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Tre Anni di Filosofia Occidentale nella Republica Popolare Cinese (italienisch und deutsch)

2023, InCircolo Vol. 16 (Dicembre 2023): 269-277

The Italien Online-Journal "In Circulo" invited a paper about my experiences teaching and researching in Shanghai (2015-2018). I combine that report with some intercultural reflections on the educational, academic and political system in China. Online available here: https://www.incircolorivistafilosofica.it/tre-anni-di-filosofia-occidentale-nella-repubblica-popolare-cinese/ You may also find the unpublished German version of that paper here

Corrispondenze – Helmut Heit TRE ANNI DI FILOSOFIA OCCIDENTALE NELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE* Helmut HEIT (Klassik Stiftung Weimar) Nell’autunno del 2014 ero responsabile del “Berliner Nietzsche Colloquium” (Seminario Nietzscheano Berlinese) presso l’Università Tecnica di Berlino (TU Berlin) e con l’Estremo Oriente avevo ben poco a che fare. Un giorno una dottoranda cinese mi ha avvicinato mentre scendevo le scale dell’istituto: «Mi dica, signor Heit, sarebbe interessato a una cattedra a Shanghai?». Un po’ per curiosità, un po’ perché la mia posizione a Berlino era temporanea, ho risposto ad ogni buon conto di sì. Qualche mese dopo ho ricevuto un’e-mail piuttosto informale che mi invitava ad un colloquio per una cattedra (Professur) all’Università Tongji di Shanghai. Una breve ricerca online mi ha rivelato che questa università esisteva davvero. Fondata all’inizio del XX secolo da medici tedeschi, è oggi una delle università d’élite della Cina, con circa 38.000 studenti, principalmente in architettura, urbanistica ed economia, ai primi posti nelle classifiche internazionali. A questo primo approccio sono seguite delle videochiamate con professori associati (Assistenzprofessor) che parlavano un tedesco eccellente, nelle quali si è discusso soprattutto di questioni pratiche come l’assicurazione sanitaria e pensionistica, lo stipendio e l’alloggio, e molto poco dei compiti che mi aspettavano, dei temi o degli impegni didattici che avrei dovuto affrontare. Ho inviato un curriculum accademico e alcuni documenti a Shanghai per valutazione, ma la decisione vera e propria è stata presa in un caffè di Stoccarda, dove ho incontrato il direttore della Facoltà di Filosofia dell’Università nell’estate del 2015. In un pomeriggio memorabile, davanti a tre birre e a molte sigarette (ne accettavo almeno una volta su due quando mi venivano offerte), il professor Sun mi ha spiegato la sua strategia per lo sviluppo della filosofia a Tongji e più largamente in Cina e siamo giunti alla conclusione che avrei potuto svolgere un ruolo adeguato in questo progetto. Anche mia moglie era d’accordo, ed è stato così che ho accettato la chiamata come vicedirettore dell’Accademia di Culture Europee dell’Università Tongji di Shanghai, dove avrei dovuto introdurre gli studenti cinesi alla * Traduzione dal tedesco di Carlotta Santini. InCircolo n. 16 – ISSN 2531-4092 – Dicembre 2023 269 Corrispondenze – Helmut Heit filosofia occidentale. Ci siamo dunque decisi a trapiantare il nostro menage familiare dalla Germania alla Repubblica Popolare Cinese! In principio molte cose mi sembravano strane e oscure, ma dopo solo pochi mesi credevo di essere diventato un esperto della Cina. Dopo circa un anno invece, mi sono reso conto che in realtà non capivo ancora nulla del funzionamento di questo Paese e di come la gente potesse destreggiarvisi – e devo ammettere che sono rimasto a questo stadio. Ad un primo sguardo, le somiglianze con le moderne nazioni occidentali industrializzate che si fondano sui servizi e sul terziario, sono particolarmente evidenti nelle metropoli cinesi. Le transazioni quotidiane, in particolare i pagamenti privati e i rapporti con l’amministrazione, seguono in alcuni casi pratiche diverse – come spesso accade all’estero – ma dimostrano un’efficienza ed una razionalità del