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1. Il castrum Caetani sulla via Appia. Architettura e storia di una residenza baronale, in Una strada nel Medioevo. La via Appia da Roma a Terracina, a cura di M. Righetti, Roma 2014, pp. 31-42

The commission of Bonifacio VIII (1294-1303) at the Castrum Caetani on via Appia: architecture and conception.

Una strada nel Medioevo La via Appia da Roma a Terracina a cura di Marina Righetti Saggi di storia dell’arte Campisano Editore Una strada nel Medioevo La via Appia da Roma a Terracina a cura di Marina Righetti Campisano Editore Volume pubblicato con i fondi delle ricerche PRIN  «Tracciati viari e architettura: per un atlante del Lazio meridionale nel Medioevo» e PRIN  «Le vie del gotico tra lo Stato della Chiesa e il Regno di Sicilia: nuove prospettive di ricerca con repository istituzionale dei risultati», finanziate dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca In copertina, Matthijs Bril, Veduta del Sepolcro degli Scipioni sulla via Appia Antica (Parigi, Louvre, Cabinet des dessins, inv. , recto) Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. Progetto grafico Gianni Trozzi © copyright  by Campisano Editore Srl  Roma, viale Battista Bardanzellu,  Tel +   - Fax +   [email protected] www.campisanoeditore.it ISBN ---- Indice p.  Itinerari tra Roma e Terracina nel Medioevo: l’Appia e il suo sistema viario Marina Righetti  La chiesa di San Gabriele, o dei Sette Dormienti di Efeso Nicoletta Bernacchio  Il castrum Caetani sulla via Appia. Architettura e storia di una residenza baronale Maria Rosaria Rinaldi  L’incastellamento lungo la via Appia: i casi di Albano, Ariccia, Genzano e Lanuvio Maria Sole Cardulli  Insediamenti e viabilità nel Medioevo tra Velletri e Terracina. La via Appia, la via Pedemontana e le vie secondarie nel tratto pontino Elisa Parziale  Testimonianze scultoree carolinge a Cori e nel suo circondario Fabio Betti  Il palazzo del Comune in Marittima. Priverno e i casi di Terracina, Sezze, Ninfa e Velletri Roberta Cerone  Gli insediamenti degli Ordini mendicanti nella Marittima medievale: il caso di San Domenico di Terracina Livia Patta  Nuovi dati per la storia costruttiva e decorativa della cattedrale di Terracina nel Medioevo Maria Teresa Gigliozzi, Mariella Nuzzo  Nuovi elementi per la fase altomedievale della cattedrale di Terracina e inedite testimonianze dell’intervento ‘desideriano’ Maria Teresa Gigliozzi  La decorazione pittorica della cattedrale di Terracina dal X al XIV secolo alla luce delle recenti scoperte. Dall’influenza beneventana alla pittura della Riforma, ai percorsi delle botteghe cavalliniane nel Lazio meridionale Mariella Nuzzo APPARATI  Bibliografia  Gli autori Il castrum Caetani sulla via Appia. Architettura e storia di una residenza baronale Maria Rosaria Rinaldi Al principio del XIV secolo il cardinale Francesco Caetani, con il favore dello zio Bonifacio VIII (-), acquistava la tenuta di Capo di Bove sull’Appia, l’unica fondazione castrense promossa dalla famiglia anagnina all’interno di quel processo di rapida espansione nei territori della Campagna e della Marittima condotto nell’arco di pochissimi anni, tra il  e il  (figg. -) 1. Ben sette atti conservati nei registri papali attestano l’acquisizione del sito e la seguente trasformazione in un castrum munito di una cappella, dedicata a san Nicola, di un palazzo e di una cinta muraria, che comprendeva e comprende tuttora al suo interno il mausoleo di Cecilia Metella 2. Nell’affrontare lo studio di un complesso già diffusamente analizzato dalla critica e spesso menzionato tra gli exempla di architettura castellare di area romana – peraltro uno dei pochi castra due-trecenteschi del territorio ancora quasi del tutto godibile nella sua facies originaria 3 – sono molteplici gli aspetti da prendere in considerazione, a partire da quello storico, dato che solo recentemente è stato chiarito il complicato meccanismo che segnò il passaggio del casale agricolo, appartenente alla famiglia romana dei Gabelluti, a Francesco Caetani 4. Il complesso non fu infatti acquisito mediante un unico atto dal cardinale, ma vennero effettuate più vendite di diverse porzioni del castrum, che passò prima nelle mani di altre famiglie e una parte di esso arrivò addirittura al Caetani come donazione («ex mera liberalitate») da parte di Luca Savelli 5. L’intricata vicenda delle compravendite è stata interpretata alla luce della rapidità con cui si volle portare a termine le acquisizioni, tanto che in qualche caso il papa e il cardinale, frettolosi di impossessarsi della tenuta, non tennero conto di porzioni di terreno spettanti in eredità a figli e nipoti della famiglia romana 6. Ad ogni modo, cessioni, vendite e donazioni, iniziate nel marzo del , si conclusero in poco più di un anno, quando il  maggio  fu  MARIA ROSARIA RINALDI consacrata l’«ecclesia» di San Nicola, dotata di «jura parrocchialia», e si sancì la fine dei lavori promossi dal cardinale: «Constitur ecclesia parrochialis in castro apud locum, qui dicitur Capudbovis, constructo» 7. Al posto del casale agricolo dei Gabelluti, che comprendeva una cospicua serie di edifici, case, boschi e pascoli 8, venne dunque costruito, come recita il documento, un castrum, ossia