ALCHIMIA
a cura di
Massimo Marra e Andrea De Pascalis
MIMESIS
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Poiché siete nutriti del frumento della Luce, risorgerete al libero
spazio, restate in attesa, spiando un segno.
Quando udrai l’appello della guardia che dà il cambio, gioisci di
colui che apre i battenti. Perché, allora, il mattino è prossimo.
Sohravardi, da L’arcangelo purpureo, a cura di H. Corbin, trad.
it di Piero Favini, ed. Coliseum, Milano 1990.
INDICE
Massimo Marra
Qualche parola sull’alchimia, per cominciare
p.
9
Paolo Aldo Rossi
I greci e il fondere (ché?): physikà kaì mystikà
p.
33
Paolo Mottana
Immaginazione alchemica e pedagogia
p.
53
Eric Humbertclaude
Su due aspetti dell’opera in versi di Federico Gualdi
p.
63
Andrea De Pascalis
L’Aureum seculum redivivum di Hinricus Madathanus
p.
117
Massimo Marra
Di alcuni componimenti di materia alchemica in rima volgare
dai fondi manoscritti della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III
di Napoli
p.
187
Il Discorso sopra il Lapis Philosophorum
del signore Giovan Thomaso Cavazza
p.
233
Autori
p.
253
Massimo Marra
QUALCHE PAROLA SULL’ALCHIMIA, PER COMINCIARE
Diffidate di chi viene a mettere ordine.
Diderot
Interrogarsi
Presentare al pubblico una raccolta di materiali di studio sull’alchimia occidentale, è, per sua stessa natura,
un’operazione che può dar adito a più di una confusione.
Materia nomade, erratica, dai contorni identitari
incerti, è ancora oggi difficile dare una definizione dell’alchimia all’interno della storia culturale dell’occidente, definirne un territorio, una lingua.
Anelito alla conoscenza di materie sottili, di collegamenti invisibili ed eterni, di connessioni intangibili e
tenaci, l’alchimia presuppone uno sguardo che attraversa il denso, oltrepassandolo per scorgere la stratificazione complessa degli aspetti invisibili del creato. Una
capacità di rimanere sospesi tra cielo e terra che è simile a quella delle suffumigazioni degli incensi sacri, che
ricorda e riecheggia le levitazioni dei santi, le guarigioni
ed i miracoli trasmutatori di pani e di pesci, di vino. Una
attitudine di delicata devozione al creato per oltrepassarne con orante attenzione gli aspetti grossolani ed
attingere la potenza pura della scaturigine inesausta, il
luogo e la qualità del caos in cui la forma seminale divina imprime la sua qualità generativa.
Un terreno complesso, gravido di implicazioni di
vario tipo, come si intuisce facilmente, che diviene vieppiù impervio se, di là di un atteggiamento di tipo eminentemente storico-archeologico, si considera l’alchimia
come materia viva, scienza ancora oggetto di studio e
pratica (a vari livelli e con varie declinazioni e coloriture)
di decine di migliaia di persone sparse in tutto il mondo
occidentale. Basta una breve navigazione on-line per
accorgersi della vitalità dell’interesse sull’alchimia.
Terreno ibrido tra tecnica manipolatoria della materia e tensione soteriologica ad una rigenerazione microcosmica e macrocosmica, l’alchimia sfugge, anche nella
modernità, ad ogni tentativo di classificazione. Un
altrove assoluto, una scienza degli imponderabili1 in cui
1 Come, ad. es., è definita da
Zolla (cfr. Le meraviglie
della natura, introduzione
all’alchimia, Bompiani 1975,
pp. 90 e sgg.).
Q UALCHE
PAROLA SULL’ ALCHIMIA , PER COMINCIARE
Le immagini ornamentali di
forni ed apparecchi distillatori a
lato del testo, e prive di didascalia, sono tutte tratte da La
description des nouveaux
Forneaux Philosophiques ou
Art Distillatoire, Par le moyen
duquel sont tirez les Esprits,
Huiles, Fleures & autres
Medicaments [...] mis en lumiere en faveur des Amateurs de
la Verité par Jean Rodolphe
Glauber et traduit en nostre
langue par le Sieur du Teil,
Paris 1659.
2 Mircea Eliade, Arti del
metallo e alchimia,
Boringhieri, Torino 1987,
pp. 152-154.
10
è assai complesso riconoscere radici e nozioni note, rassicuranti. Anche l’attenzione che negli ultimi centocinquanta anni la storia della scienza e la filosofia hanno
tributato all’idea ermetica della scienza delle trasmutazioni, non è approdata a conquiste stabili e definitive.
Eppure, è ormai assai chiara la valenza che l’alchimia
assume laddove la si analizzi in relazione allo sviluppo
della cultura occidentale moderna:
...assumendo la responsabilità di cambiare la Natura,
l’uomo si è sostituito al Tempo: ciò che avrebbe richiesto
millenni o eoni per “maturare” nelle profondità della
Terra, il metallurgo e, soprattutto, l’alchimista, ritengono
di poterlo ottenere in poche settimane...
Il vas mirabile dell’alchimista, le sue fornaci, le sue storte svolgono un ruolo ancora più ambizioso: questi apparecchi sono la sede di un ritorno al Caos primordiale, di
una ripetizione della cosmogonia; le sostanze vi muoiono
e vi risuscitano per essere infine trasformate in oro...
La figura mitica del Fabbro Eroe civilizzatore africano
non ha ancora perso il significato religioso del lavoro
metallurgico: il Fabbro Celeste, come abbiamo visto, completa la creazione, organizza il mondo, fonda la cultura e
guida gli esseri umani verso la conoscenza dei
misteri...L’alchimista occidentale raggiunge l’ultima
tappa dell’antichissimo programma, avviato dall’homo
faber fin dal giorno in cui si accinse a trasformare una
Natura che egli considerava, secondo prospettive diverse,
come sacra o suscettibile di essere ierofanizzata. Il concetto della trasmutazione alchemica è il coronamento favoloso della fede nella possibilità di cambiare la Natura attraverso il lavoro umano (lavoro che comporta sempre, non
dimentichiamolo, un significato liturgico2.
Seppure una tale riflessione non getti alcuna luce
sulle origini, sul successo e la longevità di una tale dottrina, tuttavia, riteniamo essa chiarisca un carattere precipuo che inserisce in modo funzionale l’alchimia nella
formazione e nello sviluppo della cultura occidentale. Il
donum dei della Pietra filosofale o dell’ elixir, è, in ultima
analisi, pur sempre correlato – anche se in modo dichiaratamente non necessitante – all’azione dell’operare, ad
una techne che definisce la natura profondamente ibrida
ed imprecisata della dottrina di cui stiamo parlando.
Tale connotazione anfibia, che sconfina nei territori
contemporanei della scienza e della rigenerazione
mistica, definisce nel contempo, da sempre, uno spazio
di autonomia e di specificità sia dalla sfera dello scien-
11
tifico che da quella del religioso. Se già dalle prime
investigazioni degli storici della scienza ottocenteschi è
risultato chiaro lo iato che intercorreva tra il paradigma
scientifico positivista e la tensione soteriologica e salvifica sottesa alla dottrina alchemica, non altrettanto chiaro è stato, all’inizio, il confine che la stessa techne alchemica stabiliva nei confronti della religione. Nel suo
delinearsi come tecnica iniziatica, in qualche modo,
infatti, l’alchimia segna il limite e la forza di una dottrina cosmologica e cosmogonica tradizionale, che, dal
paganesimo delle proprie origini, ha saputo adattarsi
senza gravi traumi a strutture metafisiche assai differenti, passando dallo gnosticismo, al cristianesimo,
all’Islam per tornare nuovamente al cristianesimo. In
questo carattere plastico – e nel sospetto di voler avocare a sé una valenza salvifica sottraendola alla dottrina
religiosa propriamente detta – doveva risiedere buona
parte della diffidenza e dell’atteggiamento ambiguo
che la dottrina cristiana ha riservato all’alchimia nel
corso dei secoli. E, a ben guardare, anche l’esito del
complesso corso della quaestio de alchimia che, tra il
Medioevo ed il Rinascimento, ha animato il dibattito
filosofico, sembra portare ad un riconoscimento di questo limite identitario3. Definendo la dottrina alchemica
come ars practica tributaria della fisica, se ne sanciva
ufficialmente la collocazione gerarchica, se ne esorcizzava il carattere anfibio ed ibrido, se ne occultava la
tensione soteriologica, necessariamente correlata alla
metafisica cristiana. L’ars practica si rivelava tributaria
di una metafisica che, sola, poteva legittimarne l’esistenza, e da cui, in nessun caso, si poteva prescindere.
