Corrispondenze – Helmut Heit
TRE ANNI DI FILOSOFIA OCCIDENTALE
NELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE*
Helmut HEIT
(Klassik Stiftung Weimar)
Nell’autunno del 2014 ero responsabile del “Berliner Nietzsche Colloquium”
(Seminario Nietzscheano Berlinese) presso l’Università Tecnica di Berlino (TU Berlin)
e con l’Estremo Oriente avevo ben poco a che fare. Un giorno una dottoranda cinese
mi ha avvicinato mentre scendevo le scale dell’istituto: «Mi dica, signor Heit, sarebbe
interessato a una cattedra a Shanghai?». Un po’ per curiosità, un po’ perché la mia
posizione a Berlino era temporanea, ho risposto ad ogni buon conto di sì. Qualche mese
dopo ho ricevuto un’e-mail piuttosto informale che mi invitava ad un colloquio per una
cattedra (Professur) all’Università Tongji di Shanghai. Una breve ricerca online mi ha
rivelato che questa università esisteva davvero. Fondata all’inizio del XX secolo da
medici tedeschi, è oggi una delle università d’élite della Cina, con circa 38.000 studenti,
principalmente in architettura, urbanistica ed economia, ai primi posti nelle classifiche
internazionali. A questo primo approccio sono seguite delle videochiamate con
professori associati (Assistenzprofessor) che parlavano un tedesco eccellente, nelle quali
si è discusso soprattutto di questioni pratiche come l’assicurazione sanitaria e
pensionistica, lo stipendio e l’alloggio, e molto poco dei compiti che mi aspettavano, dei
temi o degli impegni didattici che avrei dovuto affrontare. Ho inviato un curriculum
accademico e alcuni documenti a Shanghai per valutazione, ma la decisione vera e
propria è stata presa in un caffè di Stoccarda, dove ho incontrato il direttore della Facoltà
di Filosofia dell’Università nell’estate del 2015. In un pomeriggio memorabile, davanti a
tre birre e a molte sigarette (ne accettavo almeno una volta su due quando mi venivano
offerte), il professor Sun mi ha spiegato la sua strategia per lo sviluppo della filosofia a
Tongji e più largamente in Cina e siamo giunti alla conclusione che avrei potuto svolgere
un ruolo adeguato in questo progetto. Anche mia moglie era d’accordo, ed è stato così
che ho accettato la chiamata come vicedirettore dell’Accademia di Culture Europee
dell’Università Tongji di Shanghai, dove avrei dovuto introdurre gli studenti cinesi alla
*
Traduzione dal tedesco di Carlotta Santini.
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filosofia occidentale. Ci siamo dunque decisi a trapiantare il nostro menage familiare
dalla Germania alla Repubblica Popolare Cinese!
In principio molte cose mi sembravano strane e oscure, ma dopo solo pochi mesi
credevo di essere diventato un esperto della Cina. Dopo circa un anno invece, mi sono
reso conto che in realtà non capivo ancora nulla del funzionamento di questo Paese e di
come la gente potesse destreggiarvisi – e devo ammettere che sono rimasto a questo
stadio. Ad un primo sguardo, le somiglianze con le moderne nazioni occidentali
industrializzate che si fondano sui servizi e sul terziario, sono particolarmente evidenti
nelle metropoli cinesi. Le transazioni quotidiane, in particolare i pagamenti privati e i
rapporti con l’amministrazione, seguono in alcuni casi pratiche diverse – come spesso
accade all’estero – ma dimostrano un’efficienza ed una razionalità del tutto comparabili
alle nostre. Perfino le donazioni ai mendicanti, che a dire il vero si vedono raramente
nelle strade, ed in particolare non nelle zone turistiche, possono essere trasferite
direttamente con il cellulare. Rispetto a Shanghai, Berlino o New York sembrano
deliziosamente antiquate. Se si associa l’Occidente all’architettura innovativa, alla
frenesia, ai centri commerciali con aria condizionata, ai beni di consumo provenienti da
tutto il mondo e a un sistema di trasporti altamente efficiente, allora Shanghai è più
occidentale di qualsiasi altra città europea o nordamericana che io conosca. Mentre i
creativi occidentali cercano significati ed ispirazione negli antichi insegnamenti della
saggezza orientale, la Cina è energicamente impegnata in una riorganizzazione dinamica
di quasi tutti i settori della vita civile. La descrizione che Hartmut Rosa 1 fornisce della
“tarda modernità” in Occidente si può leggere anche in una diagnosi del presente della
Cina fatta dall’etnologo Xiang Biao: «Tutto ciò per cui si lavora nel presente serve ad un
obiettivo futuro, ma non è affatto chiaro se questo obiettivo possa essere raggiunto.
L’essenza del fare non è la tensione verso il futuro, ma la negazione del presente». 2
L’affinità più importante tra Oriente e Occidente sembra ad oggi trovarsi in questa
accelerazione irrequieta e senza scopo dell’innovazione continua e della
massimizzazione dei profitti.
Quello dell’Università Tongji è un moderno campus universitario che negli anni ’90
si trovava ancora alla periferia della città, ma che ora è al centro di una metropoli in
continua espansione. Io e mia moglie abbiamo trovato un piccolo appartamento in un
quartiere cinese a pochi minuti a piedi dall’edificio della Facoltà di Filosofia. Con circa
quaranta docenti, l’Istituto di Filosofia è enorme se confrontato con gli standard tedeschi,
ma per quelli cinesi è considerato piuttosto di medie dimensioni. La maggior parte dei
Hartmut ROSA, Beschleunigung und Entfremdung – Entwurf einer kritischen Theorie spätmoderner
Zeitlichkeit, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2013.
Xian BIAO, citato in Xifan YANG, Was haben wir gemeinsam?, “Die Zeit”, 14 Luglio 2022, p. 47.
1
2
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professori è specializzata in filosofia cinese, mentre una parte leggermente inferiore
(poco meno della metà) si occupa di filosofia occidentale. Tuttavia, nel corso dei tre anni
che ho trascorso alla Tongij, non sono riuscito a conoscere che una minima parte dei
miei colleghi, e molto superficialmente. Ho partecipato coscienziosamente alle riunioni
d’istituto fin dall’inizio del semestre, anche se ovviamente non ho capito nulla a causa
della mia insufficiente conoscenza della lingua. Ad ogni modo, come già era accaduto
nel caso del mio reclutamento un po’ insolito, ho avuto l’impressione che le decisioni
importanti sulla politica universitaria venissero prese altrove, in gruppi più ristretti e non
nelle riunioni di dipartimento. Il direttore della facoltà che avevo conosciuto, studioso
di Heidegger, persona carismatica, spiritosa ed entusiasta, era molto impegnato e ci
incontravamo raramente. Gli incontri più importanti di questo primo periodo sono stati
quelli con un altro collega tedesco che insegnava filosofia cinese e “cultura del tè”, e
quattro colleghi cinesi studiosi di Nietzsche, Heidegger, Adorno e Benjamin, che
avevano tutti studiato in Germania per lunghi periodi.
