX (Liber Extra) Atti del colloquio internazionale tenuto all’Istituto Storico Germanico, Roma 2010, Roma, Università degli Studi Roma Tre, 2012 Lola Massolo 307 Inés Monteira Arias, El enemigo imaginado. La escultura románica hispana y la lucha contra el Islam Toulouse, CNRS – Université de Toulouse-le Mirail Gaetano Curzi 308 Gaetano Curzi, Santa Maria del Casale a Brindisi. Arte, politica e culto nel Salento angioino Roma, Gangemi Editore, 2013 Simona Moretti 310 Pintar fa mil anys. Els colors i l’ofici del pintor romànic dir. M. Castiñeiras, J. Verdaguer Universitat Autònoma de Barcelona, 2014 Marco Rossi S. NICOLA DI TRISULTI: UN INSEDIAMENTO CERTOSINO FEMMINILE? Valeria Danesi I l monastero di S. Nicola di Mira sorge lungo le sponde del fiume Cosa, presso Civita frazione di Collepardo in provincia di Frosinone, a circa km 4 di distanza dalla 1 celebre certosa di Trisulti. L’assenza di fonti documentarie non permette di avere un quadro chiaro rispetto alle vicende che lo interessarono, ma una radicata tradizione locale narra di una fondazione avvenuta nel 999 circa per opera del santo benedettino Domenico da Sora (951-1031), successivamente a quella del S. Bartolomeo, posto sulla riva opposta del fiume, trasformato con l’arrivo dei Certosini, agli inizi del Duecento, nella domus inferior a uso dei conversi e intitolata a san 2 Domenico. L’esigua bibliografia riferisce di un ex insediamento femminile che, una volta estintasi l’originaria comunità agli inizi del XIV secolo, passò tra i possedimenti della certosa venendo trasformato in grangia: ancora oggi i Cistercensi, che dal 1947 sostituiscono l’ordine di san Bruno all’interno del complesso, lo impie3 gano come granaio. La critica sembra essersi basata sulla ricostruzione proposta, sul finire del XIX secolo, dall’abate di Montecassino Luigi Tosti (1811-1897), studioso di Domenico da Sora. Nella sua vita del santo si descrive come la comunità femminile sopravvisse fino al 1300 circa, ovvero fino a quando alcune baronie locali della vicina Ceccano attaccarono e distrussero, per mire espansionistiche, la rocca di Collepardo; la popolazione, che fino a quel momento aveva offerto alle Benedettine il proprio sostegno, cessò di difenderle e la comunità si estinse in pochi anni. Nonostante il Tosti non abbia fornito dati documentari a sostegno della propria tesi, vi sono alcune ipotesi ricostruttive interessanti che meritano di 4 essere approfondite. Le due più antiche biografie dedicate al santo sorano, quella redatta dal discepolo Giovanni e quella risalente alla seconda metà dell’XI secolo dell’abate di Montecassino Alberico (1030ca-1105), riportano i nomi, e le coordi- nate geografiche, dei monasteri da lui fondati.5 Si nota come manchi il S. Nicola: un’assenza che non può essere giustificata con la tipica carenza di fonti che da sempre, storicamente, ha accompagnato la vita dei monasteri femminili medievali, poiché in questo caso vennero registrati anche i generi delle comunità che 6 abitarono i suddetti monasteri. Sembra quindi difficile poter confermare una fondazione avvenuta per mano di Domenico da Sora. LE ARCHITETTURE Il complesso, dai volumi semplici e dall’aspetto rurale, si presenta come un susseguirsi di ambienti rivestiti da una cortina muraria in conci calcarei abbastanza regolari. I resti di due muri perimetrali confinano con un corpo di fabbrica a due piani, con ingressi indipendenti posti rispettivamente a sud e a nord, messo a sua volta in comunicazione con un altro vano cui si accede scendendo lungo il crinale meridionale [1]. Nonostante lo stato di forte degrado e i rimaneggiamenti subiti nel corso dei secoli, ancora oggi è possibile riconoscere alcune delle 7 strutture originarie. I resti murari, dallo spessore di circa m 1.10, delimitano uno spazio rettangolare, oggi quasi del tutto interrato, identificabile col cenobio che doveva essere a due piani visti i fori delle travi d’imposta dei solai ben visibili lungo 8 la parete ovest dell’ambiente confinante [2]. Inoltre, il superstite muro meridionale conserva gli stipiti di un portale, oggi tamponato a secco, che doveva fungere da ingresso. A est del cenobio vi è un successivo ambiente, anch’esso a due piani, che consta di una piccola cappella al livello superiore cui si accede lungo il lato settentrionale, mentre quello inferiore, attualmente impiegato come granaio, presenta una facciata orientata a sud con l’ingresso segnato da un arco leggermente acuto e due finestre di cui una a ogiva falsamente 9 strombata [3]. Il portale d’ingresso appare 153 VALERIA DANESI 1. Civita, S. Nicola di Mira, esterno, veduta d’insieme del lato meridionale del complesso (foto D. Giannetti). 2. Civita, S. Nicola di Mira, esterno, muro ovest del corpo di fabbrica a due piani con i fori d’imposta delle travi dei due solai (foto D. Giannetti). 3. Civita, S. Nicola di Mira, esterno, facciata meridionale del corpo di fabbrica a due piani, ingresso dell’ambiente inferiore (foto D. Giannetti). letteralmente addossato a una precedente apertura ed è frutto di una campagna di riammodernamento, in chiave gotica, che interes10 sò l’intero complesso. L’interno si articola in due campate con un sistema di coperture a botte lunettate ribassate sorrette da grossi pilastri mensolati, resi da semplici blocchi inarticolati a sezione rettangolare di dimensioni non omogenee, conclusi 11 da cornici con profilo rettilineo. A est è possibile scorgere i segni della tamponatura di una porta, nel registro inferiore murario, che coincide con il portale tamponato visibile nella confinante chiesa monasteriale [4]. Questa è a navata unica con pianta rettangolare e abside a terminazione rettilinea, mentre la 154 perduta copertura del soffitto doveva essere a botte spezzata vista la traccia lasciata dall’arco d’imposta della volta a ogiva. Il paramento murario del registro inferiore dei lati nord e ovest differisce rispetto al superiore, a quello dei lati sud ed est e a quello esterno deline12 ando, così, due diverse fasi costruttive. Alla S. NICOLA DI TRISULTI: UN INSEDIAMENTO CERTOSINO FEMMINILE? prima sembrano appartenere, oltre alla porta tamponata a ovest, anche i resti di due pilastri sul lato nord, nettamente tagliati, sui quali si innesta un muro, risalente alla fase costruttiva successiva, dove si aprono tre finestre a sesto acuto mensolate d’ispirazione gotica [5], e successivamente tamponate, simili, anche se di dimensioni ridotte, all’apertura nel registro 13 superiore del muro ovest. Complessa è la lettura della parete est, articolata su due livelli, su cui si aprono rispettivamente due portali; il tutto è reso ancora più confuso dalla presenza, all’esterno, di un moderno ballatoio di legno impostato al di sotto del portale superiore e dai rovi che ricoprono quasi interamente la facciata. Il registro superiore, con portale e finestra, è frutto di un intervento successivo