una struttura a carattere difensivo, con una cinta muraria, un palazzo turrito e una chiesa, presto occupato da una popolazione residente. Fortunatamente, come si è accennato, il complesso mostra ancora oggi, seppur con qualche modificazione, l’assetto trecentesco; sono ancora ben distinguibili estesi tratti della cinta muraria, il palazzo con torre angolare e la cappella di San Nicola, questi ultimi privi delle coperture originarie (figg. , ). Accostabile a un primo sguardo ai complessi aristocratici dell’Urbe che terminarono il loro processo di sviluppo durante il XIV secolo 9, come quello dei Savelli sull’Aventino 10 o degli Orsini a Montegiordano, così ampio da ospitare al suo interno una chiesa a tre navate 11, il castrum sull’Appia aveva però una caratteristica che lo allontanava dalle residenze baronali intra urbem. Queste, infatti, sorsero mediante lunghi processi di occupazione dello spazio urbano da parte di famiglie o gruppi di famiglie legate da vincoli di parentela 12, mentre Capo di Bove, costruito in pochissimo tempo, doveva assomigliare piuttosto a una sorta di piccolo villaggio feudale, popolato da una nutrita comunità di abitanti, come attesta la memoria dell’esistenza di più di cinquanta case e di un’altra chiesa dedicata a san Biagio 13. Abbandonato subito dopo la fondazione, a causa della rapida discesa della famiglia dopo la morte del pontefice 14, nel  il sito finì nelle mani dei Savelli e fu luogo di scontro tra questi ultimi e Enrico VII 15. Dopo la partenza dell’imperatore il castello fu occupato dai Colonna 16; successivamente, nel , Paolo Orsini trascorse una notte nel castello durante il suo viaggio alla volta di Napoli dove lo aspettava Ladislao di Durazzo 17. E ancora nel  il monumento fu assediato dagli Orsini, che furono poi cacciati dalle milizie di Innocenzo VIII (-) 18. Nel , secondo quanto riporta Lanciani, il castrum, insieme alla vicina tomba di Cecilia Metella, fu oggetto di attenzione da parte di Sisto V (-), che voleva distruggerlo per ricavarne marmi antichi, ma venne fortunatamente risparmiato grazie all’intervento del conservatore Paolo Lancellotti 19. A quel tempo esso era già divenuto un casale, in accordo con il processo di trasformazione dei castra in casali agricoli,  IL CASTRUM CAETANI SULLA VIA APPIA. ARCHITETTURA E STORIA DI RESIDENZA BARONALE che interessò la maggior parte delle fortificazioni della Campagna Romana tra il XV e il XVI secolo 20. Convertito in ‘museo a cielo aperto’ agli inizi del Novecento, quando Muñoz ricollocò qui il materiale archeologico ritrovato nel  durante la costruzione del forte Appio (principalmente cippi di travertino e peperino e una notevole collezione di frammenti scultorei) 21, il castello presenta oggi la facciata ricoperta da marmi e la porta d’accesso originaria, su cui campeggia lo stemma Caetani, murata (fig. ) 22. Le mostre di marmo delle bifore furono rifatte a partire dal calco di una finestra superstite (fig. ) 23, mentre le due nicchie aperte sulle pareti di uno degli ambienti al pianterreno del palazzo recavano affreschi con rappresentazioni di vasi e bottiglie, oggi non più facilmente distinguibili (fig. ) 24. Le sale, disposte a L, si distribuivano intorno al cortile (E) (fig. ), da cui saliva una scala che serviva i piani superiori (fig. ) e al ballatoio con mensole che collegava il palazzo al mausoleo di Cecilia Metella 25 (fig. ). All’interno, la grande stanza rettangolare (A) era connessa a un ambiente più piccolo tramite un arcone in tufo, ripetuto anche nel passaggio dal vano C al vano B, mentre al piano superiore gli ambienti A e B erano collegati tramite una porta (fig. ). Le due grandi arcate che scandiscono il passaggio delle sale a pianterreno furono chiuse in una fase successiva alla costruzione e riaperte da Muñoz, come risulta da una foto scattata tra il  e il , in cui sono ancora visibili le tamponature 26 (fig. ). Il salone A e il corrispondente livello superiore avevano un carattere rappresentativo, come testimoniato dalle tracce di affreschi e dai camini (figg. , ). L’altra ala del palazzo (sale B e C) era invece prevalentemente destinata ai servizi, data la presenza di una latrina situata nella torre angolare (fig. ) 27. Quest’ultima, suddivisa in tre piani, presenta infatti al secondo livello una nicchia semicircolare, realizzata in spessore di muro, dotata di un sedile in muratura e di un sottostante canale di scolo che termina al piano terra (figg. ). I confronti più prossimi sono costituiti dalla duecentesca torre del palazzo papale di Viterbo, provvista di latrine realizzate anche qui mediante nicchie semicircolari e canali di scolo 28 e dalla torre del palazzo papale di Avignone (fig. ) 29. La lettura storico-artistica dell’intero complesso prende le mosse da un contributo di Marina Righetti, in cui si analizzava in maniera dettagliata la chiesa di San Nicola 30. In quell’occasione, del piccolo edificio religioso, a navata unica, fu rilevata in primo luogo la «valorizzazione della parete come piano luminoso», un carattere squisitamente gotico,  MARIA ROSARIA RINALDI per il quale esso usciva «dal suo apparente isolamento per diventare tessera, e non trascurabile, di un fenomeno più ampio, interessante, di portata europea» e legato