tutto comparabili alle nostre. Perfino le donazioni ai mendicanti, che a dire il vero si vedono raramente nelle strade, ed in particolare non nelle zone turistiche, possono essere trasferite direttamente con il cellulare. Rispetto a Shanghai, Berlino o New York sembrano deliziosamente antiquate. Se si associa l’Occidente all’architettura innovativa, alla frenesia, ai centri commerciali con aria condizionata, ai beni di consumo provenienti da tutto il mondo e a un sistema di trasporti altamente efficiente, allora Shanghai è più occidentale di qualsiasi altra città europea o nordamericana che io conosca. Mentre i creativi occidentali cercano significati ed ispirazione negli antichi insegnamenti della saggezza orientale, la Cina è energicamente impegnata in una riorganizzazione dinamica di quasi tutti i settori della vita civile. La descrizione che Hartmut Rosa 1 fornisce della “tarda modernità” in Occidente si può leggere anche in una diagnosi del presente della Cina fatta dall’etnologo Xiang Biao: «Tutto ciò per cui si lavora nel presente serve ad un obiettivo futuro, ma non è affatto chiaro se questo obiettivo possa essere raggiunto. L’essenza del fare non è la tensione verso il futuro, ma la negazione del presente». 2 L’affinità più importante tra Oriente e Occidente sembra ad oggi trovarsi in questa accelerazione irrequieta e senza scopo dell’innovazione continua e della massimizzazione dei profitti. Quello dell’Università Tongji è un moderno campus universitario che negli anni ’90 si trovava ancora alla periferia della città, ma che ora è al centro di una metropoli in continua espansione. Io e mia moglie abbiamo trovato un piccolo appartamento in un quartiere cinese a pochi minuti a piedi dall’edificio della Facoltà di Filosofia. Con circa quaranta docenti, l’Istituto di Filosofia è enorme se confrontato con gli standard tedeschi, ma per quelli cinesi è considerato piuttosto di medie dimensioni. La maggior parte dei Hartmut ROSA, Beschleunigung und Entfremdung – Entwurf einer kritischen Theorie spätmoderner Zeitlichkeit, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2013. Xian BIAO, citato in Xifan YANG, Was haben wir gemeinsam?, “Die Zeit”, 14 Luglio 2022, p. 47. 1 2 InCircolo n. 16 – ISSN 2531-4092 – Dicembre 2023 270 Corrispondenze – Helmut Heit professori è specializzata in filosofia cinese, mentre una parte leggermente inferiore (poco meno della metà) si occupa di filosofia occidentale. Tuttavia, nel corso dei tre anni che ho trascorso alla Tongij, non sono riuscito a conoscere che una minima parte dei miei colleghi, e molto superficialmente. Ho partecipato coscienziosamente alle riunioni d’istituto fin dall’inizio del semestre, anche se ovviamente non ho capito nulla a causa della mia insufficiente conoscenza della lingua. Ad ogni modo, come già era accaduto nel caso del mio reclutamento un po’ insolito, ho avuto l’impressione che le decisioni importanti sulla politica universitaria venissero prese altrove, in gruppi più ristretti e non nelle riunioni di dipartimento. Il direttore della facoltà che avevo conosciuto, studioso di Heidegger, persona carismatica, spiritosa ed entusiasta, era molto impegnato e ci incontravamo raramente. Gli incontri più importanti di questo primo periodo sono stati quelli con un altro collega tedesco che insegnava filosofia cinese e “cultura del tè”, e quattro colleghi cinesi studiosi di Nietzsche, Heidegger, Adorno e Benjamin, che avevano tutti studiato in Germania per lunghi periodi. Ho compreso molto presto che per “filosofia occidentale” si intendeva innanzitutto il pensiero dell’antichità greca e romana e la filosofia europea continentale del XIX e XX secolo. Da quando nel XX secolo è stata abbandonata la tradizione delle scuole confuciane per la formazione dei funzionari, l’organizzazione della ricerca e dell’insegnamento in Cina ha seguito i modelli britannico e tedesco. I campus universitari sono suddivisi in facoltà in base alle discipline e offrono le stesse