Ho compreso molto presto che per “filosofia occidentale” si intendeva innanzitutto il
pensiero dell’antichità greca e romana e la filosofia europea continentale del XIX e XX
secolo.
Da quando nel XX secolo è stata abbandonata la tradizione delle scuole confuciane
per la formazione dei funzionari, l’organizzazione della ricerca e dell’insegnamento in
Cina ha seguito i modelli britannico e tedesco. I campus universitari sono suddivisi in
facoltà in base alle discipline e offrono le stesse materie e corsi di laurea che sono comuni
in tutto il mondo. Vale forse però la pena di notare che esistono istituti per l’Industria
Culturale e l’Ingegneria Sociale, che suoneranno forse meno scontati ad un orecchio
europeo. Il ruolo delle classifiche internazionali e delle valutazioni “quantitative” della
ricerca è massiccio, anche se minato da complesse forme di nepotismo che dirigono la
distribuzione dei fondi e le opportunità di pubblicazione. Ma anche questo aspetto non
è fondamentalmente diverso da ciò che si può osservare nelle nostre università
occidentali.
Oltre ai comitati di autogestione accademica, esiste una struttura parallela costituita
dai segretari di partito. L’influenza della politica di partito, della censura e del controllo
statale sulla libertà accademica è molto più complessa di quanto pensassi inizialmente.
In principio mi ero fatto l’idea che si dovesse prestare molta attenzione, come in uno
stato totalitario di sorveglianza di massa, nel quale ci si aspetta costantemente intorno la
presenza di informatori. Di fatto c’erano telecamere ovunque, anche durante i miei
seminari, ma solitamente la comunicazione con gli studenti ed i colleghi era molto
aperta. Si potrebbe quasi pensare che il governo abbia letto Foucault e abbia trovato
forme più intelligenti di disciplina sociale invece dei rozzi mezzi di coercizione di un
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tempo. Mi sono anche informato presso i miei colleghi caso mai avessi dovuto mostrarmi
vigilante nella scelta di temi sensibili per l’insegnamento. Quanto a questo in effetti, mi
è stato consigliato di non insistere troppo sull’indipendenza nazionale di Taiwan, ma per
il resto potevo discutere di liberalismo, individualismo e dell’universalità dei diritti umani
quanto avessi voluto. In ogni caso, come straniero non ero certo nel mirino delle autorità
e mi rendevo conto che nel peggiore dei casi avrei potuto cadere in disgrazia e avere
delle difficoltà burocratiche con le autorità preposte ai visti. Detto questo, nel breve
periodo intercorso tra il 2015 e il 2018, ho potuto constatare come il controllo
centralizzato e l’intimidazione nei confronti dei miei colleghi cinesi fossero aumentati
considerevolmente nell’ambito del consolidamento del governo di Xi Jinping.
Prima che potessi tenere il mio primo seminario regolare è trascorso più di un anno.
Questo ritardo è stato dovuto essenzialmente a motivi tecnici e alla complessità delle
procedure burocratiche. La poca urgenza che si applicava al mio caso era probabilmente
dovuta al fatto che c’era abbastanza personale docente nell’istituto e che si dovevano
trovare dei moduli adatti per il mio programma in inglese e tedesco. Allo stesso tempo
però mi è apparso definitivamente chiaro che non ero stato nominato a Tongji per
rafforzare l’offerta didattica e formativa. Probabilmente la ragione principale del mio
reclutamento è il prestigio che un personale internazionale conferisce in vista
dell’ottenimento e per il mantenimento dello statuto di università d’élite. Nel momento
stesso in cui avevo firmato il contratto, dunque, questo obiettivo era stato già raggiunto.
Dovevo inoltre contribuire ad arricchire il profilo internazionale dell’istituto con
pubblicazioni indipendenti, organizzando workshops e corsi estivi con accademici
stranieri, i più rinomati possibile. Certamente molto importante era la necessità di
procurare supporto scientifico e specialistico per i grandi progetti di traduzione ed
edizione cinesi, come l’edizione completa di Martin Heidegger ed in particolare
l’edizione completa di Friedrich Nietzsche. Dopotutto, quando ero stato reclutato,
quello che si cercava era specificamente uno studioso di Nietzsche reputato e
riconosciuto.3
Prima che fossero espletate tutte le formalità necessarie all’istituzione di un mio
seminario regolare semestrale, mi ero dato da fare autonomamente e avevo creato un
gruppo di lettura e discussione dei testi classici della filosofia tedesca. Lavorando a stretto
contatto con il testo abbiamo letto con i miei studenti la prima sezione di Al di là del
bene e del male di Nietzsche in sessioni settimanali nel corso di due semestri. Ci siamo
poi dedicati ad alcuni passaggi della Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito di
Un giornalista della rivista tedesca “Cicero” ha trovato questa circostanza così straordinaria che è
venuto a Shanghai per scrivere un articolo sul mio lavoro e sulla ricerca su Nietzsche all’Università
Tongji.https://www.cicero.de/kultur/nietzsche-in-china-denn-ein-uebermensch-kennt-keine-trauer
3
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Hegel e al Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels. Il corso si svolgeva in
tedesco e le competenze linguistiche dei dieci partecipanti erano molto diverse. Tra di
essi vi era un docente di Germanistica curioso di filosofia e alcuni professori associati
che parlavano molto bene il tedesco (uno di loro aveva appena pubblicato la traduzione
cinese di Al di là del bene e del male). Gli studenti e i dottorandi invece hanno incontrato
maggiori difficoltà ad impegnarsi in una discussione aperta. Abbiamo fatto progressi
molto lenti con la lettura. È stata una vera e propria lettura ravvicinata (close reading),
come quella che i filologi classici praticavano con il loro Orazio, che ha permesso di
portare alla luce riflessioni e livelli di interpretazione nuovi anche per me. È stato
particolarmente affascinante ad esempio scoprire ed interpretare la gamma di significati
di termini apparentemente non ambigui in tedesco che in cinese si prestavano a
molteplici traduzioni. Dopo il seminario, andavamo spesso a mangiare insieme e la
gerarchia prevedeva per me il difficile compito di scegliere i piatti per la tavola comune.