eseguito per semplificare il recupero del grano all’interno del vano ecclesiastico, mentre in quello inferiore un portale a tutto sesto doveva fungere, prima dell’adattamento a granaio, da ingresso. Sempre funzionale alle attività agricole è l’erezione di un muro che corre da ovest a est, intervallato da sei archi, che taglia perpendicolarmente l’ambiente creando due vani ben distinti. Questo 'muro di grangia' è ancora oggi necessario per l’organizzazione, la sistemazione e la successi14 va raccolta delle messi. L’attuale accesso alla chiesa è stato ricavato demolendo parte di una delle quattro finestre a feritoie disposte lungo la parete meridionale e ancora oggi è possibile vedere, all’interno, come questo abbia sfruttato alcuni dei conci della strombatura dell’originaria apertura. La semplicità dei volumi, la totale assenza di elementi decorativi e l’impianto planimetrico rimandano al vicino S. Domenico e rispecchiano lo schema-tipo delle chiese legate 15 all’ordine di Chartreuse. Appare inoltre evidente come le piante di entrambi i monasteri si sviluppino attraverso l’utilizzo di semplici moduli architettonici quadrati e rettangolari mutuati dal linguaggio cistercense così forte16 mente diffuso nel Lazio meridionale [6]. UN’IPOTESI DI DATAZIONE Risulta difficile poter avanzare delle datazioni certe rispetto alle vicende architettoniche del S. Nicola, ma la presenza di elementi mutuati dal linguaggio gotico locale permette di legare soprattutto la seconda fase costruttiva del complesso al XIII secolo, in particolar modo se la si mette in relazione al S. Domenico per il quale è ormai comunemente accettata una fondazione prossima ai primi decenni del 17 Duecento. L’ipotesi sembra essere avvalorata anche dal confronto tra gli apparati murari trisultani e quelli rinvenuti nel vicino centro di Alatri, come palazzo Patrasso-Grappelli che presenta una tessitura simile resa da blocchetti di calcare che creano una trama piuttosto regolare; o palazzo Patrasso di Guarcino, sempre duecentesco e geograficamente confi18 nante con Collepardo. Grazie al ritrovamento di alcuni documenti legati a queste due residenze nobiliari è possibile avanzare con maggiore convinzione una datazione vicina 19 alla metà del XIII secolo. Questo dato cronologico è confermato anche da un ulteriore confronto con un corpo rettilineo addossato alle mura urbane di Alatri, e posto sul retro della duecentesca chiesa di S. Stefano, la cui muratura è in blocchi calcarei di varia misura 4. Civita, S. Nicola di Mira, planimetria d’insieme della chiesa e dell’ambiente inferiore (pianta di A. Danesi, V. Danesi, A. Trovato). 5. Civita, S. Nicola di Mira, interno, chiesa, parete nord, pilastri tagliati e finestre archiacute (foto D. Giannetti). 155 VALERIA DANESI 6. Trisulti, S. Domenico, planimetria della chiesa (da VACCA, La chiesa, rilievo 1). 7. Alatri, casa-torre del cardinale Gottifredi (foto D. Giannetti). 156 20 posti su filari regolari. La tessitura dei conci calcarei del S. Nicola, che appare sicuramente più rozza rispetto a quella più raffinata delle architetture alatrine e del S. Domenico, ricorda anche quella della casa-torre del cardinal Gottifredi di Alatri edificata a cavallo tra il XIII e il XIV secolo [7]. La cortina presenta conci calcarei regolarmente squadrati, molti dei quali con gli spigoli arrotondati disposti su filari orizzontali con giunti combacianti, mentre gli spigoli dell’edificio sono formati da cantonali alternati proprio come quelli del 21 S. Nicola. Rispetto agli elementi goticheggianti della seconda fase costruttiva appare chiara l’influenza dei coevi cantieri laziali cistercensi come Casamari, Fossanova e Valvisciolo, i quali diffondevano attraverso ‘cantieri-scuola’ i propri 22 stilemi culturali. La vicinanza dei complessi trisultani a questo particolare linguaggio sembra essere confermata, oltre che da alcuni elementi come i portali del S. Domenico con architrave monolitico sorretto da mensolette con imposta a sguscio, anche dall’impiego del pilastro a sezione quadrangolare concluso da cornici dal profilo rettilineo presente sia nella sala inferiore della chiesa di S. Domenico, che nel vano inferiore voltato a botte del corpo 23 di fabbrica a due piani del S. Nicola. Pilastri di questo tipo sono ampiamente diffusi in ambito laziale duecentesco: ve ne sono alcuni esemplari all’interno del refettorio cistercense del S. Sebastiano di Alatri, nella grangia di Fossanova, nell’abbazia di Valvisciolo e nell’infermeria dell’abbazia di S. Maria della 24 Gloria di Anagni [8a; 8b]. Pertanto, sembra corretto affermare che il linguaggio architettonico rinvenibile nel S. Domenico sia presente, in forme meno colte, anche all’interno del S. Nicola: è probabile che una volta terminata la domus inferior dei conversi, costruita sui resti della preesistenza benedettina, le maestranze si spostarono sull’altra riva del fiume e attuarono una serie di interventi. I LEGAMI CON LE PRIME ARCHITETTURE DAMIANITE Nonostante le fonti tacciano a riguardo, la presenza di una comunità femminile nel S. Nicola sembra essere suggerita da alcuni confronti con le coeve architetture dell’Ordo sancti Damiani, fondato da santa Chiara di Assisi (1193-1253) nel 1212 circa e sostituito poi dall’Ordo sanctae 25 Clarae. Stringenti sono le analogie riscontrate con i particolari ambienti monasteriali ideati per la salvaguardia della clausura imposta a tutti gli ordini femminili dal cardinale Ugolino dei conti di Segni, futuro papa Gregorio IX (1227-1241), attraverso la redazione, nel 1218, 26 di una forma vitae ad hoc. S. NICOLA DI TRISULTI: UN INSEDIAMENTO CERTOSINO FEMMINILE? La creazione di questi spazi claustrali è da ricercarsi nel primo insediamento dell’ordine, il 27 S. Damiano di Assisi. Con l’arrivo di Chiara s’intervenne, in modo del tutto casuale, sulla preesistenza architettonica allo scopo di creare 28 ambienti congeniali alla vita delle consorelle. Al grande vano rettangolare con copertura a botte, forse un hospitium trasformato nella navata dell’attuale chiesa, se ne sovrappose un altro con copertura a capriate lignee impiegato 29 come dormitorio. A questo blocco di edifici si addossò un ulteriore corpo di fabbrica, sempre nella prima metà del XIII secolo, articolato su tre piani: una cappella inferiore, impiegata come coro dalle monache e trasformata poi in presbiterio quando il complesso passò al ramo maschile francescano intorno al 1307, una cappella superiore e sulla sommità quello che è stato identificato come il laboratorio messo in comunicazione col dormitorio trami30 te una porta [9]. Gli interventi effettuati portarono alla creazione di itinerari interni chiusi che permettevano alle monache di attraversare 31 il monastero senza dover uscire all’esterno. Interessante è il ritrovamento nel coro di un aghioscopio che, affacciandosi in chiesa, permetteva alle donne di assistere alla funzione