materie e corsi di laurea che sono comuni in tutto il mondo. Vale forse però la pena di notare che esistono istituti per l’Industria Culturale e l’Ingegneria Sociale, che suoneranno forse meno scontati ad un orecchio europeo. Il ruolo delle classifiche internazionali e delle valutazioni “quantitative” della ricerca è massiccio, anche se minato da complesse forme di nepotismo che dirigono la distribuzione dei fondi e le opportunità di pubblicazione. Ma anche questo aspetto non è fondamentalmente diverso da ciò che si può osservare nelle nostre università occidentali. Oltre ai comitati di autogestione accademica, esiste una struttura parallela costituita dai segretari di partito. L’influenza della politica di partito, della censura e del controllo statale sulla libertà accademica è molto più complessa di quanto pensassi inizialmente. In principio mi ero fatto l’idea che si dovesse prestare molta attenzione, come in uno stato totalitario di sorveglianza di massa, nel quale ci si aspetta costantemente intorno la presenza di informatori. Di fatto c’erano telecamere ovunque, anche durante i miei seminari, ma solitamente la comunicazione con gli studenti ed i colleghi era molto aperta. Si potrebbe quasi pensare che il governo abbia letto Foucault e abbia trovato forme più intelligenti di disciplina sociale invece dei rozzi mezzi di coercizione di un InCircolo n. 16 – ISSN 2531-4092 – Dicembre 2023 271 Corrispondenze – Helmut Heit tempo. Mi sono anche informato presso i miei colleghi caso mai avessi dovuto mostrarmi vigilante nella scelta di temi sensibili per l’insegnamento. Quanto a questo in effetti, mi è stato consigliato di non insistere troppo sull’indipendenza nazionale di Taiwan, ma per il resto potevo discutere di liberalismo, individualismo e dell’universalità dei diritti umani quanto avessi voluto. In ogni caso, come straniero non ero certo nel mirino delle autorità e mi rendevo conto che nel peggiore dei casi avrei potuto cadere in disgrazia e avere delle difficoltà burocratiche con le autorità preposte ai visti. Detto questo, nel breve periodo intercorso tra il 2015 e il 2018, ho potuto constatare come il controllo centralizzato e l’intimidazione nei confronti dei miei colleghi cinesi fossero aumentati considerevolmente nell’ambito del consolidamento del governo di Xi Jinping. Prima che potessi tenere il mio primo seminario regolare è trascorso più di un anno. Questo ritardo è stato dovuto essenzialmente a motivi tecnici e alla complessità delle procedure burocratiche. La poca urgenza che si applicava al mio caso era probabilmente dovuta al fatto che c’era abbastanza personale docente nell’istituto e che si dovevano trovare dei moduli adatti per il mio programma in inglese e tedesco. Allo stesso tempo però mi è apparso definitivamente chiaro che non ero stato nominato a Tongji per rafforzare l’offerta didattica e formativa. Probabilmente la ragione principale del mio reclutamento è il prestigio che un personale internazionale conferisce in vista dell’ottenimento e per il mantenimento dello statuto di università d’élite. Nel momento stesso in cui avevo firmato il contratto, dunque, questo obiettivo era stato già raggiunto. Dovevo inoltre contribuire ad arricchire il profilo internazionale dell’istituto con pubblicazioni indipendenti, organizzando workshops e corsi estivi con accademici stranieri, i più rinomati possibile. Certamente molto importante era la necessità di procurare supporto scientifico e specialistico per i grandi progetti di traduzione ed edizione cinesi, come l’edizione completa di Martin Heidegger ed in particolare l’edizione completa di Friedrich Nietzsche. Dopotutto, quando ero stato reclutato, quello che si cercava era specificamente uno studioso di Nietzsche reputato e riconosciuto.3 Prima che fossero espletate tutte le formalità necessarie all’istituzione di un mio seminario regolare semestrale, mi ero dato da fare autonomamente e avevo creato un gruppo di lettura e discussione dei testi