Non era raro che qualcuno pagasse di nascosto il conto per evitare la discussione
d’obbligo alla cassa su chi fosse autorizzato a pagare questa volta.
A partire dal terzo semestre a Shanghai, ho tenuto regolarmente un corso in inglese
ogni semestre. Oltre alle lezioni introduttive sulla filosofia greca antica, sulla critica della
ragione e sulla filosofia della scienza, ho insegnato Platone, Nietzsche e la teoria critica.
In media gli studenti erano forse un po’ più riservati e rispettosi nei confronti di un
docente straniero rispetto a quelli a cui ero abituato a Berlino, ma erano comunque
molto lontani dal cliché del letargismo confuciano. Mi ha particolarmente colpito che di
tanto in tanto gli studenti facessero riferimento in maniera molto pertinente a qualcosa
che avevo detto nel corso delle settimane precedenti. Sono rimasto impressionato anche
dal fatto che tutti avessero una solida conoscenza della tradizione filosofica e religiosoculturale cinese. In Germania, la maggior parte degli studenti difficilmente porta con sé
all’università una conoscenza approfondita della tradizione cristiana. Gli studenti cinesi,
da parte loro, hanno appreso nozioni sui contenuti della Bibbia come si apprende una
lingua straniera, con zelo lessicale: si sono semplicemente interrogati su che cosa volesse
dire questo “Gesù”.
Mi sono reso presto conto che la Filosofia dell’Occidente di Bertrand Russell veniva
utilizzata ovunque come fonte per la conoscenza del pensiero filosofico occidentale nel
suo complesso. A causa del suo carattere unilaterale, quest’opera non è probabilmente
la risorsa di studio più raccomandabile, ma a quanto pare era disponibile da tempo una
traduzione facilmente reperibile. L’interesse in Cina per la filosofia occidentale, tanto
classica che contemporanea, è enorme. Questo interesse è sorprendentemente
sproporzionato rispetto alla ben poca attenzione che suscitano i dibattiti cinesi
contemporanei negli ambienti accademici della filosofia di lingua tedesca. Fabian
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Heubel sottolinea giustamente che la comunicazione interculturale tra Cina e Occidente
è di solito un «dialogo altamente asimmetrico (…) in cui l’Europa parla e la Cina ascolta,
la Cina parla e l’Europa non ascolta».4 Questa asimmetria a favore dell’Occidente esiste
ancora oggi, ma mentre in Occidente cresce l’interesse per la filosofia cinese
contemporanea, si osserva anche in Cina una crescente emancipazione intellettuale, ed
è in corso un dibattito serrato con la letteratura filosofica occidentale.
Sintomatico da questo punto di vista è lo sproporzionato interesse per Martin
Heidegger, che viene consultato come autorità su quasi tutte le questioni filosofiche.
Credo che questo privilegio di Heidegger sia dovuto a tre ragioni specifiche. In primo
luogo, Heidegger ha mostrato un interesse più esplicito per la filosofia cinese e
giapponese rispetto ad altri filosofi occidentali del XX secolo. In qualche modo dunque
egli stesso era già entrato in una certa forma di dialogo interculturale, sebbene il suo
pensiero rimanga fondamentalmente occidentale. In secondo luogo, il fascino di
Heidegger per l’uso ambiguo ma anche profondo del linguaggio si sposa bene con la
tradizione etimologica e le ricchissime possibilità associative del cinese. Come nel caso
dell’opera di Heidegger, la ricchezza di significato di parole come “radura” (Lichtung) o
“sentiero nel bosco” (Holzweg) può essere capitalizzata filosoficamente in maniera molto
efficace anche nel pensiero cinese. La terza e più importante ragione, tuttavia, è
probabilmente che Heidegger, come pensatore di spicco della tradizione occidentale,
adotta allo stesso tempo una posizione decisamente anti-occidentale e anti-moderna.
Come testimone chiave delle contraddizioni interne e delle inquietudini dell’Occidente,
Heidegger può dunque aprire uno spazio all’alternativa cinese.
Per quanto riguarda questa latente dimensione anti-occidentale, vorrei sottolineare
due aspetti che ho notato tanto nell’insegnamento accademico che nella costellazione
della società cinese nel suo complesso. Vorrei dire fin da subito che ho sviluppato una
visione più ottimistica sul futuro e che sono consapevole del fatto che la Cina giocherà
un ruolo centrale in questo futuro. Durante un semestre ho letto ai miei studenti lo studio
di Martin Jay, Reason after its Eclipse come introduzione alla storia e all’autocritica del
razionalismo occidentale. Tra le altre cose, in questo saggio si affronta anche la critica di
Voltaire all’ottimismo teorico universale di Leibniz. Voltaire vede nel terremoto di
Lisbona del 1° novembre 1755 un’obiezione definitiva all’idea che viviamo nel migliore
dei mondi possibili e che il mondo nel suo complesso sia organizzato razionalmente.
Secondo Jay, l’insensato e terribile disastro naturale ha minato «la fiducia non solo nel
fatto che il nostro fosse il migliore dei mondi possibili, ma anche la fede che la storia
Fabian HEUBEL, Chinesische Gegenwartsphilosophie zur Einführung , Junius Verlag, Hamburg 2016,
p. 20 (traduzione C.S.).
4
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stesse in qualche modo progredendo, anche se a fatica, verso quell’obiettivo».5 Con mia
grande sorpresa, una studentessa ha trovato poco convincente questa seconda
conclusione, ed ha dichiarato che i terremoti sarebbero stati sicuramente debellati un
giorno. Ora, poiché questa studentessa era perfettamente al corrente di come si
originano i terremoti e dei limitati progressi della scienza in questo ambito, la sua
affermazione rivelava per me un entusiasmo per il progresso tecnologico che non avevo
mai riscontrato tra gli studenti occidentali. In Europa infatti, almeno attualmente, gli
studenti tendono ad avere visioni piuttosto apocalittiche sul futuro del pianeta. Mentre a
Berlino gli attivisti di Ultima Generazione lottano contro l’autodistruzione dell’umanità,
a Shanghai si pensa di abolire i terremoti. Questo aneddoto permette di comprendere
bene l’ottimismo tecnocratico di una società che confida nelle sue élites per trovare una
soluzione tecnica a tutti i problemi economici, ecologici e sociali.
