ricerche sul ’600 napoletano
saggi e documenti 2010-2011
Valeria Manfrè, Ida Mauro
Rievocazione dell’immaginario asburgico:
le serie dei ritratti di viceré e governatori nelle capitali dell’Italia spagnola
“Sólo a los Reyes y a los Príncipes fue permitido retratarse, quando huviesen hecho cosas grandes, y governado bien, sirviendo esto de
cierto premio honroso a su mucho valor, animando con esto a los que sucediesen al govierno para que a su imitación procediesen con
bondad y con justicia”.
Vincente Carducho, Diálogos de la pintura (1633)1.
Riconoscere i meriti del buon governante e fare di lui un modello per i suoi successori: era questa la funzione didattica e politica attribuita al ritratto da Vicente Carducho, con un piglio polemico verso quella “febbre del ritratto” che, tra il XVI e il
XVII secolo, aveva incrementato la richiesta di questo genere pittorico e dato il via a numerose collezioni di immagini di uomini illustri in diversi centri europei2.
Nascono in questo contesto le serie di immagini dei rappresentanti del potere spagnolo in Italia, che effigiavano viceré e governatori con quella gravedad – espressione di dignità politica e morale – caratteristica dei ritratti dei monarchi della casa d’Austria. La prossimità ai loro sovrani rendeva riconoscibile, e “visibile”, la carica di viceré o governatore e la successione di ritratti ispirati allo stesso modello ribadiva la continuità del dominio spagnolo, rappresentato dalla dinastia immaginaria dei
suoi ministri.
Seguire la storia di questi gruppi di dipinti, attualmente scomparsi nel loro insieme, permette di analizzare i legami tra i centri dell’Italia spagnola (incrementati dalla circolazione dei ministri tra le diverse corti), di trovare similitudini tra le storie,
spesso oscure, dei palazzi reali che ospitarono queste serie – autentici palinsesti architettonici – e, soprattutto, di osservare
la straordinaria longevità del ritratto di corte “alla spagnola” in Italia, il principale genere pittorico esportato dalla Penisola
Iberica durante la prima età moderna3.
Nelle pagine seguenti presenteremo i primi risultati delle nostre ricerche su questo tema complesso e affascinante, raccogliendo
e confrontando le fonti e gli studi dedicati a questi ritratti alla luce di nuovi dati documentari.
Le tipologie dei ritratti ancora esistenti: Perù e Messico
Le prime serie di ritratti vicereali nascono nei territori conquistati dalla casa d’Austria nelle Americhe. Realizzate contestualmente
alla codiicazione del genere del ritratto di corte, mostrano una diretta inluenza di iconoteche europee di sovrani e arcivescovi. Queste precoci rappresentazioni del potere vicereale sono anche le uniche ad essere giunte ino ai nostri giorni e a testimoniare le caratteristiche che ritroveremo nelle serie dei regni italiani.
Per capire le ragioni della nascita della prassi dei ritratti vicereali in territori così distanti dai centri di produzione artistica e
culturale del Rinascimento, bisogna considerare che la comunicazione attraverso le immagini ebbe un valore più forte nei
viceregni d’oltreoceano che nei centri italiani. L’élite spagnola – rappresentata da nobili, viceré, presidenti dell’udienza, capitani generali, governatori – portò con sé dalla capitale iberica le effigi reali che servirono come nesso di comunicazione tra
la popolazione ed i viceré4 e che, attraverso il rituale con cui venivano mostrate ai sudditi, supplivano a tutti gli effetti l’assenza isica del sovrano5. Queste immagini vennero in seguito commissionate direttamente ad artisti creoli ed indigeni. Il ritratto di corte e la pittura religiosa, dunque, trasmisero le immagini del potere nelle Americhe e, allo stesso tempo, introdussero gli stilemi della pittura rinascimentale europea6.
A Lima, capitale del viceregno del Perù, creato nel 1542, si conserva la serie completa dei ritratti dei viceré, datati tra il XVI
e il XIX secolo7. Nel Museo Nacional de Antropología, Arqueología e Historia del Perú, sono custoditi i ritratti dal governatore don Francisco Pizarro, conquistatore e fondatore della città di Lima nel 1535, ino a don José de la Serna e Hinojosa, viceré deposto nel 18248.
Il museo di Lima è ospitato nell’antico palazzo dei viceré, residenza e sede del governo peruviano, nel cui Salón General era
esposta la serie dei ritratti, che durante gli anni soffrì diversi trasferimenti, anche se riuscì a sopravvivere alla dispersione dovuta all’occupazione cilena dal 1881 al 18839. Purtroppo non tutti i ritratti sono originali, ad esempio quelli dei viceré del
XVI secolo sono delle copie realizzare nell’Ottocento e non si conosce la fonte utilizzata dai ritrattisti. Il museo conserva an-
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RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO
che tutti i ritratti del secolo XVII, in cattivo stato di conservazione e di pessima qualità pittorica. I ritratti dei secoli XVIII e XIX,
a differenza dei precedenti – tutti anonimi – sono irmati da importanti pittori locali10. La galleria dei viceré a Lima era collocata
in una stanza presieduta dal ritratto del monarca regnante, circondato
dai viceré ordinati in ordine cronologico. Tutti i dipinti erano eseguiti secondo lo schema compositivo del ritratto di corte iberico:
la igura è rappresentata in piedi, di medio proilo vicino ad un tavolo, con fondo neutro o con un tendaggio di velluto rosso. Alcune
igure sostenevano tra le mani un biglietto o un bastone di comando
o dei guanti o un cappello, altre avevano nella cintura la chiave che
gli veniva consegnata durante l’entrata trionfale del viceré nella capitale. La gran parte di questi elementi si ritroveranno nelle serie
dei ritratti italiani11.
Tra i vari dipinti peruviani si conserva il ritratto di Diego de Benavides, VIII conte di Santisteban, viceré a Lima dal 31 luglio del
1661, che è di particolare interesse perché raffigura il padre del viceré di Sardegna, Sicilia e Napoli Francisco de Benavides, protagonista delle prossime pagine12. Il dipinto (olio su tela, cm
101x180) si trova nel deposito del museo ed è in pessimo stato di
conservazione13 (ig. 1).
Uno schema differente si riscontra nei ritratti del viceregno di Nueva España, creato il 17 aprile del 1535. In Messico incontriamo due
serie di dipinti, una si conserva nel Museo Nacional de Historia
de Mexico, al Castillo di Chapultepec e l’altra nel Sálon del Cabildo
dell’ex palazzo municipale di Città del Messico. La serie che si conservava nell’antico Palacio Real (oggi Castillo di Chapultepec) fu
distrutta a causa di un incendio provocato nel corso di un tumulto
nel 1692 e i ritratti si restaurarono con l’aiuto delle copie della serie dell’antico municipio.
La prima notizia riguardante questi ritratti del Castello di Chapultepec si ritrova nella relazione redatta da don Isidro Sariñana y
Cuenca dei funerali di Filippo IV che si celebrarono in Messico nel
maggio del 1666 (Llanto del Occidente), nella quale “esta ceñida la
descripcion del Palacio de Mexico. Interpuesta en relacion de las
Exequias de un Rey”14. La sala che li accoglieva era ornata da colgaduras di damasco carmesi alle pareti, un baldacchino di broccato rosso e oro decorato con lo scudo delle armi reali, dove era situato il ritratto del monarca regnante, mentre i ritratti dei viceré
precedenti erano collocati nella fascia superiore delle pareti15.
I viceré erano effigiati a mezzo busto, leggermente di proilo, senza alcun altro elemento accessorio (in pochi casi si vede una tenda “di testa” che movimenta il fondo – generalmente scuro – del
dipinto) eccetto il blasone della sua famiglia, raffigurato in un angolo. Nella fascia inferiore vi erano le consuete indicazioni sul nome
e il titolo nobiliario del viceré, con brevi accenni alla sua carriera
politica. I primi dipinti risalgono ai primi decenni del XVI secolo e il loro modello iconograico è seguito fedelmente ino all’Ottocento16. Tra i pezzi della serie, abbiamo scelto il ritratto di un viceré del Settecento, Baltasar de Zúñiga y Guzmán, su cui ritorneremo nelle prossime pagine17 (ig. 2).
La tipologia peruviana o messicana, entrambe eredi dell’austera maestosità dei ritratti d’apparato spagnoli, si riscontrerà nelle serie dei
rappresentanti dei sovrani iberici in Italia, nate in circostanze diverse dalla ine del Cinquecento in poi.
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Da Palazzo Ducale a Palazzo Regio: la serie dei ritratti
dei governatori di Milano e l’adattamento della loro residenza
al cerimoniale spagnolo
La prima serie di ritratti dei rappresentanti della corona spagnola
in Italia vide la luce a Milano, capitale dell’ultimo stato italiano che
entrò a far parte dei domini della casa d’Austria.
Fino a ine Cinquecento nelle capitali dei principali regni nella penisola iberica si era assistito all’imposizione sistematica di gallerie
di ritratti di sovrani, volti a indicare una continuità dinastica tra i
re di Castilla e d’Aragona e i nuovi monarchi Asburgo18. Nelle residenze reali, invece, le immagini di importanti ministri e generali fecero la loro comparsa accanto alle teste coronate; come nella
celebre galleria dei ritratti del real sitio del Pardo, allestita da Filippo
II nei primi anni del suo regnato, utilizzando ben diciassette dipinti provenienti dall’analoga iconoteca fatta realizzare da Maria
d’Ungheria (sorella di Carlo V e governatrice dei Paesi Bassi) nella sua residenza di Binche19. Le opere che componevano queste prime gallerie seguivano il modello del ritratto di corte codiicatosi
presso la corte borgognona e poi diffuso dalle opere di Tiziano e
Antonio Moro tra la prima e la seconda metà del Cinquecento20.
In queste prime raccolte asburgiche si assistette all’utilizzo di simile
tipologia anche per i più validi collaboratori della corona21.
La galleria del Pardo fu uno dei modelli di Juan Fernández de Velasco, condestable de Castilla e duca di Frías, che, nel corso del suo
primo mandato come governatore di Milano (1594-1600) fece disporre nei portici che davano al grande cortile dell’ex Palazzo Ducale una serie di effigi dei suoi predecessori. Il condestable de Castilla era particolarmente cosciente della forza evocativa dei ritratti e fu probabilmente sua l’iniziativa di allestire presso il palazzo di
famiglia di Burgos una ricca galleria di effigi di antenati, membri
di famiglie reali ed esponenti del mondo della cultura, seguendo
una moda rinascimentale che proprio nei pressi di Milano – nella villa gioviana sul lago di Como – trovava una della sue migliori espressioni22.
Negli anni del governo del Frías esistevano non lontani da Milano degli splendidi esempi di iconoteche, come la galleria degli eroi
di Fernando d’Asburgo, conte di Tirolo, realizzata nel castello di
Ambràs e, nella stessa città, la serie di ritratti che decoravano la biblioteca ambrosiana, eseguiti proprio negli anni della presenza del
Frías. Se quest’ultima serie, erede della raccolta di Paolo Giovio,
mostrava una successione di ritratti a mezzo busto disposti nella
fascia sottostante alla cornice marcapiano del soffitto della biblioteca, la collezione di Ambràs, per una galleria denominata Spanischer Saal aperta al giardino del castello e composta da igure a corpo intero, si avvicinava maggiormente a quello che doveva essere
il primo aspetto della serie milanese23. D’altronde, i contatti artistici tra Milano e la corte degli Asburgo d’Austria erano a ine Cinquecento quanto mai vivi (basti solo pensare all’opera di Giuseppe Arcimboldo per lo stesso arciduca Ferdinando e per suo fratello, l’imperatore Massimiliano II)24.
Non va poi tralasciato che il genere del ritratto viveva in Lombardia
la sua epoca d’oro proprio nella seconda metà del Cinquecento, come
erede della produzione di Giovanni Battista Moroni e di Giovanni Ambrogio Figino ed espressione del naturalismo locale, ben rappresentato dai ritratti di Daniele Crespi e Fede Galizia25. Nella serie dei governatori l’introspezione tipica lombarda doveva però la-
VALERIA MANFRÈ, IDA MAURO
1. Diego de Benavides,
VIII conte di Santisteban
viceré del Perù, 1661-1666
Lima, Museo Nacional
de Antropología, Arqueología
e Historia del Perú
2. Baltasar de Zúñiga y Guzmán,
marchese di Valero e Ayamonte
viceré di Nueva España,
1716-1722
Città del Messico, Museo
Nacional de Historia
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RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO
sciare spazio alla severa ufficialità richiesta dal tipus del ritratto da
parata spagnolo. Del resto fu proprio a Milano dove Tiziano nel
1548 realizzò un ritratto a igura intera di Filippo II (cui seguì tre
anni dopo quello dipinto ad Asburgo) autentico caposaldo all’interno del genere del ritratto di corte26 e che nella città lombarda
venne interpretato in maniera eccellente in opere come il Ritratto del capitano Lucio Foppa della Pinacoteca di Brera27, eseguito da
Giovanni Ambrogio Figino forse negli stessi anni in cui il suo maestro, Giovanni Paolo Lomazzo, indicava nei suoi scritti l’obiettivo del ritratto ufficiale: “rappresentare il papa, l’imperatore, il soldato e ciascheduna persona col decoro che la ragione comanda ch’ella abbia ed in ciò si dimostra il pittore perito nell’arte sua rappresentando non l’atto che faceva per avventura quel papa o quell’imperatore ma quello che doveva fare rispetto alla maestà e decoro del suo stato”28.
È da tali prototipi e da queste idee che muovono i passi i ritratti
dei governatori milanesi, sebbene il loro primo autore fu un pittore non lombardo ma iammingo, da tempo attivo in Lombardia, Valerio Diependale, italianizzato come “Profondavalle”. L’artista guidò il cantiere dei decoratori che lavorarono nei nuovi ambienti dell’ex Palazzo Ducale, nati da una serie d’interventi volti a
dare all’ediicio una struttura adeguata alla rappresentazione del cerimoniale spagnolo29. I lavori furono diretti da Giovan Francesco
Pirovano e Pellegrino Tibaldi (che in seguito sarebbe stato chiamato
per lavorare alle decorazioni pittoriche della biblioteca dell’Escorial) e interessarono tutti i luoghi di rappresentanza, tra cui la cappella, le stanze del governatore, la sala delle udienze, la galleria e
il salone delle feste30. I ritratti furono eseguiti a distanza di venti
anni dall’inizio della riforma del palazzo e disposti in un luogo di
passaggio (il portico inferiore del giardino maggiore del palazzo Regio et Ducale), aperto a tutti e decorato con una quadratura tracciata dall’architetto Giovan Battista Clarici in cui i ritratti venivano alternati a stemmi, allegorie e paesaggi. Secondo un prezioso
memoriale presentato dal Diependale il 22 agosto del 1594 per sollecitare il pagamento dell’opera, i ritratti del cortile furono in totale 17 ed includevano quelli di Carlo V, Filippo II “con la eresia
sotto i piedi” ed “una altra igura posta per la Spagna”31 (probabilmente l’infante Filippo, futuro Filippo III), oltre alla serie dei
ritratti dei governatori a partire da don Antonio de Leyva, principe di Ascoli, il primo a reggere lo stato di Milano dopo la morte
di Francesco II Sforza nel 153532.
Alla data in cui venne redatto il memoriale del Diependale mancava ancora il ritratto del duca di Frías e non erano stati dipinti i
volti del duca di Sessa e del duca di Albuquerque “de quali se va cercando la vere effigie”33. Gli altri dipinti erano “tutti simili salvo quello di S. Ecc. a qual si va preparando di farsi, questi ritratti nè sono
de magiore et de minore fattura, ma l’uno per l’altro per egualanza si prezzano ciascheduno lire sessanta”34. La cifra è alquanto modesta se confrontata con la valutazione degli altri interventi pittorici eseguiti dal Diependale per il palazzo; a questa quota vennero
aggiunte altre 50 lire per l’esecuzione dei ritratti del duca di Leiva
(che dovette rifarsi perché in un primo momento fu dipinto in piedi e poi “fu ordinato se rifacesse a sedere”) e del duca di Terranova, perché “doppo inito si veno in parere se rifacesse conforme al
ritratto, che si ritrova in casa della s.ra Marchesa de Caravaggio”35.
Questi dati lasciano intendere le intenzioni del committente, vol-
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te a una rappresentazione veritiera dei suoi predecessori che non si
limitasse a un’esaltazione generica della loro dignità politica.
La serie dei ritratti venne continuata negli anni successivi, Carlo Torre nel suo Ritratto di Milano del 1674, riporta un ordinato elenco
dei dipinti senza offrire alcuna informazione di carattere stilistico,
ma aggiungendo per ognuno un breve elogio dei rispettivi governatori. Il Torre dichiara, inoltre, che i dipinti si trovavano ancora sui
due lati lunghi dei portici del giardino36, dunque la loro posizione
non era stata modiicata nel corso delle nuove opere di ammodernamento del palazzo promosse da Luís Ponce de León (governatore dal 1662 al 1668) come sembrano suggerire altre fonti.
Un elenco dei ritratti che si limita ai nomi e ai titoli degli effigiati
è presente anche nella guida di Serviliano Latuada, redatta nel 1737.
A questa data i dipinti erano stati spostati nel gran salone da ballo,
riediicato dopo un incendio (che aveva distrutto le “prospettive” di
Francesco Villa) dal governatore austriaco Girolamo di Collaredo
(1719-1725)37. L’ambiente era noto come “salone delle ringhiere”
per essere circondato su tre lati da una balaustrata che faceva in modo
che gli spettatori delle feste non ostacolassero l’evoluzione delle danze. Nella scarna iconograia del palazzo non è mai possibile intravedere una traccia della serie dei ritratti in esame, ma essi dovevano mantenere intatto il loro valore istituzionale ino almeno a metà
Settecento, quando Gian Luca Pallavicini, governatore per Maria Teresa d’Austria, fece svolgere un’indagine per completare i ritratti cinquecenteschi per ottenere una serie completa dei governatori e sottolineare la continuità fra i viceré spagnoli e quelli austriaci38, quasi in risposta alla modiicazione in chiave borbonica della sala dei viceré di Napoli nei primi anni del regno di Carlo39.
Meno note sono le circostanze che portarono alla deinitiva soppressione dei ritratti. Potrebbero essere stati già rimossi nel corso
della riforma neoclassica della residenza, progettata da Giuseppe
Piermarini negli anni del governo del plenipotenziario Firmian
(1758-1782), dato che gli interventi eliminarono tutte le decorazioni barocche del palazzo40. Nel caso che si decidesse di mantenere quest’importante testimonianza storica, il successivo ingresso delle truppe napoleoniche a Milano (1796) e l’instaurazione della Repubblica Cisalpina avrebbe potuto sopprimere le effigi dei rappresentanti dell’ancien régime austriaco, dipinti che certamente non
sarebbero mai sopravvissuti alla deinitiva cacciata degli austriaci
nel 1859, quando queste immagini vive dell’“usurpatore” – prima
spagnolo e poi austriaco – dovevano risultare particolarmente odiose alla nuova élite milanese41.
Tornando alla testimonianza delle guide di Torre e Latuada, ai loro
elenchi va aggiunta l’unica testimonianza graica dell’insieme dei
ritratti: una stampa anonima realizzata in occasione dell’ingresso
a Milano dell’imperatrice Margherita Teresa d’Austria, iglia di Filippo IV che nel 1666 soggiornò nella città durante il suo viaggio
da Madrid alla corte viennese di Leopoldo I42. Questa stampa di
grande formato si compone di una breve storia di Milano, seguita dalla riproduzione xilograica dei ritratti di re e governatori che
si trovavano all’interno del Palazzo Regio-Ducale (“effigie da dotta mano delineata secondo le forme che di loro si vedono al vivo
dipinte nella Regia Sala di questa Corte Ducale di Milano”)43. Le
grossolane riproduzioni, accompagnate da scarne indicazioni sui
diversi mandati, rappresentano in una cornice rotonda solo il volto e le spalle dei governatori e restituiscono un’idea sommaria dei
VALERIA MANFRÈ, IDA MAURO
3. Gómez Suárez de Figueroa,
duca di Feria
da Governatori principi che hanno
retto lo Stato di Milano, Milano
[1666]
Milano, Civica Raccolta
delle Stampe “Achille Bertarelli”
4. Luís de Benavides Carrillo,
marchese di Caracena
da Governatori principi che hanno
retto lo Stato di Milano, Milano
[1666]
Milano, Civica Raccolta
delle Stampe “Achille Bertarelli”
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RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO
5. Philip Diriksen
(qui attribuito)
Gómez Suárez de Figueroa
duca di Feria
e governatore di Milano,
1618-1625 e 1631-1633
Madrid, Museo Lázaro Galdiano
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VALERIA MANFRÈ, IDA MAURO
6. Cesare Bonacina
Luís de Benavides Carrillo,
marchese di Caracena
governatore di Milano,
1648-1656
Madrid, Biblioteca Nacional
de España
7. Luís de Benavides Carrillo,
marchese di Caracena
da Lorenzo Crasso, Elogii
di capitani illustri, Venezia 1683
Napoli, Biblioteca Nazionale
“Vittorio Emanuele III”
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RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO
8. Baltasar de Zúñiga y Guzmán,
marchese di Valero e Ayamonte
viceré di Sardegna, 1704-1706
Cagliari, Palazzo Regio
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VALERIA MANFRÈ, IDA MAURO
loro originali in pittura. Nonostante ciò, costituiscono un documento di partenza per la ricostruzione dei ritratti realizzati ino a
metà Seicento (igg. 3, 4). Tanto in questa serie xilograica, quanto negli elenchi delle guide già citati si riscontrano diverse ripetizioni, perché – per rispettare fedelmente la cronologia dei vari mandati – si instaurò la prassi della commissione di un nuovo ritratto
per tutti coloro che tornavano a rivestire la carica di governatore
dopo un’interruzione più o meno lunga, durante la quale erano stati sostituiti da un altro rappresentante della corona. Tale consuetudine fu introdotta dal medesimo condestable de Castilla, che tornò a guidare lo stato di Milano a distanza di dieci anni dalla ine
del primo mandato (1610-1612).