liturgica senza essere viste, avendo tuttavia una 32 visione molto parziale e ridotta dell’altare. L’addossamento alla chiesa e al dormitorio di questo secondo blocco di edifici è da legare al particolare momento storico in cui Chiara 33 si piegò alla volontà ugoliniana. Nonostante questa andasse contro i principi spirituali della santa, che credeva in un’opera di predicazione rivolta alla comunità dei fedeli avversando schemi rigidi e vincoli imposti, il cardinale riuscì a inserire l’esperienza damianita nel solco della tradizione benedettina impo34 nendo la rigida clausura. Nel periodo compreso tra gli anni trenta e sessanta del Duecento nella diocesi di Campagna viene documentata una rilevante concentrazione di insediamenti legati alla san35 ta. Il monastero di S. Sebastiano di Alatri in provincia di Frosinone, che già nel 1233 ospita le Damianite, ben esemplifica la fase sperimentale inziale vissuta dall’architettura dell’ordine ed elaborata sul modello assisia36 te. Al piano terreno del complesso vi è un vano rettangolare, coperto con volte a crociera e utilizzato come grangia, sormontato da un ambiente con copertura a capriate lignee impiegato come dormitorio. Addossata e connessa lungo il lato est di quest’ultimo vi è una cappella collegata alla chiesa attraverso un’apertura, una porta-aghioscopio con un ballatoio ligneo, con al di sopra il laboratorio 37 [11a; 11b]. Le assonanze tra il S. Nicola e il complesso alatrino sono evidenti: oltre a presentare un’analoga tessitura muraria in conci calcarei, i semipilastri del refettorio del S. Sebastiano ricordano quelli conclusi da cornici con profilo rettilineo del vano inferiore del corpo di fabbrica a due piani addossato alla chiesa nicolina. Sovrapponibili sono anche le planimetrie dei due vani ecclesiastici, a navata unica con abside a terminazione rettilinea, che rispondevano alle specifiche esigenze liturgiche e alla dimensione reclusa e contemplativa che caratterizzava l’esperienza monastica femmi38 nile duecentesca. 8a. Civita, S. Nicola di Mira, interno, vano inferiore del corpo di fabbrica a due piani, pilastro mensolato (foto D. Giannetti). 8b. Alatri, S. Sebastiano, interno, refettorio, pilastro mensolato (foto D. Giannetti). 157 VALERIA DANESI S. NICOLA: UNA RISCOPERTA AL FEMMINILE? 9. Assisi, S. Damiano, sezione della chiesa attuale e del cosiddetto dormitorio di S. Chiara con evidenziata in grigio la fase dell’addossamento delle cappella superiore, di quella inferiore e del laboratorio (da Righetti, S. Chiara, p. 25). 10a. Civita, S. Nicola di Mira, interno, chiesa, registro superiore lato ovest, ipotetico aghioscopio (foto D. Giannetti). 10b. Civita, S. Nicola di Mira, interno della chiesa (foto D. Giannetti). 158 Si nota, inoltre, come il piano superiore del blocco di ambienti addossati alla chiesa del S. Nicola ricordi il coro per le monache del S. Da39 miano e del S. Sebastiano. Sembrano dimostrarlo la presenza di una finestra sul muro orientale, che è frutto del rimaneggiamento di un’originaria porta attraverso cui si accedeva al cenobio, e l’apertura archiacuta tamponata visibile lungo il registro superiore del lato ovest della chiesa e che qui corrisponde a una nicchia murata. Probabilmente un aghioscopio la cui funzione sembra essere confermata dai fori, oggi anch’essi tamponati, dai quali probabilmente s’innestavano le travi di un ballatoio, o di uno schermo ligneo, permettendo l’affac40 cio nella chiesa [10a, 10b]. Infine, si nota come anche l’articolazione planimetrica del S. Nicola, con il susseguirsi degli ambienti monasteriali, dovesse permettere alle religiose, proprio come avveniva nel S. Damiano e nel S. Sebastiano, di circolare libera41 mente nel complesso senza uscire all’aperto. Alla luce delle analogie con i primi insediamenti damianiti è forse possibile riconoscere nelle strutture duecentesche del S. Nicola il primo monastero certosino femminile del 42 centro Italia. L’ordine di san Bruno, una volta giunto in Ciociaria, edificò un complesso monastico che ricalcava in toto lo schema della Grande Chartreuse, con la suddivisione in domus superior per i padres e in domus inferior per i 43 conversi. La certosa era quindi un grandioso insediamento fondato per volontà pontificia in un punto geograficamente strategico per la politica papale di inizio Duecento tesa alla salvaguardia dei territori di confine contro il 44 Regnum meridionale. L’importanza del luogo è documentata dal ritrovamento di un cospicuo numero di bolle pontificie, conservate nell’archivio, che tentavano di garantire alla 45 comunità sicurezza e stabilità economica. Oltre alle evidenze architettoniche, è proprio la rilevanza politica assunta in pochi anni da Trisulti che lascia pensare all’inserimento su territorio di una comunità femminile certosina: è probabile che le baronie locali, vincolate politicamente alla Chiesa di Roma, avessero S. NICOLA DI TRISULTI: UN INSEDIAMENTO CERTOSINO FEMMINILE? 11a. Alatri, S. Sebastiano, interno, chiesa, porta-aghioscopio e ballatoio ligneo (foto D. Giannetti). 11b. Alatri, S. Sebastiano, sezione longitudinale prospettica della chiesa e degli ambienti monasteriali (da RIGHETTI, S. Chiara, p. 26). richiesto la creazione di un monastero per garantire l’ordinamento monacale di figlie nubili, o di vedove, ed è possibile che il S. Nicola 46 assolvesse proprio a questa funzione. In Italia attualmente il numero conosciuto di certose femminili è esiguo e nessuno ha conservato la facies medievale. I pochi casi noti, tutti risalenti ai primi decenni del Duecento, sono ubicati in Piemonte come la certosa di Molar di Bricherasio, vicino Torino, e S. Maria di Buonluogo nei pressi di Pinerolo: quest’ultima, adibita oggi ad attività agricole, conserva una chiesa con caratteristiche planimetriche analoghe a quella del S. Nicola.47 Il monastero ciociaro sembra inoltre ricalcare anche alcuni esempi francesi come Mélan, fondata nel 1282 per volontà di Beatrice di Faucigny (12371310) nell’Alta Savoia, che conserva ancora oggi la sala capitolare, il refettorio e la solita chiesa a navata unica con abside a terminazio48 ne rettilinea. Rispetto al silenzio documentario è importante porre l’accento su come i Certosini, seguendo il modello del primo documento emesso dalla casa madre il 9 dicembre del 1086, usassero registrare soltanto gli edifici 159 VALERIA DANESI più prossimi alla certosa, e inclusi nei confini territoriali della domus superior, omettendo quelli più distanti come grange e mulini; questo potrebbe giustificare l’assenza del S. Nico49 la nelle antiche mappe trisultane. La rigida clausura escludeva, soprattutto nei primi anni di vita dell’ordine, la presenza femminile nei dintorni delle certose; nonostante l’assoluto divieto, è probabile che si sia attuato, in un secondo momento, un leggero allentamento della regola che potrebbe aver permesso la fondazione di un monastero di sorores