Un chiaro esempio di questa ricerca di soluzioni autenticamente cinesi, non solo nel
campo della tecnologia, l’ho incontrato nei contributi per un ordine mondiale di
ispirazione confuciana che ho ascoltato in occasione di una conferenza sull’interscambio
culturale tra Germania e Cina nel dicembre 2017. Il professor Tongdong Bai della
Fudan University, per non citare che uno dei relatori, ha parlato del confucianesimo
come della «salvezza del mondo».6 Ora che la “fine della storia” paventata da Kojève e
da Francis Fukuyama non si è concretizzata, la crisi delle democrazie occidentali (nelle
più varie forme del trumpismo, della Brexit, dell’estremismo islamico, della postdemocrazia, ecc.) rivela l’urgenza di pensare un nuovo ordine mondiale. Secondo Bai,
che si è formato a Boston e non solo, si potrebbe pensare ad una forma di
confucianesimo modernizzato: il confucianesimo infatti non prende le mosse
dall’individuo solipsistico, ma dall’ordine naturale della famiglia. La legittimità del
governo si baserebbe quindi sul servizio alla famiglia e al popolo. Delle formule
repubblicane della celebre chiusa del “Discorso di Gettysburg” di Abramo Lincoln,
quelle che auspicano un governo “del popolo” (of the people) e “per il popolo” (for the
people) sono compatibili con questo orientamento, ma un confuciano non potrà mai
accettare la seconda istanza, un governo che viene “dal popolo” (by the people), perché
nella visione confuciana solo pochi sono autorizzati a governare. Nel contesto di queste
Martin JAY, Reason after its Eclipse, University of Wisconsin Press, Madison 2016, p. 80 (traduzione
C.S.).
6
Tongdong BAI, Konfuzianismus als Rettung der Welt. Konfuzianische Alternativen zur liberaldemokratischen Weltordnung, in Chunchun HU – Hendrik LACKNER – Thomas ZIMMER (Hg.):
China-Kompetenz in Deutschland und Deutschland-Kompetenz in China, Springer, Wiesbaden 2021,
pp. 81-91.
5
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considerazioni, il Partito Comunista Cinese appare come una sorta di organizzazione
meritocratica di re-filosofi neo-confuciani.
Sullo sfondo delle crisi delle democrazie occidentali, la Cina si presenta come
un’alternativa che restituisce all’Occidente la sua vera immagine di sé. Nessuno in Cina
è più disposto ad accettare l’evidente asimmetria della comunicazione transculturale. Il
motivo principale di questa emancipatoria presa di coscienza non è solo l’accresciuta
fiducia in se stessi. Vi è anche la convinzione profondamente radicata che l’Occidente
solo in virtù di coincidenze storiche e non ultimo della forza bruta abbia potuto – e solo
temporaneamente – spostare la Cina dalla sua naturale posizione di “Regno di Mezzo”,
di baricentro del mondo. Dal punto di vista cinese, il successo dell’Occidente ha più che
altro il carattere di un’irritazione, di un’interruzione dell’ordine naturale delle cose, che
viene riconosciuto con fastidio e rancoroso rispetto. La superiorità della razionalità
tecnologica e militare degli usurpatori occidentali nel XIX secolo era schiacciante e i vari
movimenti di modernizzazione cinesi del XX secolo ne hanno tratto le dovute
conseguenze. L’integrazione sociale delle masse non si ottiene in primo luogo attraverso
l’intimidazione, il sistema di credito sociale,7 la censura e i campi di rieducazione, anche
se negli ultimi anni le misure dello Stato di polizia sono state intensificate a dismisura,
culminando negli eccessi ben noti del blocco per il coronavirus. I meccanismi centrali
per la coesione sociale sono piuttosto quelli dei consumi e il nazionalismo. Il governo
cinese può affermare di aver fatto rinascere l’epoca aurea delle origini dell’impero Han,
avendo reso la Cina di nuovo rispettata e vincente, in breve “grande”. Dopo le
umiliazioni delle Guerre dell’Oppio e dei Boxer, dei trattati iniqui (come quello di
Versailles che la vide sfavorita dagli alleati europei rispetto ai giapponesi), dopo
l’occupazione giapponese e la sudditanza verso i consiglieri sovietici, non pochi vedono
la Cina sulla strada giusta per riconquistare il suo posto naturale sulla mappa del mondo.
Non c’è più bisogno per i Cinesi di ricorrere ai consigli dell’Occidente.
Grazie a un’allettante offerta della Klassik Stiftung Weimar, mia moglie e io abbiamo
lasciato la Cina dopo avervi trascorso tre anni. Avremmo voluto restare più a lungo per
osservare da vicino questo straordinario esperimento e, soprattutto, per continuare il
dialogo transculturale. Come di consueto nelle conversazioni tra adulti maturi e sicuri di
Si tratta di un complesso sistema di valutazione nazionale dei cittadini e delle imprese basato
sull’attribuzione di punti “sociali” (social credit points). Nel caso dei privati cittadini diversi criteri
economico-sociali-morali vengono adottati: dalla solvibilità, al pagamento delle tasse, all’analisi dei
comportamenti di acquisto e sociali sul web, alla valutazione delle abitudini e delle opinioni politiche,
fino al comportamento delle persone componenti la cerchia familiare e delle conoscenze. Questa
valutazione su scala nazionale costituisce una sorta di pedigree o “fedina sociale” che sarà poi
determinante per la fruizione di diritti e servizi sociali (scuole, internet, voli) e per l’accesso ad alcuni
impieghi (nota della traduttrice).
7
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sé, l’arroganza è inappropriata quanto l’adulazione. Ma se vogliamo continuare a
promuovere le idee di libertà individuale, di una sfera pubblica capace di critica e
autodeterminazione politica, che sono associate alla storia dell’Occidente, dovremo
continuare a discutere la validità e la forza di persuasione di tali idee. Affermare
semplicemente che questi valori sono autenticamente occidentali non è né utile né
sufficiente. La retorica che equipara l’Occidente al “regno del bene” senza ulteriori
indugi è al di sotto del livello di onestà intellettuale raggiunto nello sviluppo culturale
occidentale. Il cosiddetto Occidente è forte laddove realizza le potenzialità di crescita ed
apprendimento che gli fornisce la sua capacità di autocritica, senza per questo
necessariamente scendere a facili compromessi. Spero che i miei studenti a Shanghai
abbiano imparato qualcosa dal mio lavoro presso di loro. Io stesso sono tornato in
Germania con delle prospettive nuove ed appassionanti.