classici della filosofia tedesca. Lavorando a stretto contatto con il testo abbiamo letto con i miei studenti la prima sezione di Al di là del bene e del male di Nietzsche in sessioni settimanali nel corso di due semestri. Ci siamo poi dedicati ad alcuni passaggi della Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito di Un giornalista della rivista tedesca “Cicero” ha trovato questa circostanza così straordinaria che è venuto a Shanghai per scrivere un articolo sul mio lavoro e sulla ricerca su Nietzsche all’Università Tongji.https://www.cicero.de/kultur/nietzsche-in-china-denn-ein-uebermensch-kennt-keine-trauer 3 InCircolo n. 16 – ISSN 2531-4092 – Dicembre 2023 272 Corrispondenze – Helmut Heit Hegel e al Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels. Il corso si svolgeva in tedesco e le competenze linguistiche dei dieci partecipanti erano molto diverse. Tra di essi vi era un docente di Germanistica curioso di filosofia e alcuni professori associati che parlavano molto bene il tedesco (uno di loro aveva appena pubblicato la traduzione cinese di Al di là del bene e del male). Gli studenti e i dottorandi invece hanno incontrato maggiori difficoltà ad impegnarsi in una discussione aperta. Abbiamo fatto progressi molto lenti con la lettura. È stata una vera e propria lettura ravvicinata (close reading), come quella che i filologi classici praticavano con il loro Orazio, che ha permesso di portare alla luce riflessioni e livelli di interpretazione nuovi anche per me. È stato particolarmente affascinante ad esempio scoprire ed interpretare la gamma di significati di termini apparentemente non ambigui in tedesco che in cinese si prestavano a molteplici traduzioni. Dopo il seminario, andavamo spesso a mangiare insieme e la gerarchia prevedeva per me il difficile compito di scegliere i piatti per la tavola comune. Non era raro che qualcuno pagasse di nascosto il conto per evitare la discussione d’obbligo alla cassa su chi fosse autorizzato a pagare questa volta. A partire dal terzo semestre a Shanghai, ho tenuto regolarmente un corso in inglese ogni semestre. Oltre alle lezioni introduttive sulla filosofia greca antica, sulla critica della ragione e sulla filosofia della scienza, ho insegnato Platone, Nietzsche e la teoria critica. In media gli studenti erano forse un po’ più riservati e rispettosi nei confronti di un docente straniero rispetto a quelli a cui ero abituato a Berlino, ma erano comunque molto lontani dal cliché del letargismo confuciano. Mi ha particolarmente colpito che di tanto in tanto gli studenti facessero riferimento in maniera molto pertinente a qualcosa che avevo detto nel corso delle settimane precedenti. Sono rimasto impressionato anche dal fatto che tutti avessero una solida conoscenza della tradizione filosofica e religiosoculturale cinese. In Germania, la maggior parte degli studenti difficilmente porta con sé all’università una conoscenza approfondita della tradizione cristiana. Gli studenti cinesi, da parte loro, hanno appreso nozioni sui contenuti della Bibbia come si apprende una lingua straniera, con zelo lessicale: si sono semplicemente interrogati su che cosa volesse dire questo “Gesù”. Mi sono reso presto conto che la Filosofia dell’Occidente di Bertrand Russell veniva utilizzata ovunque come fonte per la conoscenza del pensiero filosofico occidentale nel suo complesso. A causa del suo carattere unilaterale, quest’opera non è probabilmente la risorsa di studio più raccomandabile, ma a quanto pare era disponibile da tempo una traduzione facilmente reperibile. L’interesse in Cina per la filosofia occidentale, tanto classica che contemporanea, è enorme. Questo interesse è sorprendentemente sproporzionato rispetto alla ben poca attenzione che suscitano i dibattiti cinesi contemporanei negli ambienti accademici della filosofia di lingua tedesca. Fabian InCircolo n. 16 – ISSN 2531-4092 – Dicembre 2023 273 Corrispondenze – Helmut Heit Heubel sottolinea giustamente che la