La riflessione “tradizionalista” di René Guénon sul
limite dell’ermetismo come dottrina a sfondo eminentemente cosmologico è tutt’altro che peregrina4. In una
cultura tradizionale una dottrina cosmologica si ricollega necessariamente ad un quadro metafisico di riferimento – qualunque esso sia – senza del quale l’idea
stessa di una dottrina cosmologica perde completamente di senso. E, d’altro canto, non vi sono ostacoli a che
una medesima scienza cosmologica possa adattarsi in
modo creativo a quadri culturali e metafisici anche
assai differenti, costruendosi una fortuna ed una longevità che attraversano i millenni. È un percorso comune
a tutte le scienze tradizionali, dalla magia all’astrologia,
una realtà con cui lo storico è abituato a confrontarsi.
M ASSIMO M ARRA
3 Si trattava di delimitare l’identità epistemologica dell’alchimia, sospesa tra il
concetto di scientia, dal
definito carattere teoretico,
e quello di ars practica, ars
mechanica da ricollocare
nel quadro delle arti tributarie della fisica. È quest’ultimo il parere prevalente che ritroviamo negli
scrittori più tardi, fino al
Rinascimento ed oltre.
Sulla quaestio de alchimia in
generale vedi W. R.
Newmann, Technology and
alchemical debate in the late
Middle Ages, in Isis, vol 80,
1989, pp. 423-445 e ancora
lo studio introduttivo a W.
R. Newmann, The Summa
Perfectionis of Pseudo Geber.
A Critical edition, translation and study New York
1991 ed. Brill. Il tema è sinteticamente ripreso anche
in Crisciani – Pereira,
L’Arte del Sole e della Luna,
ed. C..I..S.A.M., Spoleto
1996, pp. 38 e sgg..
4 Cf. Qualche considerazione
sull’ermetismo, in René
Guénon, Considerazioni
sulla via iniziatica, Bocca,
Milano 1949, pp.338 e sgg..
Q UALCHE
PAROLA SULL’ ALCHIMIA , PER COMINCIARE
12
Con tali non semplici premesse, si comprende bene
come possa essere risultato difficile l’incontro della cultura moderna e contemporanea con l’antica ed oscura
scienza di Ermete.
Tuttavia, se dovessimo operare una esemplificazione, potremmo identificare, lungo tutta la seconda metà
del XIX secolo e per tutto il XX, tre approcci fondamentali, che in un reciproco e funzionale rapporto di interscambio hanno dominato nei tentativi ermeneutici di
stampo storico e filosofico. Proviamo a passarli brevemente in rassegna.
Figli di un inconfessabile mago: esprit positif e storia
della scienza
L’illuminismo è l’angoscia mitica radicalizzata. La pura
immanenza positivistica, che è il suo ultimo prodotto, non è
che un tabù per così dire universale. Non ha da esserci più
nulla fuori, poiché la semplice idea di un fuori è la fonte
genuina dell’angoscia.
T. W. Adorno – M. Horkheimer, Dialettica dell’Illuminismo,
trad. it di R. Solmi, Einaudi, Torino 1997, p. 23.
5 Ci siamo già brevemente
occupati dell’alchimia a
cavallo tra XIX e XX secolo, nella duplice lettura
degli storici della scienza
positivisti e del vasto e
variegato movimento
occultista, nelle pagine
introduttive alla recente
riedizione di Giovanni
Carbonelli, Sulle fonti storiche dell’alchimia e della chimica in Italia, (La Finestra,
Trento 2004). A quanto
scritto in quella sede ed
alle relative note bibliografiche rimandiamo il lettore
desideroso di ulteriori
approfondimenti.
Potremmo definire un primo tipo di approccio come
storico-archeologico, ossia una ricerca intorno ad una
materia morta, ad una scienza arcaica e desueta, ad un
relitto del passato da proporre ed analizzare filologicamente in un’ottica esclusivamente storico-documentale. Si tratta, con ogni evidenza, di un atteggiamento fortemente influenzato dal pregiudizio culturale positivista. La dimensione “storica” risulta portatrice dell’unica validazione possibile del carattere di uno studio che,
per sua stessa natura, può risultare sospetto di simpatie
irrazionalistiche ed oscurantiste. Lo storico si interessa
alla radice irrazionale solo per rintracciare il percorso di
un cammino faticoso e luminoso della cultura verso
l’auspicato ed inevitabile affrancamento dalle oscure
radici del mito. Ciò che si cerca, in un’ottica fermamente evoluzionista, sono i germi dei moderni lumi positivistici che, fatalmente, devono pur rinvenirsi nel mare
magnum delle oscure superstizioni. È l’attitudine inaugurata dalla grande stagione degli studiosi del positivismo ottocentesco (i Kopp, gli Chevreul, i Berthelot, fino
ai nostri Carbonelli, Mieli etc.)5. L’alchimia è il balbettio
prescientifico e superstizioso che precede la chimica, la
13
M ASSIMO M ARRA
sua quasi inconfessabilmente oscura matrice, entro cui
già nascono e si sviluppano i germi di una scienza
razionale e positiva. In questa specifica ottica essa ritrova una sua utilità, riassume un ruolo che ne legittima lo
studio da parte dell’uomo di scienza moderno ed illuminato, l’indagine critica secondo un modello fedele ad
un’ottica fermamente razionalista ed evoluzionista.
Vediamo come ce ne rende conto Marcelin Berthelot,
chimico insigne, scienziato famoso ed autorevole uomo
politico, pioniere della storia delle scienze. I corsivi nel
testo sono nostri:
...All’inizio della civiltà, ogni conoscenza ostenta una
forma religiosa e mistica. Ogni azione era attribuita agli
dei, identificati con gli astri, con i grandi fenomeni celesti
e terrestri, con tutte le forze naturali. Nessuno, allora,
avrebbe osato un’operazione politica, militare, medica,
industriale, senza ricorrere alla formula sacra, destinata a
propiziare la buona volontà delle potenze misteriose che
governano l’universo. Le operazioni meditate e razionali
non vennero che in seguito e sempre in ambiti strettamente subordinati.
Ciò nonostante coloro che erano impegnati nelle opere
non tardarono a percepire che i loro scopi si realizzavano
soprattutto attraverso il lavoro efficace della ragione e
dell’attività umana. La ragione introdusse a sua volta, per
così dire surrettiziamente, le sue precise regole nell’esecuzione di ricette pratiche, in attesa del giorno in cui sarebbe
arrivata a dominare tutto. Da ciò un periodo nuovo, semirazionalista e semi-mistico, che ha preceduto la nascita
della scienza pura. Allora fiorirono le scienze intermedie,
se così possiamo dire: l’astrologia, l’alchimia, la vecchia
medicina delle virtù delle pietre e dei talismani, scienze
che oggi ci appaiono chimeriche e ciarlatanesche. La loro
apparizione ha costituito comunque un progresso immenso in una determinata fase, ed ha fatto epoca nella storia
dello spirito umano. Queste scienze sono state una transizione necessaria tra l’antico stato degli spiriti, in balia della magia
e delle pratiche teurgiche, e lo spirito attuale, assolutamente
positivo...6.
Il programma di demitizzazione delle radici positive
della scienza è esplicito, ed è preoccupazione costante,
impronta non episodica. L’obiettivo, nel dimostrare la
sua primogenitura nel campo dello spirito umano, è
nientedimeno che affrancare il dominio della morale,
dell’etica e dello spirituale dall’oscurità di una origine
mitica e religiosa incompatibile con l’esprit positif:
6 Marcelin Berthelot, Les origines de l’alchimie, Paris,
Steinheil 1895, pp. VI –
VII.
Q UALCHE
PAROLA SULL’ ALCHIMIA , PER COMINCIARE
14
Il misticismo reclama di nuovo il monopolio della
morale, in nome dei principi religiosi.
Questa pretesa riposa su affermazioni erronee: la storia
dello sviluppo della razza umana e delle civilizzazioni
prova, in effetti, che le origini ed i progressi della morale
sono stati tratti da tutt’altre fonti. Le religioni si sono appropriate della morale, non l’hanno creata, e ne hanno anzi troppo
soventemente ostacolato l’evoluzione ed il progresso. In realtà, in
questo dominio, così come in quello della metafisica, esse
non hanno fatto altro che improntare alle conoscenze della
loro epoca delle nozioni e delle ipotesi che hanno poi eretto in sistemi assoluti, dogmi definitivi.
Io desidero mostrare che le regole direttrici della vita
umana non sono improntate oggi, e non lo sono mai state,
in realtà, a delle rivelazioni divine: siano queste di religioni antiche o moderne, d’Oriente o d’Occidente....