Una copia del suo secondo ritratto è rintracciata in uno dei dipinti
del duca nell’inventario dei beni portati da Milano, che si trovavano nella residenza madrilena del condestable al momento della
sua morte, nel 161344. Parlavano dell’iconoteca milanese anche altri ritratti che furono portati a Madrid dalla precedente dimora burgalense dei duchi di Frías. In particolare un “Antonio de Leyba”,
un duca di Sessa e due ritratti del duca d’Alba (governatori nella
seconda metà del Cinquecento)45.
La pratica di richiedere delle copie con lo scopo di ricreare almeno in parte la serie milanese si ripetette almeno nel caso di un altro governatore e collezionista come il marchese di Leganés, che
resse lo stato di Milano tra il 1635 e il 164146. Nell’inventario post
mortem del Leganés (1655) si ravvisa l’esistenza nel suo palazzo madrileno di una sala dedicata interamente allo stato di Milano, con
le allegorie delle principali città (Lodi, Como, Cremona, Vigevano…), i ritratti di alcuni membri delle casate Visconti e Sforza e
quelli di molti governatori, tra cui lo stesso condestable, il conte di
Fuentes, don Pedro de Toledo e il duca di Feria47. Eccetto il primo, si tratta di ministri che governarono negli anni compresi tra
la creazione della serie e l’arrivo del Leganés e tutti sono delle stesse dimensioni, dello stesso valore economico e rappresentano i governatori secondo il medesimo schema: “de cuerpo entero y armado
el medio cuerpo, con calças, botas y espuelas”48. Il ritratto del duca
di Feria della collezione Leganés è stato recentemente individuato da Juan José Pérez Preciado nelle collezioni del Museo Lázaro
Galdiano di Madrid; la prossimità con la riproduzione del medesimo ritratto nella stampa del 1666, permette di confermare l’interpretazione di questa tela come copia dell’esemplare milanese scomparso49 (igg. 3, 5). Il dipinto, fedele al modello di ritratto di corte a igura intera di matrice tizianesca e borgognona, rappresenta
l’unica testimonianza pittorica della serie dei governatori. Per gli
altri ritratti è possibile solo suggerire alcune ipotesi, come nel caso
di un interessante ritratto di gentiluomo (con mezza armatura e calze) che si conserva in una collezione privata comasca datato ai primi decenni del XVII secolo50, al quale va accostato lo splendido
Ritratto di uomo d’armi (con la livrea rossa che caratterizza i rappresentanti della corona) della collezione Koelliker di Milano, opera di Giovan Francesco Nuvolone. Proprio Panilo e Giovan Francesco Nuvolone sono documentati come autori dei ritratti dei governatori di metà Seicento51. Il primo aveva lavorato a lungo a palazzo per la decorazione pittorica del salone degli imperatori (16251626) e l’esecuzione del ritratto del governatore Bernardino Fernández de Velasco (il iglio del condestable, a Milano tra il 1646 e
il 1647). Il iglio Giovan Francesco, invece, ritrasse la regina Ma-
115
rianna d’Austria nella sosta milanese del suo viaggio da Vienna a
Madrid (1649) e dipinse almeno il ritratto del marchese di Caracena, Luís de Benavides (governatore dal 1648 al 1656)52. Di quest’ultimo dipinto si conservano alcune riproduzioni a stampa, tra
cui una eccellente, irmata da Cesare Bonacina nel 1654, e un’altra anonima di inferiore qualità53 (igg. 4-7). Queste incisioni, entrambe simili all’immagine “stilizzata” del marchese nella stampa
del 1666, danno un’idea della diffusione di cui godettero i ritratti dei governatori e della possibilità di una ricostruzione dell’intera serie attraverso una paziente ricerca iconograica a cui speriamo
di poterci dedicare nei prossimi mesi.
Una dinastia di ministri regi: la serie dei viceré di Sardegna
dal duca di Montalto ai Savoia
La capitale del Regno di Sardegna fu sede di corte vicereale da inizio Quattrocento ino al 1847. La sua raccolta di ritratti potrebbe dunque essere stata la più estesa tra quelle presenti in Italia, ma
al momento non è possibile documentare la regolare esecuzione della serie, perché dei dipinti cagliaritani non è stato ancora rintracciato nessun elenco completo, sebbene si conservino ancora nella
sala degli Alabardieri del Palazzo Regio ventiquattro ritratti di viceré sabaudi, a cui si aggiunge quello di uno degli ultimi viceré spagnoli: Baltasar de Zúñiga y Guzmán, marchese di Valero e Ayamonte
(viceré dal 1704 al 1706)54 (ig. 8). Si tratta dello stesso ministro
che dieci anni dopo il mandato sardo avrebbe rivestito la carica di
viceré di Nueva España e che – come tale – si vede effigiato nel Castillo di Chapultepec (ig. 2).
Il ritratto cagliaritano del Zúñiga (olio su tela, cm 128x101) illustra perfettamente le caratteristiche della serie dei viceré di Sardegna: la igura è rappresentata per tre quarti (con un taglio sopra le
ginocchia che ricorda i ritratti del Pardo) e mostra i consueti simboli del potere: l’armatura, la chiave, lo stocco stretto nella mano
destra e la livrea rossa, in questo caso così vaporosa da non far notare l’assenza del consueto tendaggio. Il cambio delle mode di ine
Seicento è evidente solo dall’introduzione del parruccone di riccioli bianchi e nella sostituzione della golilla spagnola – il collo indossato dal duca di Feria nel ritratto del Museo Lázaro – con un
fazzolettone ricamato alla francese. La igura del viceré si affaccia
da una sorta di parapetto su cui veniva indicato allo spettatore il
nome, i titoli nobiliari e la durata del mandato del personaggio effigiato. Queste indicazioni potevano includere anche dei brevi riferimenti alle azioni di governo di un determinato viceré, come osservava divertito Giovanni Spano nella sua guida di Cagliari del 1861:
“Si può dare pure un’occhiata ai diversi Ritratti dei Viceré che nei
tempi andati governarono l’Isola […] Ve ne sono curiosi e grotteschi con iscrizioni ampollose in catalano, spagnuolo e latino, tra
le quali quella di Carolo de Borgia, del 1611, dux Candiae ex magnatibus Hispaniarum, che insulam latruncolis obsessam purgavit!!”55.
Negli anni dell’unità d’Italia, Spano e La Marmora potevano contemplare ancora quei dodici ritratti dei viceré spagnoli presenti negli inventari dei beni del palazzo del 1830 e del 184356, “personaggi
anneriti dal fumo, allineati nell’ordine del loro arrivo in Sardegna”
che, secondo il giudizio espresso da Antoine-Claude Valery nel suo
Viaggio in Sardegna del 1837, non mancavano di merito artistico57.
In questo piccolo gruppo, l’unico dipinto citato da Spano (il ritratto
del duca di Gandia, nemico dei briganti) faceva parte della prima
RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO
serie di immagini vicereali commissionata da Luís Guillem de Moncada, duca di Montalto (1644-1649) nell’ambito della sua radicale
riforma della residenza vicereale.
Il duca di Montalto fu senza dubbio il nobile siciliano più inluente
presso la corte degli ultimi re Asburgo, presso la quale risiedette stabilmente tra il 1658 e il 1672 (anno della sua morte)58. Nato a Palermo nel 1614 ed appartenente a un’importante stirpe di origine catalana, aveva sposato nel 1629 la iglia del viceré di Napoli,
Pedro Afán de Ribera, duca di Alcalá, noto mecenate spagnolo della prima metà del Seicento che dal 1632 avrebbe rivestito l’incarico di viceré di Sicilia, utilizzando il giovane duca come uno dei
suoi strumenti di governo59. Dopo la morte della prima moglie Moncada si risposò con un’altra nobile spagnola, Caterina Moncada de
Castro, ricongiungendo il ramo italiano e catalano della sua casata. La difesa della sua identità nobiliare (legata alla discendenza napoletana di Alfonso il Magnanimo) fu oggetto di un’autentica crociata combattuta a suon di immagini dal duca, che raccolse una grande serie di ritratti dei suoi antenati, disposte nelle sale del Real di
Valenza, quando vi risiedette come viceré dal 1652 al 165860.
Una personalità così orgogliosa della sua dignità dinastica e politica trovò nel 1644 il decadente palazzo cagliaritano poco adatto
ad accogliere la sua corte e, senza badare a spese, stravolse la struttura delle stanze della dimora e rinnovò l’intera decorazione degli
ambienti, provocando più di una reazione della corte di Madrid
che ribadì la necessità di una approvazione della Junta Patrimonial
prima di utilizzare i fondi dell’erario regio per riparare la residenza61. Gli ammonimenti del governo centrale erano anche sollecitati dalle informazioni trasmesse da Cagliari dal maestro racional
Antonio Masons, il quale in una missiva al Consejo de Aragón del
29 ottobre 1646 parlò apertamente dei “gastos excesivos” del duca.
Il Montalto, indignato per le critiche del Masons, lo insultò pubblicamente e gli chiese di argomentare a voce e per iscritto le sue
“cavilaciones”. Le diverse fasi di questo battibecco cortigiano generarono alcuni documenti molto interessanti per la ricostruzione degli interventi commissionati dal Moncada62.
Tra le principali modiiche all’interno della residenza vicereale, il
duca fece realizzare una cappella di palazzo al posto dell’antica sala
del consiglio e creò una nuova stanza per le riunioni consiliari, munita di un’anticamera decorata secondo uno schema simile a quello dei locali seminterrati nel lato occidentale del Palazzo dei Normanni di Palermo, fatti adibire dallo stesso Montalto a sale per le
sessioni estive del consiglio63.
Come nel salone palermitano, anche il soffitto incannucciato (“cielo falço”) dell’“antesala” del consiglio di Cagliari mostrava gli emblemi della famiglia Moncada e del re Filippo IV, accompagnati
da igure allegoriche. Ma se in Sicilia il Moncada aveva fatto affrescare
la gloria di due suoi famosi antepassati che avevano difeso l’isola
dall’attacco turco (Pietro e Raimondo de Moncada), in Sardegna
evocò il valore della sua casata disponendo intorno all’anticamera i ritratti dei tredici viceré che l’avevano preceduto a partire dal
governo di Miguel de Moncada, nel tentativo di stabilire un nesso con il suo predecessore dinastico e politico64. Se le serie di ritratti vicereali possono essere intese come immagini di una dinastia ittizia di ministri, l’utilizzo che ne fece il Moncada a Cagliari accentua suggestivamente tale interpretazione.
Lo stesso discorso fu portato avanti dal duca nel corso del vicere-
116
gno valenzano, nell’ammodernamento di una residenza che mostrava ancora i segni del passaggio del suo antenato Fernando de
Aragón, duca di Calabria, che dal 1526 al 1550 fu viceré del Regno di Valenza65. L’immagine di questo ultimo discendente diretto dei re aragonesi di Napoli era ovviamente inclusa nella lista dei
ritratti del lignaggio dei Moncada disposti nelle sale del Real, così
come in una possibile serie vicereale valenzana, nota da alcuni inventari sommari anteriori alla demolizione ottocentesca del palazzo,
di cui si conservano ancora alcune tele66.
Tornando al palazzo di Cagliari, gli artisti che realizzarono le decorazioni per l’anticamera del consiglio erano probabilmente giunti in Sardegna con lo stesso viceré. I dipinti del soffitto furono infatti eseguiti da Henrico Brant, artista che è già relazionato al duca
di Montalto in un documento siciliano del 164267. Non siamo riuscite a rintracciare alcuna opera attribuita a questo artista, che potrebbe corrispondere al iammingo Hendrick Pérez Brant (o
Brand) a cui nel ieme-Becker si assegnano due ritratti conservati ad Anversa senza accennare ad alcuna esperienza italiana dell’artista68.
Altrettanto misterioso è anche il nome dell’autore dei ritratti, citato nel memoriale “sedizioso” di Masons, che considerò una spesa decisamente superlua quella “por los retratos que se hacen de
los virreyes passados, con sus molduras doradas, y hay ocho hechos
y vienen acostar cada uno venteyçinco escudos, los quales va haciendo un criado del dicho Virrey que se dize don Blas Orliens valenciano”69. Questo criado viveva con la sua famiglia in una delle
case affittate dal duca nei pressi della rocca cagliaritana per dare un
alloggio al suo seguito, in attesa che si portassero a termine le riforme del palazzo70. Non sappiamo se il Moncada entrò in contatto con l’artista valenzano durante il suo viaggio in Spagna nel
1642-1644. L’autore potrebbe in ogni caso corrispondere a quel
Blas Iribarne Orliens, nipote e testamentario nel 1640 del trazador di origine aragonese Juan Miguel Orliens, principale esponente
di una bottega familiare di artisti, attivo a Valenza dal 162671.
Al momento della lettera di Masons, Orliens aveva già eseguito otto
ritratti e si apprestava a continuare la serie che fu certamente conclusa due anni dopo (1648), quando la corte vicereale autorizzò l’acquisto da Napoli di tredici cornici dorate (“tretze marchs eo guarnisses dorades per los retratos dels virreis son estats en lo present
Regne, comensant desde don Miguel de Moncada ins lo govern
de sa Excelensia”)72. La realizzazione di dipinti che ricordavano ed
esaltavano la igura del viceré avvenne dunque proprio nei mesi in
cui a Napoli scoppiò la rivolta antispagnola, contro la quale il duca
di Montalto stanziò l’invio di aiuti alimentari per il sostentamento delle truppe guidate da Juan José de Austria e dal conte di Oñate73. I primi dipinti dei viceré sardi acquistano perciò un signiicato ancora più pregnante se letti in relazione al contesto politico
in cui videro la luce.
La serie cagliaritana fu proseguita dopo la partenza del Montalto.
Nel 1649 il siciliano Paolo de Girache (giunto in Sardegna al seguito del Moncada?) eseguì il ritratto del suo successore, il cardinal Trivulzio74. Non sappiamo però se nel corso del Seicento si completò mai la parte iniziale della serie e come l’insieme venne aggiornato con i governi successivi, ino a giungere al ritratto di Baltasar de Zúñiga di inizio Settecento. Sarebbe inoltre interessante
conoscere l’effetto di questa raccolta agli occhi del viceré Franci-
VALERIA MANFRÈ, IDA MAURO
sco de Benavides (1675-1677) che avrebbe fatto allestire una serie analoga a Palermo subito dopo il suo mandato in Sardegna75.
L’assenza d’informazioni, unita alla notizia che a metà Ottocento
tra i dodici ritratti spagnoli superstiti ci fosse proprio uno di quelli richiesti dal Montalto, fa sorgere molti dubbi su una possibile
realizzazione frammentaria e lacunosa per una serie che non iniziava dal primo rappresentante dei re aragonesi ma da un semplice pretesto dinastico.
Analizzando oggi i ventiquattro ritratti dell’epoca sabauda presenti
nel Regio Palazzo, da un semplice sguardo d’insieme si avverte subito la volontà di imitare il modello spagnolo in termini anacronistici, ripetendo in pieno XIX secolo un canone vecchio di tre secoli76. Questi dipinti, probabilmente realizzati da artisti genovesi
o piemontesi, sono tra le più stanche ripetizioni del ritratto di corte spagnolo, ma dovevano risultare ancora efficaci agli occhi dei re
sabaudi per raffigurare attraverso una continuità secolare le istituzioni di rappresentanza del sovrano77. Se ancora oggi molte di queste tele si conservano in situ è perché nel caso sardo non c’è stata
nessuna soluzione di continuità con il potere centrale, anzi la presenza dei viceré sette-ottocenteschi, a cui seguivano i ritratti dei sovrani di casa Savoia (presenti ancora adesso in vari ambienti del palazzo) erano una dimostrazione dell’antica fedeltà della Sardegna
a quelli che sarebbero stati i nuovi re d’Italia.
La restaurazione della figura del viceré. La serie dei viceré
di Napoli nella sala “de Guevara”
La nascita di una raccolta di ritratti dei viceré di Napoli segue di
pochi anni quella di Cagliari ed è anch’essa parte di un’opera di riforma della residenza vicereale, dettata – in questo caso – dalle esigenze di rappresentanza della politica culturale di Íñigo Vélez de
Guevara, conte di Oñate (viceré dal 1648 al 1653) volta a trasmettere
un’immagine forte del potere vicereale anche attraverso il suo palazzo napoletano78. Il programma d’interventi promosso dall’Oñate (il più ambizioso prima della riforma generale operata da
Gaetano Genovese per Ferdinando II di Borbone) si allontanava
dal progetto originario di Domenico Fontana e ne modiicava la
distribuzione di scale di accesso al piano nobile, inserendo il grande scalone imperiale d’importazione spagnola sul versante nordorientale del Palazzo79. Sia la scala che la successiva “sala dei viceré” – dove furono esposti i ritratti – erano frutto dell’opera di restaurazione dell’autorità vicereale dopo la rivolta del 1647-1648.
In una pianta del palazzo di ine Settecento conservata presso la Società Napoletana di Storia Patria viene segnalato con il nome di “Sala
dei Viceré” un grande ambiente a ianco alla cappella reale (e con
essa comunicante), corrispondente all’attuale sala d’Ercole. Si trattava del volume di maggiori dimensioni dell’intera residenza e non
appariva nel progetto di Fontana (documentato dalla pianta
stampata a ine Seicento a Roma da Giovan Giacomo de Rossi) dove
al suo posto si vedeva una delle tre scale che dovevano scandire il
passaggio da una zona all’altra del palazzo80. L’esistenza della sala
è documentata in dagli anni del governo del conte de Monterrey,
quando fu utilizzata per le rappresentazioni di commedie. L’ambiente era stato però ultimato dall’almirante de Castilla, responsabile della decorazione della Cappella Reale, come si legge in un avviso dell’Archivio di Stato di Modena che registra dei nuovi lavori nel novembre 1649, quando il conte di Oñate fece “ingrandire
117
et alzare l’appartamento vicino la Cappella nuova che già fece inire il signor Almirante di Castiglia”81. Pochi mesi dopo la stanza
veniva utilizzata per le commedie della stagione festiva, che celebrò le nozze tra Filippo IV e Marianna d’Austria nel gennaio 1650:
“nella stanza fatta rinovare, et ingrandire dal Signor Conte
d’Ognate si tenne la commedia offerta dal principe di Cellammare”,
mentre nell’ala opposta dell’ediicio – nel “Salone grande di Palazzo”
– si allestì la ricca rappresentazione con parti recitate e intermezzi musicali, spesata dal conte di Saponara82 (questo “salone grande” non può che essere la Sala Regia, che si affacciava su largo di
Palazzo, utilizzata per le feste di corte in dal 161783).
Quando, nell’autunno 1650, il conte d’Oñate introdusse il melodramma veneziano a Napoli chiamando la compagnia girovaga
dei Febi Armonici, nel palazzo vi erano diversi ambienti che potevano essere utilizzati per le loro rappresentazioni, ma si stava ancora perfezionando un salone adeguato all’attività teatrale, dato che
nel novembre 1650 il viceré ordinò che si realizzasse “in Palazzo
dalla parte del Parco un gran eatro da rappresentare tragedie più
commodo assai alli ascoltatori di quello del Pallonetto”84. I Febi Armonici avevano montato in questa “stanza” del pallonetto – già adibita al gioco della palla – “un sontuoso teatro con li palchi” per la
loro prima rappresentazione napoletana (la Didone) e continuarono
a recitare in quest’ambiente nel 1651 e nel 165285. Dagli avvisi non
è possibile trovare indicazioni sul luogo occupato dal padiglione
del pallonetto all’interno del palazzo, ma in un documento non più
consultabile, pubblicato parzialmente (e in traduzione dallo spagnolo) da Prota-Giurleo nel suo primo studio sul teatro di Palazzo si parla di questo padiglione come sito nel parco, dalla parte che
affacciava sull’arsenale86. Attenendoci a questa informazione, il padiglione non potrebbe essere identiicato con il nuovo teatro per
i melodrammi che si trovava invece – come suggeriscono gli avvisi – all’interno del palazzo.
La nuova stanza teatrale corrisponde a quella indicata come “sala
de Guevara” nei pagamenti delle opere di decorazione commissionate
da Oñate, pubblicati da Eduardo Nappi nel precedente volume di
“Ricerche sul ’600 napoletano”87. La sala, sita “dalla parte del Parco” – con cui si collegava attraverso una scala segreta88 – prendeva nome dal viceré Iñigo Vélez de Guevara ed era stata “fatta fare
da Sua Eccellenza a ine più d’ogn’altro per rappresentare Comedie”89. Il salone era già pronto per essere inaugurato nei primi mesi
del 1652, in occasione dell’anniversario della ine della rivolta, celebrato in ogni anno del governo di Oñate con una cavalcata che
il 6 aprile si dirigeva da Palazzo ino alla chiesa del Carmine90. Ma
i preparativi degli “apparecchi […] nella sala del Guevara per il festone che s’havea da fare”91 vennero interrotti dall’arrivo della notizia della morte di don Beltrán de Guevara, viceré di Sardegna e
fratello dell’Oñate, oltre che suo sostituito – come luogotenente
del Regno di Napoli – nei primi mesi del 1650, quando il conte
guidò le operazioni militari per il recupero di Portolongone. Don
Beltrán lasciava “tre igli maschi, et una femina, e la Signora Vice
Regina sua moglie [Caterina de Guevara, iglia del conte d’Oñate] gravida entrata già nel nono mese”92. La vedova e i igli del viceré di Sardegna vennero rapidamente riportati a Napoli; nel frattempo, la nuova sala venne utilizzata nel luglio 1652 per la rappresentazione della Finta Pazza e di altri spettacoli, in occasione
del passaggio napoletano del duca di Montalto93.
RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO
9. Ínigo Vélez de Guevara,
conte di Oñate
viceré di Napoli, 1648-1653
da Domenico Antonio Parrino,
Teatro eroico e politico de’ signori
viceré, Napoli 1692-1694
Napoli, Biblioteca Nazionale
“Vittorio Emanuele III”
10. Juan Manuel Pacheco,
marchese di Villena
viceré di Sicilia, 1701-1702
da Francesco Maria Emanuele
e Gaetani, marchese di Villabianca,
Delli ritratti de’ viceré di Sicilia
espressi in rame ed in carta e che esposti
vengono nelle regie stanze del palazzo
118
VALERIA MANFRÈ, IDA MAURO
dominante di Palermo colle epigrai in
piede toccanti il tempo e le circostanze
del lor governo
Palermo, Biblioteca Comunale
Luís Guillem de Moncada, diretto al viceregno di Valenza, si fermò infatti per alcuni giorni a Napoli per visitare la madre, ritiratasi nel cenobio di carmelitane scalze di San Giuseppe a Pontecorvo.
Il duca, che aveva assistito le truppe spagnole durante i mesi della rivolta, fu accolto dalla corte vicereale con una sontuosa cavalcata e risiedette a Palazzo tra il 7 e il 21 luglio 1652, “15 dì, quali si passorono tra festini e comedie che si ferono nel Regio Palazzo”94. La visita di un mecenate come il Moncada, reduce dall’ammodernamento della residenza dei viceré di Sardegna, potrebbe aver
esercitato una certa inluenza sulla riforme del palazzo promosse
da Oñate, anche se il viceré poteva conoscere già dai racconti della iglia (ex viceregina di Sardegna) l’aspetto assunto dal palazzo di
Cagliari dopo il passaggio del Montalto. In ogni caso, è proprio dopo
questo incontro che l’Oñate commissionò la serie dei ritratti per
la sala ormai ultimata.
L’evento scelto per mostrare la nuova sala alla nobiltà napoletana
fu il triduo di feste che nel dicembre 1652 celebrarono la resa di
Barcellona e la riconquista della Catalogna, dal 1640 teatro di una
lunga rivolta contro il governo di Madrid (la guerra dels Segadors).
L’occasione era appropriata quanto la mancata ricorrenza del 6 aprile per l’inaugurazione di una sala che avrebbe accolto le effigi dei
viceré e, non a caso, nella relazione a stampa delle feste si svolse un
chiaro paragone tra la lunga insurrezione catalana e la recente rivolta di Napoli95. Secondo i Giornali di Fuidoro, al rientro della
cavalcata dalla funzione di ringraziamento, si tenne un ballo di dame
e cavalieri nella “sala nuova destinata da Sua Eccellenza alli regii festini del Palazzo mesi prima”96. Il suo soffitto era decorato con la
“bellissima volta à lamia, et fatta anche ornare di varii lavori d’oro
alla musaica, et di bellissime pitture”97, ai quattro angoli vi erano
degli scudi della famiglia Guevara, mentre al centro spiccava un grande scudo del re di Spagna, da cui pendeva un enorme candelabro
(“una gran Corona che sopraposta ad un gran Sole d’ininiti Raggi arricchito, sospesa in alto da quattro fune, occupava la maggior
parte di quello aereo campo, pendendo da detti raggi in una giusta simitria d’equilibrio da cento venti doppieri, ogn’uno de quali sosteneva quattro torcie di bianchissima cera di libre tre
l’una”)98. Intorno alla sala vi erano dei palchetti, da cui assistettero al ballo e ai melodrammi “tutti li ministri de Principi stativi invitati da Sua Eccellenza”99. Tra questi vi era Giovan Battista Agustoni, residente del duca di Modena. Nei suoi avvisi trasmessi al
duca si sottolinea come, dopo le feste per la conquista di Barcellona, nella nuova sala si sarebbe dato inizio alla sistemazione dei
“ritratti che Sua Eccellenza ha risoluto di far fare nella medesima
sala dal famoso Pittore Cavaliere Massimo di 43 Vice Re che son
stati sin hora di questo Regno”100.
Nel gruppo dei governatori effigiati comparivano i luogotenenti e
i capitani generali del Regno a partire dall’entrata trionfale in Napoli di Consalvo de Córdoba, nel 1503. Il numero dei ritratti riportato dagli avvisi è leggermente inferiore alla quantità dei viceré e questo dato contrasta con la possibile presenza – seguendo il
rigore della serie milanese – di un doppio ritratto del conte di Oñate, dovuto all’interruzione del suo mandato nel 1650 con la luogotenenza del compianto Beltrán de Guevara101. Secondo Fuidoro, infatti, il conte si vedeva rappresentato in due diverse versioni
“da soldato e da viceré, e doppo l’impresa di Longone racquistato”102. Uno dei due dipinti fu descritto in un passo della guida di
119
Carlo Celano, brano che costituisce una delle fonti più ricche per
lo studio della serie napoletana: “Sala detta dei Viceré fatta dal Conte d’Ognate, il quale vi collocò i ritratti di tutti i signori Viceré che
han governato il regno dal Re Cattolico in questa parte; e la maggior parte sono del pennello del nostro Cavalier Massimo e di altri valentuomini. Nel ritratto del Conte d’Ognat vi si vedono dipinti ai piedi un lupo ed un agnello che mangiano assieme, per dimostrare che dopo aver sedati i rumori popolari, di avere introdotta
nel regno colla sua giustizia una quiete grande”103.
Il Celano descrive solo il ritratto dell’Oñate, sia perché era stato committente della sala sia perché la presenza dei due animali simbolici lo differenziava dagli altri dipinti, come testimoniato dalle riproduzioni a stampa dei ritratti inseriti nel Teatro eroico e politico
di Domenico Antonio Parrino, dove sullo sfondo dell’immagine
del conte si intravedono proprio un lupo e un agnello in atto di
mangiare dalla stessa scodella (ig. 9). Nell’introduzione del primo
dei suoi tre tomi dedicati ai governi dei vari viceré spagnoli che risiedettero a Napoli dal 1502 al 1683, Parrino dichiara di aver corredato l’opera con “i ritratti de’ medesimi Viceré, presi da quelli,
ch’adornano degnamente una delle sale, ò siano galerie del palagio reale”104. Nell’operazione di riduzione per la stampa, gli incisori adattarono in cornici ovali le effigi dei viceré, spostando in alto
gli elementi caratterizzanti dell’effigiato e tagliandone probabilmente
gambe e piedi, presenti nella descrizione di Celano appena citata105.
Un’ulteriore conferma che i ritratti dei viceré erano a igura intera (seguendo il modello milanese, che l’Oñate avrebbe potuto conoscere grazie ai viaggi in Lombardia del padre, nel corso delle sue
missioni diplomatiche) è offerta da un piccolo schizzo a penna contenuto nella cronaca manoscritta di Carlo Antonio Sammarco per
gli anni 1707-1708106 (ig. 11). Il disegno ritrae la funzione della
lavanda dei piedi che si teneva a Palazzo la sera del Giovedì Santo. Secondo il cerimoniale della corte dei viceré di Napoli, il triduo pasquale iniziava con una rievocazione dell’ultima cena celebrata proprio nella “sala de Viceré, ove sta preparata la cena per i
poveri, e tutto ciò che si richiede per la lavanda, ove si troveranno seduti dodici poveri ciascheduno avendo un piede denudato […]
Terminata la funzione della lavanda passeranno i poveri alla tavola apparecchiata in mezzo della sala, e si sederanno tutti dodici nei
tamburetti”107.
L’immagine del manoscritto di Sammarco mostra proprio i dodici poveri seduti su di un banco, ai cui lati ci sono due coppie di
tavoli con i piatti che venivano distribuiti alla ine della funzione,
mentre un lungo tavolone al centro della sala sfoggia un “trionfo”
dell’agnello mistico tra due ile di sei igure (i dodici apostoli?), ammirato dai nobili che si aggirano per la sala108. All’estrema sinistra
della scena è ritratto il palco di questo teatro-salone, allestito per
l’occasione con una rappresentazione dell’Ultima Cena109. La lunga parete mostra i palchetti, che venivano utilizzati per le opere teatrali110, una ila di doppieri alternati a “giarroni” e nell’ultima fascia, la serie dei ritratti dei viceré, rappresentati a igura intera, al
ianco di un bufete-tavolo di giustizia e con una tenda alle loro spalle. Lo schema dei dipinti ripete quello del ritratto d’apparato, codiicato nella corte spagnola a partire da metà Cinquecento e ripreso nella serie milanese111.
La loro disposizione sotto al soffitto, all’interno di cornici dorate
di stucco (quei compartimenti di “quadroni con somma diligen-
RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO
11. Cena del Giovedì Santo
nella Sala dei viceré del Palazzo
Reale di Napoli
da Carlo Antonio Sammarco,
Giornale e Sommario dal giorno
che entrarono in Capua l’arme
imperiale...
Napoli, Biblioteca Nazionale
“Vittorio Emanuele III”
120
VALERIA MANFRÈ, IDA MAURO
za e studio” osservati da Fuidoro112) ricorda l’organizzazione della
galleria dei ritratti nel palazzo del Pardo, principale riferimento spagnolo della tipologia in esame. Da questa galleria reale era possibile
accedere al giardino sottostante attraverso una scala segreta, proprio
come nella sala napoletana decorata da Oñate, di cui lo schematico disegno del 1708 costituisce la più antica testimonianza graica. È signiicativo come nei primi anni del viceregno austriaco – è
in piena guerra di successione spagnola – un testo di un autore vicino al viceré conte di Daun inserisca senza pudore le silhouettes dei
governatori spagnoli, per caratterizzare una sala in cui si svolgeva
una cerimonia seguendo alla lettera il rituale codiicatosi sotto i viceré ispani. Per ribadire questa continuità legittimante sotto la guida del nuovo monarca austriaco, il conte di Daun fece restaurare
tutti i ritratti precedenti, rifece le cornici in stucco e riformò la sala,
ordinando una nuova volta incannucciata e un nuovo affresco per
la zona del palco113. Inine, commissionò a Paolo de Matteis un ritratto equestre di Carlo VI a cavallo114 e nel 1708 inaugurò la sala
così “attualizzata” il giorno del compleanno dell’imperatore115.
L’ambiente venne utilizzato per le principali feste dinastiche celebrate dalla corte dei viceré austriaci, mantenendo la funzione festiva assegnatagli dall’Oñate116. L’importanza propagandistica di questo salone è confermata dalla sua modiicazione tempestiva dopo
l’avvento di Carlo di Borbone, messa in atto da Manuel de Benavides – X conte di Santisteban – durante la spedizione in Sicilia del
sovrano nel 1735. Il conte (iglio del viceré Francisco de Benavides117) sostituì il ritratto dell’imperatore che troneggiava al centro
della sala con quello del giovane Carlo a cavallo dopo la vittoria
di Gaeta, opera del Solimena118, e corresse in senso borbonico la
serie dei viceré con la soppressione dei ritratti dei governatori austriaci e l’aggiunta delle effigi di Juan Manuel Fernández Pacheco
marchese di Villena (rappresentante di Filippo V tra il 1702 e il
1707), e di Emmanuel di Orleans, conte di Charny, che in quei
mesi suppliva all’assenza di Carlo come luogotenente del Regno119.
Fu questa la sistemazione deinitiva della sala dei viceré in una residenza che inalmente ospitava un sovrano e non la corte di chi
doveva rappresentarlo solo per pochi anni.
I ritratti “da Consalvo ino al conte di Daun [escluso!]” sono ancora ricordati nella Breve descrizione di Napoli pubblicata nel 1792
da Giuseppe Maria Galanti, dove si cita come autore dei dipinti
– accanto allo Stanzione – anche Paolo de Matteis, sebbene non
dovesse restare nessuna opera sua nella sala120. Nella ristampa di questa guida del 1829 non si segnalò però la scomparsa dei ritratti durante il decennio francese, quando il salone fu trasformato in una
gipsoteca reale in cui si disposero le riproduzioni delle più celebri
statue della collezione Farnese, come quella monumentale dell’Ercole,
che diede nome al nuovo spazio espositivo (il modello in gesso della statua è ancora presente nel palazzo).
La guida dell’abate Domenico Romanelli del 1815 è la prima a testimoniare questo cambiamento: “Presso la real cappella si può entrare alla gran sala, dove per ordine del conte d’Ognatte, a’ tempi
di Filippo IV furono disposti i ritratti di tutti i viceré, che in nome
de’ loro padroni governarono questo regno. Incominciavano dal
capitano Consalvo di Cordova nel 1503 sotto il re cattolico Ferdinando III sino al viceré conte di Daun sotto l’imperatore Carlo VI. Furon dipinti per la maggior parte dal nostro cav. Massino.
Il viceré conte Daun li fece ritoccare, e vi aggiunse altri ritratti sino
121
al suo tempo, che furono dipinti dal nostro Paolo de Matteis. Oggi
non esistono più, e la sala si vede atrimenti abbellita co’ modelli
in gesso delle statue colossali serbate nel real museo”121.
La soppressione dei ritratti, frutto dell’aggiornamento degli ambienti
del palazzo al nuovo stile impero e della fervente attività espositiva promossa da Carolina Bonaparte e Gioacchino Murat122, dimostrava, inoltre, la perdita di ogni sensibilità per il valore simbolico
ed estetico di questa “vecchia” raccolta di dipinti. Infatti, qualche
anno dopo Camillo Sasso avrebbe dichiarato che i ritratti erano stati “con buon proveddimento” rimossi dalla sala, perché evidentemente considerati un segno imbarazzante della necessità di rinnovamento del Palazzo Reale123.
Pare che dopo la rimozione non tutti i dipinti furono distrutti, se
si vuol dar credito alla confusionaria testimonianza offerta dalla prima monograia di Massimo Stanzione redatta da Carlo Dalbono
(1871). Contro ogni evidenza storica, per il Dalbono lo Stanzione avrebbe eseguito tutte le tele della sala “a cominciare dal gran
Consalvo, il cui sepolcro vedesi nella cappella di San Giacomo in
Santa Maria la Nuova, ino al Viceré Conte di Daun. Imperando
Carlo VI, volle il viceré Conte Ognatte che fossero intorno intorno allogati in una gran sala del Real Palazzo, e vi stettero, secondo alcuni, in quella che dicesi sala dell’Ercole ino al tempo di Ferdinando IV”124. Alla data della monograia – quando la sala andava
acquisendo un nuovo aspetto post-unitario, in cui nel luogo occupato dai ritratti si vide una serie di stemmi delle province del nuovo Regno d’Italia125 – delle effigi dei viceré si erano già perse le tracce, “distrutti in parte e forse in parte ancora giacciono addossati
gli uni agli altri, condannati per ora all’oblio in furtivi arsenali di
mobiglie e tappezzerie”126. Da questi depositi “furtivi” (perché provvisori ed esposti all’attacco di ladri) i quadri avranno intrapreso diversi cammini che attendono di essere ricostruiti con un’indagine
paziente e probabilmente infruttuosa che prenda le mosse dai luoghi utilizzati per accumulare i vecchi arredi nel corso dell’Ottocento.
La difficoltà di poter incontrare esemplari superstiti della serie è aggravata dalla scarsa conoscenza dell’arte ritrattistica di Stanzione, di
cui queste opere (come bene osserva Dalbono) “potrebbero ora far
testimonianza dell’alto merito dell’artista in cosiffatto magistero”127.
Tra i pochi ritratti documentati e tuttora esistenti del cavalier Massimo si annovera proprio un’immagine equestre del conte d’Oñate,
conservata presso l’Instituto Valencia de Don Juan di Madrid, eseguita negli stessi anni della serie del palazzo128. Rispetto a questa grande tela, si avvicina maggiormente alla tipologia delle opere in esame
l’intenso ritratto del viaggiatore inglese Jerome Banks, una delle ultime opere dell’autore datata intorno al 1655129.
Per quanto riguarda la tempistica dell’intervento di Stanzione, i cinque pagamenti pubblicati dal 1984 al 2009 dimostrano l’elargizione
al pittore da parte del pagatore dell’Oñate, Luís del Hoyo Maeda,
di ben 1300 ducati tra il 25 settembre e il 24 dicembre 1652130. I
lavori si dovettero protrarre almeno nel corso dell’anno successivo e la serie venne completata solo durante il viceregno del conte
del Castrillo (1653-1658), come indicano Parrino e Pietro Giannone131. Nelle polizze di pagamento non si fa mai riferimento ai
ritratti, se non a opere che l’artista stava eseguendo nella stessa sala,
come se si trattasse di quadri le cui fonti igurative si trovassero necessariamente a Palazzo132. Date le scarse informazioni sugli arredi del Palazzo Reale “nuovo” e “vecchio” durante il viceregno spa-
RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO
gnolo, è possibile solo ipotizzare la presenza nella dimora napoletana di alcuni ritratti dei viceré anteriori che dovevano seguire lo
stereotipo spagnolo recepito a Milano, come suggerito da alcune
decorazioni per feste dedicate ai viceré133. Se a Milano la ricerca delle effigi dei governatori dei primi sessant’anni di dominio spagnolo
non fu un’impresa facile, tale operazione risultò ancora più ardua
a Napoli (e poi a Palermo) dove si dovettero recuperare le immagini di ministri che avevano governato nella città più di un secolo prima134. È chiaro che in questa singolare ricerca iconograica
si puntò sulla rappresentazione d’insieme della corporazione istituzionale più che sulla raffigurazione dei singoli viceré, ricorrendo talvolta a modelli di dubbia autenticità (come segnalano anche
le riproduzioni a stampa di Parrino, dove la spontaneità lascia spesso spazio a immagini stereotipate dei governatori spagnoli)135. Doveva dunque riferirsi solo alle dimensioni dei dipinti l’espressione
usata da Fluidoro di “ritratti al naturale” per indicare delle tele, che
invece erano solo exempla di governo per i loro sudditi e successori, come ben coglie Parrino nella dedica al viceré Francisco de Benavides, conte di Santisteban, del suo Teatro eroico e politico: “A’ ritratti che pendono nella Regia Sala del vostro Palagio, potrete di leggieri farne il confronto de’ volti, e ravvisatili tutti per d’essi, lasciare
a gli altrui sopracigli l’ammirare il vostro Dominio”136. La presenza sullo sfondo della gran parte dei ritratti riprodotti a stampa di
un ediicio simbolo delle operazioni promosse dal viceré effigiato
corrobora la forza di queste immagini come autentici emblemi dei
diversi mandati, memoria della igura, della nobiltà (si vedano le
frequenti decorazioni sfoggiate su abiti e livree) e dell’operato di
ogni viceré137.
L’autore di almeno due dei ritratti coevi all’esecuzione delle illustrazioni per il Teatro eroico fu il pittore romano Vincenzo Noletti, allievo di Ferdinando Vouet, che nel gennaio 1688 scrisse al viceré conte di Santisteban per ottenere l’incarico di dipingere i volti dei suoi predecessori: il marchese del Carpio e il contestabile Lorenzo Onofrio Colonna, che aveva retto il Regno tra la morte del
marchese e l’arrivo del Benavides138. La “supplica” e la successiva
richiesta del pagamento dei dipinti, eseguiti nei primi mesi del mandato del Santisteban, confermano le vicinanza tra il Noletti e il viceré dedicatario dell’opera di Parrino (su cui ci soffermeremo nelle prossime pagine) e offrono interessanti dati sulla loro esecuzione. Prima di tutto dimostrano l’aggiornamento costante della serie, attraverso il controllo dell’“Alcaide del Regio Palazzo”, inoltre
riportano i nomi di Francesco de Maria e Luca Giordano quali autori dei ritratti precedenti, pagati 100 ducati ciascuno attraverso i
gastos secretos dei viceré139.
Queste informazioni aggiungono nuove opere alle numerose
commissioni eseguite da Giordano per i viceré spagnoli di Napoli. D’altro canto è ancora più interessante la presenza del De Maria, di cui De Dominici ricorda i “ritratti somigliantissimi, e ben
dipinti […] di alcuni Ministri, e di altre persone distinte”140. I nomi
di questi due pittori – uniti a quello dello Stanzione – dimostrano che i ritratti dei viceré furono affidati ai principali artisti attivi
nella capitale del Regno, aspetto che rende ancora più sorprendente
l’attuale irreperibilità di queste opere, l’apparente assenza di eventuali copie di bottega e le scarne informazioni offerte al riguardo
dagli antichi visitatori del palazzo141.
122
Riappropriazione viceregia dei luoghi della tradizione. La galleria
dei ritratti dei viceré nel Palazzo Reale di Palermo
Come quella napoletana, anche la serie di Palermo decorava uno
spazio dedicato alla rappresentazione delle commedie e delle cerimonie civili più sfarzose.
Le iniziative intraprese dai viceré siciliani per la fabbrica reale riguardavano soprattutto i lavori di ristrutturazione architettonica
tardo cinquecentesca del fronte del palazzo verso la città di Palermo. Il programma darà luogo alla maestosa facciata142 e a luoghi
di rappresentanza, come la galleria che ospiterà nel XVII secolo i
ritratti dei viceré spagnoli, dipinti che rivelano un signiicativo mutamento di indirizzo da parte della politica artistica dei governatori spagnoli all’interno del cantiere del Palazzo dei Normanni143.
Nel corso del XVII secolo nella galleria o sala degli Arieti (così chiamata perché sin dai tempi del viceré Maqueda custodiva una coppia di arieti bronzei d’arte greca) si svolgevano le feste in cui i pochi invitati, esponenti dell’alta società, partecipavano a banchetti
e balli e assistevano anche a spettacoli teatrali144. Nelle relazioni delle cerimonie festive della Palermo vicereale, siamo riuscite a rintracciare una prima descrizione dell’assetto della galleria antecedente
alla decorazione che fu avviata nella seconda metà del XVII secolo dal viceré Francisco de Benavides IX conte di Santisteban. Fino
ad oggi, infatti, non si aveva nessuna notizia della prima decorazione della galleria. La descrizione in questione è quella che redasse
Vincenzo Auria per l’arrivo a Palermo di Giovanna d’Austria, nipote dell’Imperatore Carlo V perché iglia naturale del trionfatore di Lepanto, Giovanni d’Austria, fratello bastardo di Filippo II145.