profondamente alle innovazioni prodotte dal radicamento della cultura artistica di matrice angioina entro i confini del Regnum e a Roma 31. Ciò valeva, e vale tuttora, non solo per l’architettura, ma anche per alcuni elementi di «bauplastik» cistercense, come le mensole su cui poggiavano gli archi trasversi, ora scomparsi (fig. ) simili a quelli dell’abbazia di Royaumont e condotti qui presumibilmente dai monaci di quella stessa abbazia, chiamati da Carlo I a fondare Realvalle 32. La chiesa ha inoltre in comune con numerose cappelle palatine d’Oltralpe costruite tra XII e XIII secolo l’intitolazione a san Nicola, che sembra la dedica più significativa per i luoghi di culto destinati a gruppi ristretti di fedeli, forse a partire da precedenti notevoli quali la cappella di Callisto II (-) all’interno del palatium lateranense e, ancora prima, quella del palazzo reale di Costantinopoli, commissionata da Giustiniano; quest’ultima potrebbe aver funzionato da modello, in ragione del suo straordinario committente 33. Anche San Nicola a Capo di Bove era stata concepita come vera e propria cappella di palazzo per accogliere un pubblico esiguo, forse legato alla famiglia del cardinale 34. Invece di essere doppia ‘verticalmente’ come la maggior parte degli esempi noti, questa sarebbe stata scomposta in due sul piano orizzontale, data la presenza dell’altra chiesa di San Biagio menzionata nelle fonti 35. Peraltro, restando nell’ambito delle committenze promosse dalla curia angioina, chiesa e palazzo posti l’uno di fronte all’altra si ritrovano nella fortezza di Lucera, un vero e proprio castrum, con «habitaciones incolarum», sorto a partire dal  36: come a Capo di Bove, la cappella mononave, sorta per volontà di Carlo I e ora scomparsa, s’innalzava proprio di fronte al palatium (fig. ). Il rapporto con l’arte angioina del Meridione sarebbe poi ulteriormente avvalorato anche dalla fantasiosa figura dell’architetto Tommaso de’ Stefani detto Masuccio II, attivo a Napoli nei primi anni del Trecento, chiamato in causa dallo storico Melchiorri come costruttore della cappella Caetani 37; benché ancorata a una leggenda, la singolare notizia certamente conferma il milieu artistico in cui rientrò la concezione architettonica della chiesa romana. L’approdo di elementi tipologici provenienti da edifici di committenza angioina e le affinità con la plastica cistercense determinano un doppio canale di lettura che credo si possa estendere, almeno in parte, all’intero complesso. All’iniziativa di maestranze cistercensi sono state  IL CASTRUM CAETANI SULLA VIA APPIA. ARCHITETTURA E STORIA DI RESIDENZA BARONALE attribuite le arcate delle due sale a pianterreno del palazzo (fig. ), in corrispondenza quasi ‘palmare’ con quelle dell’ala dei monaci nell’abbazia delle Tre Fontane 38, a cui la fabbrica del Caetani si avvicina anche per altre soluzioni stilistiche, come il disegno delle finestre e soprattutto l’insolita terminazione a gradoni dei tre prospetti (figg. , ), identica a quella documentata graficamente per l’abbazia romana 39. Il motivo, denominato Staffelgiebel, ritornava, com’è noto dal disegno di Wyngaerde ( ca), anche nel palazzo di Santa Maria in Cosmedin, sopraelevato proprio da Francesco Caetani presumibilmente al momento della sua elezione a cardinale della diaconia nel  40. Questa tipologia di facciata, originatasi in Francia nordorientale e Scandinavia, era diffusamente impiegata nel Nord-Europa. Se numerosi sono gli esempi documentati all’estero tra il XIII e il XVII secolo, soprattutto nell’edilizia abitativa a mattoni 41, non moltissimi sono i casi di area laziale, tra cui a Roma uno dei più noti è il palazzo Senatorio, così com’era raffigurato nell’Ytalia di Cimabue 42. A questi vorrei aggiungerne un altro, che potrebbe aver funzionato da modello propulsore: l’originaria facciata dell’ospedale di San Tommaso in Formis, come appare in due vedute di Giovanni Battista Falda del  e  (figg. -). L’edificio, realizzato dall’ordine francese della SS. Trinità, fondato da Giovanni de Matha e insediatosi sul Celio grazie al favore di Innocenzo III (-) a partire dal , potrebbe essere stato il primo a Roma a presentare tale terminazione 43. Sembra quindi delinearsi la circolazione di una tipologia ‘esotica’, proveniente dai territori d’Oltralpe, ormai acclarata agli inizi del XIV secolo e utilizzata in contesti edilizi di diversa natura (palazzo diaconale, abbazia cistercense, palazzo privato, palazzo pubblico), probabilmente con una valenza rappresentativa: la facciata a gradoni appare il segno distintivo di una classe aristocratica, che in questo modo imponeva simbolicamente la propria presenza sullo scenario dell’Urbe. Francesco Caetani scelse lo Staffelgiebel per entrambi gli edifici romani di cui fu committente: Santa Maria in Cosmedin prima e il castrum Caetani poco dopo; peraltro è noto che egli collezionò canonicati e priorati all’estero (York, Parigi, Arras, Lisieux, Laon) prima della nomina a cardinale e tanto più non sorprende la preferenza per una soluzione decorativa mutuata dall’Europa settentrionale e già diffusa a Roma 44. Non sembra a questo punto improbabile ammettere una datazione contemporanea per chiesa e palazzo – le cui scelte stilistiche furono condizionate