Anzitutto qualche osservazione al riguardo di una
espressione che ha dato luogo a singolari malintesi, ossia
la parola mistero. Questa parola è esclusa oggi dal linguaggio e dai metodi scientifici, come anche la parola miracolo, che ne è in fondo sinonimo per chiunque cerchi nel
mistero i principi della sua conoscenza e le regole per la
sua vita. Nelle memorie dei fisici e dei chimici, non si
incontrerà né l’una, né l’altra parola. Se il mistero ed il
miracolo sono così rifiutati ed espulsi dalle nostre trattazioni, ciò non è solo in virtù di pure deduzioni logiche; è
perché ovunque ci sia stato dato di approfondire i fenomeni abbiamo constatato che questi erano costantemente
prodotti in virtù di una relazione determinata tra cause ed
effetti. È precisamente questa constatazione a posteriori
che ha costituito il metodo scientifico...
Il metodo scientifico è stato riconosciuto, attraverso l’esperienza delle età passate, così come attraverso l’esperienza dell’età presente, come il solo efficace per pervenire alla conoscenza: non vi sono due fonti della verità,
l’una rivelata, sorta dalle profondità dell’inconoscibile,
l’altra tratta dall’osservazione e dalla sperimentazione
interna ed esterna.
Ecco ciò che significa questa esclusione del mistero...7.
7 Marcelin Berthelot, Science
et morale, Paris, CalmannLevy 1896, pgg 1- 7. Anche
in questo caso il corsivo è
nostro.
È questa un’ottica in cui si riconosce immediatamente una preoccupazione di storicizzare l’esprit positif, di
sospingerne il più indietro possibile la presenza e le origini. Eternarne la presenza, seppure in una straziante
condizione di sudditanza alla preponderante forza dell’ignoranza rappresentata dalla magia e dal mito, significava approfondirne con adeguate radici la presenza
attuale, redimerne la sospetta giovinezza, riscoprirne
l’antica e nobile genealogia.
15
M ASSIMO M ARRA
Di fuori da questa nobile preoccupazione, è evidente
che lo studio dell’alchimia sarebbe opera di spiriti oziosi, dal momento che l’evidenza mostra chiaramente
quanto futili siano i suoi assiomi ed inaffidabili e patologici i suoi adepti:
...La chimica, la più positiva delle scienze, quella di cui
padroneggiamo più direttamente l’oggetto, inizia con
immaginazioni stravaganti sull’arte di fare l’oro e di trasmutare i metalli; i suoi primi adepti sono degli allucinati, dei
folli e dei ciarlatani, e questo stato di cose dura fino al XVIII
secolo, in cui la vera dottrina rimpiazza l’antica alchimia...8
Il sospetto di futilità, ma anche la pericolosità che lo
studio di siffatte esecrande chimere può generare, il
pesante sospetto di criminalità scientifica e devianza psichica che esse ispirano, a qualche decennio di distanza
da Berthelot, è ribadito dall’italiano Aldo Mieli (18791950). Questi, nel criticare l’opera del suo connazionale
Carbonelli, non manca di osservare che quest’ultimo
non ha ordinato a dovere la materia, includendo nel
suo excursus sui testi alchemici delle biblioteche italiane
anche i testi più recenti (quelli, ad es., del XVI e XVII
secolo) colpevoli di presentare in misura maggiore un
carattere mistico e magico che inquina e nasconde gli
originari fondamenti positivi più chiaramente percepibili nei testi più antichi:
...lo scienziato e lo storico sentono un certo disagio nel
vedere la descrizione dei manoscritti interrotta più volte;
nel non trovare indicati in modo sistematico, ma sparsi nel
discorso continuato, l’epoca e le caratteristiche dei vari
manoscritti, spesso anche nel non poterle trovare affatto,
per quanto uno scartabelli tutto il volume per trovarle; nel
passare all’improvviso da scritti recenti (del XVI – XVIII
secolo) a scritti antichi, che sotto tutti i punti di vista, hanno
valore diversissimo e non possono essere considerati in
blocco, perché, se i più antichi rappresentano la formazione di
una nuova scienza, gli ultimi sono una degenerazione di idee
primitive, e se offrono un soggetto interessante per lo studio
delle deviazioni della psiche umana o per quello della criminalità
scientifica, diciamo così, non possono pretendere in alcun
modo ad essere considerati come opere di scienza…9.
Si riconosce in questa voglia di riscoprire – o piuttosto, reinventare – le radici ancestrali del proprio
modello culturale, un processo alternativo alle insufficienze ed alle inadeguatezze della pura e semplice
8 Berthelot, Les origines...cit.,
p. IX., il corsivo è nostro.
9 Mieli, recensione al citato
“Sulle fonti storiche della
chimica e dell’alchimia in
Italia” in Archivio di Storia
della Scienza 6, 1925, p. 251.
Corsivo nostro.
Q UALCHE
PAROLA SULL’ ALCHIMIA , PER COMINCIARE
16
rimozione. È, in effetti, un procedimento di riassorbimento e recupero simile a quello operato, su di un
piano diverso ma nel medesimo contesto culturale,
dall’antropologia nei confronti del mondo magico primitivo, secondo la lettura di Levi-Strauss riproposta
tra gli altri, in Italia, dal De Martino10. Nell’interrogarsi
sul senso profondo delle proprie ricerche, sia sul piano
culturale generale che su quello individuale ed emotivo, nel porsi la fatidica domanda del cosa ci faccio qui?,
Levi-Strauss annota:
Se l’Occidente ha prodotto degli etnografi è perché un
cocente rimorso doveva tormentarlo, obbligandolo a confrontare la sua immagine a quella di società differenti,
nella speranza di vedervi riflesse le stesse tare o di averne
un aiuto per spiegarsi come le proprie si fossero sviluppate... L’etnografo non può disinteressarsi della sua civiltà
né sconfessarne gli errori, in quanto la sua stessa esistenza è comprensibile solo se considerata come un tentativo
di riscatto: egli è il simbolo dell’espiazione...11.
10 Nelle pagine introduttive a
La terra del Rimorso: contributo ad una storia religiosa
del sud, Il Saggiatore,
Firenze 1976 .
11 Claude Levi-Strauss, Tristi
tropici¸ Il Saggiatore,
Milano 1978, pag. 377.
In realtà, l’annotazione di Levi-Strauss, ben lungi
dall’applicarsi alla sola etnologia, si può applicare agevolmente a parte consistente delle scienze umanistiche
moderne la cui genesi e sviluppo, non a caso, avviene
nel comune quadro dell’affermazione della cultura
positivista a cavallo tra il XIX ed il XX secolo. Si tratta
di una tensione volta alla risoluzione del difficile rapporto tra il razionalismo positivista della nuova cultura
borghese, ed il problema costituito da un’alterità che
costituisce, nel contempo, come si è detto, inquietante
esotismo e memoria imbarazzante, residuo di maldestra rimozione. L’atteggiamento ideologico dello storico della scienza di formazione positivista, è, nell’essenza, simile a quello che Levi-Strauss attribuisce all’etnografo. Un’ansia di andare alla radice delle proprie tare,
il cocente rimorso verso il rimosso, verso una memoria
irrecuperabile che è presentita come causa di un’incompiutezza, come radice di una sofferenza, di un’inadeguatezza. Non è forse questo senso di insufficienza che
si legge, ad esempio, in un certo Berthelot dal tono
misuratamente ma scopertamente nostalgico?
Il mondo è oggi senza mistero: la concezione razionale
pretende tutto spiegare e tutto comprendere; essa si sforza di dare a tutte le cose una spiegazione positiva e logica, estende il suo determinismo fatale fino al mondo
17
M ASSIMO M ARRA
morale. Non so se le deduzioni imperative della ragione
scientifica realizzeranno un giorno questa prescienza
divina, che ha sollevato in altri tempi tante discussioni e
che non si è mai riusciti a conciliare con il sentimento non
meno imperativo della libertà umana. In tutti i casi l’universo materiale intero è rivendicato dalla scienza, e nessuno osa più resistere di fronte a questa rivendicazione. La
nozione del miracolo e del sovrannaturale è svanita come
un vago miraggio, un pregiudizio superato…12
L’attitudine di esecrazione contro la devianza ed il crimine d’irrazionalità che abbiamo visto emergere in
autori come Berthelot e Mieli, pur essendo funzionale
all’esorcismo illuminista dell’eversione ideologica del
mito, ovviamente, presentava tutti i caratteri ed i limiti
di un linciaggio a furor di popolo. Essa tralasciava e
procrastinava indefinitamente il pur necessario lavoro
di risoluzione graduale e metabolizzazione di quanto il
contenuto eminentemente simbolico dell’alchimia
lasciava pur presagire, al di là della semplicistica riprovazione di un linguaggio folle e di una scienza delirante, anche all’occhio dello storico e del filosofo.