Proprio a Palermo donna Giovanna convolò a nozze con Francesco Branciforti (1575-1622)146, principe di Pietraperzia, marchese di Militello e conte di Mazzarino. Il viceré Lorenzo Suárez de
Figueroa, duca di Feria, nominato viceré nel marzo del 1602147, fu
tra i protagonisti della lunga preparazione della celebrazione del fastoso matrimonio.
Nel molo piccolo, da dove era giunta la sposa Giovanna d’Austria,
insieme a molti principi e dame, il senato di Palermo fece erigere
un “Arco Trionfale, di bella architettura, con quadri, colonne, Iscritioni, ed Imprese”148, e da lì il corteo arrivò al Palazzo Reale, dove
si erano creati nuovi ambienti pubblici e privati intorno ai cortili
della fabbrica, spazi già esistenti ma rinnovati nella dimensione e
nella forma. Nel corso della cerimonia donna Giovanna poté ammirare la “bellissima Galeria principio del suo appartamento, tutta adorna di pitture, e di ritratti di veri, e particolarmente degl’Imperatori, e Rè di Casa d’Austria”149.
Il viceré Bernardino de Cárdenas y Portugal, III duca di Maqueda (1598-1601) “fece la bellissima stanza chiamata la Galeria”150
la cui decorazione si pensava fosse avvenuta un decennio dopo la
realizzazione della medesima, perché gli storici del tempo, come
il Di Giovanni, non hanno riportato nessuna notizia riguardante
il suo arredo. Dalla descrizione poco nota offerta da Auria, sappiamo
invece che essa fu abbellita da pitture e ritratti che raffiguravano
gli imperatori e i re della Casa d’Austria. Tuttavia, la completa assenza di notizie sulla galleria Maqueda potrebbe far sorgere più di
un sospetto sulla natura di queste decorazioni, se consideriamo il
consueto uso dei ritratti reali come memoria del passato ed esaltazione dinastica nelle decorazioni effimere per le feste regie151.
Della decorazione della galleria negli anni del mandato del Bena-
VALERIA MANFRÈ, IDA MAURO
12. Galeria de Palagio
de Palermo
da Teatro Geográico antiguo
y moderno del Reyno de Sicilia,
Palermo 1686
Madrid, Ministerio de Asuntos
Exteriores
123
RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO
vides (1678-1686) possediamo invece un’immagine che si trova all’interno del manoscritto Teatro Geograico antiguo y moderno del
Reyno de Sicilia, realizzato nel 1686 e conservato a Madrid presso
l’Archivo General del Ministerio de Asuntos Exteriores152. L’atlante, che per gli studiosi è stato commissionato dal Santisteban, è di
pregevole fattura, consta di 99 tavole – di cui nove mancanti – e
si presenta come un’opera composita raffigurante molti luoghi dell’isola che dona una piacevole idea di sé attraverso l’immagine a colori di diversi ediici. Una descrizione della Sicilia che ha un forte impatto visivo e spettacolare, dovuto all’intento propagandistico dell’hispanidad siciliana: una sorta di vetrina dei palcoscenici urbani, nella quale tutto è disegnato in modo celebrativo.
L’opera era stata concepita in due tomi, l’uno complementare all’altro. Recentemente una sua redazione datata 1685 e priva di frontespizio – che più si avvicina alla stesura inale, ma non ancora a
quella deinitiva – è stata ritrovata presso la Biblioteca Centrale Regionale di Palermo153. Il manoscritto cartaceo con legatura in piena pergamena su piatti di cartone rigido e lacci in tela verde (mm
297x208) riporta il titolo direttamente sul dorso: Relatione di Sicilia del señor Conde di S. Stefano, è un ex libris del Principe di Niscemi Giuseppe Valguarnera che fu donato nel 1907 alla Biblioteca. Gli argomenti esposti s’intrecciano tra storia e origini mitiche della Sicilia, geograia dell’isola e descrizione delle città più importanti e inine dell’isola di Malta con qualche accenno ai centri
minori. Proprio questa prima parte sembra avere un riscontro più
diretto con le tavole del Teatro circa la galleria dei ritratti dei viceré del Palazzo Reale di Palermo in cui si racconta che “El virrey
Conde de Santiteban año 1681 hizo pintar la Galeria principal deste Palacio de exelentes pinturas. Llamada del rey Don Pedro despues de las Visperas siciliana y en los frisos muchas empresas de
la Virtud y algunas medallas de la ciudad del Reyno y al rededor
los retratos de lo virreyes con marcos dorados desde el Conde de
Buendí año 1488”154. L’immagine contenuta nel Teatro geograico
ci consente un’analitica lettura dell’ambiente risalente al tempo del
viceré Benavides: “non devesi lasciare in oblivione, il leggiadro Abbellimento dal suo industrioso ingegno inventato nella Galleria del
Reggio Palazzo di Palermo […]. Memorie veramente degne
d’eternità, per le quali s’avvivano come presenti, l’antiche; e si propongono á generosa emulatione quel de’ successori ne’ futuri governi á pro del Regno di Sicilia. Fu cosa ben degna della magniicenza de’ Romani inalzando le Statue de gl’Huomini Illustri anco
ne’ Tempij; il Viceré l’ha imitato sublimando l’Imagini de gl’Heroi della Spagna, che han governato il Regno di Sicilia”155 (ig. 12).
Antonino Mongitore nel suo Diario manoscritto annotava che, nel
1680, il viceré Francisco de Benavides “ornò il palazzo reale di Palermo con pitture e ritratti della galleria; poiché da eccellenti pennelli si dipinsero l’imagini de’ viceré, che governarono il regno di
Sicilia dall’anno 1488 sino al presente, la venuta in Sicilia del re
Pietro d’Aragona, e vi fece depingere la pianta della Sicilia, con molte dell’antiche medaglie di essa, che tutte rendono a meraviglia vaga
e sontuosa questa gran sala reale”156. Seguendo invece le parole di
Vincenzo Auria: “[il viceré Benavides] Vi fece dipingere da eccellente Pennello nel Tetto la Venuta del Ré Pietro d’Aragona nella
Sicilia, e come vi prese la Real Corona in Palermo, per suo antico
Privilegio de gli altri Ré predecessori. Vi fe aggiungere la Pianta,
del Sito di Sicilia, e quella di Malta, e l’Imagini delle sue antiche
124
Medaglie con quelle delle più illustri Città Siciliane. Ma con più
decoro vi ordinò i Ritratti cavati da gli originali di tutti i Viceré di
Sicilia, che l’han governato dall’anno 1484 cominciando da Don
Ferdinando d’Acugna, Viceré Propietario, che fú il primo eletto dal
Ré per anni Tre, essendo stati per il passato a volontà di Sua Maestà, e così di tutti gli altri Viceré successori, insino al medesimo Conte di Santo Stefano”157.
L’assetto della galleria commissionato dal viceré Benavides è innegabilmente simile a quello che accolse le nozze del 1603. La differenza sostanziale fra le due gallerie è che la seconda si limita alla
realizzazione dei soli ritratti dei viceré di Sicilia. Da un possibile
confronto, i due ambienti sembrerebbero accomunati dal medesimo intento di incrementare la visibilità del governo spagnolo. Anche se la decorazione della galleria del Maqueda fosse rimasta integra ino all’arrivo del Santisteban, questa non fu l’unico esempio da cui il viceré poté trarre ispirazione. Ricordiamo che il conte, prima di essere designato viceré della Sicilia (1678-1687), era
stato inviato da Carlo II come viceré di Sardegna. Diego Vidania,
nel memoriale che tratta delle origini della casa Santisteban158, ci
ricorda che il 21 gennaio del 1676 arrivò a Cagliari nella carica di
viceré e durante tutto il periodo del suo mandato (che si concluse nel 1677), alloggiò nel Palazzo Regio di Cagliari, dove poté ammirare la serie dei ritratti sardi.
Inoltre il viceré, con l’occasione della realizzazione della galleria del
Palazzo, commissionò all’Auria la stesura dell’Historia Cronologica de’ Viceré di Sicilia, che ha inizio dall’anno 1409 e termina proprio nel 1687, durante il mandato del Santisteban e “dandole il suo
complimento quasi nel ine del suo governo, essendo servito di vederla, e passarla alla censura della sua prudenza, e diretione”. Il parallelismo con il già citato Teatro eroico e politico di Domenico Antonio Parrino, dedicato al Benavides negli anni del suo mandato
napoletano, è quanto mai evidente.
L’immagine del Teatro geograico raffigura la sala della galleria d’impianto classicistico, sulla cui volta ribassata è rappresentato il re Pietro d’Aragona, chiamato nel 1282, dopo la rivolta dei Vespri Siciliani, a ricevere l’ambita corona del Regno di Sicilia. L’affresco rientra nell’intento di quella ritrattistica “politica/propagandistica” che
doveva servire, all’interno della cultura barocca, ad educare e persuadere
mostrando le radici storiche del legame della Sicilia con la corona spagnola, sottolineando la continuità dinastica – attraverso Ferdinando il Cattolico – tra la casa d’Austria e quella d’Aragona.
Le lunette che si trovano tra la volta e le pareti sono ornate con dipinti allegorici raffiguranti le virtù, mentre i medaglioni, posti a mo’
di fregio nelle incorniciature rotonde al di sopra dei ritratti dei viceré, raffigurano nel dritto e nel rovescio i simboli delle città siciliane. Inoltre sono visibili le rappresentazioni dei due possessi-baluardi nel Mediterraneo come sovrapporta della parte longitudinale
della galleria, anche se solo una delle due carte geograiche – quella che rappresenta la Sicilia – è ben riconoscibile grazie al punto di
vista della tavola, mentre l’isola di Malta è appena distinguibile. Il
pavimento ha una decorazione a scacchiera in tre marmi diversi ed
uno zoccolo lungo che percorre tutta la galleria di sapore classicheggiante, mentre delle cariatidi delimitano alle pareti le igure intere dei viceré, da Ferdinando de Acuña, conte di Buendía, ino al
viceré Francisco de Benavides. La tipologia dei ritratti dei viceré conferma quello schema codiicatosi presso la casa d’Austria e diffuso
VALERIA MANFRÈ, IDA MAURO
da Tiziano, già riscontrato nella serie milanese e napoletana. Per quanto c’è dato a vedere i dipinti sono volti a inquadrare il soggetto raffigurato in una gerarchia sociale e politica, e a mostrare il luogo da
lui occupato nella dinastia ittizia dei viceré di Sicilia.
Alla stregua della serie napoletana, anche qui troviamo un preciso movente politico dietro alla realizzazione dei ritratti. Com’è risaputo, le ostilità fra Messina e il governo di Madrid furono soffocate
dalla strategia di repressione della rivolta messa in atto dal Benavides159. In quest’ottica è da leggere la serie dei viceré del Palazzo
Reale di Palermo160, intesi a rafforzare l’immagine del viceré in una
Sicilia ribelle al potere centrale ed eco della politica di restaurazione
perseguita durante gli anni Ottanta, in una situazione speculare a
quella che si era veriicata a Napoli trent’anni prima.
Per quanto riguarda la tecnica con cui furono eseguiti i dipinti è
stato dimostrato, a seguito di alcuni lavori di restauro, che le immagini erano dipinte su tele applicate su tavola, inserite in uno spazio separato da paraste affrescate, che misurava complessivamente metri 15x8,5x9 circa161.
Chi potrebbero essere gli “eccellenti pennelli” a cui fanno riferimento
le fonti manoscritte? In assenza di fonti documentarie e di qualsiasi tentativo di indagine precedente, è impossibile al momento
confermare l’identità dei possibili autori162. Può essere allora utile seguire le “rotte artistiche” del viceré Benavides a Palermo e proporre nuove ipotesi.
Consapevoli di seguire un’esile trama di collegamenti, abbiamo preso in esame l’attività di uno dei più importanti architetti-scenograi
della Palermo del XVII secolo, Paolo Amato (1634-1714), che rivestì per più di quarant’anni la carica di architetto del Senato163.
In virtù della sua posizione, riteniamo valide le ipotesi che vedono l’Amato come supervisore generale dell’opera, nella quale la realizzazione dei ritratti dei viceré, delle carte geograiche, delle virtù, degli ornati e dei medaglioni avvenne attraverso la collaborazione di più artisti.
Tra i possibili autori è stato indicato il pittore di vedute messinese
Filippo Giannetti (1630-1702), poiché entrò nelle grazie del viceré Benavides164. Ricorda Francesco Susinno, storiografo dell’arte siciliana del Settecento, che questi, dopo un primo periodo di apprendistato a Messina – prima nello studio di Giacomo di Cara e
in seguito presso quello di Abraham Casembrot – si trasferì a Palermo dove dimorò per lungo tempo. Proprio nella capitale siciliana, divenuto famoso per le sue vedute, il viceré Francisco de Benavides
gli commissionò svariate tele che “furono mandate in Ispagna”165.
Alla ricerca di un possibile autore delle immagini dei viceré, abbiamo
considerato il ritratto a stampa di Paolo Amato in abito talare, raffigurato a mezzo busto e di tre quarti mentre regge tra le mani un
libro166. La stampa si trova all’interno del suo trattato di architettura La Nuova Pratica di Prospettiva, pubblicato a Palermo nel
1732167. Fu incisa da Antonino Bova, probabilmente sul modello di un quadro168 e riporta la dicitura: “Vincentius Noletti Rom: pmxit
an. 1697”169. Il nome di quest’artista romano compare anche nell’inventario dell’architetto Giacomo Amato, dove troviamo “Un ritratto del Pittor Noletti senza cornice” che è stato identiicato con
un suo dipinto oggi custodito presso la Galleria Regionale di Palermo170. Il pittore non può che essere lo stesso Vincenzo Noletti
che nel 1688 chiese al Benavides di eseguire i ritratti dei suoi predecessori per la sala dei viceré partenopea. È dunque plausibile sup-
125
porre che Noletti entrò in contatto con il Santisteban attraverso l’ambiente siciliano, considerato che entrambi i ritratti dei due architetti siciliani furono affidati a lui.
Anche se non è possibile identiicare e datare il dipinto di Paolo
Amato riprodotto a stampa, l’ipotesi di una decorazione pittorica
a più mani ci porta a immaginare la partecipazione del Noletti ritrattista all’interno della galleria di Palazzo Reale di Palermo. Considerando poi che Giacomo Amato si formò a Roma tra il 1671 e
il 1685, è immaginabile che fosse proprio lui a entrare in contatto attraverso l’entourage culturale dell’ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede (il marchese del Carpio) con un allievo del famoso
ritrattista Voet e che da Roma Giacomo segnalasse a Paolo – che
coordinava la decorazione della galleria – un “eccellente pennello”
a cui affidare il lavoro.
Purtroppo la vicenda artistica e gli itinerari di Noletti sono tuttora pieni di zone d’ombra. Recenti studi hanno testimoniato la notevole fama di cui godette l’artista, facendolo riemergere in parte
dall’anonimato. È certo che si inserì facilmente in una rete di committenze artistiche d’alto rango, a questo proposito ricordiamo che
l’inventario romano di Gaspar de Haro y Guzmán, marchese del
Carpio, compilato tra il 1682 e il 1683, segnalava nel palazzo della Vigna presso porta San Pancrazio, alcuni ritratti di mano di “Vincenzo, scolaro di Ferdinando171”, riferimento al Noletti e al suo maestro Voet, tra i più famosi ritrattisti dell’élite romana tra il pontiicato Rospigliosi e gli inizi del pontiicato Odescalchi172. Tuttavia,
a questa notorietà in vita non corrisponde, per il momento, nessun tentativo d’indagine biograica moderna che supporti l’ipotesi da noi avanzata di un suo soggiorno palermitano.
Una successiva testimonianza iconograica dei ritratti della galleria ci viene offerta da Francesco Maria Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca (1720-1802), personaggio di primo piano nella società palermitana della seconda metà del Settecento. Il marchese si dedicò alla pittura e al disegno e alle ricerche di storia patria, pieno di amore per le cose della sua città e della Sicilia, invasato da una passione senza confronti e da un impegno vivissimo
ad illustrare i monumenti e gli istituti della sua terra al ine di preservarne la memoria173. Dalla sua attività di poligrafo emerge l’opuscolo Delli ritratti de’ viceré di Sicilia espressi in rame ed in carta e
che esposti vengono nelle regie stanze del palazzo dominante di Palermo
colle epigrai in piede toccanti il tempo e le circostanze del lor governo174. È probabile che la serie fu prodotta dopo il 1795, essendo
presente all’interno del manoscritto un riferimento a Felipe López
y Royo, presidente del Regno in quello stesso anno. Purtroppo la
serie dei ritratti non è completa, l’assenza di dodici di essi è stata
ricondotta alla possibilità che i dipinti non si trovassero più a Palazzo o che il Villabianca non vi avesse potuto accedere175.
Il corredo illustrativo dell’opuscolo del Villabianca è stato personalmente preparato dal marchese che con schizzi a penna plasmò
i volti dei viceré. Dalla testimonianza del Villabianca sappiamo che
dopo il Benavides furono eseguiti altri ritratti di viceré che lui stesso riprodusse, da Juan Francisco Pacheco, duca di Uceda (1687-1696)
sino ad arrivare a Joaquín Portocarrero, marchese di Almenara, viceré per l’imperatore austriaco (1722-1728). Dall’analisi dei disegni acquarellati è possibile evidenziare un cambiamento della tipologia
ritrattistica che, se da un lato celebrava sempre la virtus e il successo
raggiunto da chi è raffigurato, dall’altro privilegiava nel Settecen-
RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO
13. Nicolò Palma, Antonino Bova
Apparato della Galleria
del Regio Palazzo
da Pietro La Placa, Relazione
delle Pompe Festive seguite in
Palermo... nella celebrità delle regie
nozze di Carlo Borbone... con
126
Maria Amalia principessa
di Polonia e di Sassonia
Palermo 1739
Madrid, Biblioteca Nacional
de España
RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO: LE SERIE DEI RITRATTI DI VICERÉ E GOVERNATORI
to un aspetto maggiormente intellettuale. Gli abiti sono poi adattati alla moda francese (come si è visto anche nella serie di Cagliari), che nel Settecento soppiantò totalmente quella imposta dalla
Spagna nei due secoli del suo predominio in Europa. Il cambiamento
di stile è visibile nel ritratto del marchese di Villena, dove si nota
l’abbigliamento secondo l’ultimissima moda francese, fatta di esteriorità, ostentazione e eleganza, stoffe preziose e nastrini colorati,
e nell’uso della lunga parrucca impolverata e riccia (riscontrata già
nel ritratto cagliaritano di Baltasar de Zúñiga) (ig. 10). Lo schema utilizzato varia, inoltre, rispetto all’immagine della galleria riprodotta nell’atlante, dove i viceré sono raffigurati in piedi; qui le
igure sono a mezzobusto con il volto leggermente ruotato rispetto al corpo, dentro di una semplice cornice ovalata che nella parte inferiore mostra lo stemma del viceré corrispondente. Dai disegni del marchese sembrerebbe quasi che le sorti della raffigurazione dei viceré di Palermo siano un rilesso di quelli di Milano e Napoli. Nelle immagini dell’opuscolo si ripetono i medesimi elementi:
dal tendaggio, alla colonna, a un’architettura convenzionale, dal biglietto tra le mani, al bastone di comando e solitamente presentano come scenograia un paesaggio deinito o uno spazio aperto.
Nessuna traccia è rimasta dei trentasette ritratti commissionati dal
Benavides e di quelli eseguiti successivamente. Da quanto dichiara il Mongitore, in occasione dell’incoronazione di Carlo di Borbone, avvenuta a Palermo nel maggio del 1735, furono intrapresi una serie di lavori all’interno del palazzo per accogliere il sovrano e tra questi “si rifecero di novo tutti li ritratti de’ re di Sicilia
che ornavano la galleria, dipinti nobilmente da Guglielmo Borremans, auterpiense; e si fecero di nuovo le vetriate e telai ben lavorati”176. Diversamente da Napoli, l’azione propagandistica volta ad
esaltare la dignità regia del nuovo sovrano si mostrò impietosa con
le immagini degli antichi rappresentanti della corona.
Il nuovo aspetto della galleria è raffigurato in un’incisione di Antonino Bova, inserita nel ragguaglio di Pietro la Placa delle feste svoltesi a Palermo nel 1738 in occasione delle nozze tra Carlo di Borbone e Maria Amalia di Sassonia177 (ig. 13). Tra le decorazioni della galleria si riescono a distinguere alcuni ritratti dei re di Sicilia,
che avevano sostituito quelli dei viceré, pur mantenendo il medesimo impianto decorativo, come dimostra la presenza delle mappe delle due isole, Sicilia e Malta. Pietro la Placa descrive la galleria con queste parole: “Fé dunque adornare in modo particolare
la nobile e capacissima galleria ove in bell’ordinanza stan da vivace, e veritiere pennello rappresentati tutti i ritratti de’ Re di Sicilia, incominciando da Ruggiero insino a Carlo felicemente regnante,
colla serie delle medaglie antiche siciliane, dipinte pure a fresco per
tutto il lunghissimo tratto della medesima”178.