verosimilmente dalla figura del giovane Caetani, commit-  MARIA ROSARIA RINALDI tente dell’intero complesso, come attestano i documenti – nonostante la mancata corrispondenza dei moduli murari, che ha portato talvolta a ritenere il palazzo di poco precedente alla chiesa di San Nicola 45. Ciò sarebbe confermato anche dai robusti contrafforti che scandiscono i fianchi della cappella, identici a quelli situati all’esterno del palazzo (figg. , ). Mostrano poi una parlata tutta romana altre soluzioni decorative, quali l’uso dei laterizi per le piattabande, le ghiere degli archi e gli oculi dei prospetti (fig. ), similmente impiegati nella casa tra via di San Paolo alla Regola e via del Conservatorio, nelle abitazioni in via Capodiferro, in via della Pace e infine nel complesso residenziale di San Paolo, datati tra XIII e XIV secolo 46. Rilevante è anche il reimpiego di bipedali di prima scelta, segno di una tecnica muraria particolarmente accurata e dunque anche di una committenza di alto rango, come fu quella cardinalizia 47. Al linguaggio artistico dell’Urbe è ispirato anche un altro particolare decorativo: gli archetti pensili su mensoline in marmo che corrono sotto l’ampio balcone (fig. ), accostabili alla serie di archetti posti sul prospetto duecentesco del palazzo Senatorio 48 (fig. ). Il palazzo e la chiesa sono inoltre compresi entro un circuito murario rettangolare, rinforzato da torrette quadrangolari sui lati lunghi, da tre torrette sugli angoli est, sud e ovest, mentre a nord funge da fortificazione la tomba di Cecilia Metella (fig. ). Sul lato settentrionale si apriva una porta ad arco, ancora visibile in alcuni disegni (fig. ), cui doveva corrispondere un altro accesso sul versante meridionale. Delle diciannove torri che cingevano originariamente il complesso ne restano soltanto dodici; le altre sono scomparse del tutto o sono state inglobate in edifici privati. A sud il recinto terminava all’altezza del civico  di via Appia Antica, dove in origine era posizionata un’altra porta 49 (fig. ). Realizzato con blocchetti di tufo e bozzette di materiale di rempiego (marmo, lava, calcare, travertino) legati da abbondante malta pozzolanica 50, il paramento mostra, a partire dalla prima torre, un aspetto più regolare, che accenna a una bicromia, con in alto blocchetti di selce e in basso bozzette di marmo (fig. ). Menzionata per la prima volta il  marzo , un anno dopo l’inizio delle compravendite e prima della consacrazione della cappella di San Nicola ( maggio ) 51, la cinta muraria dovette essere realizzata piuttosto velocemente in concomitanza con i lavori del palazzo e della chiesa intrapresi dal Caetani 52. Non è invece condivisibile, poiché non supportata né dall’analisi archeologica né dalle fonti, la reiterata opinione che il circuito murario fosse antece-  IL CASTRUM CAETANI SULLA VIA APPIA. ARCHITETTURA E STORIA DI RESIDENZA BARONALE dente al palazzo e realizzato nell’XI secolo per committenza dei conti di Tuscolo 53; lo dimostra chiaramente il prospetto esterno delle mura, costruito in addossamento alla fabbrica della domus (fig. ). Vicino ai castra commissionati dalle baronie romane a controllo delle campagne e delle arterie di accesso alla città 54, Capo di Bove si distingue sia per il suo carattere eminentemente residenziale, come testimonia l’ampio balcone che si apre sulla campagna (fig. ) e che sembra contraddire lo status di fortezza 55, sia soprattutto per la già menzionata ‘privatizzazione’ dell’Appia 56, finora un unicum nel territorio romano. La valenza di questo gesto, la chiusura di un’importante arteria pubblica, deve però essere contestualizzata con la frequentazione storica dell’area. La strada, che collegava Roma con il sud della penisola, ebbe un ruolo predominante almeno fino al VI secolo, quando Procopio di Cesarea la descriveva come una via ancora perfettamente efficiente e la identificava con uno dei principali assi per raggiungere l’Italia meridionale 57. Dopo questa fase, la strada subì un processo di ruralizzazione a più riprese, spiegabile con la diminuita frequentazione dopo la traslazione delle reliquie dalle grandi basiliche cimiteriali 58. Accanto ai santuari d’epoca paleocristiana sorsero pian piano numerose strutture produttive: mulini, fornaci, calcare e una fullonica, il cui sfruttamento si intensificò proprio tra il XIII e il XIV secolo 59; agli inizi del Trecento, dunque, la strada aveva perso la sua funzione di arteria di collegamento privilegiata ed era stata interessata al contempo da un’intensa urbanizzazione. La scelta del sito fu dunque prevalentemente simbolica: il castrum, situato a pochi passi dalle mura Aureliane, doveva rappresentare, alla stregua di un vessillo, il primo avamposto dei domini Caetani che si snodavano numerosi in Campagna e Marittima 60. L’uso della terminazione a gradoni potrebbe a questo punto sempre più identificarsi come una sigla ‘aristocratica’, che rimandava all’idea di dominio, quasi uno slogan ante litteram del potente lignaggio. A testimonianza del carattere squisitamente politico dell’operazione prima di rapido acquisto e poi di altrettanto celere costruzione del castrum, promossa dall’opera congiunta dei due abili ecclesiastici, va detto che il cardinale non risiedette mai