Riferimenti bibliografici
Tongdong BAI, Konfuzianismus als Rettung der Welt. Konfuzianische Alternativen zur
liberal-demokratischen Weltordnung, in Chunchun HU – Hendrik LACKNER –
Thomas ZIMMER (Hg.), China-Kompetenz in Deutschland und DeutschlandKompetenz in China, Springer, Wiesbaden 2021.
Xifan YANG, Was haben wir gemeinsam?, “Die Zeit”, 14 Luglio 2022.
Fabian HEUBEL, Chinesische Gegenwartsphilosophie zur Einführung, Junius Verlag,
Hamburg 2016.
Martin JAY, Reason after its Eclipse, University of Wisconsin Press, Madison 2016.
Hartmut ROSA, Beschleunigung und Entfremdung – Entwurf einer kritischen Theorie
spätmoderner Zeitlichkeit, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2013.
Sitografia
Alexander KISSLER, Denn ein Übermensch kennt keine Trauer , Cicero, 26-08-2017
(Consultato in data 13/01/2023) https://www.cicero.de/kultur/nietzsche-in-chinadenn-ein-uebermensch-kennt-keine-trauer
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Drei Jahre westliche Philosophie in der Volksrepublik China
Helmut Heit, Weimar
Dieser Text erschien in der italienischen Übersetzung von Carlotta Santini in der Online-Zeitschrift:
InCircolo Vol. 16 (Dicembre 2023): 269-277 (www.incircolorivistafilosofica.it)
Ich leitete an der Technischen Universität Berlin das „Berliner Nietzsche-Colloquium“ und hatte
mit dem fernen Osten wenig im Sinn, als mich im Herbst 2014 eine chinesische Doktorandin im
Treppenhaus ansprach: „Sagen Sie mal, Herr Heit, hätten Sie Interesse an einer Professur in
Shanghai?“ Aus Neugierde und auch, weil meine Position in Berlin befristet war, sagte ich zur
Sicherheit erst einmal „Ja“ Einige Monate später erhielt ich eine ziemlich formlose E-Mail mit der
Einladung zu einem Gespräch über eine Professur an der Tongji-Universität in Shanghai. Eine
Recherche ergab, dass diese Universität tatsächlich existiert. Anfang des 20. Jahrhunderts von
deutschen Medizinern gegründet, zählt sie heute mit etwa 38.000 Studierenden vor allem der
Architektur, Stadtplanung und Wirtschaftswissenschaften zu den Elite-Universitäten Chinas und
belegt auch in internationalen Rankings gute Plätze. Es folgten Video-Telefonate mit sehr gut
Deutsch sprechenden Assistenzprofessoren, in denen es vor allem um praktische Dinge wie
Kranken- und Rentenversicherung, Gehalt, Wohnung und weniger um Aufgaben, Themen oder
Lehrverpflichtungen ging. Einen akademischen Lebenslauf und einige Schriften habe ich zur
Begutachtung nach Shanghai geschickt, aber die eigentliche Entscheidung wurde in einem Café in
Stuttgart gefällt, wo ich mich im Sommer 2015 mit dem Dekan der philosophischen Fakultät traf.
An einem denkwürdigen Nachmittag bei drei Bieren und sehr vielen Zigaretten (ich nahm etwa
jede zweite an) erläuterte Professur Sun seine Strategie für die Entwicklung der Philosophie an der
Tongji und in China und wir kamen zu dem Eindruck, dass ich in diesem Plan eine passende Rolle
spielen könnte. Meine Frau hielt das ebenfalls für eine gute Idee, also akzeptierte ich den Ruf an
die Tongji Universität in Shanghai, um als Vize-Direktor der Akademie für Europäische Kulturen
chinesische Studentinnen und Studenten mit westlicher Philosophie bekannt zu machen. Wir
lösten unseren Haushalt in Deutschland auf und zogen in die Volksrepublik China.
In der ersten Zeit erschien mir vieles fremd und undurchsichtig, aber schon nach wenigen Monaten
hielt ich mich für einen China-Experten. Nach etwa einem Jahr begriff ich, dass ich im Grunde
überhaupt nicht verstehe, wie dieses Land funktioniert und wie die Leute dort ticken – und dabei
blieb es dann. Dabei sind zunächst vor allem die Gemeinsamkeiten mit den modernen Industrieund Dienstleistungsnationen des Westens in den chinesischen Metropolen besonders auffällig. Die
Vollzüge des Alltags, insbesondere der private Zahlungsverkehr oder die Berührungen mit der
Verwaltung folgen – wie stets im Ausland – teilweise anderen Üblichkeiten, aber sie sind von
ähnlicher rationaler Effizienz. Selbst Spenden an Bettler, die man selten und vor allem in
touristischeren Gegenden sieht, kann man direkt mit dem Mobiltelefon überweisen. Verglichen mit
Shanghai wirken Berlin oder New York auf geradezu charmante Weise altmodisch. Wenn man mit
dem Westen eine innovative Architektur, hektisches Treiben, klimatisierte Shopping-Center,
Konsumgüter aus aller Welt und ein hocheffizientes Transportwesen verbindet, dann ist Shanghai
westlicher als jede mir bekannten Stadt in Europa oder Nordamerika. Während westliche
Kreativarbeiter in den antiken Weisheitslehren des Ostens nach Sinn und Besinnung suchen, ist
man in China energisch mit einem dynamischen Umbau geradezu aller Lebensbereiche beschäftigt.
Was Hartmut Rosa mit Blick auf die westliche Spätmoderne beschrieben hat, zeigt sich auch in
einer Diagnose, die der Ethnologe Xiang Biao der chinesischen Gegenwart stellt. »Alles, wofür sie
im Hier und Jetzt arbeiten, dient einem künftigen Ziel, aber ob dieses Ziel erreicht werden kann,
ist völlig unklar. Das Wesen des Tuns ist nicht das Streben nach der Zukunft, sondern die
1
Verneinung der Gegenwart.«1 Die größte Gemeinsamkeit zwischen Ost und West scheint derzeit
die rast- und ziellose Beschleunigung fortgesetzter Innovation und Profitmaximierung zu sein.