È probabile che in questo momento i ritratti dei viceré fossero sparsi in più sale del palazzo, così come risulta da una relazione del 1787
concernente la sistemazione dei vari locali. Da questo documento i ritratti sembrerebbero aver raggiunto quota quarantanove e che
di questi, venticinque si trovavano nella seconda anticamera del quarto reale, quindici nella terza anticamera dello stesso quarto reale e
altri nove nel “corpo di guardia delli Tedeschi”179. Dalla Guida di
Gaspare Palermo sappiamo che nel 1816 i ritratti dei viceré esposti nel palazzo si erano ridotti a quelli appesi nella sala chiamata
“prima anticamera”, senza accenni ad altre sale ma solo che: “nella prima anticamera pendono dalle mura diversi ritratti de’Vice-
127
ré, che hanno governato questo Regno, dal Re Cattolico Carlo III
Borbone sino al presente di lui iglio Ferdinando”180. Queste immagini dei viceré borbonici sono quelle che si trovano ancora adesso nell’antica prima anticamera (della Sala d’Ercole), attuale Sala
dei Viceré del Palazzo dei Normanni, dove si vedono esposte le igure dei viceré, luogotenenti e presidenti generali borbonici che hanno governato la Sicilia dal 1747 al 1840. I ritratti dei viceré spagnoli e austriaci sembrerebbero essere stati rimossi forse a seguito
dell’adattamento del Palazzo Reale per accogliere Ferdinando, IV
di Borbone e I di Sicilia, in fuga nel 1798 dalla rivoluzione di Napoli o nella successiva conquista del Regno ad opera di Gioacchino Murat.
Si è ipotizzato che, dopo un primo trasferimento presso i magazzini del palazzo, i ritratti fossero andati distrutti durante i moti del
1820 e del 1824, quando l’ediicio fu selvaggiamente saccheggiato. Dopo l’insurrezione palermitana del 15 luglio del 1820 che fece
fuggire il luogotenente generale a Napoli, avvenne la sistemazione ornamentale dell’attuale soffitto della galleria, che fu divisa, alla
ine del XVIII secolo, nelle tre sale oggi denominate Rossa, Gialla e Verde. La decorazione dell’attuale Sala Gialla torna a presentare dei temi storici e celebrativi, negli affreschi raffiguranti scene
come la conquista di Palermo da parte del conte Ruggero e la sua
entrata vittoriosa in città, eseguiti dai pittori Vincenzo Riolo (17721837) e Giuseppe Patania (1780-1852) per volere del luogotenente
generale di Sicilia Leopoldo conte di Siracusa181.
Rivolte e cambi di potere sono le ragioni per cui le nostre quattro
iconoteche scomparvero negli ultimi due secoli, secondo modalità difficili da determinare, perché alla soppressione (o dispersione)
seguì l’oblio, nato dal disprezzo con cui è stata generalmente considerata la dominazione spagnola in Italia.
Una dinamica simile si riscontra anche nella storia dei ritratti americani. Le serie dei viceré di Rio de la Plata, Buenos Aires e dei presidenti del Cile scomparvero in seguito alle guerre che portarono
al passaggio dal governo coloniale all’indipendenza. Ove questa transizione avvenne in maniera “paciica” – come in Perù – ci si occupò
di preservare il gruppo dei dipinti per il loro valore storico: “convencidos, pues, de la importancia histórica y aun artística é indumentaria, de esta Galería y de la necesidad de conservarla”182, come
dichiarava José Antonio de Lavalle nell’introduzione dei suoi proili dei governi dei viceré di Perù, editi nel 1909 ed illustrati dalle
litograie dei ritratti, eseguite dall’artista Evaristo San Cristóbal183.
Tali riproduzioni dei ritratti vicereali (riscontrate per quasi tutte le
serie italiane) sono la fonte di partenza per le future indagini intorno a questi dipinti, al ine di ricostruire la loro diffusione e riconoscere il valore artistico e documentale di queste tele, che restano un capitolo importante ma poco esplorato del mecenatismo
vicereale in Italia.
RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO
1
V. Carducho, Diálogos de la pintura,
ed. a cura di F. Calvo Serraller, Madrid
1979, p. 334 (cit. in A.E. Pérez Sánchez, El retrato clásico español, in El Retrato, Barcelona 2004 (1994), pp.
197-231: 199). Carducho cita dalle
Divinae Institutiones di Lattanzio e segue quasi letteralmente le prime frasi del capitolo LI (Composizione di ritrarre dal naturale) del Trattato dell’arte
di Giovanni Paolo Lomazzo (1584),
cfr. G.P. Lomazzo, Scritti sulle arti, a
cura di R.P. Ciardi, 2 voll., Firenze
1974, II, p. 374.
2
M. Jenkins, e State portrait. Its origin and evolution, New York 1947, pp.
5-6. Per il dibattito teorico sul ritratto e il suo valore cfr. E. Pommier, éories du portrait: de la Renaissance aux
Lumières, Parigi 1998.
3
Cfr. M. Falomir Faus, El retrato de
corte, in El retrato del Renacimiento, cat.
mostra, Madrid 2008, pp. 109-123.
Rinviamo a un futuro lavoro la discussione sull’abbondante bibliograia
relativa alla diffusione del ritratto di
corte spagnolo. In questa sede, senza
la pretesa di essere esaustive, oltre ai titoli che citeremo in seguito segnaliamo Alonso Sánchez Coello y el retrato
en la corte de Felipe II, cat. mostra, Madrid 1990; M. Falomir Faus, Imágenes
de poder y evocaciones de la memoria.
Usos y funciones del retrato en la corte
de Felipe II in F. Checa Cremades (a
cura di), Felipe II. Un monarca y su época. Un príncipe del Renacimiento, Madrid 1998, pp. 203-227; M. Kusche,
El retrato cortesano en el reinado de Felipe II, in Felipe II y el arte de su tiempo, Madrid 1998, pp. 343-382; L.
Ruiz Gómez, Retratos de corte en la monarquía española (1530-1660), in El retrato español. Del Greco a Picasso, a cura
di J. Portús Pérez, cat. mostra, Madrid
2004, pp. 92-119; D.H. Bodart, Il ritratto nelle corti europee del Cinquecento,
in G. Fossi (a cura di), Il ritratto: gli
artisti, i modelli, la memoria, Firenze
1996, pp. 137-172; Ead., Enjeux de la
présence en image: les portraits du roi
d’Espagne dans l’Italie du XVIIe siècle,
in E. Cropper (a cura di), e diplomacy of art: artistic creation and politics in Seicento Italy, Bologna 2000, pp.
77-99; N.A. Mallory, El Retrato cortesano, in J. Gutierrez Haces (a cura di),
Pintura de los Reinos. Identidades comparitades: terrítorios del mundo hispanico, siglos XVI-XVIII, 4 voll., cat. mostra, Ciudad de México 2008-2009,
IV, pp. 1404-1445.
4
Nel 1581 si ha notizia di due ritratti spagnoli di Carlo V e di Filippo II
di Alonso Sánchez Coello in Nueva
España (cfr. I. Rodríguez Moya, La mi-
rada del virrey, Castelló de la Plana
2003, p. 61).
5
Sull’utilizzo del ‘simulacro’ reale a
Lima, cfr. i lavori di Alejandra Osorio,
tra cui: A. Osorio, e King in Lima:
Simulacra, Ritual, and Rule in Seventeenth-Century Peru, in “Hispanic
American Historical Review”, n. 84,
2004, pp. 447-474.
6
Sulla galleria dei ritratti dei viceré si
veda: I. Rodríguez Moya, El retrato de
la élite e Iberoamérica: siglos XVI a
XVIII, in “Tiempos de América. Revista de historia, cultura y territorio”,
n. 8, 2001, pp. 79-92; Ead., La mirada
del virrey, op. cit.; J. Bernales Ballesteros, La Pintura en Lima durante el
virreinato, in Pintura en el virreinato
del Perú, Lima 2001; G.R. Gutiérrez
(ed.), Pintura, escultura y artes útiles en
Iberoamérica, 1500-1825, Madrid
1995.
7
I. Rodríguez Moya, El retrato de la élite e Iberoamérica, op. cit., pp. 79-92.
8
Questa serie tra il 1834 e il 1836 fu
accolta nelle sale del Museo che proprio in quegli anni vide luce, grazie al
Generale Orbegoso, Presidente Provvisorio della Repubblica. Oggi solo una
parte si trova esposta nel salone degli
atti del Museo Nazionale, mentre gli
altri dipinti si trovano nei depositi. J.A.
Lavalle, Galería de retratos de los Gobernadores y virreyes de Perú, Barcellona 1909, p. 5.
9
La collezione di fatto riuscì a riunirsi
grazie sia alla benevolenza e intuizione del generale Cesare Canevaro (che
nascose la maggior parte dei ritratti)
sia all’amore e zelo dell’allora bibliotecario Ricardo Palma, che riuscì a recuperare quelli smarriti. M. de Mendiburu, Diccionario Historico-Biograico del Perú, 8 voll., Lima 1878, III,
p. 6. Le più recenti osservazioni su questi ritratti sono in M.A. Brown, La
imagen de un Imperio: el arte del retrato
en España y los virreinatos de Nueva
España y Perú, en J. Gutiérrez Haces
(a cura di), Pintura de los reinos, cit.,
IV, pp. 1446-1503.
10
Nella biblioteca del Museo e in quella Nacional di Lima esiste un testo di
Gutiérrez de Quintanilla (E. Gutiérrez de Quintanilla, Catálogo de las Secciones Colonia i República i de la Galería Nacional de Pinturas del Museo de
Historia Nacional, Lima 1916) che ci
offre dati relativi al titolo, autore, misure e un breve riferimento bibliograico per ogni ritratto.
11
Nella parte inferiore destra, la cornice ovale recita la seguente frase: “Don
Diego de la Cueva i Be/ navides Conde de San/ tisteban nel consejo i junta de guerra de/ España tomo pose/
128
sion del virrei/ nato de Peru en 30/ de
agosto de 1660”. Per quanto riguarda
l’autore del dipinto, è stato ipotizzato da Ramón Gutiérrez che tutti i ritratti ino al viceré José de Armendáriz furono eseguiti dallo stesso autore
durante il XVIII secolo, da identiicarsi
in Cristobal Lozano (1700-1776).
G.R. Gutiérrez, Pintura, escultura y artes ùtiles en Iberoamèrica, cit., p. 170.
È difficile pensare che sia un ritratto
di origine iberica e direttamente imbarcato sulle navi insieme al viceré, ipotesi decisamente affascinante, che potrebbe essere corroborata dalla stessa
notizia riportata ancora una volta da
Mendiburu: “El conde de Santisteban
trajo en Lima una imagen de nuestra
señora de la Misericordia, que obsequió al convento de San Agustín, y dió
origen á una cofradía cuya riqueza permitió distribuir anualmente cinco
mil misas, limosnas á hospitales y á
personas […]. La referida imagen
existe en el altar de San Eloy patrón de
los artíices de oro y plata”. M. de
Mendiburu, Diccionario HistoricoBiograico del Perù, cit., III, p. 32.
12
La politica culturale di questo viceré
non ha ricevuto grande attenzione da
parte degli studiosi che si sono invece concentrati sugli aspetti socioeconomici. B. Lavallé, Amor y opresión en
los Andes coloniales, Lima 1999, p. 24.
Il Diario di Josepe Mugaburu nel descrivere il periodo del viceregno di Diego de Benavides, accenna anche alle
frequenti feste, celebrazioni mariane,
mascherate e processioni nella quale intervenne personalmente Diego de
Benavides. Cfr. M. de Mendiburu,
Diccionario Historico-Biograico del
Perù, cit., II, pp. 38-76.
13
Per l’immagine del ritratto di Diego de Benavides e alcune indicazioni
sul medesimo quadro del Museo di
Lima ringraziamo Jaime Mariazza. Il
ritratto è stato pubblicato in bianco e
nero per la prima volta in G.M. Cerezo San Gil, Atesoramiento artístico e
historia en la España Moderna: los IX
condes de Santisteban del Puerto, Jaén
2006, p. 57, senza però relazionarlo
alla serie dei ritratti dei viceré del Perù.
14
I. Sariñana, Llanto del occidente en
el ocaso del mas claro sol de las Españas.
Funebres demostraciones que hizo Pyra
Rel que eregio en las exequias del rey n
Señor D. Felipe IIII el Grande…, Mexico, por la Viuda de Bernardo Calderon, 1666, p. 17.
15
Nella descrizione della Sala del
Real Acuerdo del Palazzo Reale, Sariñana cita anche i ritratti dei viceré: “En
el de la parte del Sur, la puerta à la antesala, y Salas del Real Acuerdo, que
VALERIA MANFRÈ, IDA MAURO
todas tienen valcones al Medio dia. La
principal es de mas de treinta varas de
largo, y diez de ancho. Sus paredes
(aora enlutadas) adorna de ordinario
una rica colgadura de damasco carmesi, y su cabecera un valdoquin de
borcado encarnado, y oro, con su escudo de Armas Reales, en que está en Retraro del Rey N. Señor D. Carlos Segundo, que Dios que guarde, desde
que le aclamó esta Imperial Ciudad.
En la pared de la mano derecha se conserva en un lienço grande con marco
dorado, y negro un retrato original del
Señor Emperador Carlos V de mano
de Ticiano, remitido por su Magestad
Cesarea, luego que tuvo la feliz nueva de la Conquista de estos Reynos.
Está su Augusta Magestad á cavallo,
enteramente armado, con la lança en
ristre, penacho carmesí, y banda roja.
En lo alto pendientes de la solera están
veinte y quatro lienços de retratos verdaderos de medios cuerpos de los Virreyes, que á tenido la Nueva-España,
desde el famosissimo Heroe D. Fernando Cortes, su Conquistador, y primero Governador, aunque sin titulo
de Virrey, hasta el Ex.mo señor Marques de Manzera, que oy le govierna”,
ivi, pp. 14-15.
16
I. Rodríguez Moya, La mirada del
virrey, cit., p. 107; M.A. Brown, La
imagen de un Imperio, cit.
17
Il ritratto di Baltazar de Zúñiga del
1716 è attribuito da Rodríguez Moya
al pittore Francisco Martínez (ivi,
scheda n. 34).
18
Si veda il classico studio di Tormo,
che portò alla luce l’esistenza delle “serie iconiche” di Barcellona, Valenza e
Saragozza dipinte dall’italiano Filippo
Ariosto (E. Tormo y Monzó, La viejas series icónicas de los reyes de España,
Madrid 1917, ripreso recentemente in
S. De Cavi, Architecture and Royal Presence: Domenico and Giulio Cesare
Fontana in Spanish Naples (15921627), Newcastle upon Tyne 2009, pp.
92-94. Su questa serie cfr. anche R.
Galdeano Carretero, La sèrie iconogràica dels comtes i comtes-reis de Catalunya-Aragó, del pintor Filippo Ariosto, per al Palau de la Generalitat de Catalunya (1587-1588): art, pactisme i historiograia, in “Butlletí del Museu Nacional d’Art de Catalunya”, n. 7,
2003, pp. 51-70.
19
Sulla galleria del Pardo e i ritratti provenienti dalla collezione di Binche cfr.
M. Kusche, La antigua Galeria de Retratos del Pardo: su importancia para la
obra de Tiziano, Moro, Sanchez Coello y Sofonisba Anguissola y su signiicado para Felipe II, su fundador, in “Archivo Español de Arte”, 1992-1993,
nn. 253, 255, 257, pp. 1-28, 1-36,
261-292. I dipinti bruciarono in un incendio nel 1604 ma la galleria venne
riallestita da Filippo III negli anni successivi (cfr. M. de Lapuerta Montoya,
La Galería de los Retratos de Felipe III
en la Casa Real de El Pardo, in “Reales Sitios: Revista del Patrimonio Nacional”, n. 143, 2000, pp. 28-39).
20
Cfr. gli studi di Maria Kusche (M.
Kusche, Der Christliche Ritter und
seine Dame, das Repräsentationsbidnis
in ganzer Figur, Münich 1991) e Falomir Faus, El retrato de corte, cit.
21
Così nella parete della galleria del
Pardo che affacciava sul patio Filippo
II fece disporre il ritratto del duca d’Alba di Tiziano, di Juan de Benavides e
Luís de Carvajal di Antonio Moro (cfr.
M. Kusche, La antigua Galeria de Retratos del Pardo, cit.). Il ritratto del duca
d’Alba proveniva dalla collezione di
Maria d’Ungheria.
22
Per la galleria di ritratti del Condestable de Castilla trasferita dallo stesso Juan Fernández de Velasco dalla
Casa del Cordòn de Burgos al palazzo della Quinta de Mirafuentes di Madrid, cfr. M.C. de Carlos, El VI Condestable de Castilla, coleccionista e intermediario de encargos reales (15921613), in J.L. Colomer (a cura di), Arte
y diplomacia de la monarquía hispánica en el siglo XVII, Madrid 2003, pp.
247-273; M.C. de Carlos, Al modo de
los Antiguos. Las colecciones artísticas de
Juan Fernández de Velasco, VI Condestable de Castilla, in A. Begoña-M.C.
de Carlos-F. Pereda, Patronos y coleccionistas: los condestables de Castilla y
el arte (siglos XV-XVII), Valladolid
2005, pp. 207-314; I. Coiño Fernández-M.E. Escudero Sánchez, Nuevas aportaciones el coleccionismo español de la Edad Moderna: la galería de
retratos de la familia Velasco, in “Boletín
del Seminario de Arte y Arqueología.
Arte”, 2008, LXXIV, pp. 151-184.
Sulla celebre serie dei ritratti allestita
da Paolo Giovio cfr. L.S. Klinger,
e portrait collection of Paolo Giovio,
tesi dottorale, Princeton University
1991; F. Minonzio, Il Museo di Giovio e la galleria degli uomini illustri, in
E. Carrara-S. Ginzburg (a cura di), Resti, immagini e ilologia nel XVI secolo,
atti delle giornate di studio, Pisa,
Scuola Normale Superiore, 30 settembre 1 ottobre 2004, Pisa 2007, pp.
77-146.
23
Sulla galleria dei ritratti di Ambràs: E.
Scheicher, Der Spanische Saal von Schloss
Ambras, in “Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien”, LXXI,
1975, pp. 39-94; A. Loehr-G. Ladner,
Die Porträtsammlung des Erzherzogs
Ferdinand von Tirol, Wien 1932.
24
Sull’attività di Arcimboldo tra Milano e Vienna cfr. i saggi contenuti nel
catalogo della recente mostra Arcimboldo: 1526-1593, a cura di S. FerinoPagden, cat. mostra, Milano 2008, tra
cui K. Schütz, Arte e cultura alla corte dell’Imperatore Massimiliano II; M.
Staudinger, Fonti su Arcimboldo alla
corte degli Asburgo, in ivi, pp. 73-79,
303-309.
25
Per una rassegna della ritrattistica
lombarda cfr. il catalogo della mostra
del 2002: F. Frangi-A. Morandotti (a
cura di), Il ritratto in Lombardia da
Moroni a Ceruti, cat. mostra, Milano
2002.
26
F. Checa Cremades, Tiziano y la monarquía hispánica: usos y funciones de
la pintura veneciana en España (siglos
XVI y XVII), Madrid 1994.
27
A. Morandotti, scheda n. 24, in F.
Frangi-A. Morandotti, Il ritratto in
Lombardia da Moroni a Ceruti, cit., pp.
86-87.
28
Dal trattato Idea del tempio della pittura, in G.P. Lomazzo, Scritti sulle arti,
a cura di R.P. Ciardi, 2 voll., Firenze
1974, II pp. 36-37. Lo stesso Lomazzo
dichiarò nelle sue Rime di aver eseguito
una galleria di ritratti ufficiali di
“principi alemanni”, “generali”, “valorosi e arditi colonnelli” e “cardinali”, cfr. A. Morandotti, “Milano nell’età di Carlo V e di Filippo II: la diffusione del ritratto di corte e l’affermazione di Giovanni Ambrogio Figino”, in F. Frangi-A. Morandotti, Il ritratto in Lombardia da Moroni a Ceruti, cit., pp. 62-67: 66.
29
Sul cerimoniale della corte della Milano spagnola, cfr. gli studi di Antonio Álvarez-Ossorio Alvariño: A. Álvarez-Ossorio Alvariño, La corte de los
gobernadores del Estado de Milán, in
Studi in memoria di Cesare Mozzarelli, 2 voll., Milano 2008, I, pp. 421462.
30
Per il lavoro di Pellegrino Tibaldi per
il Palazzo Regio Ducale di Milano cfr.
i documenti dell’Archivio di Stato di
Milano pubblicati nel 1901 in F. Malaguzzi Valeri, Pellegrino Pellegrini e le
sue opere in Milano, in “Archivio storico lombardo”, XXVIII, 1901, pp.
307-350: 327-338. Questo episodio
della densa attività del Tibaldi è stato
spesso trascurato dagli storici a causa
delle trasformazioni subite nel tempo
dalla residenza milanese ma va considerato come momento importante per
la successiva commissione regia per
l’Escorial, su cui cfr. M. Scholz-Hänsel, Eine spanische Wissenschaftsutopie
am Ende des 16. Jahrhunderts: die Bibliotheksfresken von Pellegrino Pellegrini
129
im Escorial, Münster 1987; C. GarcíaFrías Checa, Pellegrino Tibaldi y los frescos de la biblioteca de El Escorial, in M.
Di Giampaolo (a cura di), Los frescos
italianos de El Escorial, Madrid 1993,
pp. 171-174; F. Marías, La Basílica del
Escorial, la arquitectura y los arquitectos italianos, in G. Beltramini-A. Ghisetti Giavarina (a cura di), Studi in onore di Renato Cevese, Vicenza 2000, pp.
351-373.
31
F. Malaguzzi Valeri, Pellegrino Pellegrini e le sue opere, cit., p. 335. Si parla della realizzazione della serie dei ritratti analizzando i medesimi documenti anche in G. Bora, Milano nell’età di Lomazzo e San Carlo: riaffermazione e difficoltà di sopravvivenza di
una cultura, in M. Kahn-Rossi-F. Porzio (a cura di), Rabisch: il grottesco nell’arte del Cinquecento. L’Accademia
della Val di Blenio, Lomazzo e l’ambiente milanese, cat. mostra, MilanoLugano 1998, pp. 37-56: 50.