nella domus extraurbana. Egli aveva scelto come dimora l’hospitium dei Santi Quattro Coronati, grazie, ancora una volta, all’appoggio di Bonifacio VIII, che qui gli aveva concesso il diritto di residenza – quasi si trattasse ormai di un possedimento di famiglia – al momento della sua elezione a pontefice 61. Appropriatosi del sito suburbano, dunque, l’ambizioso cardinale, aggiornato  MARIA ROSARIA RINALDI sulle tendenze artistiche del suo tempo, fondò, sulle rovine del mausoleo romano e occupando una via publica, un cittadella fortificata, a garanzia del potere indiscusso della famiglia Caetani. NOTE Il presente articolo è tratto dalla mia tesi di dottorato, Architettura e urbanistica nella Roma del XIV secolo, discussa nel 2008 presso la Sapienza Università di Roma. Ulteriori dati derivano dai miei studi condotti nell’ambito dell’assegno di ricerca presso la suddetta università (2012-2013). Desidero ringraziare la prof.ssa Marina Righetti, che mi ha seguito e indirizzato costantemente, la prof.ssa Daniela Esposito per l’indispensabile confronto sulla storia edilizia di Roma nel XIV secolo, e infine la dott.ssa Rita Paris, che mi ha accordato il permesso di visionare le relazioni degli ultimi interventi di restauro sul complesso di Capo di Bove, condotti dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma. 1 CAROCCI (2004, pp. 128-129) ha riconosciuto in questa fondazione uno degli elementi di differenziazione della famiglia Caetani rispetto alle altre baronie del Lazio, che costruirono i loro possedimenti attraverso lenti processi per tutto il corso del Duecento e nel secolo successivo. Uno dei principali meccanismi alla base della crescita della potenza baronale era proprio la fondazione di numerosi castra; i Caetani si discostarono da questo modello espansionistico e fondarono un solo castello, Capo di Bove, proprio perché la spinta fu data dall’elezione di Bonifacio VIII e il loro dominio si arrestò immediatamente dopo la sua morte. Per i lignaggi baronali duecenteschi, cfr. ID. 1993a. RIGHETTI TOSTI-CROCE 1983, p. 497, che offre una significativa lettura storico-artistica della cappella di San Nicola, abbina al sito il termine ‘privatizzazione’ a indicare l’occupazione da parte dei Caetani di un tratto piuttosto esteso della via consolare. 2 Per i documenti sulla fondazione, cfr. Le Registres de Boniface VIII 1921, nrr. 5373, 54024407. Il complesso è stato di frequente menzionato negli studi sulla via Appia e nei lavori sulla politica espansionistica di Bonifacio VIII, cfr. NIBBY 1837; CANINA 1853, pp. 87-92; BORGNANA 1866; GREGOROVIUS 1900-1901; ADINOLFI P. 1881; TOMASSETTI 1879; DIGARD 1892; LEONI, STADERINI 1907; RIPOSTELLI, MARUCCHI 1908, pp. 139-151; TOMASSETTI 19791980, I, pp. 101-114; DE CUPIS 1911, pp. 452-456; MUÑOZ 1913; ASHBY 1914, pp. 34-35; SILVESTRELLI 1914, I, p. 165; CELLI 1925, pp. 135, 140, 190, 216; CAETANI 1927-1933, pp. 151-157; AMADEI 1932, pp. 152-162; MARTINORI 1933-1934, pp. 113-115; DE ROSSI G.M. 1968; QUILICI 1968; DE ROSSI G.M. 1969, pp. 34-36; FIORANI L. 1969; PISTILLI 2004; MEOGROSSI, CEREGHINO 1986; RIGHETTI TOSTI-CROCE 1983; EAD. 1991; SPERA 1999, pp. 287-290; Via Appia 2000, pp. 45-63. Per l’analisi del sito si veda anche il più recente articolo di ESPOSITO, PASSIGLI 2008 che, con l’ausilio delle fonti documentarie e l’analisi delle strutture murarie, hanno offerto un ulteriore contributo alla sua storia. 3 Fatta eccezione per le due torri delle Milizie e dei Conti e la cinta muraria della fortezza Savelli sull’Aventino, risultano scomparse o notevolmente compromesse le altre residenze nobiliari romane realizzate tra XIII e XIV, per le quali si veda Domus et splendida palatia 2004; RINALDI 2008a, pp. 17-21; DI SANTO 2010, pp. 67-92. 4 PASSIGLI, in ESPOSITO, PASSIGLI 2008, pp. 369-383. 5 Ibid., p. 375. 6 Come nel caso della dodicesima parte del casale, appartenente a Petrus e Iannutius, eredi di Giacomo Gabelluti, che i Caetani avevano inizialmente dimenticato di pagare, cfr. Ibid., p. 376. 7 Le Registres de Boniface VIII 1921, nr. 5373. 8 Nel primo atto di vendita si afferma infatti: «…tertiam partem, […], casalis Capitis Bovis et Capitisvacce, ac omnium munitionum et monimentorum, domorum, hedificiorum, fortelli-  IL CASTRUM CAETANI SULLA VIA APPIA. ARCHITETTURA E STORIA DI RESIDENZA BARONALE ciarum, terrarum cultarum et incultarum, vinearum, silvarum, pascuorum, pratorum, aquarum, aqueductum..», cfr. Le Registres de Boniface VIII 1921, nr. 5402. 9 Si vedano a tal proposito i contributi di BROISE, MAIRE VIGUEUR 1983; CAROCCI 1993b; MAIRE VIGUEUR 2008, e il più recente DI SANTO 2010. 10 Per i confronti con il castrum dei Savelli, v. PISTILLI 1991b, p. 10 e ultimamente ESPOSITO, in ESPOSITO, PASSIGLI 2008, p. 390. 11 Per Monte Giordano, v. RINALDI 2008a, pp. 17-20 con bibliografia. 12 BROISE, MAIRE VIGUEUR 1983. 13 Cfr. CAETANI 1927-1933, I, p. 153: «In un antico inventario dell’archivio, forse ora perduto, ed intitolato Inventario delle case sottoposte alla casa nostra de piacza jabu (sic, per capo) de bove vengono ricordate ben 50 case, vari orti, la casa di un parroco esente da pigione e una chiesa di S. Biagio oltre quella castellana di S. Nicola». 14 CAROCCI 2004, pp. 130-131. 