Nell’analizzare la grande stagione positivista della
storia dell’alchimia, molti autori contemporanei hanno
l’abitudine di presentare, sulla scorta dei recenti studi
di matrice psicoanalitica e dell’ampia saggistica – di
qualità assai spesso ineguale – che è attualmente disponibile sul simbolismo ermetico, questa tendenza ermeneutica come ormai praticamente estinta. Sarebbe invece salutare considerarla semplicemente attenuata, parzialmente mutata.
L’accettazione di alcune interpretazioni junghiane da
parte di una porzione consistente della letteratura storico-scientifica specializzata, in fondo, non fa che travestire della recente “rispettabilità” psicoanalitica (su cui
ci intratterremo brevemente più oltre) la più vetusta
rispettabilità storica, tentando un recupero ermeneutico
che dissolva il sospetto irrazionalistico latente, l’inaccettabile alterità di un’entità ambigua ed oscura. Senza,
d’altra parte, riconoscerne l’irrisolta irriducibilità, la
sfuggente natura ambigua e sovversiva. La psicoanalisi, pur essendo in larga parte metodologicamente non
validabile in un’ottica scientifica positivista, ma obbedendo invece fedelmente all’assunto metodologico dell’astrazione sistemica riduzionista tipica del pensiero
illuminista, ed avendo come proprio orizzonte l’area
12 Marcelin Berthelot, Les origines de l’alchimie, Paris,
Steinheil 1895, pp. V – VI.
Q UALCHE
PAROLA SULL’ ALCHIMIA , PER COMINCIARE
13 A partire, naturalmente,
dalla definizione che di
sistema rinveniamo in
Adorno ed Horkheimer, i
quali citando diversi passi
di Kant, annotano:
«L’illuminismo è, per dirla
con Kant, “l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio
intelletto senza la guida di
un altro”. L”intelletto
senza la guida di un altro”
è l’intelletto guidato dalla
ragione. Ciò significa semplicemente che esso, in
virtù della propria coerenza, collega in un sistema le
singole conoscenze. “La
ragione... non ha propriamente per oggetto che l’intelletto e l’impiego di esso
in vista di uno scopo”.
Essa pone “una certa unità
collettiva a scopo delle
operazioni dell’intelletto, e
questa unità è il sistema.
Le sue norme sono direttive per la costruzione gerarchica dei concetti. .... l’elemento “sistematico” della
conoscenza è “la connessione di essa secondo un
principio. Pensare, nel
senso dell’illuminismo,
significa produrre un ordine scientifico unitario e
dedurre la conoscenza dei
fatti da principi, che questi
vengano intesi come assiomi posti arbitrariamente,
come idee innate o come
astrazioni supreme...». (T.
W. Adorno – M.
Horkheimer, Dialettica
dell’Illuminismo, trad. it di
R. Solmi, Einaudi, Torino
1997, p. 87)
18
oscura della psiche, è stata accettata di buon grado tra
le discipline “rispettabili” di cui il buon borghese razionalista può usare senza soverchie preoccupazioni. Si
tratta pur sempre, in fin dei conti, di un sistema, e, dunque, di una rassicurante organizzazione cui ricondurre
la folla altrimenti caotica e ribelle dei demoni e degli
elementali, degli antichi e terribili signori occulti delle
qualità, dei sogni chimerici degli antichi maghi e alchimisti di ogni tempo e latitudine. Percependo l’inadeguatezza e l’insufficienza della gabbia ermeneutica
dello storico, la psicanalisi gli offre, pietosa e sollecita, il
conforto di una sistematizzazione adeguata entro cui
inscrivere con conforto e sicurezza la propria attività di
decrittazione e demitizzazione. Conviene qui, brevissimamente, rifarsi a quanto la scuola di Francoforte ci ha
svelato in merito al ruolo del sistema nell’ambito della
demitizzazione di matrice illuminista13, per quanto una
tale digressione ci porti apparentemente lontani dall’oggetto principe della nostra trattazione. Tuttavia, per
comprendere le radici dell’alleanza dell’ermeneutica
psicoanalitica con il positivismo, è necessario ricorrere
ad un allargamento di prospettiva:
…La liberazione del mondo dalla magia è la liquidazione dell’animismo. Senofane deride gli dèi molteplici, che
somigliano ai loro creatori, gli uomini, con tutte le loro accidentalità e i loro difetti, e la logica più recente denuncia le
parole foggiate del linguaggio come monete false, che conviene sostituire con fiches neutrali. Il mondo diventa il caos
e la sintesi salvezza. [...] Lungo l’itinerario verso la nuova
scienza gli uomini rinunciano al significato. Essi sostituiscono il concetto con la formula, la causa con la regola e la
probabilità. La causa è stata l’ultimo concetto filosofico con
cui la critica scientifica ha fatto in conti, perché era la sola
delle vecchie idee che essa si trovasse ancora di fronte, l’ultima secolarizzazione del principio creatore...
Le cosmologie presocratiche fissano il momento del
trapasso. L’umido, l’indistinto, l’aria, il fuoco che appaiono in esse come materia prima della natura, sono residui
appena razionalizzati della concezione mitica. Come le
immagini della generazione dalla terra e dal fiume, giunte ai greci dal Nilo, diventarono qui principi ilozoistici,
elementi, così l’inesauribile ambiguità dei demoni mitici
si spiritualizzò nella forma pura delle essenze ontologiche. Da ultimo, con le idee di Platone, anche le divinità
patriarcali dell’Olimpo sono investite dal logos filosofico.
Ma nell’eredità platonica ed aristotelica della metafisica
l’illuminismo riconobbe le antiche forze e perseguitò
19
M ASSIMO M ARRA
come superstizione la pretesa di verità degli universali.
Nell’autorità dei concetti generali esso crede ancora di
scorgere la paura dei demoni, con le immagini e riproduzioni dei quali, nel rituale magico, gli uomini cercavano di
influenzare la natura. D’ora in poi la materia deve essere
dominata al di fuori di ogni illusione di forze ad essa
superiori o in essa immanenti, di qualità occulte. Ciò che
non si piega al criterio del calcolo e dell’utilità è, agli occhi
dell’illuminismo, sospetto. E quando l’illuminismo può
svilupparsi indisturbato da ogni oppressione esterna, non
c’è più freno. ... L’illuminismo è totalitario.
Alla base del mito esso ha sempre visto l’antropomorfismo, la proiezione del soggettivo nella natura. Il soprannaturale, spiriti e demoni, sarebbero immagini riflesse
degli uomini che si lasciano spaventare dalla natura. Le
varie figure mitiche sono tutte riducibili, secondo l’illuminismo, allo stesso denominatore, e cioè al soggetto. ...
L’illuminismo riconosce a priori, come essere ed accadere,
solo ciò che si lascia ridurre a unità: il suo ideale è il sistema, da cui deduce tutto e ogni cosa... Anche se le varie
scuole potevano interpretare diversamente gli assiomi, la
struttura della scienza unitaria era sempre la stessa. Il
postulato baconiano dell’una scientia universalis è – nonostante il pluralismo dei campi d’indagine – altrettanto
ostile a ciò che non si può collegare che la mathesis universalis leibniziana al salto. La molteplicità delle figure è
ridotta alla posizione e all’ordinamento, la storia al fatto,
le cose a materia...
L’equiparazione di sapore mitologico delle idee ai
numeri negli ultimi scritti di Platone, esprime l’anelito di
ogni demitizzazione: il numero diviene il canone dell’illuminismo. ...La società borghese è dominata dall’equivalente: essa rende compatibile l’eterogeneo riducendolo a grandezze astratte. Tutto ciò che non si risolve in numeri, e in
definitiva nell’uno, diventa, per l’illuminismo, apparenza;
e il positivismo moderno lo confina nella letteratura. Unità,
rimane la parola d’ordine, da Parmenide a Russell. Si continua a esigere la distruzione degli dèi e delle qualità...14
Se l’illuminismo si serve del sistema come ricetta per
risolvere l’aporia costituita dall’angoscia per il molteplice e l’ignoto, allora, di fronte all’altrove assoluto rappresentato dall’alchimia, qualunque sistema, qualunque astrazione riduzionista che abbia un sostrato anche
solo vagamente dialettico, è ben accetto. E la psicanalisi, col suo portato di modernità, con il suo sospingere la
potenza numinosa della scepsi sistemica e del pensiero
dialettico fin nelle pieghe più recondite dell’essere,
offre garanzie particolarmente gradite.
14 Adorno – Horkheimer,
Dialettica cit.¸ pag. 13.