32
Dalla serie venivano estromessi i rappresentanti dell’imperatore Carlo V negli anni precedenti al 1535, quando il
ducato era già di fatto sotto il controllo
spagnolo, cfr. A. Álvarez-Ossorio Alvariño, Milán y el legado de Felipe II:
gobernadores y corte provincial en la
Lombardía de los Austrias, Madrid
2001, pp. 17-18.
33
F. Malaguzzi Valeri, Pellegrino Pellegrini e le sue opere, cit., p. 338.
34
Ivi, p. 339.
35
Ibidem.
36
C. Torre, Il Ritratto di Milano, Milano, Agnelli 1674, p. 342: “Se volete poi rimirare de Gouernatori noftri
le naturali fattezze eccole tutte disposte in dipinti Quadri fotto i laterali
Portici ma ad incominciare dal primo
nei tempi di Carlo Quinto dovetevi
trasferire in quel Portico alla diritta del
Giardino che colà troveremolo e lo ravviserete con gli altri insieme successivamente dipinti”.
37
S. Latuada, Descrizione di Milano,
ornata con molti disegni in rame delle
fabbriche più cospicue, che si trovano in
questa metropoli, 5 voll., Milano, Cairoli, 1737-1738, II, pp. 131-133.
Sulle opere settecentesche nel palazzo
cfr. M. Forni, Il Palazzo Regio Ducale di Milano a metà Settecento, Milano 1997, pp. 93-94.
38
A. Álvarez-Ossorio Alvariño, Milán
y el legado de Felipe II, cit., p. 15. Su
questo episodio cfr. anche A. Spiriti,
I volti del ritratto: strategie del potere in
Lombardia dal Cinque al Settecento, in
F. Frangi-A. Morandotti, Il ritratto in
Lombardia da Moroni a Ceruti, cit., pp.
341-345: 341. Sui lavori promossi dal
Pallavicini cfr. M. Forni, Il Palazzo Re-
RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO
gio Ducale di Milano a metà Settecento, Milano 1997.
39
Cfr. infra.
40
G.C. Bascapè, Il “Regio Ducal” Palazzo di Milano dai Visconti a oggi, Milano 1970, pp. 66-73.
41
Sulla demonizzazione dei governatori spagnoli operata dalla cultura e
dalla letteratura ottocentesca milanese cfr. A. Álvarez-Ossorio Alvariño,
Gobernadores, agentes y corporaciones:
la corte de Madrid y el estado de Milán
(1669-1675), in G. Signorotto (a
cura di), L’Italia degli Austrias: monarchia cattolica e domini italiani nei
secoli XVI e XVII, Mantova 1993, pp.
183-288.
42
Governatori principi che hanno retto lo Stato di Milano, Milano, Lodovico Monti alla piazza de’ mercanti
[1666]. Il riferimento al passaggio dell’infanta imperatrice per Milano è
inserito nel breve proilo del regno di
Carlo II. L’unico esemplare di questa
stampa è stato rintracciato presso le Civica Raccolta delle Stampe “Achille
Bertarelli” di Milano, dove il grande
“foglio volante” (dimensioni approssimate: 110x40 cm) si trova ritagliato in frammenti uniformi di 10,5x15,5
cm rilegati in un unico volumetto.
43
Ibidem. Questa indicazione sembra
contrastare con la testimonianza di
Carlo Torre, che vuole i dipinti sotto
le arcate del cortile ancora nel 1674.
44
Nell’inventario pubblicato da María Cruz de Carlos si trova infatti “Un
retrato entero del Condestable Juan de
Velasco con marco de nogal que se hizo
en Milan y le trajo el Condestable consigo el dicho año (1613) y esta en el
Casin debajo de los payses grandes”
(M.C. de Carlos, El VI Condestable de
Castilla, cit., p. 265). L’accostamento
di ritratti e paesaggi ripete la disposizione del cortile milanese e riecheggia
quella della galleria del Pardo, dove
però i ritratti erano disposti sopra delle grandi vedute di Napoli, Londra,
Madrid e Valladolid (M. Kusche, La
antigua Galeria de Retratos del Pardo,
cit.).
45
Ibidem.
46
Anche per lui, assente da Milano
solo per alcuni mesi tra il 1635 e il
1636, si eseguirono due ritratti, intervallati da quello del suo sostituto:
Fernando Afán de Ribera, III duca
d’Alcalà, che ritroveremo a breve.
47
J. López Navío, La gran colección de
pinturas del Marqués de Leganés, in
“Analecta Calasanctiana”, VIII, 1962,
pp. 261-330: 298-300.
48
Ibidem.
49
J.J. Pérez Preciado, Pinturas procedentes de la colección de los condes de Al-
tamira adquiridas por José Lázaro, in
“Goya. Revista de arte”, n. 326, 2009,
pp. 69-80: 73-74. L’attribuzione del ritratto alla mano del pittore iammingo attivo in Spagna, Philip Diriksen
andrebbe riconsiderata alla luce di una
mappa delle committenze milanesi del
Leganés. Questi ritratti passarono nel
Settecento alla grande collezione dei
conti di Altamira, dispersa a partire dal
1864. Secondo Pérez Preciado un ritratto del governatore Pedro de Toledo, identico a quello del duca di Feria e presumibilmente proveniente
dalla collezione Leganés, è stato venduto presso la casa d’aste Alcalà di Madrid nel febbraio 2000 (ibidem).
50
Il dipinto è una delle poche opere
certe di Enea Salmeggia e mostra una
chiara inluenza della ritrattistica di
Moroni, cfr. F. Frangi, Giovanni Battista Moroni, Sofonisba Anguissola e la
vocazione naturalistica del ritratto a Bergamo e a Cremona, in F. Frangi-A. Morandotti, Il ritratto in Lombardia da
Moroni a Ceruti, cit., pp. 36-41: 41 e
ig. 4 (fotograia in bianco e nero).
51
Per il ritratto della collezione Luigi
Koelliker cfr. A. Morandotti, scheda n.
63, in F. Frangi-A. Morandotti, Il ritratto in Lombardia da Moroni a Ceruti,
cit., pp. 172-173. Ferro, nella sua
monograia dei Nuvolone, lega il ritratto alla famiglia Durini, cfr. F.M. Ferro, Nuvolone: una famiglia di pittori nella Milano del ’600, Soncino 2003, scheda cfr. 178 p. 218, tav. LXXI. Il padre
di Giovan Francesco, Panilo Nuvolone, eseguì già nel 1625 le decorazioni
del soffitto della sala degli imperatori
del Palazzo ducale a cui seguirono altri incarichi negli anni successivi (ivi,
pp. 480-482).
52
Cfr. il regesto delle opere della famiglia Nuvolone in ivi, pp. 480-492.
Tra il repertorio dei quadri irmati da
questo artista si conserva poi uno
splendido ritratto di Juan José de Austria (cfr. A. Spiriti, scheda n. 66, in F.
Frangi-A. Morandotti, Il ritratto in
Lombardia da Moroni a Ceruti, cit., pp.
178-179), realizzato al momento del
suo passaggio per Milano nel 1656,
anno a cui è attribuito anche il suo Don
Diego de Ollauri, immagine di un commissario generale della cavalleria milanese che volle vedersi ritratto secondo
lo schema adottato per le immagini uficiali dei governatori (vd. F.M. Ferro,
Nuvolone, cit., p. 218, scheda cf. 177,
tav. LXX).
53
E. Páez Rios, Iconografía hispana: catálogo de los retratos de personajes españoles de la Biblioteca Nacional, 5 voll.,
Madrid 1966, I, pp. 307-308, n. 10442. Il ritratto è irmato “Cesar Bonaci-
na sculp. 1654”; l’effigiato porta la livrea, ha la classica tenda scenograica alle
spalle ed è accompagnato dall’iscrizione “Arte et Marte”. L’altro ritratto è invece una stampa anonima a bulino che
illustra gli Elogii di capitani illustri di Lorenzo Crasso (Venezia, Combi e Là
Noù, 1683, p. 410).
54
M.G. Scano, La quadreria e il patrimonio artistico del palazzo, in Il Palazzo Regio di Cagliari, Cagliari 2000,
pp. 55-98; Id., Pittura e scultura del
’600 e del ’700, Nuoro 1991, pp. 200201. Il viceregno spagnolo in Sardegna termina con il passaggio dell’isola ai Savoia nel 1720 (viceré Gonzalo Chacón). Per queste pagine sulla serie dei ritratti di Cagliari ringraziamo
il dottor Filippo Migliorini per l’attenta
collaborazione.
55
Corsivo e esclamazioni presenti nel
testo originale. G. Spano, Guida della città e dintorni di Cagliari, Cagliari 1861, cit. in G. Cossu Pinna, Antologia letteraria, in Il Palazzo Regio di
Cagliari, cit., pp. 185-197: 192-193.
56
A. Pasolini, Argenti e altri arredi, in
Il Palazzo Regio di Cagliari, cit., pp.
145-169: 166, 169.
57
Cfr. le testimonianze di Valery e La
Marmora ricompilate in G. Cossu Pinna, Antologia letteraria, cit., pp. 189190.
58
Il duca fu mayordomo mayor della regina a partire dal 1663. Dopo la
morte della sua seconda moglie ricevette nel 1667 il cappello cardinalizio
da papa Alessandro VII.
59
Sulle opere commissionate dal duca
d’Alcalà e le sue collezioni cfr. J.
Brown-R.L. Kagan, e Duke of Alcalá: his collection and its evolution, in
“e art bulletin”, LXIX, 1987, pp.
231-255; M.J. Muñoz González, Una
nota sobre los intereses pictóricos del Virrey de Nápoles, duque de Alcalá (16291631), in “Ricerche sul ’600 napoletano”, 1999 (2000), pp. 59-60.
60
Un “albero della sua antica genealogia, sparso in tanti frondosi rami,
quanti sono gli Heroi dipinti, e compartiti per le sue stanze. Nell’ardore
delle faccende, ne trahe ristoro, spirando dalle infrascrittioni, ed insegne
aura di gloria, e dalle medesime piglia
calore, infervorandosi nell’impresa di
emularli” da La staffetta privata (1655)
di padre Giovanni Agostino Della Langueglia, cit. in L. Scalisi, La Sicilia degli Heroi, Palermo 2008, p. 64. Su questa impresa decorativa, diffusa poi a
stampa attraverso le incisioni che illustravano i cammei biograici degli
antenati del Moncada redatti dallo stesso padre Della Langueglia cfr. L. Scalisi, La Sicilia degli Heroi, cit., passim.
130
Secondo la Scalisi il Moncada iniziò
a raccogliere i ritratti al ritorno dal viceregno sardo, ma nell’inventario precedente alla sua partenza per Valenza
(datato 5 maggio 1652) si contano già
40 ritratti di membri della famiglia
Moncada (ivi, p. 67). Sul viceregno valenzano del Moncada cfr. J. Mateu
Ibars, Los Virreyes de Valencia. Fuentes
para su estudio, Valencia 1963, pp. 273278.
61
Per una relazione sullo stato fatiscente del palazzo prima dell’arrivo del
duca di Montalto cfr. la lettera al Consejo de Aragón pubblicata in F. Manconi-C. Pillai, Feste cagliaritane e cerimonie di palazzo, in Il Palazzo Regio
di Cagliari, cit., pp. 171-183: 180. Già
nel corso del viceregno del suo predecessore, Fabrizio Doria, erano giunti i
primi ammonimenti da Madrid (lettera
del 1641 in J. Mateu Ibars, Los virreyes de Cerdeña. Fuentes para su estudio,
2 voll., Padova 1964, II, p. 52) che divennero più insistenti davanti alle
nuove opere promosse dal Montalto
(cfr. la richiesta di limitare ogni tipo di
“spesa superlua” del 1647, G. PinnaA. Pillittu, Contributi all’arte del Seicento
in Sardegna. I. G.B. Mola, Montalto,
Brant, Orani, Spano: nomi nuovi, meno
nuovi e fasulli per la storia dell’arte sarda, in “Studi sardi”, XXX, 1992-1993,
pp. 563-632: 577, n. 48).
62
Arxiu de la Corona d’Aragó (ACA),
Consejo de Aragón, leg. 1137.
63
Tale parallelismo è già colto in G.
Pinna-A. Pillittu, Contributi all’arte del
Seicento, cit., p. 572. Il duca, infatti,
durante la sua carica di viceré interino in Sicilia dal 1635 al 1639, in assenza del duca d’Alcalá, aveva predisposto anche nel Palazzo Reale di Palermo a una serie di lavori di sistemazione per questi ambienti, fatti
costruire dal viceré García de Toledo
nel 1560 e ino ad allora adibiti a deposito di polveri da sparo. Per questi
lavori cfr. G. Meli, Sulle tre stanze del
Palazzo Reale di Palermo, dipinte da
quattro valorosi pittori nel 1637-38, in
“Archivio Storico Siciliano”, IX, 1884,
pp. 3-10.
64
Cfr. G. Pinna-A. Pillittu, Contributi all’arte del Seicento, cit., p. 585. Il governo di don Miguel (1578-1584 e poi
1586-1590) venne seguito da quello di
un altro Moncada, Gastón (15901595), dunque la Sardegna fu retta negli ultimi venti anni del XVI secolo da
due membri della stessa casata (J. Mateu Ibars, Los Virreyes de Cerdeña, cit.,
I, pp. 213-222. Per quanto riguarda il
numero dei ritratti, dalla lista dei viceré di Sardegna pubblicata da Joseina
Mateu Ibars, se si escludono viceré in-
VALERIA MANFRÈ, IDA MAURO
terini e luogotenenti, sono effettivamente tredici i viceré che governarono
l’isola tra Luís Guillem e i suoi antenati (ivi, II, pp. 237-241). Andrà relazionata a queste idee dinastiche del Moncada anche la sistemazione del pantheon aragonese nella chiesa napoletana di
San Domenico Maggiore, operata da un
altro discendente della casata – il viceré Pedro Antonio de Aragón – ma a cui
il Montalto non doveva essere estraneo,
se nel 1672 la sua salma venne trasferita da Madrid proprio in questo luogo sacro della memoria aragonese a Napoli.
65
Per le commissioni del Moncada per
il Real di Valenza cfr. L. Arciniega
García, Construcciones, usos y visiones del
Palacio del Real de Valencia bajo los Austrias, in “Ars Longa”, nn. 14-15, 20052006, pp. 129-164: 161-162.
66
Un antico inventario parla di ben 71
ritratti esposti nel “Salon de los retratos”
o “Sala principal”, ma non ne elenca nessuno (cfr. M. Gómez-Ferrer-J. Bérchez, El Real de Valencia en sus imágenes arquitectónicas, in “Reales Sitios: Revista del Patrimonio Nacional”, 2003,
XL, n. 158, pp. 33-41: 38, 40, nn. 5556). I pochi dipinti ancora superstiti –
alcuni sono stati riprodotti in bianco e
nero in J. Mateu Ibars, Iconografía de los
virreyes de Valencia. Aportación a su estudio (s. XV-XVIII), in Homenatge al doctor Sebastià Garcia Martínez, València
1990, pp. 189-202– sono attribuiti a
Esteban March i Pablo Pontons, artisti
operanti negli anni del governo del
Montalto (ringraziamo Mercedes Gómez-Ferrer per aver atteso gentilmente
alle nostre richieste di informazioni). In
attesa di futuri riscontri documentari,
non è possibile affermare con certezza
che anche la nascita di questa collezione vicereale vada annoverata tra le numerose commissioni del Moncada.
67
G. Mendola, Quadri, palazzi e devoti monasteri. Arte e artisti alla corte dei
Moncada fra Cinque e Seicento, in L. Scalisi (a cura di), La Sicilia dei Moncada,
Palermo 2008, pp. 153-175, p. 166.
“Enrico Brant” è citato insieme allo scultore, probabilmente spagnolo, Melchiorre Pérez. Per quanto riguarda
l’opera pittorica per l’anticamera del consiglio di Cagliari, nell’Archivio di Stato di Cagliari è conservata tutta la
controversia per la stima e il pagamento dell’opera pittorica del Brant (pubblicata in G. Pinna-A. Pillittu, Contributi all’arte del Seicento, cit., pp. 614619).
68
Cit. in G. Pinna-A. Pillittu, Contributi all’arte del Seicento, cit., p. 578, n.
52.
69
ACA, leg. 1137, nella trascrizione
del medesimo documento edita nel
2000 (F. Manconi-C. Pillai, Feste cagliaritane e cerimonie di palazzo, cit.,
p. 181) in nome dell’artista venne erroneamente riportato nella forma
“Orhend”. In un altro articolo il
nome del pittore è trascritto come “Orliend”, cfr. A. Pillittu, La quadreria di
don Gerolamo Martino e la pittura in
Sardegna nel XVII secolo, in “Annali della Facoltà di Lettere e ilosoia dell’Università di Cagliari”, nuova serie,
XVI, 1998, pp. 193-207: 197.
70
ACA, leg. 1137.
71
Sull’attività valenzana di Juan Miguel Orliens cfr. L. Arciniega García,
El monasterio de San Miguel de Los Reyes, 2 voll., Valencia 2001, II, pp. 278302; F. Marías, La Renovación arquitectónica en el Alto Aragó, in C. Morte García (a cura di), Signos: arte y cultura en Huesca: de Forment a Lastanosa:
siglos XVI-XVII, cat. mostra, Huesca
1994, pp. 67-75.
72
Come si legge in un documento del
1648 dell’Archivio di Stato di Cagliari
pubblicato in G. Pinna-A. Pillittu,
Contributi all’arte del Seicento, cit., p.
620.
73
Cfr. J. Mateu Ibars, Los Virreyes de
Cerdeña, cit., II, p. 64.
74
G. Pinna-A. Pillittu, Contributi all’arte del Seicento, cit., p. 621. Il Trivulzio sarebbe stato poco dopo ritratto
anche per la serie dei governatori milanesi (dove governò per soli pochi
mesi nel 1656).
75
Sarebbe inoltre interessante poter documentare l’esistenza di un ritratto del
iglio di Luís Guillen de Moncada, Fernando de Moncada, che avrebbe potuto far continuare l’opera paterna
quando rivestì anche lui l’incarico di
viceré di Sardegna tra il 1699 e il 1703.
Sul governo dei viceré Francisco de Benavides, conte di Santisteban (16751677) e Fernando de Moncada cfr. J.
Mateu Ibars, Los Virreyes de Cerdeña,
cit., II, pp. 143-148, 197-204.
76
Su questi dipinti cfr. M.G. Scano,
La quadreria e il patrimonio artistico,
cit., pp. 56-69; Id., Pittura e scultura
del ’600 e del ’700, cit., pp. 200 e sgg.
77
La regolare commissione dei ritratti degli ultimi viceré sabaudi può essere anche stata suggerita dalla conoscenza della serie palermitana, che Vittorio Amedeo II di Savoia aveva potuto osservare nel Palazzo dei Normanni nei pochi anni in cui rivestì la
carica di re di Sicilia (1714-1720).
L’unica differenza con i ritratti dei viceré spagnoli era data dalla diversa collocazione: se i ritratti superstiti dei viceré spagnoli si trovavano nella sala degli Alabardieri, quelli dei governatori
sabaudi erano in un salone “dei viceré”, in cui una lapide che ricordava la
presenza nel Palazzo Regio della famiglia reale sabauda negli anni delle
guerre napoleoniche ristabiliva le dovute gerarchie di potere e ribadiva la
dignità regia all’intero palazzo. La lapide è citata nella descrizione di La
Marmora (A. Della Marmora, Itineraire de l’ile de Sardaigne pour faire suite au voyage en cette contree, 2 voll., Turin, Bocca, 1860, cit. in G. Cossu Pinna, Antologia letteraria, cit., p. 190). La
presenza reale era anche ribadita dai
numerosi ritratti dei membri di casa
Savoia che si trovano tuttora nel palazzo regio.
78
Per questa interpretazione vd. A.
Minguito Palomares, El resurgir de la
corte. Fiestas y actos públicos durante el
virreinato del VIII conde de Oñate
(1649-1653), in J.L. Colomer (a cura
di), España y Nápoles. Coleccionismo y
mecenazgo virreinales en el siglo XVII,
Madrid 2009, pp. 323-338 e J.L. Palos Peñarroya, La mirada italiana.
Un relato visual del imperio español en
la corte de sus virreyes en Nápoles
(1600-1700),Valencia 2010, pp. 231235. Per il resoconto delle opere realizzate da Oñate nel Teatro Eroico cfr.
D.A. Parrino, Teatro eroico e politico de’
governi de’ viceré del Regno di Napoli dal
tempo del re Ferdinando il cattolico in
all’anno 1683, 3 voll., Napoli, Domenico Antonio Parrino e Michele
Mutii, 1692-1694, II, pp. 397-404.
Cfr. le considerazioni sulla riforma del
palazzo promossa da questo viceré in
P. Mascilli Migliorini, Palazzo Reale e
l’area del porto in età barocca, in N. Spinosa (a cura di), Ritorno al Barocco: da
Caravaggio a Vanvitelli, 2 voll., cat. mostra, Napoli 2009, II, pp. 222-227:
224.
79
Sulla scala che per la sua mole sproporzionata rispetto al resto del palazzo avrebbe continuato a parlare della
megalomania del suo committente cfr.
F. Marías, Bartolomeo y Francesco Antonio Picchiatti, dos arquitectos al servicio de los virreyes de Nápoles: Las Agustinas de Salamanca y la escalera del palacio real, in “Anuario del Departamento de Historia y Teoría del Arte”,
nn. 9-10, 1997/1998, pp. 177-196;
Id., La arquitectura del palacio virreinal: entre localismo e identidad española,
in F. Cantù (a cura di), Cortes virreinales de la Monarquía española: America e Italia, Roma 2008, pp. 425-443;
A. Minguito Palomares, Linaje, poder
y cultura: el gobierno de Íñigo Vélez de
Guevara, VIII Conde Oñate, en Nápoles
(1648-1653), tesi dottorale inedita,
Universidad Complutense de Madrid,
131
anno accademico 2001-2002, p. 899;
P.C. Verde, “… che si facci una grada
nova nel Regio Palazzo…”: lo scalone reale e altre opere commissionate dal conte
d’Oñate a Francesco Antonio Picchiatti,
in “Ricerche sul ’600 napoletano”,
2003-04, Napoli 2004, pp. 143-150;
G.C. Ascione, Un palazzo che “sarebbe
passato per la scala”: la Reggia di Napoli nelle descrizioni di età barocca, in N.