15 Il dato è testimoniato da NICOLAUS EPISCOPUS BOTRONIENSIS 1726, coll. 918-919: «Unde moti Romani cun Theutonicis ad unum castrum, quod vocatur Caput Bovis prope urbem ad duo miliaria, quod castrum erat Domini Johannis de Sabello, cucurrerunt et castra, excepta arce, acceperunt et partem combusserunt». Il castello aveva subito diversi danni, come attesta un altro passo: «Post quem mox celeri cursu procedentes Caesaris alae usuqe ad oppida Johanni faventia hostilem civem insequuntur; ex quo magna pars metu disiecta inter Capitis Bovis moenia, quod oppidum Bonifacius Papa Octavus construi fecerat, tute se recipit, parsque longiori viae lapus servata est», cfr. FERRETUS VICENTINUS 1726, col. 1107. La notizia dell’occupazione da parte dei Savelli è attestata anche da GREGOROVIUS 1900-1901, p. 244: «Dopo la coronazione [di Enrico VII], Giovanni Savelli, Anibaldo e Teobaldi di Campo de’ Fiori erano fuggiti nei loro castelli di provincia, dove l’ultimo dei tre si teneva cheto; ma gli altri due si levavano in armi i loro vassalli e incominciavano una guerra minuta. Giovanni Savelli, che possedeva il sepolcro ben munito di Cecilia Metella e la fortezza ivi eretta dai Caetani, assediò la prossima porta Appia; ed allora l’imperatore fece che Stefano Colonna, Riccardo Annibaldi e il maresciallo di Fiandra prendessero d’assalto quel forte sepolcro: le piccole borgate di Capo di Bove furono incendiate, e le milizie, tornando indietro, distrussero anche i palazzi Savelli sull’Aventino». L’autore ricorda poi un restauro voluto dagli stessi Savelli: «La fortezza fu poco tempo dopo ampliata dai Savelli e ricevette consistenza dalle prossime ruine del circo di Massenzio», cfr. Ibid., pp. 188-189. 16 ALBERTINUS MUSSATUS 1727, col. 574: «At contra alterius partis factiosi Columnenses, quisuqe illis adhaeserantm omni spe destituti, iratim in se Robertum Apuliae Regem effugerem, ad quos delendos qui mature Petrum fretrem suum transmittere destinaverat, meditati sunt. Accepere si quidem exquisito ab eius Archariis proposito, ut nec eorum assensu Urbis acceptando dominio; nec miliatrium, Castrive Capitis Bovis traditione, nullove supplicationis remedio Regium aninum demulceri posse». 17 ANTONIUS PETRUS 1738, col. 979: «Die Veneris 16. dicti mensis [Julii], recessit Ludovicus de Roma et ivit ad Caput de Bove, et in ista nocte venit Paulus de Ursinis ad dictum Ludovicum. Die Sabbati 17. supradicti mensis recesserunt ambo videlicet Pauls de Ursinis et Ludovicus cum eorum gentibus, videlicet armorum, de dicto Capo de Bove et iverunt versus Neapolim tamquam imbasciatores Domini Papae Innocenti VII ad faciendam pacem cum rege Lancislao». 18 STEFANO INFESSURA 1890, pp. 100-101, 118-119: «Item è ditto che Marino si era renduto alla ecclesia, tutto fuor che la rocca; ma poi lo martedì lo campo andò ad lui con gente della ecclesia e colli urini, et foro commandate molte persone a portare pane e vino a Capo de Bovi, dove lo ditto campo passò». 19 LANCIANI 1894, pp. 151-152. 20 Per la ruralizzazione del castrum, v. ESPOSITO, PASSIGLI 2008, p. 382. Sulle trasformazioni avvenute nel secondo Trecento e nei primi anni del Quattrocento, cfr. CAROCCI, VENDITTELLI 2004, pp. 16-17. In generale, sul casale bassomedievale, cfr. MAIRE VIGUEUR 1974; CORTONESI 1995.  MARIA ROSARIA RINALDI MUÑOZ 1913, pp. 4-5. La chiusura dell’accesso originario risale alla metà del XIX secolo e fu opera di Canina, cfr. MUÑOZ 1913, p. 13. 23 MUÑOZ 1913, p. 13. 24 Ibid., p. 14. Nel corso del XX secolo furono condotte nuove campagne di restauro. Nel 1985 emersero tre tombe d’età romana, situate all’interno del cortile, a destra dell’ingresso principale, la più recente delle quali datata ai primi anni del IV secolo d.C., cfr. MEOGROSSI, CEREGHINO 1986, p. 607. Nel 1998 sono stati effettuati saggi a piano terra e a cavallo degli ambienti B e C dai quali affiorarono la risega di fondazione del lato nord-est della residenza e una seconda risega, posta più in alto, che ha fatto pensare all’esistenza di stanze adibite a cantine, dato, questo, del tutto nuovo. Inoltre il muro individuato tra le stanze B e C a livello delle cantine e posteriore al palazzo era composto da materiale eterogeneo, di riutilizzo e legato da una malta molto friabile; ad esso era addossato uno scarico di materiali databili tra la fine del 1200 e la prima metà del 1300. Il palazzo, dunque, abbandonato subito dopo la morte di Bonifacio VIII, fu probabilmente interessato da lavori di risistemazione – forse la realizzazione di cantine e ambienti sotterranei ad uso agricolo, come testimonia appunto il muro tra B e C – che videro la sua definitiva trasformazione in casale. Infine, nell’ambiente a ridosso del mausoleo (F) sono stati trovati i resti di una latrina, tamponata da un intervento successivo, la cui presenza fu ipotizzata già da RIGHETTI TOSTI-CROCE 1983, p. 498, che individuò per prima tracce di canalizzazione. Per le notizie sugli scavi, v. Soprintendenza Archeologica di Roma, Tomba di Cecilia Metella/Castrum Caetani, scavi maggio-agosto 1998, Direzione Rita Paris. 25 La fortuna del modello residenziale sperimentato qui a Capo di Bove (palazzo con pianta a L, suddiviso in più livelli da impalcati lignei e dotato di camini a muro nelle sale superiori), fu tale che circa cinquant’anni dopo venne riproposto in un’altra fabbrica Caetani, quella di Ninfa, realizzata entro la prima della metà del Trecento, cfr. PISTILLI 2004, p. 89. 