Q UALCHE
PAROLA SULL’ ALCHIMIA , PER COMINCIARE
20
L’essenziale è non condividere mai, neanche per un momento, il punto di vista originario della magia, della religione e del mito, non macchiarsi mai del peccato di comprensione empatica, profonda, intensa. Non vivere mai nel regno degli spiriti. Evocare
gli antichi demoni è pratica sospetta, pericolosa, poiché può aprire abissi da tempo
faticosamente esorcizzati, parzialmente dimenticati, forse, ma mai definitivamente
esplorati e conquistati. Costringendo un complesso groviglio di valenze irrazionali in
un’interpretazione riduzionista quale quella psicologica, la materia caotica ridiviene
ordinabile, permutabile in analogie rassicuranti con l’accettato, il noto, si trasforma in
un’entità finalmente manipolabile e culturalmente presentabile. L’esigenza di integrazione di un totalmente altro ci appare con l’aria trista del recupero in extremis di una
proteiforme ed inaccettabile difformità, una incendiaria volontà di illuminare un territorio oscuro, violentarne ad ogni costo la sospetta alterità. È, in fondo, una presa di
posizione compiutamente illuminista, volta non tanto a comprendere la profondità di
una narrazione ancestrale gravida di significati, quanto ad esorcizzarne l’imbarazzante e non rimuovibile memoria.
Evolvere nel fuoco: alchimia ed ermetismo nell’occultismo fin de siècle
...Condensare una forza su di una materia preparata, ecco tutto il segreto. Solve,
Coagula. Solve : cioè disciogli, apri, tritura, spezza la materia, distruggi la resistenza che
essa potrebbe opporre alle forze esterne. Coagula: cioè riunisci, riassembla, poi condensa
sulla materia preparata le forze di cui sei riuscito ad impadronirti. E’ qui tutta la chiave
dell’opera. Ciò è semplice da comprendere, ma quanto difficile da realizzare!...
(Albert Poisson, L’iniziazione alchemica, ed. Miriamica, Bari 1991, p.62)
Vi è poi un approccio iniziatico e mistico moderno, mediato dal romanticismo e sfociato poi nella cultura del decadentismo e del simbolismo, che si esprime nell’occultismo ottocentesco fin de siècle e nella rivalutazione delle scienze ermetiche a vie esoteriche vive e praticate. E’ questo, senz’altro, un versante particolarmente fecondo, che
pone l’alchimia al centro di una serie di suggestioni culturali e ne fa, col suo simbolismo, elemento fondante di una vasta e variegata produzione artistica e letteraria. Una
posizione influente, questa, che si prolungherà nella cultura surrealista e che continua
ad esprimersi, riattualizzata, ulteriormente pervertita e mutata, nelle tematiche del
New-Age, anche nella cultura più recente. Si tratta indubbiamente del terreno più
fecondo, quello attraverso cui l’alchimia arriverà a fecondare con il proprio simbolismo, opportunamente mescolato all’insieme sincretistico della renaissance occultista, i
terreni dell’arte e della letteratura moderni. Il fenomeno di rivalutazione delle scienze ermetiche, la cui rilettura ed attualizzazione da parte dell’occultismo ottocentesco
è stata più volte letta come una risposta surrogativa alla fame di sacro della finalmente trionfante borghesia positivista, si muove nel quadro di una ribellione apparente
allo scientismo della cultura moderna, ereditando tuttavia nelle sue radici concettuali gran parte delle suggestioni di cui il positivismo e l’evoluzionismo scientista hanno
permeato la cultura ottocentesca. Senza mettere in discussione il portato culturale
fondamentale del rapporto col sacro di questa borghesia (soggettivismo, culto dell’io,
irrigidimento identitario, insofferenza per i dettami e la disciplina religiosa tradizio-
21
M ASSIMO M ARRA
nale) l’occultismo sembra il compimento di quella religiosità borghese, incentrata su di un concetto personalistico di rapporto col divino, le cui tracce nella cultura
moderna si manifestano a partire dalla riforma luterana. Una religiosità del ripiegamento in sé stessi, compiutamente soggettiva, rispettosa dei vividi barbagli
che i lumi ed il progresso tecnologico proiettano sul
mondo, e libera dalle irrazionali e mortificanti pretese
normative della ormai oppressiva fede tradizionale.
L’integrazione mistica non è che una tappa evolutiva
più o meno necessaria che riporta il soggetto ad una
comunione cosmica che ha un sapore tanto più improbabile quanto più soggettivo e soggettivistico è l’orizzonte del percorso iniziatico proposto, quanto più artificiali sono i sincretismi e gli aggiustamenti proposti.
Una concezione ilozoista dell’universo ed un vago panteismo offrono la possibilità di costruire un orizzonte
sincretistico elastico, personalizzabile, in cui mescolare
con relativa disinvoltura suggestioni buddiste, ermetiche, cabalistiche. L’occhio irrimediabilmente moderno,
irrimediabilmente borghese e scientista dell’occultista
si volge all’indagine di antichi testi, riformula nuovi
rituali ad imitazione di quelli ormai smarriti, si riavvicina al magico ridisegnandone una mappa e trasformandone a proprio uso e consumo presupposti culturali e pratiche operative.
La magia e l’alchimia sono tecniche, e pertanto scienze positive che, circondate nell’antichità dall’alone
superstizioso del mito, possono oggi essere svelate
nella loro nuda essenzialità scientifica, nella loro evidenza di saperi razionali, solidamente correlabili ad
un’ottica compiutamente evoluzionista15. Finalmente la
magia, il mito, possono essere liberati da sé stessi, dall’oscurità avvolgente dell’occulto, per assurgere al
sospirato rango di scienza. Vediamo cosa ce ne dice
François Jollivet-Castellot, Segretario generale
dell’Association Alchimique de France e délégué Spécial du
Suprême Conseil dell’Ordine Martinista:
... Grazie ai numerosi lavori di questi ultimi anni,
opere inedite degli esoteristi contemporanei o messe in
luce e seri commentari di opere degli ermetisti dell’antichità, del medioevo e degli inizi di questo secolo ... i
fenomeni del sedicente meraviglioso, della Magia, sono
stati studiati, e riconosciuti assolutamente esatti, in quanto fatti, da tutti gli sperimentatori: possiamo affermare,
15 Abbiamo, recentemente,
già sottolineato l’evidenza
dei riverberi positivisti rinvenibili nell’occultismo fin
de siècle, in M. Marra, I
diversi colori del cielo:
appunti sull’unità trascendente delle religioni in
Atrium – centro studi metafisici e tradizionali anno VII
numero I (2005).
Q UALCHE
PAROLA SULL’ ALCHIMIA , PER COMINCIARE
22
senza per questo spingerci troppo oltre, che la scienza
attuale arriva, nelle sue conclusioni generali, alla Sintesi
dell’Ermetismo...16.
Più oltre, in una nota, il neo-alchimista e volgarizzatore dell’Hyperchimie (l’organo dell’ Association) non
manca di specificare:
La Magia, la Filosofia Ermetica sono razionali, positive,
poiché esse proclamano la costanza delle leggi naturali,
solo, esse insegnano che il campo d’azione di queste leggi
è infinito, e la gran parte di esso resta ancora sconosciuto
all’uomo. Da ciò proviene l’apparenza meravigliosa,
soprannaturale, l’aspetto miracoloso di fenomeni che, in
realtà, sono assai semplici»17.
Il rinato ermetismo, ereditava dalla Naturphilosophie
romantica la sua nuova razionalistica e luminosa Dea, la
Natura, e le attribuiva, secondo un’ottica positivista ed
evoluzionista, le sue leggi ineludibili, le sue nuove regole. Alla nuova dea-guida si attribuiva un richiamo incessante al naturale da opporre alla fumosità della metafisica e delle sue imperscrutabili essenze ed operazioni.
L’alchimia poteva divenire, quindi, il salutare tonico per
le menti ancora preda dei deliri di angeli e demoni. La
scienza delle trasmutazioni è la scienza della legge di
natura, e, per chi si occupa di studiarla secondo l’insegnamento ermetico – che si arriva ad impartire in vere e proprie organizzazioni para-accademiche, con corsi regolari,
diplomi ed esami finali – si rivela positiva, razionale. Con
il suo carattere sperimentale, essa può anzi contribuire a
spazzar via ogni residuale pretesa teologica:
16 François Jollivet-Castellot,
Hermétisme et spiritualisme:
ce qu’est l’hermétisme, in La
Plume 1899, p. 19
17 Idem.
18 Papus, La filosofia occulta e
la magia, Dioscuri, Genova
1989, p. 12.
19 Acutamente, Guénon noterà che «... l’idea di evoluzione costituisce per i teosofisti una vera ossessione» (Il teosofismo, storia di
una pseudeo-religione, 2 voll.