Die Tongji ist eine moderne Campus-Universität, die noch in den 1990ern am Stadtrand,
inzwischen aber inmitten der ständig wachsenden Metropole gelegen ist. Wir haben eine kleine
Wohnung in einer chinesischen Nachbarschaft gefunden, nur wenige Minuten zu Fuß vom
Gebäude der philosophischen Fakultät entfernt. Mit etwa 40 Dozierenden ist das Institut für
Philosophie nach deutschen Standards riesig, aber im chinesischen Vergleich eher von mittlerer
Größe. Die Mehrheit der Professoren ist mit chinesischer Philosophie beschäftigt, während sich
eine etwas kleinere Hälfte mit westlicher Philosophie befasst. Einen großen Teil meiner
Kolleginnen und Kollegen habe ich im Laufe der drei Jahre allerdings kaum oder gar nicht
kennengelernt. An den Institutsversammlungen zu Beginn des Semesters nahm ich pflichtschuldig
teil, obwohl ich aufgrund fehlender Chinesisch-Kenntnisse natürlich nichts verstand. Ohnehin
wurden nach meinem Eindruck wie schon bei meinem etwas ungewöhnlichen
Rekrutierungsverfahren die wichtigen hochschulpolitischen Entscheidungen im kleineren Kreis bei
anderen Gelegenheiten getroffen. Der Dekan, ein charismatischer, humorvoller und begeisternder
Heidegger-Forscher, war sehr beschäftigt, wir trafen uns selten. Die wichtigsten Bezugspersonen
waren ein weiterer deutscher Kollege, der chinesische Philosophie und Teekultur unterrichtete,
sowie vier Kollegen, die sich mit Nietzsche, Heidegger, Adorno oder Benjamin befassten und alle
länger in Deutschland studiert hatten. Entsprechend verstand man unter ‚westlicher Philosophie’
vor allem das Denken der griechischen und römischen Antike sowie dann die
kontinentaleuropäische Philosophie des 19. und 20. Jahrhunderts.
Seit im 20. Jahrhundert die Tradition der konfuzianischen Beamtenschulen aufgegeben wurde, folgt
die Organisation von Forschung und Lehre britischen und deutschen Vorbildern. CampusUniversitäten sind nach Disziplinen in Fakultäten untergliedert und bieten die weltweit gängigen
Fächer und Studiengänge. Bemerkenswert ist vielleicht, dass es Institute für Cultural Industry oder
für Social Engineering gibt. Die Rolle von internationalen Rankings und quantitativen Evaluationen
ist massiv, wenn sie auch in der Verteilung der Mittel und Publikationsmöglichkeiten von
komplexen Formen des Nepotismus unterlaufen wird. Grundsätzlich anders als im Westen
funktioniert also auch das nicht. Neben den Gremien der akademischen Selbstverwaltung gibt es
eine Parallelstruktur von Parteisekretären. Der Einfluss von Parteipolitik, Zensur und staatlicher
Kontrolle auf die akademische Freiheit war deutlich komplexer, als ich anfangs dachte. Zunächst
hatte ich die Vorstellung, dass man vermutlich wie in einem totalitären Überwachungsstaat
besonders vorsichtig sein und ständig mit der Präsenz von Spitzeln rechnen müsse. Auch in meinen
Seminaren gab es Kameras, aber die Kommunikation mit Studierenden und Kollegen habe ich
meist als sehr offen erlebt. Fast konnte man denken, die Regierung habe Foucault gelesen und
intelligentere Formen der gesellschaftlichen Disziplinierung anstelle der groben Mittel früherer
Zeiten gefunden. Ich fragte auch, ob ich in der Lehre auf bestimmte Dinge zu achten habe.
Tatsächlich riet man mir von regelmäßigem Insistieren auf der nationalen Unabhängigkeit Taiwans
ab, aber ansonsten könne ich Liberalismus und Individualismus ebenso thematisieren wie die
Universalität von Menschenrechten. Ohnehin sei ich als Ausländer kaum im Fokus der Behörden
und im ungünstigsten Fall würde ich an bürokratischen Schwierigkeiten mit der Visa-Behörde
merken, dass ich vielleicht in Ungnade gefallen bin. Dennoch konnte ich bereits in dem kurzen
Zeitraum zwischen 2015 und 2018 wahrnehmen, wie die zentrale Kontrolle und die
Einschüchterung meiner chinesischen Kollegen im Rahmen der Konsolidierung der Herrschaft
von Xi Jinping zunahm.
Es dauerte etwas mehr als ein Jahr, ehe ich ein erstes reguläres Seminar unterrichten konnte.
Aufgrund technischer und bürokratischer Prozeduren sei das kompliziert. Die ungewöhnlich
geringe Dringlichkeit an dieser Stelle hatte wohl vor allem damit zu tun, dass es genügend
1
Xifan YANG: »Was haben wir gemeinsam?« In: Die Zeit 14. Juli 2022, S. 47.
2
Lehrpersonal im Institut gab und für mein englisch- oder deutschsprachiges Angebot passende
Module gefunden werden mussten. Zugleich wurde so deutlich, dass man mich nicht zur
Verstärkung der Lehre an die Tongji berufen hatte. Der vermutlich wichtigste Grund war, dass für
den Status als Eliteuniversität auch die Internationalität des Personals von Bedeutung war. Als ich
den Vertrag unterschrieben hatte, konnte man dieses Kriterium abhaken. Zudem sollte ich durch
eigenständige Publikationen das internationale Profil des Instituts schärfen und Workshops und
Sommerkurse mit möglichst renommierten ausländischen Wissenschaftlern organisieren. Ebenfalls
von Bedeutung war, dass man bei den großen Übersetzungs- und Editionsprojekten der
Gesamtausgabe Martin Heideggers und nun vor allem auch der kompletten Studienausgabe
Friedrich Nietzsches intellektuelle Unterstützung suchte. Immerhin hatte man gezielt nach einem
ausgewiesenen Nietzscheforscher gesucht. Ein Journalist des deutschen Magazins Cicero fand
diesen Umstand so seltsam, dass er nach Shanghai kam, um einen Bericht über meine Arbeit und
die Nietzscheforschung an der Tongji zu produzieren.2
Bevor die Formalitäten für ein reguläres Seminar pro Semester überwunden werden konnten,
richtete ich einen Arbeitskreis zur Lektüre und Diskussion klassischer Texte der deutschen
Philosophie ein. In sehr enger Arbeit am Text lasen wir in wöchentlichen Sitzungen über zwei
Semester lang das erste Hauptstück von Nietzsches Jenseits von Gut und Böse. Später widmeten wir
uns einigen Passagen von Hegels Vorrede zur Phänomenologie des Geistes sowie dem Manifest der
Kommunistischen Partei von Marx und Engels. Der Kurs fand auf deutsch statt, wobei die
Sprachkompetenz der im Schnitt zehn Teilnehmenden sehr unterschiedlich war. Während eine
philosophisch neugierige Dozentin der Germanistik und die beteiligten Assistenzprofessoren sehr
gut deutsch sprachen – einer von ihnen hatte gerade die chinesische Übersetzung von Jenseits von
Gut und Böse publiziert – taten sich die engagierten Studierenden und Doktoranden besonders mit
der freien Diskussion schwer. Mit der Lektüre kamen wir sehr langsam voran. Es war ein close reading
von der Art, wie klassische Philologen ihren Horaz gelesen haben, das auch für mich eine Vielzahl
neuer Gedanken und Deutungsebenen ans Licht brachte. Faszinierend war insbesondere anhand
möglicher Übersetzungen ins Chinesische das Bedeutungsspektrum von nur vorgeblich
eindeutigen Begriffen zu durchleuchten. Nach dem Seminar sind wir oft gemeinsam Essen
gegangen, wobei mir aufgrund der Hierarchie die durchaus anspruchsvolle Aufgabe zufiel, die
Gerichte für die gemeinsame Tafel auszuwählen. Die Rechnung hat nicht selten jemand anderes
heimlich übernommen, um den obligatorischen Streit an der Kasse zu vermeiden, wer diesmal
zahlen dürfe.