nei pressi di Trisulti, comunità femminile comunque legata alla Grande Chartreuse: l’ipotetico allentamento della regola non poteva comunque far tollerare una presenza 50 estranea all’ordine. Non vi sono ovviamente dati cronologici certi rispetto all’estinzione del monastero. È probabile che, come avvenne per i coevi casi piemontesi, l’interesse delle baronie locali verso il ramo femminile certosino si sia spento a causa della mancata creazione di alleanze. Furono proprio queste, invece, il punto di forza degli insediamenti duecenteschi di Clarisse e Cistercensi a cui si attribuisce il merito di aver saputo sfruttare a proprio vantaggio le situazioni economiche e sociali del tempo, avendo tessuto una fitta rete di legami forti e duraturi 51 col contesto sociale dell’epoca. NOTE San Bruno, in San Bruno di Colonia: un eremita tra Oriente e Occidente, a cura di P. De Leo, Soveria Mannelli 2004, pp. 107-121; M. RIGHETTI, Prime fondazioni certosine in Italia, in Certose e Certosini in Europa, «Atti del Convegno alla Certosa di San Lorenzo, Padula, 22-24 settembre 1988», a cura di V. De Martini, A. Montefusco, Padula 1990, pp. 103-107; G. LEONCINI, Arte e architettura alla certosa di Trisulti, in La certosa di Trisulti, a cura di J. Hogg, M. Merola, G. Leoncini, Salzburg 1991, pp. 97- 112; J. HOGG, The charterhouse of Trisulti, ibid., pp. 17, 23. Rispetto all’assenza di fonti riguardanti il S. Nicola è bene precisare che all’interno della certosa è ospitato un archivio dove sono conservate bolle pontificie, atti imperiali e documenti relativi alla storia del complesso. Dal 1950 circa è impossibile consultarlo in quanto il materiale non è catalogato. Durante la stesura della mia tesi di specializzazione, grazie alla disponibilità del priore Ignazio Mario Rossi, ho potuto sfogliare alcuni dei documenti certosini senza però trovare notizie sul S. Nicola. Si auspica un intervento del Mibact per rendere nuovamente fruibile un patrimonio documentario determinante per la conoscenza della storia trisultana e certosina. 3 I Certosini crearono una fitta rete di grange dislocate sul territorio e impiegate durante tutto il corso della loro permanenza in Ciociaria. Nei documenti trisultani il termine ‘grangia’ compare per la prima volta in un atto, datato all’11 marzo del 1252, attraverso il quale papa Innocenzo IV (1243-1254) concedeva al priore e ai monaci la facoltà di trasportare le messi nella grangia della certosa attraverso le terre confinanti, confermando un’attività già praticata dal 1230. Nonostante la critica riporti con insistenza come il S. Nicola nel 1300 sia stato convertito in grangia, alcune evidenze architettoniche sembrano smentirla. È più corretto credere, a mio avviso, che la grangia menzionata nel documento innocenziano facesse parte di uno degli edifici che costituivano la domus inferior del S. Domenico. Cfr. B. FORNARI, I monasteri di S. Bartolomeo e di S. Nicola presso Trisulti, «Terra Nostra», XXII (1983), pp. 17-19; A. TAGLIENTI, La certosa di Trisulti, ricostruzione storico-artistica, Casamari 1979; EAD., Il monastero di Trisulti e il Castello di Collepardo: storia e documenti, Roma 1985, pp. 120-135; G. SCACCIA SCARAFONI, Un monumento poco noto dell’architettura gotica in Italia (Trisulti), «Palladio», III (1953), pp. 115-118; F. CARAFFA, Monasticon Italiae, I, Roma e Lazio, Cesena 1981, p. 34; A.A. SECHI, La certosa di Trisulti da Innocenzo III al Concilio di Costanza (1204-1414): note e documenti, Salzburg 1991, p. 61; C. CASTELLANI SAMPERI, Cento anni a Trisulti (1186-1289), Frosinone 1977, p. 18. Il presente articolo costituisce un estratto dal lavoro di ricerca sul monastero di S. Nicola di Trisulti svolto durante la tesi per la Scuola di Specializzazione in Beni Storico-Artistici presso Sapienza - Università di Roma, dal titolo ‘Il S. Nicola di Trisulti: una proposta di lettura’. Vorrei ringraziare la prof. ssa Marina Righetti per avermi saputo spronare di fronte alle tante difficoltà incontrate e per non avermi mai fatto mancare il suo appoggio e sostegno. Un sincero ringraziamento va al priore della certosa di Trisulti, padre Ignazio Mario Rossi, e a Roberto Sarandrea per aver agevolato i miei studi e sopralluoghi. Ringrazio Alessandro Danesi, Silvia Gambardella, Giuseppe Paganelli e Antonio Trovato per avermi aiutato durante lo studio dell’architettura. Infine, un ringraziamento speciale va alla mia famiglia e a Davide Giannetti per le splendide riprese fotografiche. 1 Civita è segnalata nell’ottocentesco Catasto Gregoriano, nel brogliardo nr. 3 della mappa 23 di Collepardo, tuttavia non si fa menzione alcuna del monastero. 2 L’ordine certosino venne fondato nel 1084 da san Bruno di Colonia in una località deserta detta Cartusia, poi Chartreuse, nelle Alpi del Delfinato francese. Nelle Consuetudines Cartusiae, scritte dal priore Guido tra il 1121 e il 1127, si delineò la struttura-tipo delle certose: i padres risiedevano nella domus superior, la certosa vera e propria, dove vi erano le celle dei monaci, una sala capitolare, un refettorio, un dormitorio per i conversi e diversi ambienti come la biblioteca e l’archivio. Vista la rigida clausura perseguita dai monaci, erano fondamentali, per la sopravvivenza e la gestione degli insediamenti, i frati laici, i conversi, che conducevano la propria vita nella domus inferior composta da vari edifici, da quelli per la vita comunitaria a quelli per le attività lavorative, oltre che da una chiesa. Nel 1204 circa, per volontà di Innocenzo III (1198-1216), i Certosini arrivarono a Trisulti provenendo dalla piemontese Casotto, vicino Cuneo; l’originaria comunità benedettina maschile del S. Bartolomeo venne allontana e il cenobio passò sotto il controllo del nuovo ordine intento a costruire la propria certosa a circa un chilometro di distanza. Cfr. M. RIGHETTI, s.v. Certosini, in Enciclopedia dell’arte medievale, IV, Roma 1992, pp. 625-635; A. DEVAUX, L’architecture dans l’Ordre de Chartreux, ms. dattiloscritto, Certosa di Farneta 1968, pp. 5, 128; J.P. ANIEL, Les maisons de Chartreux des origines à la Chartreuse de Pavie, Paris 1983, p. 10; A.VACCA, La chiesa di San Domenico di Trisulti, «Rivista cistercense», VIII (1991), pp. 1-26; G. LEONCINI, L’ideale monastico di 160 S. NICOLA DI TRISULTI: UN INSEDIAMENTO CERTOSINO FEMMINILE? 