Arktos, Torino 1987¸vol II,
p. 276.).
...Rompendo con la base sperimentale che possedevano
gli ermetisti e gli alchimisti, i teologi annegano lo spirito
umano sotto i diluvi di una metafisica tanto profonda che
pretenziosa, che non si ritrova più oggigiorno in tutta la sua
grandezza che al Seminario, dove ella allontana i cervelli dei
futuri preti dall’osservazione reale delle leggi di Natura18.
L’evoluzionismo, che permea ormai la biologia come
la sociologia, è la base di uno spiritualismo impregnato
di positivismo che trova le sue prime formulazioni in
quel rapporto tra evoluzione universale ed individuale
che permea l’ideologia teosofica19.
L’ermetismo è la scienza che si nasconde dietro tutte
le religioni e tutte le vie iniziatiche, ne costituisce l’es-
23
M ASSIMO M ARRA
senza, la scaturigine e l’ultimo compimento.
Nell’ermetismo si attua la fede nell’unità trascendente
delle religioni, la reductio ad unum delle metafisiche tradizionali che già permeava la produzione illuminista e
massonica degli inizi del XIX secolo.
La vera teocrazia viene dall’Ermetismo, poiché è quest’ultimo che possiede gli arcani della religione unica ed
universale, che esso rivela attraverso la sua filosofia e la
sua scienza che abbracciano l’intera Natura, e dunque il
Cosmo, specchio e corpo di dio, il quale eternamente si
incarna nell’universo.
L’Ermetismo è la radice e il bocciolo di tutte le religioni che si sono succedute attraverso i tempi, e che, traducendo il sentimento religioso dell’umanità, derivano tutte
da una base unica, e si deformano a seconda degli
ambienti e delle epoche e non rappresentano che un fascio
luminoso emanato dalla grande sorgente di luce.
Questa grande sorgente di luce è captata
dall’Ermetismo ed è da essa che hanno attinto tutti gli illuminati che sono stati iniziati ai misteri degli adepti della
Conoscenza, ovvero della religione positiva che unisce la
scienza e la fede...20.
Facendo eco a quanto già aveva sottolineato
Madame Blavatsky nel primo volume della sua Isis
Unveiled, Jollivet-Castellot vede nell’ermetismo l’antichissima realizzazione della recentissima aspirazione
ad una religione positiva, dall’orizzonte individuale, personalistico, che tante sensibilità, sulla scorta, ad esempio, delle idee di un Renan, sembravano in quegli anni
voler formulare. Jean-Marie Guyau riassume bene questa tensione diffusa in apertura del suo L’irréligion de l’avenir (1887).
Noi crediamo fermamente che ciascuna religione
debba tendere, come a proprio ideale, verso l’affrancamento dell’individuo, verso la redenzione del suo pensiero, più preziosa di quella della sua vita, verso la soppressione di qualsiasi fede dogmatica, sotto qualunque forma
essa si dissimuli. Invece di accettare dogmi già stabiliti,
noi stessi dobbiamo essere gli artefici delle nostre credenze. La fede cieca e tradizionale è spesso un guanciale ben
più comodo dell’indolenza che non il dubbio. Per molti
aspetti questa fede è come un nido del pensiero, ove ci si
rifugia al sicuro, ove si caccia la testa sotto un’ala protettrice, in una oscurità dolce e tiepida; è anzi un nido già
preparato, come quelli che si vendono per gli uccelli
domestici, fatti dalle mani dell’uomo e già posti in una
20 F. Jollivet-Castellot, Natura
corpus dei: la religion de la
Science et la science de la
Religion, Paris, Éditions du
Chariot, 1933) p. 26.
Q UALCHE
PAROLA SULL’ ALCHIMIA , PER COMINCIARE
24
gabbia. Noi crediamo invece che in avvenire l’uomo prenderà sempre più in orrore i rifugi già costruiti e le gabbie
ben serrate. Se qualcuno di noi prova il bisogno di un nido
ove posare le proprie speranze, lo costruirà egli stesso,
fuscello su fuscello, nella libertà e nell’aria, lasciandolo
quando sia stanco, per rifarlo ad ogni primavera, ad ogni
rinnovellarsi del suo pensiero...21
21 Cito dall’ed. italiana,
Giovanni Maria Guyau, La
fede dell’avvenire – pagine
scelte a cura di A. Banfi¸
Paravia, Torino 1924, pp.
1-2.
Il sincretismo magico coglie perfettamente il segno di
questa tensione ad una religiosità personalistica, immanente, orientata ad un vago ed indefinito sentimento di
libertà dell’uomo, di affrancamento dai dogmi e di contemporanea insofferenza per i limiti della condizione
umana. L’aspirazione a questa idea indefinita di libertà
individuale ed assoluta trova soddisfazione nella nuova
disciplina magica, nell’esoterismo, strumento parascientifico perfetto per la composizione e ricomposizione
di un orizzonte religioso libero dai dogmi tradizionali,
che sembra voler ricollocare l’esperienza umana all’interno di un’ottica di evoluzione cosmica. Se tale prospettiva, nell’essenza, non è meno dogmatica di quella delle
religioni tradizionali, essa è tuttavia senz’altro più compatibile con lo spirito dei tempi, con le sue nuove coordinate culturali. Il nuovo ed esotico supermarket
dell’Oriente religioso e dell’occulto, favorisce il percorso
verso la formazione di religiosità a misura d’individuo.
La varietà di sette ed organizzazioni dal tono più o meno
iniziatico offre agli individui nuove seduzioni identitarie, nuove condizioni di appartenenza da opporre allo
smarrimento della modernità laicista e desacralizzata.
È l’esoterismo dei grandi maghi parigini (i Levi, i
Papus, gli Stanislas de Guaita, i Jollivet-Castellot) e
della grande stagione della Società Teosofica di
Madame Blavatsky.
Abbandonando la servile ed ipocrita umiltà delle
religioni tradizionali, armato della nuova scienza dell’anima, della rinnovata coscienza delle leggi sottili dell’evoluzione universale, l’uomo poteva avventurarsi
alla conquista definitiva del fuoco divino, vendicare
l’insopportabile affronto della condanna subita da
Prometeo, riconquistare l’accesso al paradiso perduto
sfidando la collera degli angeli.
La pia ed umile alchimia tradizionale, che presentiva
la Pietra dei Filosofi come dono di Dio, che spiava nello
stillare degli alambicchi le presenza benevola e misteriosa di un Dio onnipotente, che affidava alla preghiera
25
M ASSIMO M ARRA
il ruolo primario e fondamentale nelle operazione del
lab-oratorium, era già lontana dall’hyperchimie degli
alchimisti moderni propagandata da Jollivet-Castellot.
L’attitudine prometeica dell’occultismo fin de siècle è
elemento fondante che ritroveremo poi in larga parte
dello spiritualismo alternativo dei decenni a venire. La
scienza è per chi la conquista, scriveva alla fine del XIX del
secolo l’occultista italiano Giuliano Kremmerz22.
Parlando dei poteri magici che la pratica dell’ermetismo può assicurare, l’occultista napoletano, al secolo
Ciro Formisano (1861-1930), asseriva:
La conquista dei poteri non è che il diritto ad ottenerli
per legge.
Un atleta che si allena tutto il giorno a sollevare pesanti ferri ha un diritto che precede tutti quelli degli uomini
infingardi. Un chimico che lavora intelligentemente all’esame dei corpi della natura ha un diritto di prevalenza su
tutti coloro che nella loro vita non si sono mai domandati
di cosa è composta l’aria. Non riuscite con mille sforzi a
raddrizzare un ferro, ed un fabbro esperto con una energia inferiore alla vostra si farà obbedire dal ferro.
Questo è il diritto al potere.
Una conquista nella legge, non fuori dalla legge universale23.
Il fuoco, il crogiolo e gli archetipi: alchimia ed ermeneutica psicoanalitica
…Tutto ciò che è ignoto e vacuo viene riempito da
proiezioni
psicologiche; è come se nell’oscurità si rispecchiasse il
retroscena psichico dell’osservatore. Quanto egli vede e
crede di riconoscere
nella materia è costituito soltanto, in un primo tempo,
dai dati del proprio inconscio che egli vi proietta; egli
scopre cioè nella materia
qualità e significati possibili che apparentemente le
appartengono, ma
la cui natura psichica è completamente inconscia a chi
osserva...
(C. G. Jung, Psicologia e Alchimia, traduzione italiana
di Roberto Bazlen, Boringhieri, Torino 1989, p. 240)
Si è poi andato affermando, come abbiamo già accennato, un approccio psicoanalitico, che, a partire dall’opera di Silberer24 prima e di quella notissima di Jung e
22 Cf. Giuliano Kremmerz, La
sapienza dei magi, Melita,
Milano 1987, p. 20 e sgg.