Ab meinem dritten Semester in Shanghai habe ich regulär eine Veranstaltung pro Semester auf
Englisch durchgeführt. Neben einführenden Vorlesungen zur antiken griechischen Philosophie,
zur Vernunftkritik und zur Wissenschaftsphilosophie habe ich Platon, Nietzsche und Kritische
Theorie unterrichtet. Die Studierenden waren im Schnitt vielleicht etwas zurückhaltender und
respektvoller im Umgang mit einem westlichen Dozenten als ich es aus Berlin gewohnt war, aber
doch weit entfernt von dem Cliché konfuzianischer Abnickerei. Besonders imponiert hat mir, dass
gelegentlich Studierende kritisch auf etwas Bezug nahmen, was ich in der vorigen Woche gesagt
hatte. Bemerkenswert war auch, dass alle eine über solide Kenntnis der philosophischen und
kulturellen Tradition Chinas verfügten. In Deutschland bringt die meisten Studierenden kaum noch
profunde Kenntnisse etwa der christlichen Tradition mit an die Uni. Informationen etwa zu den
Inhalten der Bibel erschlossen sich chinesische Studierende wie eine Fremdsprache mit
lexikalischem Eifer. Man schlug halt nach, was es mit diesem Jesus auf sich hatte. Bald stellte ich
fest, dass Bertrand Russels Philosophie des Abendlands allgegenwärtig als Quelle herangezogen wurde.
Wegen ihrer ziemlichen Einseitigkeit ist das nicht gerade eine besonders empfehlenswerte
Ressource, aber offenbar gab es seit langem eine sehr gut lesbare Übersetzung.
2
https://www.cicero.de/kultur/nietzsche-in-china-denn-ein-uebermensch-kennt-keine-trauer
3
Das Interesse an klassischer, aber auch an zeitgenössischer westlicher Philosophie in China ist
enorm, und es steht in einem eklatanten Missverhältnis zum professionellen Interesse an den
aktuellen chinesischen Debatten in der deutschsprachigen Philosophie. Fabian Heubel
unterstreicht daher mit gutem Recht, dass es sich bei der interkulturellen Kommunikation zwischen
China und dem Westen meist um einen »hochgradig asymmetrischen Dialog« handelt, »in dem
Europa spricht und China zuhört, China spricht und Europa weghört«. 3 Diese Asymmetrie
zugunsten des Westens entspricht noch immer der Realität, aber während im Westen das Interesse
an der chinesischen Gegenwartsphilosophie wächst, kann man in China eine zunehmende
Eigenständigkeit auch dort beobachten, wo eine Auseinandersetzung mit westlicher
philosophischer Literatur stattfindet. Symptomatisch ist in diesem Zusammenhang das
unverhältnismäßig starke Interesse an Martin Heidegger, der zu fast allen philosophischen Fragen
als maßgebliche Autorität herangezogen wird. Ich glaube, dass es dafür drei Gründe gibt: Erstens
hat Heidegger mehr als andere westliche Philosophen des 20. Jahrhunderts ein explizites Interesse
an der chinesischen und japanischen Philosophie gezeigt. Auf diese Weise hat er sich bereits selbst
in einen kulturübergreifenden Dialog begeben, auch wenn sein eigenes Denken grundsätzlich
okzidental blieb. Zweitens korreliert Heideggers Faszination für den doppelbödigen und
tiefsinnigen Gebrauch der Sprache mit der etymologischen Tradition und den ebenfalls
assoziationsreichen Möglichkeiten des Chinesischen. Ähnlich wie bei Heideggers lässt sich auch im
chinesischen Denken offenbar aus dem Bedeutungsreichtum von Worten wie ‚Lichtung’ oder
‚Holzweg’ philosophisches Kapital schlagen. Der dritte und wichtigste Grund dürfte aber sein, dass
Heidegger als herausragender Denker der abendländischen Tradition zugleich eine dezidiert antiwestliche und anti-moderne Haltung einnimmt. Heidegger kann so als ambivalenter Kronzeuge für
die inneren Widersprüche und Fragwürdigkeiten des Westens zugleich den Raum für chinesische
Alternativen öffnen.
Mit Blick auf diese latent anti-westliche Dimension möchte ich zwei Aspekte betonen, weil sie mir
sowohl im akademischen Unterricht wie auch in der chinesischen Konstellation insgesamt
aufgefallen sind. Zum einen ist das ein insgesamt deutlich optimistischerer Blick in die Zukunft,
zum anderen ein stark ausgeprägtes Bewusstsein davon, dass China in dieser Zukunft eine zentrale
Rolle spielen werde. In einem Semester las ich zur Einführung in die Geschichte und Selbstkritik
des abendländischen Rationalismus die Studie Reason after its Eclipse von Martin Jay. Unter anderem
wird dort Voltaires Kritik am universalen theoretischen Optimismus von Leibniz behandelt.