Spinosa (a cura di), Ritorno al Barocco,
cit., II, pp. 228-233.
80
S. De Cavi, ‘Senza causa e fuor di tempo’: Domenico Fontana e il Palazzo vicereale vecchio di Napoli, in “Napoli Nobilissima”, quinta serie, IV, 2003, pp.
187-208; P. Mascilli Migliorini, Lineamenti e sviluppi architettonici, in Il Palazzo reale di Napoli, M. De Cunzo (a
cura di), Napoli [1994], pp. 111-159.
Una prima rampa di questa antica scala è ancora esistente. Alle spalle della stessa sala dei viceré, vi era una loggetta da
cui partiva una scala (ancora in uso) che
portava direttamente al parco, cfr. E.
Nappi, Palazzo Reale di Napoli. Notizie,
in “Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti 2009”, Napoli 2009, pp.
101-111: 103-104. Ringraziamo Paolo Mascilli Migliorini per le delucidazioni sull’evoluzione di quest’ala del Palazzo Reale.
81
Archivio di Stato di Modena (ASM),
Avvisi e notizie dall’estero, busta 40. Napoli, avviso del 9 novembre 1649.
82
ASM, Avvisi e notizie dall’estero, busta 41. Napoli, avviso dell’11 gennaio
1650.
83
Sulle prime attività festive nella sala
regia (come le feste dinastiche del 1639
a cui prese parte attiva la viceregina napoletana Anna Carafa) cfr. P.L. Ciapparelli, Apparati e scenograia nella Sala
Regia, in G. Cantone (a cura di), Barocco
napoletano, Roma 1992, pp. 367-380:
367 e M.T. Chaves Montoya, El duque
de Medina de las Torres y el teatro. Las iesta de 1639 en Nápoles, in F. Antonucci (a cura di), Percorsi del teatro spagnolo in Italia e Francia, Firenze 2007, pp.
37-68.
84
ASM, Avvisi e notizie dall’estero, f. 41
[1650]. 15 novembre 1650, cit. anche
in L. Bianconi-T. Walker, Dalla Finta
Pazza alla Veremonda: storie di Febiarmonici, in “Rivista italiana di musicologia”, X, 1975, pp. 379-421.
85
Ad esempio, il 12 settembre 1651 si
tenne in questa sala la prima napoletana del Giasone (D.A. D’Alessandro,
L’opera in musica a Napoli dal 1650 al
1670, in R. Pane (a cura di), Seicento napoletano: arte, costume e ambiente, Milano 1984, pp. 409-430, 543-549:
414.
86
Secondo questo dato d’archivio il pa-
RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO
diglione era stato molto danneggiato
nei mesi della rivolta. U. Prota-Giurleo, Breve storia del Teatro di Corte e della musica a Napoli nei secoli XVIIXVIII, in F. De Filippis-U. Prota-Giurleo, Il teatro di Corte del Palazzo Reale di Napoli, Napoli 1952, pp. 17-146:
21 (e poi Id., I teatri di Napoli nel secolo XVII, a cura di E. Bellucci e G.
Mancini, 3 voll., Napoli 2002, III, p.
14). Tale informazione d’archivio, a cui
fanno riferimento numerosi studi sul
Palazzo, sull’attività teatrale a Napoli o sulla pittura napoletana di metà
Seicento (tra questi: F. Mancini, Scenograia napoletana dell’età barocca, Napoli 1964, p. 54; E. Fumagalli, Decorazione barocca tra Roma e Napoli:
scambi di artisti e di modelli, in “Paragone. Arte”, terza serie, LXXI, 2007,
n. 58, pp. 61-79: 67 e 76 nota 39) non
è più veriicabile, perchè tratta dalla sezione Mandatorum del fondo Segreteria dei viceré, che andò interamente distrutta nell’incendio del 1943.
87
E. Nappi, Il Palazzo Reale di Napoli, cit., pp. 103-104.
88
Ibidem, cfr. supra nota 80.
89
ASM, Avvisi e notizie dall’estero, b.
44. Avviso del 10 dicembre 1652.
90
Il Carmine maggiore era stato il cuore della rivolta e l’ultimo avamposto
popolare ad arrendersi alle forze spagnole, cfr. il contributo di Peter Burke: P. Burke, e Virgin of the Carmine and the revolt of Masaniello, in “Past
& Present”, n. 99, 1983, pp. 5-20.
91
E. Nappi, Il Palazzo Reale di Napoli, cit., p. 104.
92
ASV, Segreteria di Stato. Napoli, fascio 48. Avviso del 9 marzo 1652, f.
70r. Si legge in questo avviso che “Il
Signor ViceRè ha sentito l’accidente
con cordoglio inesplicabile […] Si è già
ordinato che si dimettano i lavori, et
apparecchi delle feste, e balli, che
s’allestivano per solennizzare un allegro anniversario il giorno sesto del seguente mese memorabile per la resa di
questa città alla divotione di Sua
Maestà Cattolica”.
93
Tra gli spettacoli vi fu una replica del
Giasone, richiesta dallo stesso duca, cfr.
D.A. D’Alessandro, L’opera in musica
a Napoli, cit., p. 415.
94
A. Rubino, Notitia di quanto occorso in Napoli dal 1648 ino a tutto il
1669, 4 voll., Napoli, Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria,
mss. XXIII D 14-17, I, c. 66.
95
Breve Ragguaglio delle feste celebrate in Napoli, per la recuperatione di Barzellona fatta dalle armi di Sua Maestà
Cattolica, Roma, Francesco Moneta,
1653, p. 3. Questo parallelismo si ritrovava anche nel libretto della Vere-
monda, opera in musica rappresentata durante queste feste (cfr. W. Heller,
Amazons, Astrology and the House of
Aragon: Veremonda tra Venezia e Napoli, in D. Fabris (a cura di), Francesco Cavalli: la circolazione dell’opera veneziana nel Seicento, Napoli 2005, pp.
147-164).
96
I. Fuidoro (F. D’Onofrio), Successi
del Governo del Conte d’Onate (16481653), a cura di A. Parente, Napoli
1932, p. 188.
97
A Rubino, Notitia di quanto occorso in Napoli, cit., I, c. 76. Breve Ragguaglio delle feste celebrate in Napoli,
cit., p. 11. Queste decorazioni dorate ricordano gli “stucchi inti posti in
oro” portati a Napoli dal pittore modenese Giovan Battista Magno, chiamato da Roma forse proprio da un ex
ambasciatore presso la Santa Sede
come il conte di Oñate, che gli commissionò la decorazione della sala indicata dal Prota-Giurleo come padiglione del Pallonetto (E. Fumagalli,
Decorazione barocca, cit., p. 67).
98
A. Rubino, Notitia di quanto occorso in Napoli, cit., I, cc. 76-77 (la descrizione della sala offerta da Fuidoro
è molto simile, cfr. I. Fuidoro, Successi
del governo del Conte d’Onate, cit., p.
188).
99
ASM, Avvisi e notizie dall’estero, busta 44, Avviso del 24 dicembre 1652.
Ai lati dell’ingresso della sala (la porta che dava alla galleria intorno al patio) vi erano due palchi più grandi:
“Alli due ianchi della porta maggiore di essa sala erano due palchettoni più
guarniti di gelosie dorate, uno de’ quali fu accupato da personaggi che non
gustavano esser veduti, ma di vedere
il tutto, l’altro all’istromenti di musica che regolassero il ballo” (A. Rubino, Notitia di quanto occorso in Napoli,
cit., I, cc. 76-77). Per le stesse feste “si
rappresentò nel Teatro di Palazzo
(stanza un tempo del Pallonetto)”
(ivi, I, c. 78) la prima del celebre melodramma Veremonda, l’amazzone
d’Aragona (U. Prota-Giurleo, Breve storia del Teatro di Corte, cit.; F. Mancini, Scenograia napoletana dell’età barocca, cit., p. 46; L. Bianconi-T. Walker, Dalla Finta Pazza, cit.; C. Hernando Sánchez, Teatro el honor y ceremonial de la ausencia. La corte virreinal de Nápoles en el siglo XVII, in J.
Alcalá-Zamora y Queipo de Llano-E.
Belenguer Cebrià (a cura di), Calderón de la Barca y la España del Barroco, 2 voll., Madrid 2001, I, pp. 591674: 613-614; U. Prota-Giurleo, I teatri di Napoli nel secolo XVII, cit., I, p.
167; III, p. 16; W. Heller, Amazons,
Astrology and the House of Aragon, cit.).
ASM, Avvisi e notizie dall’estero, busta 44. Avviso del 10 dicembre 1652.
Si conserva un’altra copia pressochè
identica di questo avviso in ASV, Segreteria di Stato. Napoli, fascio 48. Avviso del 7 dicembre 1652 e nell’Archivio Mediceo del Principato (quest’ultimo cit. in D.A. D’Alessandro,
L’opera in musica a Napoli, cit., pp.
544-545, nota 69). L’avviso modenese, controllato dalle autrici, è stato pubblicato per la prima volta in L. Bianconi-T. Walker, Dalla Finta Pazza, cit.,
p. 382. Questi ritratti sono ricordati
invece da Fuidoro in una sala differente
da quella decorata con “l’arme gentilizie di Sua Maestà con altre pitture e
lavori d’oro” (I. Fuidoro, Successi del
governo del Conte d’Onate, cit., p.
164), ma l’informazione contrasta
con quanto riportato dallo stesso cronista per le feste del dicembre del
1652, che secondo i Giornali ebbero
luogo proprio in questo ambiente risplendente per le sue decorazioni dorate (ivi, p. 188).
101
La presenza del doppio ritratto dell’Oñate è notata anche in J.L. Palos Peñarroya, Un escenario italiano para los
gobernantes españoles: el nuevo palacio
de los virreyes de Nàpoles (1599-1653),
in “Cuadernos de historia moderna”,
n. 30, 2005, pp. 125-150: 131.
102
I. Fuidoro, Successi del governo del
Conte d’Onate, cit., p. 164.
103
C. Celano-G.B. Chiarini, Notizie
del bello, dell’antico e del curioso della
città di Napoli, 5 voll., Napoli, stamperia Floriana, 1856-1860, IV pp.
596-597 (il corsivo è delle autrici). Cfr.
anche la descrizione offerta dalla Guida di Domenico Antonio e Niccolò
Parrino: “V’è la sala grande per festini, e comedie, e diverse altre, come
quelle d’Alba detta de Vice-Rè, ove si
vedono tutti i ritratti d’essi, dal Gran
Capitano ino al presente” D.A.-N.
Parrino, Nuova guida de’ forastieri per
osservare, e godere le curiosità più vaghe
e più rare della fedelissima gran Napoli città antica e nobilissima, in cui si da
anco distinto ragguaglio delle varie opinioni dell’origine di essa, Napoli, Parrino, 1725, p. 51.
104
D.A. Parrino, Teatro eroico e politico de’ governi, cit., I, p.n.n.
105
L’ipotesi di questi adattamenti per
la stampa era stata già avanzata da Alessandra Anselmi (A. Anselmi, I ritratti di Iñigo Vèlez de Guevara e Tassis VIII
conte di Oñate ed un ritratto di Ribera, in “Locus Amoenus”, 6, 20022003, pp. 293-304: 299).
106
C.A. Sammarco, Giornale e Sommario dal giorno che entrarono in Capua l’arme imperiale con tutto quello che
100
132
soccede alla giornata dalli 11 di luglio
1707 per tutto la giornata d’oggi,
BNN, ms. XIII B 87, tav. 18 (tra ff.
72-73). L’immagine è stata pubblicata in alcuni studi dedicati alle feste napoletane: F. Mancini, Feste ed apparati
civili e religiosi in Napoli dal viceregno
alla capitale, Napoli, 1968; Id. (a
cura di), Il concreto evanescente: gli apparati festivi tra potere e popolo, cat. mostra, Napoli 1982.
107
Citiamo da un manoscritto redatto nel Settecento su cui sono in corso le ricerche di Attilio Antonelli dell’Ufficio Storico della Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per Napoli e provincia. Ringraziamo il dottor Antonelli per averci concesso di consultare questi testi.
Sulla cerimonia del Giovedì Santo cfr.
anche J. Raneo [Renao], Etiquetas de
la corte de Nàpoles (1634), a cura di A.
Paz y Meliá, in “Revue Hispanique”,
XXVII, 1912, pp. 1-284: 93-95 e l’esame della stessa in P. Vázquez-Gestal,
‘Being a ‘King’ in a Competitive Society: Viceroyal Ceremonies in SeventeenthCentury Spanish Naples’, in e “Majesty” of Power in Seventeenth-Century
Italy: Ritual, Representation, Art, a
cura di M. Fantoni-M. Casini, Roma
(in stampa).
108
Sull’utilizzo di trioni di zucchero
per questa cerimonia cfr. F. Mancini,
Feste e apparati civili e religiosi, cit., p.
106.
109
Già per la funzione del 1696 gli avvisi parlano dell’esposizione di un
enorme dipinto dell’Ultima Cena …
sarà la stessa tela rappresentata in
questo schizzo? (cfr. ivi, p. 105).
110
Secondo il cerimoniale, il Giovedì
Santo i palchetti ospitavano la viceregina e il suo seguito.
111
A. Minguito Palomares, Linaje, poder y cultura, cit., pp. 146 e ss.
112
I. Fuidoro, Successi del governo del
Conte d’Onate, cit., p. 164 (il riferimento
alle cornici dorate è anche in ivi, p. 188),
cit. in A. Minguito Palomares, Linaje,
poder y cultura, cit., p. 899.
113
C.N. Sasso, Storia dei monumenti
di Napoli e degli architetti che gli ediicarono, 2 voll., Napoli 1856, I, p.
255.
114
Per la commissione del ritratto di
Carlo VI “a Cavallo che trionfa della
nostra Partenope” cfr. P. VázquezGestal, From Court Painting to King’s
Books. Displaying Art in EighteenthCentury Naples (1734-1746) in Collecting & Dynastic Ambition, in S. Bracken-A. Gáldy-A. Turpin (a cura di),
Newcastle 2009, pp. 85-107: 91. È
probabilmente questa la “continua-
VALERIA MANFRÈ, IDA MAURO
zione” dei dipinti della sala indicata da
Sigismondo, cfr. G. Sigismondo, Descrizione della città di Napoli e suoi borghi del dottor Giuseppe Sigismondo
napoletano, 3 voll., [Napoli]: fratelli
Terres, 1788-1789, I, p. 263 (cit. in S.
Schütze-T. Willette, Massimo Stanzione: opera completa, Napoli 1992, pp.
263-264).
115
P.L. Ciapparelli, I luoghi del teatro a
Napoli nel Seicento. Le sale “private”, in
D.A. D’Alessandro-A. Ziino (a cura di),
La Musica a Napoli durante il Seicento.
Atti del convegno internazionale di studi: Napoli, 11-14 aprile 1985, Roma
1987, pp. 379-409: 392.
116
Ad esempio nel 1720 – durante il
mandato del cardinal Schrattembach
– vi si celebrò il compleanno dell’imperatrice Elisabetta Cristina. Nelle
stampe che ricordano questi allestimenti festivi i dipinti non sono visibili perché sottostanti all’apparato di
stoffe che ricopre interamente le pareti della sala (F. Mancini, Feste ed apparati civili e religiosi, cit., p. 41 tavola
D).
117
Manuel de Benavides, nato a Palermo negli anni del viceregno siciliano
del padre, nel 1739 avrebbe elevato a
ducato il titolo familiare di conti di
Santisteban.
118
P. Vázquez-Gestal, From Court
Painting, cit., pp. 91-92; R. Ruotolo,
La decorazione delle regge di Carlo e Ferdinando IV, in I Borbone di Napoli, a
cura di N. Spinosa, Sorrento 2009, pp.
315-316.
119
Cfr. una missiva del 2 agosto 1735
inviata a Madrid da Manuel de Benavides: “En el salon que llaman de los
Virreyes en este Palacio estaban no solo
pintados todos los Virreyes del tpo. del
Emperador, sino tambien el mismo
emperador, todos los que S. M. mando se quitasen, lo que se executò
mientras a estado en Sicilia, y en su lugar se mandó se pusiese su Retrato a
Cavallo, haviendo ejecutado esta Pintura el Pintor Solimena, y en su propio lugar se han puesto los retratos del
Marqués de Villena, y del Conde de
Charni” Archivo General de Simancas
(AGS), Estado, leg. 7733. Il documento ci è stato gentilmente concesso da Pablo Vázquez-Gestal al ine di
poter correggere una svista nel suo lavoro appena citato (P. Vázquez-Gestal,
From Court Painting, cit., p. 92) in cui
indica il ritratto del conte di Montemar (generale dell’esercito di Carlo III
e viceré di Sicilia) al posto di quello del
Villena tra i due dipinti commissionati
dal Santisteban.
120
G.M. Galanti, Breve descrizione della città di Napoli e del suo contorno, Na-
poli: presso li Soci del Gabinetto Letterario, 1792, pp. 23-24 (riedita nel
1829: Id., Descrizione di Napoli, ed.
anast. dell’ed. del 1829, a cura di M.R.
Pelizzari, Cava de’ Tirreni 2000, p.
132).
121
D. Romanelli, Napoli antica e moderna, Napoli, Trani 1815, pp. 48-49.
Il nome di sala d’Ercole appare anche
in un documento dell’epoca murattiana (A. Porzio, Arte e storia in Palazzo
Reale, in M. de Cunzo, a cura di, Il Palazzo Reale di Napoli, Napoli 1994, pp.
39-110: 79, documento pubblicato in
A. González Palacios, Arredi imperiali per la ine di Murat a Napoli, in “Antologia di belle arti”, nuova serie,
XXXI/XXXII, 1986 [1987], pp. 94119).
122
O. Scognamiglio, I Dipinti di Gioacchino e Carolina Murat: storia di una
collezione, Napoli 2008, pp. 119-127.
123
C.N. Sasso, Storia dei monumenti
di Napoli, cit., I, p. 255.
124
C.T. Dalbono, Massimo: i suoi
tempi e la sua storia, Napoli 1871, pp.
67-68. Dalbono non solo attribuisce a
Oñate anche i ritratti del Settecento, ma
colloca anche nello stesso arco temporale il viceregno dell’Oñate e quello del conte di Daun! Un’altra sua affermazione relativa ai ritratti risulta poi
ancora più bizzarra: Stanzione avrebbe infatti subito l’ostilità dei capi della rivolta di Masaniello (nel 1648), che
lo considerarono “seguace degli Spagnoleschi, sol perché di molti Viceré
aveva dipinti i ritratti” (ivi, p. 60). Inoltre Consalvo di Córdoba morì a Granada e il suo corpo non è affatto sepolto
presso la cappella di San Giacomo della Marca in Santa Maria della Nova.
125
L’allestimento post unitario è documentato da una foto dell’archivio
Alinari, pubblicata in M. De Cunzo
(a cura di), Il Palazzo reale di Napoli,
cit., p. 146. Le pareti della sala erano
decorate con gli arazzi con le storie di
Amore e Psiche, realizzati dalla regie manifatture di San Leucio su cartoni di
Fedele e Alessandro Fischetti. Gli
arazzi sono ancora presenti nell’attuale
decorazione della sala, mentre le serie
di stemmi sono scomparse e nella fascia sottostante alla cornice marcapiano
si vedono una serie di festoni e rosoni dipinti a grisaille.
126
C.T. Dalbono, Massimo: i suoi tempi e la sua storia, cit., pp. 68-69. Negli inventari ottocenteschi dei dipinti presenti nel palazzo pubblicati da
Annalisa Porzio non si trova nessun riferimento ai ritratti (A. Porzio, La quadreria di Palazzo Reale nell’Ottocento,
Napoli 1999).
127
C.T. Dalbono, Massimo: i suoi tem-
pi e la sua storia, cit., p. 68.
E. González Asenjo, Don Juan de
Austria y las artes (1629-1679), Madrid
2005, p. 68; S. Schütze-T. Willette,
Massimo Stanzione, cit., scheda A 97,
pp. 239-240. Quest’opera viene relazionata con la serie di ritratti dei viceré
di Napoli, in J.L. Palos, La mirada italiana, cit., p. 242.
129
S. Schütze-T. Willette, Massimo
Stanzione, cit., p. 242, scheda A103
(con bibliograia). Di un decennio precedente è lo stupendo ritratto di quattro magistrati napoletani in collezione privata iorentina (ivi, p. 232,
scheda A85) che insieme alla celebre
“contadinella” di San Francisco (P. Leone de Castris, Ritratto di giovane donna con gallo, in N. Spinosa (a cura di),
Ritorno al Barocco, cit., scheda 1.55,
pp. 140-141) costituiscono i pilastri inora noti della ritrattistica di Stanzione. Nella recente mostra Ritorno al
Barocco è stato inoltre accostato alla
produzione di Stanzione un inedito Ritratto di Alvaro Semedo del 1641 (P.
Leone de Castris, Ritratto di Alvaro Senedo, in ivi, scheda 1.52, pp. 134-135).
130
V. Pacelli, Affreschi storici in Palazzo
Reale, in R. Pane (a cura di), Seicento
Napoletano: arte, costume e ambiente,
Milano 1984, pp. 158-179, 529-530:
529 nota 27 (pagamento del 26 novembre 1652); S. Schütze–T. Willette, Massimo Stanzione, cit., p. 266 (pagamenti del 23 novembre e del 24 dicembre); E. Nappi, Il Palazzo Reale di
Napoli, cit., p. 104 (pagamenti del 25
e 26 settembre). Pacelli pubblica il pagamento per dimostrare la partecipazione dello Stanzione agli affreschi con
le storie del viaggio di Marianna
d’Austria per un’altra sala del palazzo
(V. Pacelli, Affreschi storici in Palazzo
Reale, cit., p. 163).