26 Presso l’ICCD è conservata un’altra immagine (E/138) che rappresenta l’arco di passaggio tra le sale B e C. 27 A questa latrina se ne aggiungeva un’altra nell’ambiente denominato in pianta con la lettera F, v. supra. 28 Le nicchie, da sempre considerate come piccoli armaria per la deposizione di oggetti preziosi, sono state identificate con latrine da GIGLIOZZI 2003, pp. 123-124. 29 VINGTAIN 1999, pp. 164-168. La torre di Avignone, per la sua collocazione fuori le mura, aveva probabilmente anche una funzione difensiva: l’ambiente al livello più alto poteva contenere armi o essere la stanza del guardiano, cfr. GIGLIOZZI 2003, p. 124. Altri esempi, situati nel Lazio meridionale, sono la torre della Noverana e la torre della mola sull’Amaseno presso Piperno che si contraddistinguono invece per l’aggetto esterno delle latrine, v. FIORANI D. 1998, pp. 62, 66. 30 RIGHETTI TOSTI-CROCE 1983. 31 Ibid., p. 500. 32 Ibid., p. 503. 33 Ibid., p. 502, anche per l’elenco delle cappelle francesi. 34 Ibid., p. 501, in cui sono messi in luce i caratteri di altre cappelle di palazzo italiane, come la cappella degli Scrovegni a Padova, o la cappella di Lagopesole, a vano unico, senza distinzione di livelli, come a Capo di Bove. 35 Ibid., p. 502. Per la chiesa di San Biagio, cfr. CAETANI 1927-1933, I, p. 153. 36 Cfr. TOMAIUOLI 1999; ID. 2005 con bibliografia. 37 RIGHETTI TOSTI-CROCE 1983, p. 500. 38 PISTILLI 1992, p. 179, figg. 36-37. 39 Ibid., pp. 179-187, fig. 43. 40 Per la ricostruzione del palazzo di Santa Maria in Cosmedin, cfr. GIOVENALE 1927, pp. 413-419. 21 22  IL CASTRUM CAETANI SULLA VIA APPIA. ARCHITETTURA E STORIA DI RESIDENZA BARONALE La diffusione di questo prospetto nelle architetture cistercensi all’estero è stata analizzata da PISTILLI 1992, pp. 184-187 con bibliografia. 42 Gli esempi finora conosciuti, oltre ai casi già citati di Santa Maria in Cosmedin, Tre Fontane e palazzo Senatorio, che ha un termine ante quem nel lavoro di Cimabue ad Assisi (1277-1280), sono i duecenteschi castelli di Piombinara, Colleferro e Sermoneta, per cui cfr. Esposito in ESPOSITO, PASSIGLI 2008, p. 389 con bibliografia. 43 Sull’ordine monastico e sul convento, cfr. MORBIDELLI 2000, a cui si deve la scoperta dell’originario prospetto a gradoni; IACOBINI 2003. 44 Per la vita del cardinale Francesco, tanto invischiato nelle questioni politiche del suo tempo da essere oggetto talvolta di fantasiose accuse, come quella di aver usato la stregoneria per eliminare il re Luigi IX, cfr. SUPINO MARTINI 1973. 45 Il palazzo è realizzato con blocchetti di tufo litoide, di forma quadrangolare, che oscillano tra un valore minimo pari a 5,2 cm circa e un valore massimo di 6,5 cm ca. L’altezza del modulo 5 varia da un minimo di 36 cm circa a un massimo di 38 cm e la malta presenta una buona quantità di inclusi di pozzolana rossa con un’altezza media dei letti pari a 2 cm; la chiesa ha invece un modulo per 5 filari di 42 cm ca. Questi dati, emersi dai rilevamenti da me condotti durante le ricerche per il dottorato, coincidono con quelli segnalati da Daniela Esposito in ESPOSITO, PASSIGLI 2008, p. 389. Secondo la studiosa, la differenza tra i tufelli del palazzo e quelli della chiesa, equivalente a un lasso temporale di non più di dieci anni, testimonierebbe due momenti costruttivi diversi: il primo sarebbe da riferire alla seconda metà del XIII secolo e spetterebbe alla ricca famiglia dei Gabelluti, mentre la seconda sarebbe stata eretta al momento dell’acquisizione del sito da parte di Francesco. In questa seconda fase, il cardinale potrebbe essere intervenuto nel palazzo con piccoli lavori di restauro tra cui la tamponatura delle porte al primo livello del cortile e la costruzione della cinta muraria, cfr. ESPOSITO, PASSIGLI 2008, pp. 388-392. 46 DE MINICIS, Strutture murarie medievali, pp. 20-21. Gli edifici sono menzionati anche in GOLZIO, ZANDER, L’arte in Roma, pp. 83, 94. 47 Il laterizio di reimpiego poteva essere di prima o di seconda scelta: nel primo caso si trattava di bipedali interi o tagliati a metà; nel secondo, di pezzetti che non superavano i 10-18 cm, cfr. DE MINICIS 1988, p. 21. 48 Questi archetti in origine erano situati anche sulla facciata prospiciente l’odierna piazza del Campidoglio, cfr. la ricostruzione del palazzo in PIETRANGELI 1960. Per le fasi dell’edificio, v. anche RIGHETTI TOSTI-CROCE 1991, pp. 80-84; ROMANO 1994; RINALDI 2008a, pp. 135-162; EAD. 2008b; EAD. 2011. 49 Qui è infatti conservata una porzione di muro che raggiunge un’altezza di circa 8 metri e che dà ragione dell’imponenza originaria del recinto. Si veda DE ROSSI G.B. 1969, fig. 14 per una pianta del sito risalente al XVI secolo, in cui sono indicate chiaramente le due porte settentrionale e meridionale. 50 Vedi anche ESPOSITO, PASSIGLI 2008, p. 386. 51 Cfr. Le Registres de Boniface VIII 1921, nr. 5407 (cinta muraria); nr. 5373 (chiesa di San Nicola). 52 Il rapporto lunghezza-profondità delle torri della cinta muraria, pari a 2:1/1,5:1, è stato interpretato come elemento datante e riferibile a un arco di tempo compreso tra il pieno XIII secolo e gli inizi del successivo, cfr. ESPOSITO, in ESPOSITO, PASSIGLI 2008, pp. 385-386. 