23 Idem, p. 4.
24 Herbert Silberer, Probleme
der Mystik und ihrer
Symbolik (Vienna 1914).
Vedi la recente traduzione
italiana, Problemi della
mistica e del suo significato
simbolico (Viviarum,
Milano 1999).
Q UALCHE
PAROLA SULL’ ALCHIMIA , PER COMINCIARE
25 Espressa chiaramente, ad
esempio, da un Evola, (cf.
gli articoli raccolti in Julius
Evola, L’infezione psicanalista, Quaderni della fondazione Julius Evola, s.d.).
26
dei suoi allievi poi, ha accreditato l’omologia tra i processi profondi di individuazione della psiche e le strutture simboliche dell’alchimia. Abbiamo già brevemente
sottolineato in che modo sia possibile sospettare che
l’ermeneutica del sacro proposta dalla psicoanalisi
possa inscriversi in una operazione di ridefinizione culturale del portato di memorie collettive imbarazzanti
per l’orizzonte culturale ed epistemologico dominante
del positivismo. La definizione della dinamica simbolica dell’alchimia – ma, più in generale, del religioso –
limitatamente ad una dinamica eminentemente psichica, infatti, è chiaramente figlia dell’esigenza di limitare
ed imbrigliare l’altro, la riottosa sfera del sacro e dell’irrazionale. L’obiezione tradizionalista25 che vuole la teoria junghiana responsabile di una riduzione alla sfera
psichica, e quindi condizionata, di una fenomenologia
che si definisce tradizionalmente ed eminentemente di
natura metafisica, è, da un certo punto di vista, fondata. A tale obiezione Jung rispose, notoriamente, che le
sue teorie si rivolgevano unicamente alla dimensione
psichica dell’esperienza religiosa e parareligiosa, e che
non pretendevano di surrogare aspetti metafisici e teologici. In realtà si è osservato più volte che la surrogazione è surrettizia, occulta. La dimensione psichica
viene già percepita, nella cultura post-freudiana, come
la rassicurante definizione di un territorio più o meno
bizzarro, in cui è però possibile tracciare rapporti funzionali di causa-effetto, percorsi interpretativi su cui si
possono costruire griglie ermeneutiche interamente
astratte e riduzioniste, ma fondamentalmente rassicuranti e dal senso noto. Definire una sorta di indipendenza, di isolamento dello psichico nell’ambito della
fenomenologia del sacro, e costruire su tale porzione un
sistema di ermeneutica simbolica, significa costituirne il
regno, erigerne il confine, reificarne l’identità, e dunque
depotenziarne automaticamente la componente sovrasensibile. Significa, nel contempo, vanificarne e spegnerne lo slancio verticalizzante, l’anelito metafisico, la
poeticità e poieticità del linguaggio. Così, l’assalto della
psicoanalisi al sacro è sostanzialmente l’assalto dell’epistemologia illuminista al territorio impervio e per
definizione irriducibile della materia nella sua infinita
gradazione di densità e trasparenza, l’accerchiamento e
l’aggressione della folla dei demoni antichi annidatisi
fin dal primo giorno dell’umanità tra universo interiore
27
M ASSIMO M ARRA
ed esteriore, visibile ed invisibile. È il tentativo di illuminare gli spiriti multiformi e riottosi che si nascondono nelle profondità oscure dell’immaginario, nei recessi dell’interiorità, attraverso un’astrazione unificante
che ne renda finalmente ragione, che ne giustifichi ed
organizzi la conoscenza. Non a caso Bachelard definisce la psicanalisi arte risolutrice di enigmi.
Riteniamo che la citazione posta in esergo al presente paragrafo, illumini sufficientemente la natura profondamente illuminista dell’operazione ermeneutica
proposta, la sua estrema docilità epistemologica. Nel
saturare di proiezioni psicologiche individuali il reame
invisibile delle qualità dominio dell’alchimia, la psicologia junghiana in qualche modo si sostituisce all’alchimia, attua un mero meccanismo di sostituzione mitica,
in cui qualità e demoni sono soppiantati dalle nuove
potenze sortite dall’astrazione sistemica. Risulta evidente quanto, in questa operazione, rimanda direttamente alla citazione dei padri della scuola di
Francoforte che abbiamo riportato in precedenza. Tutto
è ridotto, in ultima analisi, al soggetto, alla sua proiezione psichica, al comune denominatore unificante dell’uomo.
Quanto però il modello ermeneutico psicanalitico, di
fronte alla complessità del linguaggio sacro, fallisca il
suo scopo principale è ben intuito dalle sensibilità più
pronte della filosofia contemporanea. Il riduzionismo e
l’astrazione psicoanalitica, il recinto inafferrabile ed
indefinito dello psichico, rimangono inefficaci, inascoltabili, poiché il sacro, per sua stessa natura, si identifica
con un’attitudine verticalizzante assoluta, la stessa, ad
esempio che proprio Bachelard identifica nella radice
del linguaggio poetico. Scrivendo a proposito
dell’Empedocle di Hölderlin egli annota:
La psicologia del dramma svanisce di fronte ad una
poetica dell’inno. Le spiegazioni psicologiche sono una
perdita di tempo. La morte di Empedocle sull’Etna dipende unicamente da una poetica del fuoco.
Esistono immagini assolute, cioè immagini alleggerite dal loro sovraccarico passionale e che non sublimano più nulla. La distillazione poetica è riuscita,
compiuta: si è raggiunta la purezza poetica. La quintessenza poetica è stata ripulita di tutte le scorie sensibili. È proprio questa costituzione del linguaggio a
Q UALCHE
PAROLA SULL’ ALCHIMIA , PER COMINCIARE
28
livello alto, nella propria specifica altezza, ciò che lo
psicanalista no pensa nemmeno di prendere in considerazione. Tutte le immagini, secondo lui, rimangono
impregnate di materiale psichico mal elaborato, cioè
di materiale che rifiuta l’elaborazione. Per lo psicanalista si tratta sempre di una resistenza a un movimento, di una profondità al di sotto di una superficie. Egli
scruta in profondità e sa farlo bene, vede chiaramente
nel sottosuolo dell’essere. Rischia però di smarrire il
senso dell’altezza, la sensibilità agli impulsi di una
verticalità psichica.
comincia allora la rivelazione della realtà psicologica
nascosta: «Mostri troppo, dunque nascondi». Questo è il
giudizio espresso dallo psicanalista contro il suo paziente26.
26 G. Bachelard, Poetica del
fuoco, Red, Como 1990,
pag. 44 e sgg..
È il Bachelard maturo che propone la risonanza, la
sperimentazione intensa del carico simbolico dell’immagine. Si tratta, come si può facilmente intuire, di
obiezioni che, lungi dall’essere specifiche in rapporto al
linguaggio poetico, sono di ben altra portata ed includono dubbi di carattere metodologico profondi. Di una
tale critica è necessario fare tesoro anzitutto laddove il
dominio dello psichico si confronta con i domini del
sacro e si fa protagonista di una verticalizzazione verso
l’assoluto che è, probabilmente, l’elemento originario di
ogni linguaggio simbolico e poetico. Ed è questo, fuor
di ogni dubbio, proprio il caso dell’alchimia.