comunicazione interculturale tra Cina e Occidente è di solito un «dialogo altamente asimmetrico (…) in cui l’Europa parla e la Cina ascolta, la Cina parla e l’Europa non ascolta».4 Questa asimmetria a favore dell’Occidente esiste ancora oggi, ma mentre in Occidente cresce l’interesse per la filosofia cinese contemporanea, si osserva anche in Cina una crescente emancipazione intellettuale, ed è in corso un dibattito serrato con la letteratura filosofica occidentale. Sintomatico da questo punto di vista è lo sproporzionato interesse per Martin Heidegger, che viene consultato come autorità su quasi tutte le questioni filosofiche. Credo che questo privilegio di Heidegger sia dovuto a tre ragioni specifiche. In primo luogo, Heidegger ha mostrato un interesse più esplicito per la filosofia cinese e giapponese rispetto ad altri filosofi occidentali del XX secolo. In qualche modo dunque egli stesso era già entrato in una certa forma di dialogo interculturale, sebbene il suo pensiero rimanga fondamentalmente occidentale. In secondo luogo, il fascino di Heidegger per l’uso ambiguo ma anche profondo del linguaggio si sposa bene con la tradizione etimologica e le ricchissime possibilità associative del cinese. Come nel caso dell’opera di Heidegger, la ricchezza di significato di parole come “radura” (Lichtung) o “sentiero nel bosco” (Holzweg) può essere capitalizzata filosoficamente in maniera molto efficace anche nel pensiero cinese. La terza e più importante ragione, tuttavia, è probabilmente che Heidegger, come pensatore di spicco della tradizione occidentale, adotta allo stesso tempo una posizione decisamente anti-occidentale e anti-moderna. Come testimone chiave delle contraddizioni interne e delle inquietudini dell’Occidente, Heidegger può dunque aprire uno spazio all’alternativa cinese. Per quanto riguarda questa latente dimensione anti-occidentale, vorrei sottolineare due aspetti che ho notato tanto nell’insegnamento accademico che nella costellazione della società cinese nel suo complesso. Vorrei dire fin da subito che ho sviluppato una visione più ottimistica sul futuro e che sono consapevole del fatto che la Cina giocherà un ruolo centrale in questo futuro. Durante un semestre ho letto ai miei studenti lo studio di Martin Jay, Reason after its Eclipse come introduzione alla storia e all’autocritica del razionalismo occidentale. Tra le altre cose, in questo saggio si affronta anche la critica di Voltaire all’ottimismo teorico universale di Leibniz. Voltaire vede nel terremoto di Lisbona del 1° novembre 1755 un’obiezione definitiva all’idea che viviamo nel migliore dei mondi possibili e che il mondo nel suo complesso sia organizzato razionalmente. Secondo Jay, l’insensato e terribile disastro naturale ha minato «la fiducia non solo nel fatto che il nostro fosse il migliore dei mondi possibili, ma anche la fede che la storia Fabian HEUBEL, Chinesische Gegenwartsphilosophie zur Einführung , Junius Verlag, Hamburg 2016, p. 20 (traduzione C.S.). 4 InCircolo n. 16 – ISSN 2531-4092 – Dicembre 2023 274 Corrispondenze – Helmut Heit stesse in qualche modo progredendo, anche se a fatica, verso quell’obiettivo».5 Con mia grande sorpresa, una studentessa ha trovato poco convincente questa seconda conclusione, ed ha dichiarato che i terremoti sarebbero stati sicuramente debellati un giorno. Ora, poiché questa studentessa era perfettamente al corrente di come si originano i terremoti e dei limitati progressi della scienza in questo ambito, la sua affermazione rivelava per me un entusiasmo per il progresso tecnologico che non avevo mai riscontrato tra gli studenti occidentali. In Europa infatti, almeno attualmente, gli studenti tendono ad avere visioni piuttosto apocalittiche sul futuro del pianeta. Mentre a Berlino gli attivisti di Ultima Generazione lottano contro l’autodistruzione dell’umanità, a Shanghai si pensa di abolire i terremoti. Questo aneddoto permette di comprendere bene l’ottimismo tecnocratico di una società che confida