4 Rispetto a questa ricostruzione, che fissa come termine cronologico per la trasformazione in grangia il secolo XIV, si nota in realtà come non sia possibile risalire al momento preciso in cui questo avvenne. Il Tosti, infatti, viene contraddetto da una ricevuta autografa, conservata nell’archivio della certosa e datata al 13 febbraio del 1662, nella quale il pittore romano Felice Rossetti dichiara di aver ricevuto la somma di tre scudi dal priore procuratore della certosa di Roma, su ordine del priore di Trisulti, per l’acquisto di tela, pennelli e colori necessari alla realizzazione di una pala d’altare raffigurante san Nicola da Bari. La tela potrebbe essere stata commissionata proprio per la chiesa del S. Nicola facendo pensare che questa fosse ancora funzionante. Il dato sembra essere confermato anche dal monaco certosino Beda Castelli, autore di una storia di Trisulti nel 1912: egli conferma la presenza di un quadro raffigurante il santo all’interno della chiesa nicolina. Cfr. L. TOSTI, La leggenda di S. Domenico Abate, «Scritti vari», II (1892), pp. 309-314; B. CASTELLI, La certosa di Trisulti, cenni storici per un monaco benedettino, Tournai 1912; TAGLIENTI, La certosa, p. 16. 5 Nel Lazio Domenico fondò S. Salvatore di Scandriglia vicino Rieti, S. Angelo sul Monte Cacume presso Pratica di Frosinone, S. Maria di Sora e infine S. Bartolomeo di Trisulti. Cfr. L. JACOBILLI, Vite de Santi e Beati da Foligno et di quelli, i corpi de’ quali si riposano in essa città e sua diocesi, Foligno 1628, pp. 25-35; ID., Vita di S. Domenico da Foligno abbate dell’ordine di san Benedetto, Foligno 1645; S. Dominici Sorani vita et miracula a coevis conscripta, «Analecta Bollandiana», I (1882), pp. 279-322; A. LENTINI, La «Vita S. Dominici» di Alberico Cassinese, «Benedictina», V (1951), pp. 57-77. 6 S. Dominici Sorani, pp. 286-289; CARAFFA, Monasticon, pp. 155, 167, 171; TOSTI, La leggenda, pp. 303-318; Per un quadro generale sullo studio del monachesimo femminile come fenomeno storico si veda: G. BARONE, Come studiare il monachesimo femminile, in Il monachesimo femminile in Italia dall’Alto Medioevo al secolo XVII a confronto con l’oggi, «Atti del VI convegno del Centro Studi Farfensi, Santa Vittoria in Matenano, 21-24 settembre 1995», a cura di G. Zarri, San Pietro in Cariano 1997, pp. 1-16. 7 Attualmente l’intero complesso, fatta eccezione per la piccola cappella ricavata nel piano superiore del corpo di fabbrica confinante con la chiesa, è adibito ad attività agricole. Lo stato di degrado in cui versa è tale da non permettere una lettura completa delle architetture che appaiono invase dalle balle di fieno. Intorno all’anno 2000, l’attuale Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo ha effettuato un intervento di restauro. Si è provveduto a sostituire la copertura della chiesa con una moderna volta a botte lignea, sorretta da tiranti in acciaio, che altera sensibilmente l’aspetto originario del monastero. Ho avuto modo di contattare la Soprintendenza in questione, ma non mi è stato concesso di consultare la documentazione relativa all’intervento. Con grande rammarico si nota come nessuna pubblicazione sia seguita ai restauri effettuati: ciò avrebbe potuto aiutare nella conoscenza del monumento che ancora oggi rimane sconosciuto. 8 Lungo la stessa superficie muraria si individuano altri fori, i quali oltre a presentarsi in misure diverse sono più ravvicinati tra loro, che sembrano risalire a un’epoca più tarda, verosimilmente quando il complesso venne trasformato in grangia rendendo necessario l’inserimento di tettoie per il riparo del bestiame o delle messi. 9 La piccola cappella, intitolata alla Madonna del Sacchetto, venne inaugurata nel 1983 dai Cistercensi: l’ambiente, ricavato dalle preesistenti architetture monasteriali, confina con la chiesa e ancora oggi si vede la traccia dell’arco della volta a ogiva che fungeva da copertura per il vano ecclesiastico. La finestra, al di sopra di quella falsamente strombata, che si apre lungo la facciata meridionale del piano inferiore è il sicuro frutto di un rimaneggiamento moderno: lo confermano la presenza dei resti dell’originaria cornice. I mensoloni che la sormontano sembrano invece essere appartenuti a un argano ascrivibile alla fase in cui il complesso venne trasformato in granaio. Un’ipotesi, questa, suffragata anche dal differente trattamento dei conci calcarei nel tratto terminale della cortina muraria. 10 Oltre al portale e alla finestra ad arco acuto della facciata meridionale del corpo di fabbrica a due piani, all’interno della chiesa si possono notare delle finestre archiacute mensolate goticheggianti. Stessa cifra stilistica si coglie per la cortina muraria esterna dell’intero complesso che può essere messa a confronto, oltre che col vicino S. Domenico, anche con altre architetture della zona risalenti alla prima metà del Duecento. 11 Il vano è autonomo e i pilastri sono in opera con le volte a botte, ma salta all’occhio, nell’angolo nord-est, la presenza di un prolungamento del pilastro angolare. In quanto unicum, e sembrando apparentemente in opera con il pilastro angolare stesso, è possibile che sia il frutto di un semplice ripensamento o di un errore in corso d’opera delle maestranze operanti nel S. Nicola. 12 Attualmente, vista l’assenza documentaria e il forte stato di degrado in cui versa il complesso, è impossibile fissare un dato cronologico per la prima fase costruttiva della chiesa nonostante la tradizione locale, ripresa poi dalla critica, insista nel parlare di un insediamento di inizio XI secolo. È auspicabile che la Soprintendenza decida finalmente di rendere pubblici i risultati delle indagini effettuate durante l’intervento di restauro effettuato nel 2000. 13 È lecito pensare che ci fossero dei pilastri anche lungo il lato sud. Una volta andati perduti vennero sostituiti con due curiosi mensoloni orientati verso est, ovvero verso l’originario ingresso della chiesa, e probabilmente impiegati come sostegno per statue votive o candele. 14 Il paramento murario del ‘muro di grangia’ presenta resti di tegole che fanno propendere per una datazione moderna. Altrettanto recenti sembrano essere gli ambienti che si sviluppano frontalmente al lato est esterno della chiesa che furono impiegati come abitazione da coloro che amministrarono il granaio. 15 L’originaria Chartreuse venne interamente distrutta da una valanga nel 1132 ed è solo grazie ad alcune fonti dell’epoca che è stato possibile, almeno in parte, ricostruire il complesso. Gilberto, abate di Nogent-sous-Coucy, nel De vita sua sive Monodiario libri tres descrive la certosa di Grenoble visitata tra il 1115 e il 1117 e dal suo racconto si evince come la chiesa fosse completamente priva di elementi decorativi. La vita votata alla spiritualità imponeva alle architetture dell’ordine assoluta povertà e nudità contro la concupiscentia oculorum. Cfr. RIGHETTI, s.v Certosini, pp. 625-626. 16 A soli km 10 di distanza in linea d’aria sorge il complesso cistercense di Casamari. Innegabile è il rapporto che dovettero avere, se non altro dal punto di vista formale, i costruttori del S. Domenico di Trisulti con quelli di Casamari. La monofora che si apre al centro della parete ovest della chiesa trisultana, ad esempio, trova un preciso confronto in una serie di finestre rettangolari, con il medesimo architrave a forma di timpano, sulla parete sud del dispensarium di Casamari databile al XIII secolo. Cfr. A.M. ROMANINI, Tavola rotonda. Aggiornamenti sull’arte cistercense: introduzione, in I Cistercensi e il Lazio, «Atti delle giornate di studio di Storia dell’Arte dell’Università di Roma, 17-21 Maggio 1977», Roma 1978, pp. 31-35; E. PARZIALE, L’abbazia cistercense di Fossanova. Le dipendenze in Marittima e l’influenza sulla produzione artistica locale, Roma 2007, p. 7; VACCA, La chiesa, p. 13; RIGHETTI, Prime fondazioni, p. 106. 