Voltaire versteht das Erdbeben von Lissabon am 1. November 1755 als Einwand gegen die
Vorstellung, dass wir in der besten aller möglichen Welten lebten und dass das Weltenganze
insgesamt vernünftig eingerichtet sei. Die unsinnige und schreckliche Naturkatastrophe untergrabe,
so Jay, »confidence not only in ours being the best of all possible worlds but also the faith that
history was somehow progressing, even fitfully, toward that goal.« 4 Eine Studentin hielt
insbesondere den zweiten, weiterreichenden Schluss für wenig überzeugend und erklärte,
Erdbeben würden sicher eines Tages abgeschafft. Da sie durchaus wusste, wie Erdbeben
verursacht werden, drückt sich darin eine technologische Fortschrittbegeisterung aus, die mir unter
derzeit meist eher apokalyptisch gestimmten westlichen Studierenden nie begegnet ist. Während in
Berlin die Letzte Generation gegen die Selbstvernichtung der Menschheit kämpft, denkt man in
Shanghai daran, Erdbeben abzuschaffen. Das passt gut zu dem expertokratischen Optimismus
einer Gesellschaft, die ihren Eliten eine technische Lösung im Grunde aller ökonomischen,
ökologischen und sozialen Probleme zutraut.
Ein starker Ausdruck der Suche nach genuin chinesischen Lösungen nicht nur im Bereich der
Technik sind etwa die Beiträge zu einer konfuzianisch geprägten Weltordnung Bei einer Tagung
zum wechselseitigen kulturellen Austausch zwischen Deutschland und China im Dezember 2017
3
4
Fabian Heubel: Chinesische Gegenwartsphilosophie zur Einführung. Hamburg 2016, S. 20.
Martin Jay: Reason after its Eclipse. On late Critical Theory. Madison 2016, S. 80.
4
stellte beispielsweise Professor Bai Tongdong von der Fudan Universität den »Konfuzianismus als
Rettung der Welt« vor.5 Nachdem das Ende der Geschichte ausgeblieben sei, zeige die Krise der
westlichen Demokratien (Trumpismus, Brexit, Islamismus, Post-Democracy, etc.) die
Notwendigkeit einer neuen Weltordnung. Dafür käme ein modernisierter Konfuzianismus in
Betracht, so der u.a. in Boston ausgebildete Tongdong, denn der Konfuzianismus nehme seinen
Ausgangspunkt nicht beim solipsistischen Individuum, sondern in der natürlich Ordnung der
Familie. Legitimität von Herrschaft beruhe so letztlich darauf, dass man der Familie und dem Volk
diene. ›Of the people‹ und ›for the people‹ seien damit kompatibel, aber ›by the people‹ könne ein
Konfuzianer nicht akzeptieren, denn nur wenige seien befähigt zu herrschen. Im Kontext solcher
Überlegungen erscheint die Kommunistische Partei Chinas als eine Art meritokratischer
Organisation von neokonfuzianischen Philosophenkönigen.
Vor dem Hintergrund der Krisen westlicher Demokratien inszeniert sich China in einer Weise als
Alternative, die auf das Selbstverständnis des Westens zurückspiegelt. Man ist in China nicht länger
gewillt, die offenkundige Asymmetrie in der transkulturellen Kommunikation zu akzeptieren. Der
zentrale Grund dafür ist nicht nur ein gestiegenes Selbstbewusstsein, sondern die tief verankerte
Überzeugung, dass der Westen China ohnehin nur aufgrund historischer Zufälle und roher Gewalt
für eine gewisse Zeit von seiner natürlichen Stellung als Reich der Mitte verdrängen konnte. Der
Erfolg des Westens hat aus chinesischer Sicht eher den Charakter einer Irritation, einer Störung
der richtigen Ordnung, die man mit Verdruss und widerwilligem Respekt zur Kenntnis nimmt. Die
technologische und militärische Rationalität der westlichen Usurpatoren im 19. Jahrhundert war
von erdrückender Überlegenheit und die verschiedenen chinesischen Modernisierungsbewegungen
des 20. Jahrhunderts haben daraus die entsprechenden Schlüsse gezogen. Die soziale Integration
der Mehrheiten erfolgt nicht in erster Linie durch Einschüchterung, Social Credit Points, Zensur
und Umerziehungslager, obwohl die polizeistaatlichen Maßnahmen in den letzten Jahren wieder in
erdrückendem Umfang intensiviert wurden und zuletzt in die Exzesse des Corona-Lockdowns
mündeten. Die zentralen Mechanismen zur sozialen Kohäsion sind vielmehr Konsum und
Nationalismus. Die chinesische Regierung darf für sich reklamieren, dass Reich der Han-Chinesen
wieder bedeutend, respektiert und erfolgreich, kurzum ‚great’ gemacht zu haben. Nach den
Demütigungen durch Opium- und Boxerkrieg, Ungleiche Verträge, Versailles, japanische Besatzer
und sowjetische Berater sehen daher nicht wenige China auf dem richtigen Weg zu seinem
naturgemäßen Platz auf der Weltkarte. An substanzieller Beratung durch den Westen sieht man
dabei keinen Bedarf mehr.
Aufgrund eines attraktiven Angebots von der Klassik Stiftung Weimar haben meine Frau und ich
Weimar nach gut drei Jahren wieder verlassen. Wir wären gerne noch eine Weile länger geblieben,
um dieses bemerkenswerte Experimente aus der Nähe zu beobachten und vor allem auch, um den
transkulturellen Gesprächsfaden nicht abreißen zu lassen. Wie bei Gesprächen zwischen
selbstbewussten Erwachsenen üblich, ist dabei Arroganz so wenig angebracht wie Anbiederei. Aber
wenn man die mit der Geschichte des Westens verbundenen Vorstellungen von individueller
Freiheit, kritischer Öffentlichkeit und politischer Selbstbestimmung weiter fördern will, wird man
sich weiterhin über die Geltung und Überzeugungskraft solcher Ideen austauschen müssen. Diese
Werte dabei als genuin westlich zu reklamieren, ist weder hilfreich noch sachgerecht. Eine Rhetorik,
die den Westen umstandslos mit dem ›Reich des Guten‹ gleichsetzt, fällt hinter das auch in der
westlichen Kulturentwicklung erreichte Niveau von intellektueller Redlichkeit zurück. Stark ist der
sogenannte Westen dort, wo er seine Fähigkeit zur lernfähigen Selbstkritik realisiert, ohne gleich
kleinlaut zu werden. Ich hoffe, dass meine Studierenden in Shanghai etwas durch mein Wirken dort
gelernt haben, ich selbst bin jedenfalls mit für mich wichtigen neuen Einsichten zurück nach
Deutschland.
5
Tongdong BAI: »Konfuzianismus als Rettung der Welt. Konfuzianische Alternativen zur liberal-demokratischen
Weltordnung« In: Chunchun Hu, Hendrik Lackner und Thomas Zimmer (Hg.): China-Kompetenz in Deutschland und
Deutschland-Kompetenz in China. Wiesbaden 2021, S. 81-91.
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