Bachelard intuisce che la sfera poietica e poetica dell’arte, l’inno¸ realizza una verticalizzazione sacrale dell’agire e della parola. L’arte, nonostante tutto, trascende, ovvero realizza proprio ciò che costituisce il più
grosso peccato agli occhi dell’ermeneuta. Ciò che trascende si manifesta programmaticamente come mistero
e come incomprensibile agli strumenti ordinari, ed è di
per sé sospetto di sovversione, di una indesiderata ed
irriducibile peculiarità. Ed è un trascendimento non
riconducibile all’astratto, ad una riduzione unificazionista, ma piuttosto da porre in relazione con quella infinita esplosione di qualità che ancora era la realtà degli
antichi uomini di chiesa e filosofi, per quanto già imbevuti delle essenze aristoteliche e delle intelligenze platoniche. Un’esplosione di qualità che spaccia la singolarità totalizzante, l’omologazione sintetica. Ma il moderno
ermeneuta illuminista – metro e bilancia alla mano – è
29
M ASSIMO M ARRA
stato educato ad esser vigile contro questi attentati portati innanzi dai residui del mondo delle qualità. È essenziale, dunque, che vi sia una reductio ad unum che ammortizzi la moltitudine delle differenze creative e vitali, delle
singolarità misteriose. E’ necessario che il molteplice
materiale, ricco e pregno di barocche risonanze e colori,
divenga astrazione categorizzata, unificante, griglia
ermeneutica che disperda le ridondanze misteriose ed
incomprensibili per costringersi entro un recinto noto di
strumenti dialettici chiari e sintetici. Il molteplice deve
cedere all’operazione riduzionista, e di tutto si deve dare
una descrizione linguisticamente compatibile agli orizzonti epistemologici dominanti. Senza per questo sminuire minimamente la mole e la competenza dei fondamentali e documentatissimi lavori junghiani, né tantomeno la forza del loro impatto sulla cultura contemporanea, tuttavia bisogna riconoscere che ridurre il linguaggio del sacro all’interpretazione della sola dimensione
psichica, significa, nei fatti, poterlo finalmente scambiare
con il familiare balbettio dialettico, ricacciarne l’incoercibile mistero nella sfera di un ignoto conoscibile, o perlomeno definibile. Il recinto difeso della psiche coincide in
pratica con l’identificazione rassicurante di un sistema
assunto convenzionalmente. Il sacro ridotto ad entità psichica è finalmente oggetto di scambio in un sistema a
monetazione nota. Un’incognita matematica all’interno
di un’equazione che ha un senso definito. La natura surrettizia di questo espediente riduzionistico dell’illuminismo è chiarita, alla filosofia contemporanea, ancora una
volta da Adorno ed Horkheimer:
Non in ciò che gli hanno sempre rimproverato i suoi
nemici romantici – metodo analitico, riduzione agli elementi, riflessione dissolvente – è la sua falsità, ma in ciò
che per esso il processo è deciso in anticipo. Quando,
nell’operare matematico, l’ignoto diventa l’incognita di
un’equazione, è già bollato come arcinoto prima ancora
che ne venga determinato il valore. La natura è, prima e
dopo la teoria dei quanti ciò che bisogna concepire in termini matematici.... Il procedimento matematico è assurto, per così dire, a rituale del pensiero.... Nella riduzione
del pensiero ad apparato matematico è implicita la consacrazione del mondo a misura di se medesimo. Ciò che
appare un trionfo della razionalità soggettiva, la sottomissione di tutto ciò che è al formalismo logico, è pagato con la docile sottomissione della ragione a ciò che è
dato senz’altro...27
27 T. W. Adorno – M.
Horkheimer, Dialettica
dell’Illuminismo, trad. it di
R. Solmi, Einaudi, Torino
1997, pp. 32-33.
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Se anche una tale intenzione non è assoluta negli
scritti di Jung, pur essendo, tuttavia, facilmente identificabile, negli epigoni essa mostra tutta la sua forza
dirompente.
Si attua così l’intento culturale di trasfondere le
complesse valenze del simbolo metafisico nell’attività
indefessa di decodificazione e semplificazione funzionale della complessità che la scuola di Francoforte ci
ha insegnato a riconoscere nel paradigma culturale
dell’illuminismo.
Da queste tre tendenze ermeneutiche che abbiamo
provato brevemente a tratteggiare, dunque, deriva
un’eredità difficile, sicuramente in parte viziata, da
cui necessariamente guardarsi, se si desidera arrivare
a sfiorare l’essenza autentica di un linguaggio complesso.
L’automatismo dell’intenzione critica, la incoercibile
tentazione dell’ermeneutica ha come presunzione l’egoarchia intellettuale di una cultura soddisfatta della
propria misura, un conforto che la crisi contemporanea
non può più fornire a nessuno.
Lo sguardo compiaciutamente filologico e distaccato
della storiografia positivista, nelle sue varie coloriture e
nei suoi travestimenti successivi, non ha più ragione di
esistere. Il dramma collettivo vissuto nello spaesamento occidentale, nella perdita di memoria, è una motivazione plausibile e condivisibile per superare l’imbarazzo di un contatto con le profondità del divino aperto,
creativo, privo di difese e di misure profilattiche.
Sorge allora imperiosamente l’esigenza di isolare i
linguaggi nella loro autonomia, senza violarne l’identità, avvicinarsi, in una parola, alle cose senza tradirne
l’essenza, per quanto inafferrabile ed inquietante tale
essenza possa essere.
Di fronte alla dialettica modernità/tradizione, da cui
sorge la babele delle differenti griglie ermeneutiche,
appare necessario ritrovare la verginità di uno sguardo
più umile e rispettoso, la cui prima preoccupazione
deve essere abbandonare l’immatura tentazione critica,
o almeno sospenderla, rieducarsi all’ascolto, trasformare, per quanto possibile, la visione in contemplazione.
Soprattutto, reimparare a condividere, ad immergersi, a
deporre l’insostenibile rigidità identitaria che la patologia tardo-illuminista ha cristallizzato nelle coscienze,
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M ASSIMO M ARRA
riabituarsi al silenzio. Il fragore delle tentazioni ermeneutiche innalza barriere ulteriori, sottili falsificazioni
mutagene che ammutoliscono la foresta di simboli in
cui si conserva l’antica essenza dell’uomo. Bisogna zittire questo assordante cicaleccio, restituire al silenzio
l’eroismo ascetico delle antiche vie del sacro, rifamiliarizzare con procedimenti interiori antichi e perduti.
Altrimenti, ogni studio ulteriore – che abbia esso una
coloritura più o meno filologica, più o meno ermeneutica – è destinato solo ad ingrossare con nuova carta ed
inchiostro l’inutile e già vasta collezione di uno specialismo idiota e balbettante.
Le scienze sacre portano nella modernità il loro carico irrisolto di interrogativi e problematicità, ma anche
l’impareggiabile occasione di un riflessione e rifondazione del pensare, del pensarsi, un’occasione di ridefinizione del rapporto tra l’uomo ed il sacro, tra la superficie delle cose e delle vite e quella profondità ignorata
dalla modernità e quindi assai spesso patologica, teratogena. Un mondo malato, inquieto, è il prezzo del
trionfo incontrastato dei lumi, o almeno di questi lumi.
L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l’obiettivo di
togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la
terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura.28
Della coscienza di questa sventura bisogna farsi, ad
ogni livello, responsabili ogni volta che la nostra intelligenza si imbatte nella materia ribollente ed indocile
del sacro. Ciò che è sospeso tra cielo e terra, quel che si
trova tra il mondo dei corpi densi e quello intangibile
degli dei e dei morti, quello che il grande Henri Corbin
definiva lo spazio dell’immaginale, cerca viaggiatori
meno attrezzati, più nudi, umilmente disposti alla contaminazione, alla condivisione, alla sperimentazione
intensa, alla risonanza bachelardiana.
Se il simbolismo ermetico ha tracimato la debole barriera del positivismo per impregnare di sé filosofia, arte
e poesia contemporanee, se la sua carica di eversione
epistemologica e filosofica è oggi giunta a porre alla
contemporaneità l’evidenza dell’ineludibilità di interrogativi e risposte non più procrastinabili, se la sua
sopravvivenza nelle mille forme di creatività rituale e
religiosa dello spiritualismo contemporaneo di matrice
28 Idem, pag. 11)
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iniziatica ed occultistica si riproduce incessantemente,
allora, per prima cosa, bisognerà reimparare a porsi
innanzi ad una materia viva, insofferente a griglie ermeneutiche estranee, ribelle alle mutilazioni di ogni riduzionismo. Materia calda e palpitante, tenue ma tenace,
ostica ma oscuramente ospitale, cui rivolgere un’attenzione rispettosa e deferente, cui porgersi riattivando,
anzitutto, la capacità di accoglienza per memorie sopite.
E’ forse questo il senso che si può attribuire agli studi
contenuti in questo primo quaderno di Airesis, se di un
senso si è alla ricerca. La riflessione epistemologica
sulla scienza degli imponderabili, la ricerca storica e l’edizione critica di inediti e classici della letteratura
alchemica, la presentazione di esperienze pedagogiche
che dell’immaginazione alchemica fanno strumento
privilegiato di riferimento, sono tracce di un interrogarsi che, necessariamente, parte da uno spaesamento
volontario, una sospensione del giudizio. La coscienza
che poco si è compreso, che molto, moltissimo c’è da
conoscere, e che, per prima cosa, bisognerà purificare il
proprio sguardo, liberarne potenzialità, memorie. Un
processo che, nella via alla comprensione del sacro, è
forse analogo a ciò che preconizzava Simone Weil
quando parlava di “Possedere in sé dell’energia libera
suscettibile di accogliere il vero rapporto tra le cose”29. Un
rapporto, del resto, che le arcaiche cosmogonie ermetiche non cessano di additare.
29 Simone Weil, Quaderni,
vol. II, a cura di Giancarlo
Gaeta, Adelphi, Milano
1997, pag. 78.