131
D.A. Parrino, Teatro eroico e politico
de’ governi, cit., II, p. 466, III, p. 64;
P. Giannone, Dell’Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli, Niccolò Naso,
1723, IV, p. 390.
132
Davanti agli esempi delle serie vicereali gemelle – su tela e su tavola –
presenti nelle altre città italiane, e in merito ai dati relativi al proseguimento dei
ritratti napoletani, credo che vada
esclusa ogni ipotesi di un’esecuzione a
fresco di queste immagini dei viceré, a
volte data per scontata (cfr. V. Pacelli,
L’ideologia del potere nella ritrattistica napoletana del Seicento, in “Bollettino del
Centro di Studi Vichiani”, XVI, 1987,
pp. 197-241: 211, n. 21).
133
Non ci sono documenti sulla presenza di ritratti vicereali a Palazzo, su
questo tema cfr. S. De Cavi, Architecture and Royal Presence, cit., pp. 94 e
128
133
sgg.). Nelle cavalcate della vigilia di san
Giovanni, venivano sempre esposti
diversi ritratti del viceré. Si vedano le
xilograie che illustrano la descrizione
della cavalcata del 1629, dedicata al
duca d’Alba (F. Orilia, Il Zodiaco,
over idea di perfettione di prencipi,
Napoli, Ottavio Beltrano, 1630).
134
Un discorso a parte merita la parziale serie cagliaritana che nasceva
soprattutto da esigenze dinastiche,
senza andare alla ricerca dei volti dei
primordiali rappresentanti delle corone
iberiche in Sardegna.
135
Cfr. il diverso tenore delle osservazioni in J.L. Palos, La mirata italiana,
cit., pp. 243-244. L’invenzione del ritratto era una prassi accettata nel
XVII secolo, specie presso le famiglie
nobili desiderose di accrescere la loro
autorità, come documenta il trattato
di Bartolomé Carducho (cfr. A.E.
Pèrez Sánchez, El retrato clásico español, in El retrato, Barcelona 2004
(1994), pp. 197-231: 201).
136
D.A. Parrino, Teatro eroico e politico de’ governi, cit., I p.n.n. (corsivo nel
testo). L’indicazione della Regia Sala
non può essere intesa come un riferimento all’altro ambiente del Palazzo
di cui si è appena parlato ed è invece
da attribuirsi a una frequente confusione tra questi due saloni, entrambi
utilizzati per spettacoli, balli e cerimonie festive della corte.
137
Per quanto riguarda il valore nobiliario degli effigiati si badi alla presenza costante dei simboli degli ordini cavallereschi a cui appartenevano i
diversi viceré. Una lettura di questi “secondi piani” sarebbe opportuna per
una ricostruzione delle principali
commissioni con cui si volle ricordare i diversi viceré.
138
Il documento, tratto dal fondo Segreteria dei viceré, dell’Archivio di
Stato di Napoli è stato recentemente
pubblicato da María Jesus Muñoz
González: “Vincenzo Noletti Pittore
sopplicando dice a V.E.ª, haviendosi
da fare il Ritratto del Marchese del
Carpio nella Regia Sala di Rettrati dell’Ecc.mi si.r Viceré supplica la benignità di V.E., che voglia restare servita di ordine all’Alcaide del Regio Palazzo che lo faccia il detto supplicante, che del tutto lo riceverà” (M.J Muñoz González, El mercado español de
pinturas en el siglo XVII, Madrid
2008, p. 303, nota 634). Il pagamento
dei dipinti venne effettuato il 26 aprile di quello stesso 1688, quando i ritratti erano stati già consegnati (ibidem). Vincenzo Noletti aveva lavorato a Roma per i personaggi che si proponeva di ritrarre, come si evince da-
RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO
gli studi di Leticia de Frutos (L. de Frutos, El Templo de la Fama. Alegoría del
marqués del Carpio, Madrid 2009, cfr.
infra).
139
I gastos secretos erano fondi destinati
a pagare spese straordinarie di rappresentanza e l’operato delle spie.
Sulla loro gestione vd. il recente lavoro:
D. Séiz Rodrigo, La Disimulación
Honesta. Los Gastos Secretos en el reinado
de Felipe IV entre la razón de estado y
la merced cortesana, Madrid 2010.
140
Tra questi dipinti il De Dominici
segnala l’esecuzione di un ritratto del
marchese del Carpio, evidentemente
non destinato alla sala di Palazzo (B.
De Dominici, Vite de’ pittori, scultori
ed architetti napoletani, Napoli, Ricciardi, 1743-1745, p. 306, cit. anche
in A.E. Pérez Sánchez, Pintura italiana del siglo XVII en España, Madrid
1965, p. 404). Il ritratto non è presente
negli inventari del marchese studiati
da Leticia de Frutos (L. de Frutos, El
Templo de la Fama, cit.).
141
Eppure negli inventari napoletani
studiati da Gèrard Labrot si trovano
spesso dei ritratti dei viceré nelle dimore di “togati” e di nobili partenopei (G. Labrot, Italian Inventories 1.
Collections of Paintings in Naples 16001780, Münich; London; New York;
Paris 1992, pp. 178, 181, 251). Tra le
poche tracce lasciate nella ritrattistica
napoletana da queste serie di dipinti
è il caso di citare almeno due esemplari: uno coevo alla decorazione della sala, il ritratto di un cavaliere dell’ordine di Santiago del Meadows
Museu di Dallas di Ribera, accostato
da Alessandra Anselmi al repertorio di
ritratti del conte di Oñate (A. Anselmi, I ritratti di Iñigo Vélez de Guevara, cit.) e un altro relativo al Settecento:
un disegno di Francesco Solimena per
un ritratto del conte di Harrach,
pubblicato da Ferdinando Bologna nel
catalogo della mostra sulla pittura
napoletana durante il trentennio austriaco (F. Bologna, Solimena e gli altri durante il viceregno austriaco, in Settecento Napoletano. Sulle ali dell’aquila imperiale. 1707-1734, Napoli 1994,
pp. 57-76: 73).
142
In base ai documenti d’archivio sappiamo che – sotto il viceregno di García de Toledo – il 7 luglio del 1567 iniziarono i lavori per la facciata principale, il cui contratto prevedeva la costruzione della medesima a tre ordini
di porticati coperti con volte a crociera.
I lavori per completare la facciata saranno ripresi in seguito dal viceré Bernardino de Cárdenas, duca di Maqueda (1598-1601), il cui progetto
creerà – escludendo la soluzione dei
loggiati – un massiccio corpo di fabbrica che si completerà tra il 1616 e il
1620. Cfr. R. La Duca, Il Palazzo dei
Normanni, Palermo 1997, p. 136; Id.,
I lavori di restauro a Palazzo dei Normanni, in “Cronache Parlamentari Siciliane”, n.s., n. 4-5, 1981, pp. 112114; A. Giuffrida, La storia del Palazzo
Reale emerge dalle ricerche archivistiche,
in “Cronache Parlamentari Siciliane”, n.s., n. 4-5, 1981, pp. 9-12.
143
M.S. Di Fede, Architettura e trasformazioni urbane a Palermo nel Cinquecento: la committenza viceregia, in
“Espacio, Tiempo y Forma”, s. VII, n.
8, 1998, pp. 103-117.
144
G. Isgrò, Festa teatro rito nella storia di Sicilia, Palermo 1981, p. 295.
145
A Napoli Giovanni d’Austria ebbe
una relazione con Diana Falangola,
nata a Sorrento verso il 1556 e iglia
dei signori di Fagnano. Da questa relazione nacque Giovanna d’Austria.
146
Francesco trascorse l’infanzia in Spagna dove la nonna, donna Dorotea
Barresi, era stata chiamata a corte da
Filippo II per ricoprire la carica di governante dell’infante Filippo III (cfr.
G. Majorana, Le cronache inedite di Filippo Caruso, Catania 1916, p. 69).
147
Cfr. G.E. Di Blasi Gambacorta, Storia cronologica dei viceré luogotenenti e
presidenti del regno di Sicilia, Palermo
1974 (I ed. Palermo, dalle stampe di
Solli, 1790-1791), pp. 269-271. Si veda
anche F.M. Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca, Della Sicilia Nobile, Palermo, nella stamperia dei Santi Apostoli per Pietro Bencivenga 17541759, III, p. 182.
148
V. Auria, Historia cronologica delli
signore viceré di Sicilia, Palermo, per
Pietro Coppola, 1697, p. 74.
149
Ibidem.
150
Ivi, p. 70.
151
Ricordiamo a tal proposito i ritratti
dei re spagnoli (da don Pelayo a Fernando il Cattolico) presenti nell’arco
effimero eretto per l’entrata di Filippo II nel 1549 ad Anversa. Cfr. F. Bouza, Retratos, eigies, memoria y ejemplo
en tiempo de Felipe II, in “Cuadernos
Hispanoamericanos”, nn. 580, 1998,
pp. 21-34: 30.
152
Le immagini dell’atlante sono state pubblicate integralmente da C.
De Seta-V. Consolo, Sicilia Teatro
del Mondo, Roma 1990. Il Teatro
geograico antiguo y moderno del Reyno
de Sicilia si compone di un primo
tomo, come ci dice lo stesso Carlos Castilla, autore del prologo del secondo
tomo datato 1 maggio 1686. Questo
primo volume che il Castilla indicava con il nome di Relación è stato individuato da Cesare De Seta in un ma-
noscritto, La descripción de la Sicilia,
attualmente custodito presso la Biblioteca Nacional de España (BNE)
alla segnatura 2977. La parte relativa
ai fogli 1-46 è stata trascritta da M.S.
Di Fede, Descripción de la Sicilia: architettura, città e territorio nella seconda metà del Seicento, Palermo 2000.
Sulla igura di Carlos Castilla indicato come libraio della Real Corte di Palermo cfr. Ead., Carlos Castilla e il Teatro geograico antiguo y moderno del Reyno de Sicilia (1686), in “Lexicon. Storie e architettura in Sicilia”, n. 7,
2008, pp. 61-65.
153
Il manoscritto è citato in M.S. Di
Fede, I prospetti delle chiese di S. Matteo a Palermo e della SS. Annunziata a
Messina, in Ecclesia triumphans, architettura religiosa del Barocco siciliano
attraverso i disegni di progetto, XVII –
XVIII secolo, cat. mostra, a cura di
M.R. Nobile-S. Rizzo-D. Sutera, Caltanissetta 2009, pp. 70-71.
154
Relatione di Sicilia del señor Conde
di S. Stefano, Biblioteca Centrale della Regione Siciliana (BCRS), ms.
XIV D 5, f. 26r, foliazione moderna.
155
V. Auria, Historia cronologica delli
signore viceré, cit., p. 175.
156
A. Mongitore, Diario palermitano
dall’anno 1680 al 13 maggio 1743 con
la continuazione ino all’11 novembre
del 1751 di Francesco Serio e Mongitore,
ms. secoli XVII e XVIII, Biblioteca
Comunale di Palermo (BCP), Qq C
65-70 bis, ora in G. Di Marzo, Biblioteca storica e letteraria di Sicilia, 28
voll., Palermo 1871, 1 s. vol. VII,
1871, pp. 9 e 10.
157
V. Auria, Historia cronologica delli
signore viceré, cit., p. 175.
158
D. Vidania, Al rey Nuestro Señor,
Don Francisco de Benavides… representa
los servicios heredados y propios y los de
su Hijos…y la antigüedad y calidad de
su Casa, Napoli, D.A. Parrino y M.L.
Mucio, 1696, pp. 408-409.
159
Sopra le cause della rivolta si sono
occupati diversi autori. Fondamentale rimane lo studio di E. Laloy, La révolte de Messine, l’expédition de Sicile
et la politique française en Italie, 16741678, avec des chapitres sur les origines
de la revolte, 1648-1674, et sur le sort
des exilés, 1678-1702, 3 voll., Parigi
1929-1931. Si veda anche L. Ribot
García, La monarquía de España y la
guerra de Messina (1674-1678), Madrid 2002; Id., La revuelta antiespañola
de Messina. Causas y antecedentes
(1591-1674), Valladolid 1982; S. Di
Bella (a cura di), La rivolta di Messina, 1674-78 e il mondo mediterraneo
nella seconda metà del Seicento, atti del
convegno storico internazionale, Mes-
134
sina, aula magna dell’Università, 1012 ottobre 1975, Cosenza 2001.
160
Negli anni Ottanta Palermo sarà
coinvolta da diverse iniziative artistiche e culturali in cui si cercò di esaltare la monarchia spagnola. Oltre alla
già citata galleria, l’Auria ci ricorda che
nell’anno 1687 nella strada Colonna
fu fatto costruire un “novo e maestoso Teatro […] vi collocò venti statue
ben grandi de i Rè, e regine di Sicilia
dal tempo de’ Normanni, Svevi, Castigliani, Aragonesi, & Austriaci.
Adornò l’istesso muro che divenne tutto bianco. E sotto ad ogn’uno di detto Ré vi fece dipingere in fresco diverse
virtù appropiate á quelle de’ predetti
Re”, V. Auria, Historia cronologica
delli signore viceré, cit., p. 182.
161
V. Scuderi, Viaggio nel Palazzo dei
Normanni. Resti della Galleria dei viceré Benavides, in “Cronache parlamentari”, X, n. 7, 1993, p. 56.
162
La momentanea sede dell’Archivio
di Stato di Palermo non ha permesso
la consulta del fondo Secrezia relativo
al Palazzo Reale dove possibilmente saremmo riuscite ad incontrare notizie
relative agli autori. La consulta degli
avvisi conservati presso l’Archivio Segreto Vaticano, e l’Archivio di Stato di
Modena non hanno portato alla luce
nessun dato rilevante ai ini della nostra ricerca.
163
Per le notizie bio-bibliograiche cfr.
M.C. Ruggieri Tricoli, s.v. Amato,
Paolo, in L. Sarullo, Dizionario degli
artisti siciliani. I Architettura, vol. I, Palermo 1993, pp. 15-18.
164
L. Paladino, s.v. Giannetto, Filippo, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani. II. Pittura, Palermo
1993, p. 228.
165
Nel 1687 il Giannetti segue il viceré a Napoli ed è nella città partenopea dove iniziò a essere stimato per
le sue vedute e ricordato come “il Giordano de’ paesi” (cfr. F. Susinno, Le vite
de’pittori messinesi, a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, p. 173).
166
Su Paolo Amato cfr. F. Meli, Degli Architetti del Senato di Palermo nei
secoli XVII e XVII, in “Archivio Storico per la Sicilia”, 1938-39, pp. 305370. L’unico studio monograico sull’architetto è di M.C. Ruggieri Tricoli, Paolo Amato, la corona e il serpente,
Palermo 1983.
167
P. Amato, La Nuova Pratica di Prospettiva, Palermo, V. Toscano & O.
Gramignani, 1732.
168
Su Antonio Bova vd. A. Gallo, Notizie intorno agli incisori siciliani, a cura
di C. Pastena, Palermo 2000; T. Augello, La Sicilia nelle incisioni del
Bova, Palermo 1983.
VALERIA MANFRÈ, IDA MAURO
M.R. Nobile, L’autorappresentazione
dell’architetto, in Ecclesia triumphans,
cit., p. 63.
170
L’inventario datato 1 gennaio
1733, per la cui segnalazione si ringrazia Marco Rosario Nobile, è stato
pubblicato in M.S. Tusa, La cultura di
Giacomo Amato e la sua attività nel Settecento, in L’architettura del Settecento
in Sicilia, atti del seminario (Palermo
1989), a cura di M. Giuffrè, Palermo
1997, p. 60. Per il dipinto cfr. M.R.
Nobile, L’autorappresentazione dell’architetto, cit., p. 63.
171
Per i dipinti realizzati da Noletti per
il marchese del Carpio prima della sua
partenza per Napoli cfr. L. De Frutos,
El Templo de la Fama, cit., pp. 274,
277, 463.
172
Su Ferdinando Voet si vedano i recenti studi di F. Petrucci, Ferdinand
Voet (1639-1689) detto Ferdinando dei
ritratti, Roma 2005, pp. 102-103; Id.,
Pittura di ritratto a Roma. Il Seicento,
III voll., Roma 2008, I, p. 92.
173
Cfr. G. Di Marzo, Prefazione ai
Diari di Palermo, in Biblioteca Storica e letteraria di Sicilia, cit., XII, p. X.
174
Opera manoscritta che si conserva
presso la Biblioteca Comunale di Palermo alla segnatura Qq E 89, n. 9.
Cfr. S. Di Bella, I viceré ritrovati, in
“Cronache Parlamentari Siciliane”,
nuova serie, anno VI, n. 11, 1989, pp.
4-21.
175
Grazie a due manoscritti conservati
sempre nella Biblioteca Comunale di
Palermo, uno di Onofrio Manganate
e un altro di un autore anonimo (il primo riporta le iscrizioni in italiano, il
secondo in lingua spagnola) possiamo
conoscere con precisione i nomi dei viceré presenti in galleria. Cfr. O. Manganate, Galleria nel Regio Palazzo di
questa Felice e Fedelissima città di Palermo Capo del Regno, novamente adornata et abbellita di varii ritratti al naturale delli signori Viceré proprietarii,
quali hanno governato questo Regno di
Sicilia, con altre pitture per decoro e magniicenza di quella Reale Stanza per ordine dell’Eccellentissimo Signor don
Francesco Benavides conte di Santo
Stefano etc. Viceré di questo Regno. Anno
MDCLXXXI, BCP, ms. Qq C 21. La
trascrizione del manoscritto si trova
pubblicata in appendice al volume coordinato da R. Giuffrida, Nel Palazzo
dei Normanni. Ritratti di Viceré presidenti del Regno e luogotenenti generali
di Sicilia: 1747-1840, Palermo 1990,
pp. 214-221. Il manoscritto anonimo
Qq D 208 si trova pubblicato in appendice al testo di S. Di Bella, I viceré ritrovati, cit.
176
A. Mongitore, Diario palermitano
169
dall’anno 1680 al 13 maggio 1743, cit.,
vol. IX, p. 267. Anche il Villabianca
riporta le medesime notizie: “Le Pitture che oggi si veggono che sorgono
nelle anticamere promosse vennero dal
conte di Santo Stefano Benavides viceré l’anno 1680. Ma le presenti che
si espongono dagl’istessi Principi si rinnovarono nel 1738 dalla Maestà di
Carlo Borbone re di Sicilia glorioso
monarca oggi di Spagna raccomandandone l’opera al bravo pittore Guglielmo Borremas detto il Fiamengo
nel di cui tempo pur anche Zeusi”
Commentario storico del Palazzo Reale di Palermo [dicembre 1787], BCP,
ms. Qq D 107, f. 146r, cit. in Nel Palazzo dei Normanni di Palermo: la Sala
d’Ercole, a cura di R. Giuffrida-D. Malignaggi-S. Graditi, Palermo 1987, p.
264. È necessario avvisare il lettore che
la citazione del Villabianca, che si riferisce chiaramente alla galleria del Benavides fu – da parte di più studiosi
– collegata alle decorazioni odierne della sala (attualmente denominata Sala
d’Ercole) volute da Ferdinando IV nel
1799, causando una grande confusione
tra i due cicli pittorici. Il primo di una
serie di questi fraintendimenti si trova in A. Giuliana Alajmo, La Sala d’Ercole nell’ex Palazzo Reale di Palermo e
le vicende dei suoi affreschi, in “Sala
d’Ercole. Rassegna di politica siciliana”, I, n. 1, 1948. Si trovano le stesse conclusioni dell’Alajmo anche in G.
Giacomozzi, Il Palazzo che fu dei re, Palermo 1958.
177
P. La Placa, Relazione delle Pompe
Festive seguite in Palermo… nella celebrità delle regie nozze di Carlo Borbone… con Maria Amalia principessa di
Polonia e di Sassonia, Palermo, nella
Regia Stamperia d’Antonino Epiro,
1739.
178
Ivi, pp. 18-31.
179
La relazione si trova presso l’Archivio di Stato di Palermo, Conservatoria Real Patrimonio, B-1839, Inventario arredi di Palazzo, cit. in R. La
Duca, Il palazzo dei Normanni, cit.,
1997, p. 138.
180
G. Palermo, Guida istruttiva per potersi conoscere con facilità tanto dal Siciliano, che dal Forestiere, tutte le magniicenze e gli oggetti degni di osservazione della Città di Palermo, Palermo,
Reale Stamperia 1816 (III ed.), p. 32.
Girolamo Di Marzo Ferro, nel ripubblicare nel 1859 la Guida di Gaspare Palermo, aggiunge: “pendono
dalle mura diversi ritratti dei Viceré,
che hanno governato questo Regno,
dal Re cattolico Carlo III Borbone sino
al defunto di lui nipote Francesco I”,
G. Di Marzo Ferro, Guida istruttiva
per Palermo e suoi dintorni riprodotta
su quella del Cav. Gaspare Palermo, Palermo, 1859, p. 392.
181
Cfr. D. Malignaggi, Le collezioni
d’arte, in R. Calandra, Palazzo dei Normanni, Palermo 2000, p. 168.
182
A. de Lavalle, Galería de retratos de
los Gobernadores, cit., p. 7.
183
Dei viceré del Perù esiste un Libro
de los Virreyes del Perù composto da 15
pergamene che ritraggono altrettanti
viceré e di cui fa parte anche un ritratto
di Diego de Benavides. Cfr. J.C. Galende Díaz, El libro de los virreyes del
Perù: una fuente documental para la historia de América, in “Anuario de
Estudios Americanos”, LII, 1995, pp.
215-228.
135
RIEVOCAZIONE DELL’IMMAGINARIO ASBURGICO