53 TOMASSETTI 1975, p. 106; SPERA 1999, p. 290. L’ipotesi è stata recentemente confutata anche da ESPOSITO, in ESPOSITO, PASSIGLI 2008, p. 371. 54 Cfr. CAROCCI, VENDITTELLI 2004; ESPOSITO 2005. Un complesso apparentato al castrum Caetani è il casale di Malborghetto (PISTILLI 1991b, p. 10), risalente alla metà del XIII secolo. Anch’esso infatti è situato nei pressi di un’arteria stradale, la via Flaminia, importante per il commercio e la viabilità verso nord, cfr. MESSINEO 1984, p. 9. Sorto sui resti di un arco risalente al IV secolo d.C., esso era corredato da una cinta muraria di cui restano attualmente pochi tratti. A differenza del castello Caetani, però, costruito proprio a cavallo del tracciato stradale, l’insediamento di Malborghetto ebbe una vicenda diversa. Infatti la via Flaminia 41  MARIA ROSARIA RINALDI attraversava l’arco d’età tardo-antica mediante un passaggio pedonale; in seguito l’arco fu inglobato nel casale duecentesco e la strada venne probabilmente deviata, in modo tale da affiancarsi alla fortificazione medievale, che non chiudeva, a differenza di quanto avveniva nel castrum Caetani, il tracciato della via, cfr. Ibid. In prossimità Capo di Bove, invece, è da segnalare la fortezza Annibaldi, il castrum Sancti Ianuarii (seconda metà del XIII secolo), simile al castello Caetani anche per alcune soluzioni costruttive e decorative, ma posizionato a fianco della via Appia e corredato da una chiesa situata fuori dalle mura, v. PARZIALE 2004. 55 RIGHETTI TOSTI-CROCE 1983, p. 498. Nell’ambiente con balcone furono ritrovati i resti di un pozzo per la raccolta dell’acqua – elemento essenziale nelle residenze nobiliari –, che fu notevolmente modificato sia durante i restauri di Muñoz sia nell’Ottocento. Al di sotto delle murature moderne sono state messe in luce due fasi precedenti: la più antica in peperino e la successiva con paramento in tufo, cfr. Soprintendenza Archeologica di Roma, Tomba di Cecilia Metella/Castrum Caetani, scavi maggio-agosto 1998, Direzione Rita Paris. Per le cisterne nelle dimore signorili, cfr. BROISE, MAIRE VIGUEUR 1983, p. 151. 56 RIGHETTI TOSTI-CROCE 1983, p. 497. 57 PROCOPIO, La guerra gotica, 1, 14. La fortificazione del mausoleo di Cecilia Metella a scopo difensivo, proprio per l’importante frequentazione della strada, era stata ipotizzata già nel VI-VII secolo, cfr. QUILICI 1968, p. 37; ID. 1977, p. 48; ID. 1989b, p. 41. 58 SPERA 1999, p. 430. La traslazione delle reliquie, iniziata già nel VII secolo, si intensificò a partire dal IX secolo. 59 Ibid., pp. 431-434. 60 Non a caso Carocci ha parlato di ‘principato’, in riferimento all’ambizioso progetto dei Caetani di costruire un «vasto dominio compatto», cfr. CAROCCI 2004, p. 129. L’unicità dell’insediamento di Capo di Bove rispetto ad altri castra è data infatti proprio dal suo collocarsi a cavallo del tracciato stradale. 61 BARELLI 1999, p. 123, n. 18. Francesco Caetani vi abitò fino al 7 febbraio 1304. . Roma, castrum Caetani, veduta del prospetto su via Appia Antica (foto Autore) . Pianta del complesso (da Via Appia , pp. -) . Pianta del palazzo e del mausoleo (da MEOGROSSI, CEREGHINO , p. ) . Roma, castrum Caetani, cappella di San Nicola (foto Autore) . Roma, castrum Caetani, palazzo, porta d’ingresso originaria (foto Autore) . Roma, castrum Caetani, palazzo, prospetto su via Appia Antica, facciata con bifore (foto Autore) . Roma, castrum Caetani, palazzo, ambiente A, nicchia con affreschi (foto Autore) . Roma, castrum Caetani, palazzo, cortile E, tracce della scala (foto Autore) . Roma, castrum Caetani, palazzo, cortile E, ballatoio (foto Autore) . Roma, castrum Caetani, palazzo, ambiente B, camino (foto Autore) . Roma, castrum Caetani, palazzo, arco di passaggio tra A e B (da Via Appia , fig. ) . Roma, castrum Caetani, palazzo, torre-latrina (G) (foto Autore) . Roma, castrum Caetani, palazzo, torre-latrina (G) (foto Autore) . Roma, castrum Caetani, palazzo, torre-latrina (G) (foto Autore) . Avignone, palazzo papale, torrelatrina (da GIGLIOZZI , p. ) . Roma, castrum Caetani, cappella di San Nicola (foto Autore) . Lucera, pianta del castrum, palazzo (), cappella () (da TOMAIUOLI , fig. ) . Roma, castrum Caetani, palazzo, arco tra le sale A e B (foto Autore) . Roma, castrum Caetani, ambiente A (foto Autore) . Roma, San Tommaso in Formis (da G.B. FALDA, Li giardini di Roma: con le loro piante, alzate, e vedute in prospettiva, disegnate ed intagliate da Gio. Battista Falda, Nuovamente date alle stampe con direttione e cura di Gio. Giacomo de Rossi, Roma [s.a.], tav. ) . Roma, San Tommaso in Formis (da G.B. FALDA, Li giardini di Roma: con le loro piante, alzate, e vedute in prospettiva, disegnate ed intagliate da Gio. Battista Falda, Nuovamente date alle stampe con direttione e cura di Gio. Giacomo de Rossi, Roma [s.a.], tav. -) . Roma, castrum Caetani, esterno (foto Autore) . Roma, castrum Caetani, palazzo, balcone (foto Autore) . Roma, palazzo Senatorio, archetti pensili (foto Autore) . Roma, castrum Caetani, disegno di G.A. Dosio, - (da Via Appia , fig. ) . Roma, castrum Caetani, cinta muraria (foto Autore) . Roma, castrum Caetani, cinta muraria (a sinistra), palazzo (a destra) (foto Autore)