161 VALERIA DANESI 17 Sembrano appartenere alla seconda fase costruttiva i registri superiori dei muri ovest, con l’apertura archiacuta, e quello nord, con le tre finestrelle gotiche, della chiesa, oltre al paramento murario esterno che riveste l’intero complesso. Rispetto alle analogie architettoniche e planimetriche col S. Domenico si veda: VACCA, La chiesa, pp. 1-17. 18 Sui possedimenti della famiglia Patrasso a Guarcino: G. FLORIDI, Storia di Guarcino, Roma 1969, p. 257. Per un approfondimento sull’edilizia e sull’architettura alatrina: C. TOROSSI, Guarcino, in Lazio Medievale, 33 abitati delle antiche diocesi di Alatri, Anagni, Ferentino, Veroli, Roma 1980, pp. 41-50. 19 E. DE MINICIS, Alatri: studio delle strutture murarie medievali, «Bollettino dell’Istituto di storia e arte del Lazio Meridionale», XII (1987), pp. 155-172; D. FIORANI, Tecniche costruttive murarie medievali. Il Lazio meridionale, Roma 1986, pp. 28-32; EAD., Tecniche costruttive murarie medievali del basso Lazio. Metodo e percorsi di una ricerca, in Storia delle tecniche murarie e tutela del costruito, a cura di S. Della Torre, Milano 1996, pp. 97-111. 20 A. SACCHETTI, Storia di Alatri, Alatri 1947, p. 181; DE MINICIS, Alatri, p. 160. 21 Ibid., p. 162. 22 È ormai risaputo come i Cistercensi avessero diffuso il proprio linguaggio stilistico attraverso la creazione di veri e propri ‘cantieri-scuola’ in cui si formavano operai specializzati nei più disparati rami di produzione. Questi venivano addestrati per compiere un lavoro in serie organizzato secondo una metodologia modulare razionalizzante che potesse trasmettere il progetto di Bernardo di Chiaravalle: la realizzazione di una città ideale dove la ratio geometrica era essenza e norma. È probabile, quindi, che alcune delle maestranze operanti a Trisulti provenissero proprio dal coevo cantiere di Casamari. Cfr. A.M. ROMANINI, Il francescanesimo nell’arte: l’architettura delle origini, in Francesco, il francescanesimo e la cultura della nuova Europa, a cura di I. Baldinelli, A.M. Romanini, Roma 1996, pp. 181-195; A. CADEI, Scultura architettonica cistercense e cantieri monastici, in I Cistercensi e il Lazio, «Atti delle giornate di studio dell’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università di Roma “La Sapienza”, Roma, 17-21 maggio 1977», Roma 1978, pp. 157-164; V. FRANCHETTI PARDO, Architettura cistercense e architettura degli ordini mendicanti, in Il monachesimo cistercense nella Marittima medievale. Storia e arte, «Atti del convegno, Abbazie di Fossanova e Valvisciolo, 24-25 settembre 1999», a cura di R. Cataldi, Casamari 2002, p. 262. 23 Per un confronto tra gli elementi architettonici dei due monasteri si veda sempre: VACCA, La chiesa, p. 9. 24 M.L. DE SANCTIS, Le Clarisse nel Lazio meridionale nel secolo XIII: il caso di Alatri, in Il sud del Patrimonium sancti Petri al confine del regnum nei primi trent’anni del Duecento. Due realtà a confronto, «Atti delle giornate di studio, Ferentino, 28-29-30 ottobre 1994», a cura di G. Bonsignori, Città di Castello 1997, pp. 238-280. Per la grangia di Fossanova: M. RIGHETTI, Architettura per il lavoro, «Arte medievale», s. II, VIII (1994), pp. 141-152. Per un approfondimento del cantiere gotico di Valvisciolo: G. CRISTINO, L’abbazia di Valvisciolo. Un esempio di architettura cistercense fra romanico e gotico; tracciati, proporzioni e segni, in Il monachesimo cistercense, pp. 201-247; Rispetto al caso di Anagni: C. GENOVESE, Una fondazione florense ad Anagni: l’abbazia di S. Maria della Gloria; vicende storiche e analisi critica, «Arte medievale», s. II, X (1998), pp. 65-81. 25 M.L. DE SANCTIS, s.v Clarisse, in Enciclopedia dell’arte medievale, V, Roma 1995, pp. 91-102. 26 La forma vitae vel religionis pauperum dominarum de Valle Spoleti sive Tuscia del cardinale Ugolino dei conti di Segni (1170 – 1241), futuro papa Gregorio IX, fu redatta tra il 1218-1219, ma è conosciuta soltanto nella sua versione più tarda del 1228. Se agli albori del 1200 il monachesimo 162 maschile viveva una nuova stagione, segnata dall’avvento di san Francesco e san Domenico, caratterizzata da una maggiore apertura verso i fedeli e la società coeva a discapito della dimensione più chiusa del monastero, quello femminile restava ancorato alla tipica concezione claustrale benedettina. Nonostante questo, a cavallo tra il XII e il XIII secolo, sull’onda del rinnovamento religioso vissuto dagli ordini maschili, e sulla spinta del movimento pauperistico che si andava diffondendo in tutta Europa predicando l’assoluta povertà materiale del monaco, si formarono molte comunità femminili perseguitrici dello stesso obiettivo. La Chiesa di Roma, vedendo in questo una possibile criticità, cercò di porvi rimedio attraverso il Concilio Lateranense IV del 1215 durante il quale emerse la figura del cardinale Ugolino. Il concilio stabilì che chi avrebbe voluto fondare una nuova casa religiosa, un monastero o una congregazione, avrebbe dovuto accettare come forma di vita una delle regole istituzionali allora approvate da Roma che si prodigò per fornire alle donne una struttura organizzata che permettesse loro di entrare negli ordinamenti ecclesiastici riconosciuti. In un’ottica di politica di normalizzazione monastica, una volta salito al soglio pontificio, Ugolino lavorò assiduamente affinché fosse possibile incanalare tutto il monachesimo femminile tradizionale, oltre alle coeve comunità autonome, secondo le recenti direttive conciliari. Si realizzò quindi la stesura di una regola comune ispirata a quella benedettina che diveniva la base per i tre voti di obbedienza, povertà e castità che le donne erano tenute a rispettare. Il punto più notevole era indubbiamente l’imposizione di una rigidissima clausura che impediva alle monache di avere contatti con il mondo esterno. Cfr. A. PECORINI CIGNONI, Gregorio IX e il francescanesimo femminile: il monastero di Ognissanti a Pisa, in «Studi francescani», XCV (1998), pp. 383-406; M.P. ALBERZONI, Papato e nuovi ordini religiosi femminili, in Il papato duecentesco e gli ordini mendicanti, «Atti del XXV Convegno internazionale, Assisi, 13-14 febbraio 1998», Spoleto 1998, pp. 205-261; DE SANCTIS, Le Clarisse, p. 243; C.A. LAINATI, La clôture de Sainte Claire et des premières Clarisses dans la législation canonique et dans la pratique, «Laurentianum», XIII (1973), pp. 223-259; R. MANSELLI, La chiesa e il francescanesimo femminile, in Movimento religioso femminile e Francescanesimo nel secolo 13, «Atti del 7 convegno internazionale, Assisi, 11-13 ottobre 1979», Assisi 1980, pp. 239-261; M.P. ALBERZONI, Sorores minores e autorità ecclesiastica fino al pontificato di Urbano IV, in Chiara e la diffusione delle clarisse nel secolo XIII, «Atti del convegno di studi in occasione dell’VIII centenario della nascita di Santa Chiara, Manduria, 14-15 dicembre 1994», a cura di G. Andenna, Galatina 1998, pp. 165-194. 