nelle sue élites per trovare una soluzione tecnica a tutti i problemi economici, ecologici e sociali. Un chiaro esempio di questa ricerca di soluzioni autenticamente cinesi, non solo nel campo della tecnologia, l’ho incontrato nei contributi per un ordine mondiale di ispirazione confuciana che ho ascoltato in occasione di una conferenza sull’interscambio culturale tra Germania e Cina nel dicembre 2017. Il professor Tongdong Bai della Fudan University, per non citare che uno dei relatori, ha parlato del confucianesimo come della «salvezza del mondo».6 Ora che la “fine della storia” paventata da Kojève e da Francis Fukuyama non si è concretizzata, la crisi delle democrazie occidentali (nelle più varie forme del trumpismo, della Brexit, dell’estremismo islamico, della postdemocrazia, ecc.) rivela l’urgenza di pensare un nuovo ordine mondiale. Secondo Bai, che si è formato a Boston e non solo, si potrebbe pensare ad una forma di confucianesimo modernizzato: il confucianesimo infatti non prende le mosse dall’individuo solipsistico, ma dall’ordine naturale della famiglia. La legittimità del governo si baserebbe quindi sul servizio alla famiglia e al popolo. Delle formule repubblicane della celebre chiusa del “Discorso di Gettysburg” di Abramo Lincoln, quelle che auspicano un governo “del popolo” (of the people) e “per il popolo” (for the people) sono compatibili con questo orientamento, ma un confuciano non potrà mai accettare la seconda istanza, un governo che viene “dal popolo” (by the people), perché nella visione confuciana solo pochi sono autorizzati a governare. Nel contesto di queste Martin JAY, Reason after its Eclipse, University of Wisconsin Press, Madison 2016, p. 80 (traduzione C.S.). 6 Tongdong BAI, Konfuzianismus als Rettung der Welt. Konfuzianische Alternativen zur liberaldemokratischen Weltordnung, in Chunchun HU – Hendrik LACKNER – Thomas ZIMMER (Hg.): China-Kompetenz in Deutschland und Deutschland-Kompetenz in China, Springer, Wiesbaden 2021, pp. 81-91. 5 InCircolo n. 16 – ISSN 2531-4092 – Dicembre 2023 275 Corrispondenze – Helmut Heit considerazioni, il Partito Comunista Cinese appare come una sorta di organizzazione meritocratica di re-filosofi neo-confuciani. Sullo sfondo delle crisi delle democrazie occidentali, la Cina si presenta come un’alternativa che restituisce all’Occidente la sua vera immagine di sé. Nessuno in Cina è più disposto ad accettare l’evidente asimmetria della comunicazione transculturale. Il motivo principale di questa emancipatoria presa di coscienza non è solo l’accresciuta fiducia in se stessi. Vi è anche la convinzione profondamente radicata che l’Occidente solo in virtù di coincidenze storiche e non ultimo della forza bruta abbia potuto – e solo temporaneamente – spostare la Cina dalla sua naturale posizione di “Regno di Mezzo”, di baricentro del mondo. Dal punto di vista cinese, il successo dell’Occidente ha più che altro il carattere di un’irritazione, di un’interruzione dell’ordine naturale delle cose, che viene riconosciuto con fastidio e rancoroso rispetto. La superiorità della razionalità tecnologica e militare degli usurpatori occidentali nel XIX secolo era schiacciante e i vari movimenti di modernizzazione cinesi del XX secolo ne hanno tratto le dovute conseguenze. L’integrazione sociale delle masse non si ottiene in primo luogo attraverso l’intimidazione, il sistema di credito sociale,7 la censura e i campi di rieducazione, anche se negli ultimi anni le misure dello Stato di polizia sono state intensificate a dismisura, culminando negli eccessi ben noti del blocco per il coronavirus. I meccanismi centrali per la coesione sociale sono piuttosto quelli dei consumi e il nazionalismo. Il governo cinese può affermare di aver fatto rinascere l’epoca aurea delle origini dell’impero Han, avendo reso la Cina di nuovo rispettata e vincente, in breve “grande”. Dopo le umiliazioni delle Guerre dell’Oppio e dei Boxer, dei trattati iniqui (come quello di Versailles che la