27 M. RIGHETTI, La chiesa di santa Chiara ad Assisi: architettura, in Santa Chiara in Assisi architettura e decorazione, a cura di A. Tomei, Cinisello Balsamo 2002, pp. 21-57; Indagini archeologiche nella chiesa di S. Damiano in Assisi, a cura di L. Ermini Pani, M.G. Fichera, M.L. Mancinelli, Assisi 2005, pp. 13-18; C. BRUZELIUS, Hearing is believing: Clarissan Architecture, ca. 1213-1340, «Gesta», XXXI (1992), pp. 83-91. 28 Ibid., p. 85; Indagini archeologiche, p. 15; RIGHETTI, La chiesa, p. 26. 29 Ibid., p. 23; DE SANCTIS, Le Clarisse, p. 247; A.M. ROMANINI, L’architettura dei primi insediamenti francescani, «Storia della città», VIII (1983), 26-27, pp. 9-14; BRUZELIUS, Hearing, p. 84. 30 Ibid., p. 83; DE SANCTIS, Le Clarisse, p. 247; ROMANINI, Il francescanesimo, pp. 191-192; Indagini archeologiche, p. 18; RIGHETTI, La chiesa, p. 26. 31 Ibid., p. 27; BRUZELIUS, Hearing, p. 84; DE SANCTIS, s.v. Clarisse, p. 91. 32 Le soluzioni adottate all’interno del S. Damiano diedero S. NICOLA DI TRISULTI: UN INSEDIAMENTO CERTOSINO FEMMINILE? il via, tra il XIII e il XIV secolo, a diverse sperimentazioni architettoniche nel tentativo di risolvere le problematiche nate dal rispetto della rigida clausura e dalla ridotta visione della funzione liturgica dal coro. Per comprendere l’evoluzione di questo particolare spazio liturgico si guardi ai casi di S. Chiara ad Assisi, S. Maria Donnaregina a Napoli, S. Pietro in vineis ad Anagni e S. Michele Arcangelo ad Amaseno. Punto di arrivo si ebbe all’interno del monastero di S. Chiara a Napoli, consacrato nel 1340, dove il coro trovò posto alle spalle dell’altare in uno spazio ricavato nel presbiterio. Cfr. RIGHETTI, La chiesa, pp. 29-38; BRUZELIUS, Hearing, pp. 84-87; A. ALABISO, M. DE CUNZO, D. GIAMPAOLA, A. PAZZULLO, Il monastero di Santa Chiara, Napoli 1995, pp. 46-47; R.A. GENOVESE, La chiesa trecentesca di Donna Regina, Ercolano 1993, pp. 46-54; C. BRUZELIUS, The architectural context of Santa Maria Donna Regina, in The Church of Santa Maria Donna Regina. Art, iconography and Patronage in Fourtheenth-Century Naples, edited by J. Elliott, C. Warr, Aldershot 2004, pp. 79-22; F. FASOLO, Presentazione di rilievi di studenti della Facoltà di Architettura di Roma relativi alla Villa romana di Lago S. Puoto, ai monasteri di S. Spirito di Zannone in Gaesta, di S. Michele Arcangelo di Amaseno e del Palazzo Zaccaleoni in Priverno, «Bollettino dell’Istituto di storia e di arte del Lazio meridionale», IV (1966), pp. 63-77; M. BOEHM, Wandmalerei des 13. Jahrhunderts Klarissenkloster S. Pietro in Vineis zu Anagni. Bilder für die Andacht, Münster 1999, pp. 27-38. 33 RIGHETTI, La chiesa, p. 22; ALBERZONI, Sorores, pp. 169194. 34 Ibid., pp. 170-171; DE SANCTIS, Le Clarisse, p. 249. 35 Ne sono un esempio S. Pietro in vineis ad Anagni, S. Aurenzio a Frosinone, S. Matteo a Ferentino e S. Michele Arcangelo ad Amaseno. Cfr. DE SANCTIS, s.v. Clarisse, pp. 92-93; A. MARINI, Le fondazioni francescane femminili nel Lazio del Duecento, «Collectanea Franciscana», LXIII (1993), pp. 71-96; E. FENTRESS, Patricians, monks and nuns: the abbey of S. Sebastiano, Alatri, during the middle ages, «Archeologia medievale», XXX (2003), pp. 67-105; F. ROSSI, La badia di S. Sebastiano di Alatri, «Terra nostra», XXXII (1993), pp. 9-10, 12; C.A. BRUZELIUS, C.J. GOODSON, The buildings, in Walls and memory. The Abbey of San Sebastiano at Alatri (Lazio) From Late Roman Monastery to Renaissance Villa and Beyond, sous la direction de E. Fentress, C.J. Goodson, M.L. Laird, S.C. Leone, Turnhout 2005, pp. 108-112. 36 RIGHETTI, La chiesa, p. 26; FENTRESS, Patricians, pp. 67105; ROSSI, La badia, pp. 9-10, 12; BRUZELIUS, GOODSON, The buildings, pp. 108-112. 37 RIGHETTI, La chiesa, p. 26. 38 Il processo di riduzione degli spazi causato dall’imposizione della clausura, che accomuna l’architettura clariana a quella realizzata da altri ordini femminili come quello cistercense, determinò la realizzazione di strutture rispondenti ai criteri di povertà, di semplicità e di mimetismo con il contesto edilizio locale. Solitamente i monasteri appartenenti alle Damianite/Clarisse, a eccezione dei grandi complessi rappresentativi, presentavano uno sviluppo modesto e generalmente si organizzavano intorno allo spazio quadrangolare del chiostro con la chiesa inserita completamente, in pianta e in alzato, nel blocco degli edifici monasteriali. Cfr. DE SANCTIS, s.v Clarisse, p. 91; M.A. FILIPIAK, The Plans of the Poor Clares Convents in Central Italy: from the Thirteenth through the Fifteenth Century, Ann Arbor 1983, p. 23. 39 RIGHETTI, La chiesa, p. 26; BRUZELIUS, GOODSON, The buildings, pp. 111-112; ROMANINI, Il francescanesimo, p. 186; BRUZELIUS, Hearing, p. 84. 40 Più complesso è comprendere come fu impiegato il vano sottostante al coro. La porta tamponata lungo il lato ovest, che lo metteva in comunicazione con la chiesa, suggerisce una presenza differente da quella femminile; potrebbe trattarsi di un ambiente a uso maschile, la cui presenza era necessaria per lo svolgimento delle attività liturgiche e agricole necessarie alla sopravvivenza del S. Nicola. Sui rapporti tra le comunità monastiche femminili e gli uomini si veda: T. MANGIONE, Fra sviluppo e fallimenti: monasteri femminili certosini e cistercensi nel XIII secolo, in Certosini e Cistercensi in Italia, «Atti del convegno, Cuneo, Chiusa Pesio, Rocca de’ Baldi, 23-26 settembre 1999», a cura di R. Comba, Cuneo 2000, pp. 229-250. 41 RIGHETTI, La chiesa, p. 27; BRUZELIUS, Hearing, p. 84; DE SANCTIS, Clarisse, p. 91. 42 Il ramo femminile dell’ordine nacque intorno al 1145, quando le monache del monastero di Prébayon in Provenza, che fino a quel momento avevano seguito la regola di san Cesario di Arles, chiesero al priore di Chartreuse Anselmo di poter essere affiliate all’ordine fondato da san Bruno, la cui regola risultava affine. Tra il Duecento e il Trecento le grandi fondazioni benedettine persero capacità attrattiva e le figlie e le vedove delle élites, cittadine o signorili, cominciarono a rivolgersi sempre più spesso ai conventi fondati dai rami femminili degli ordini di stampo eremitico, come quello certosino. All’inizio l’organizzazione della vita delle monache non si discostò molto da quella benedettina, soprattutto perché l’estrema povertà predicata dagli ordini eremitici risultava difficilmente applicabile alle donne. La regola di san Bruno apparve gravosa per le monache che fin dai primi tempi apportarono diverse modifiche ai rigidi schemi certosini. Le monache di Prébayon, ad esempio, per la grande scarsezza di mezzi economici di cui disponevano, non dotarono mai il proprio complesso monastico di celle autonome, ma si raccolsero in un edificio unico dove continuarono a vivere in comunità secondo le normali istanze cenobitiche benedettine. Cfr. M.A. TETI, Certose e certosine: un mondo da esplorare, in San Bruno di Colonia: un eremita tra Oriente e Occidente, a cura di P. De Leo, Soveria Mannelli 2004, pp. 211-242; RIGHETTI, s.v. Certosini, p. 634; G. ZARRI, Aspetti dell’esperienza eremitica femminile: una tipologia di lungo periodo, in San Bruno di Colonia: un eremita tra Oriente e Occidente, a cura di P. De Leo, Soveria Mannelli 2004, pp. 205-206. 43 ANIEL, Les maisons, p. 111; LEONCINI, Arte, p. 98. 44 Sul controllo pontificio dei territori di Campagna e Marittima a scopi difensivi, si veda: S. CAROCCI, Baroni di Roma. Dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel Duecento e nel primo Trecento, Roma 1993, pp. 93-96, 372. 45 Per un approfondimento di tipo documentario si veda: A.A. SECHI, La certosa di Trisulti da Innocenzo III al Concilio di Costanza, 1204-1414: note e documenti, Salzburg 1981, pp. 77-143; J. HOGG, The charterhouse of Trisulti, in La certosa di Trisulti, a cura di J. Hogg, M. Merola, G. Leoncini, Salzburg 1991, pp. 17, 23. Sull’importanza del luogo basterà ricordare che questa fu la prima certosa edificata all’interno del Patrimonio di san Pietro: B. BOLTON, Carthusians at San Bartolomeo di Trisulti: Innocent III’s troublesome gift, in L’Ordine Certosino e il Papato dalla fondazione allo scisma d’Occidente, a cura di P. De Leo, Soveria Mannelli 2003, pp. 71-94. 46 MANGIONE, Fra sviluppo, p. 234. 47 S. Maria di Buonluogo, che non ha conservato nulla della sua facies medievale, ha subito nel corso dei secoli pesanti rimaneggiamenti che non permettono di comprenderne l’aspetto originario. Doveva comunque appartenere alla più antica tipologia della certosa femminile come casa rurale sullo stampo di Prébayon, modello seguito probabilmente anche da Trisulti. Cfr. ZARRI, Aspetti, pp. 205-206; TETI, Certose, pp. 219- 224; S. CHIARIBERTO, Certose di Buonluogo, Belmonte e Molar di Bricherasio, in Analecta cartusiana, herausgegeben von J. Hogg, A. Girard, D. Le Blevec, I, Salzburg 2001, pp. 101-120; DEVAUX, L’architecture, p. 12; 163 VALERIA DANESI G. BELTRUTTI, Le certose d’Italia: il Piemonte, «Analecta Cartusiana», LXXXIII (1981), 2, pp. 199-206; RIGHETTI, s.v. Certosini, p. 634; ANIEL, Les maisons, p. 42; S. PROVANA DI COLLEGNO, Notizie e documenti di alcune certose del Piemonte, «Miscellanea di Storia Italiana», XXXII (1895), pp. 147-154; R. COMBA, La prima irradiazione certosina in Italia: fine XI secolo – inizi XIV, «Annali di storia pavese», XXV (1997), pp. 34-53. 48 Maisons de l’Ordre des Chartreux. Vues et notices, I, Montreuil 1913, pp. 45-46; DEVAUX, L’architecture, p. 31. 49 ANIEL, Les maisons, p. 10; B. BLIGNY, Recueil des plus an- ciens actes de la Grande-Chartreuse, 1086-1196, Grenoble 1958, p. 3. 50 MANGIONE, Fra sviluppo, p. 235; ANIEL, Les maisons, p. 11. 51 J. HOGG, The Carthusian nuns: a survey of their sources, «Analecta Cartusiana», II (1993), pp. 27-48; K. ELM, Questioni e risultati della recente ricerca sui Cistercensi, in I Cistercensi nel Mezzogiorno medievale, «Atti del convegno internazionale di studi in occasione del IX centenario della nascita di Bernardo di Clairvaux, Martano Latiano, Lecce, 25-27 febbraio 1991», a cura di H. Houben, B. Vetere, Galatina 1994, pp. 7-31; MANGIONE, Fra sviluppo, p. 240. S. NICOLA AT TRISULTI: A CARTHUSIAN SETTLEMENT FOR WOMEN? Valeria Danesi The monastery of S. Nicola at Trisulti is situated near Civita, a suburb of the small town of Collepardo in the province of Frosinone, only a few kilometers far from the famous Carthusian monastery. It could be the first and only female Carthusian settlement in central Italy. The total lack of sources does not permit to have a clear picture of its history, whereas the architectural remains of the building — despite the state of disrepair for its usage as a barn and the number of rearrangements through the centuries — seem to suggest two different phases of construction. The second phase should date th back to the 13 century, as suggested by some architectural elements close to the local Gothic style, such as the pointed arched windows on the northern wall of the church as well as the close similarities with the opposite monastery of S. Domenico, the domus inferior of the Carthusian lay brothers, also dated at the 13th century. Moreover, the wall of limestone blocks can be compared to similar walls of elite dwellings of the same period in the nearby towns of Alatri and Guarcino. Nothing can be said on the dating of the first construction phase, which the lower part of the western and the northern walls of the church seem to belong to. The presence of women in the monastery of S. Nicola is suggested by a peculiar double-storey building, attached to the western wall of the church. This building connects with the church throughout a door filled-in on its lower part by a wall, and a pointed arched window, walled up in its top. A similar architectural 164 solution can be found in other monasteries of the Damianite order of Saint Claire, such as at S. Damiano in Assisi and S. Sebastiano in Alatri. The nuns’ choir is external to the church in both these monasteries, and communicates with it throughout a sort of opening/window that allows the nuns to listen to the religious functions. The external choir gives also access to other monastic areas, such as the dormitory. The creation of this peculiar architectural space could be related to the rigid enclosure imposed in 1218 to all female monastic orders by cardinal Ugolino dei Conti di Segni (who would become pope Gregory IX later on, in 1227). Monastic orders had to intervene on their architectures with the creation of new spaces and internal routes, in order to guarantee the strict enclosure of their sorores, and avoid them to leave the monastery. The upper floor at S. Nicola with its walled up window seems to have the same function of the Damianite choir. The modern window on the eastern wall is a rework of a door that was used to connect the choir to the cenoby — only the remains of two of its perimeter walls are still preserved today — creating the same kind of internal continuous communication of the monastic spaces, typical of the order of Saint Claire. The rigid enclosure followed by the Carthusian monks initially implied the categorical exclusion of women from the surroundings of charterhouses. Despite the full prohibition, it is likely that the strict rule may have slightly loosened in a second moment, justifying the foundation of a female Carthusian monastery near Trisulti.