vide sfavorita dagli alleati europei rispetto ai giapponesi), dopo l’occupazione giapponese e la sudditanza verso i consiglieri sovietici, non pochi vedono la Cina sulla strada giusta per riconquistare il suo posto naturale sulla mappa del mondo. Non c’è più bisogno per i Cinesi di ricorrere ai consigli dell’Occidente. Grazie a un’allettante offerta della Klassik Stiftung Weimar, mia moglie e io abbiamo lasciato la Cina dopo avervi trascorso tre anni. Avremmo voluto restare più a lungo per osservare da vicino questo straordinario esperimento e, soprattutto, per continuare il dialogo transculturale. Come di consueto nelle conversazioni tra adulti maturi e sicuri di Si tratta di un complesso sistema di valutazione nazionale dei cittadini e delle imprese basato sull’attribuzione di punti “sociali” (social credit points). Nel caso dei privati cittadini diversi criteri economico-sociali-morali vengono adottati: dalla solvibilità, al pagamento delle tasse, all’analisi dei comportamenti di acquisto e sociali sul web, alla valutazione delle abitudini e delle opinioni politiche, fino al comportamento delle persone componenti la cerchia familiare e delle conoscenze. Questa valutazione su scala nazionale costituisce una sorta di pedigree o “fedina sociale” che sarà poi determinante per la fruizione di diritti e servizi sociali (scuole, internet, voli) e per l’accesso ad alcuni impieghi (nota della traduttrice). 7 InCircolo n. 16 – ISSN 2531-4092 – Dicembre 2023 276 Corrispondenze – Helmut Heit sé, l’arroganza è inappropriata quanto l’adulazione. Ma se vogliamo continuare a promuovere le idee di libertà individuale, di una sfera pubblica capace di critica e autodeterminazione politica, che sono associate alla storia dell’Occidente, dovremo continuare a discutere la validità e la forza di persuasione di tali idee. Affermare semplicemente che questi valori sono autenticamente occidentali non è né utile né sufficiente. La retorica che equipara l’Occidente al “regno del bene” senza ulteriori indugi è al di sotto del livello di onestà intellettuale raggiunto nello sviluppo culturale occidentale. Il cosiddetto Occidente è forte laddove realizza le potenzialità di crescita ed apprendimento che gli fornisce la sua capacità di autocritica, senza per questo necessariamente scendere a facili compromessi. Spero che i miei studenti a Shanghai abbiano imparato qualcosa dal mio lavoro presso di loro. Io stesso sono tornato in Germania con delle prospettive nuove ed appassionanti. Riferimenti bibliografici Tongdong BAI, Konfuzianismus als Rettung der Welt. Konfuzianische Alternativen zur liberal-demokratischen Weltordnung, in Chunchun HU – Hendrik LACKNER – Thomas ZIMMER (Hg.), China-Kompetenz in Deutschland und DeutschlandKompetenz in China, Springer, Wiesbaden 2021. Xifan YANG, Was haben wir gemeinsam?, “Die Zeit”, 14 Luglio 2022. Fabian HEUBEL, Chinesische Gegenwartsphilosophie zur Einführung, Junius Verlag, Hamburg 2016. Martin JAY, Reason after its Eclipse, University of Wisconsin Press, Madison 2016. Hartmut ROSA, Beschleunigung und Entfremdung – Entwurf einer kritischen Theorie spätmoderner Zeitlichkeit, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2013. Sitografia Alexander KISSLER, Denn ein Übermensch kennt keine Trauer , Cicero, 26-08-2017 (Consultato in data 13/01/2023) https://www.cicero.de/kultur/nietzsche-in-chinadenn-ein-uebermensch-kennt-keine-trauer InCircolo n. 16 – ISSN 2531-4092 – Dicembre 2023 277 Drei Jahre westliche Philosophie in der Volksrepublik China Helmut Heit, Weimar Dieser Text erschien in der italienischen Übersetzung von Carlotta Santini in der Online-Zeitschrift: InCircolo Vol. 16 (Dicembre 2023): 269-277 (www.incircolorivistafilosofica.it) Ich leitete an der Technischen Universität Berlin das „Berliner Nietzsche-Colloquium“ und hatte mit dem fernen Osten wenig im Sinn, als mich im Herbst 2014 eine chinesische Doktorandin im Treppenhaus ansprach: „Sagen Sie mal, Herr Heit, hätten Sie Interesse an einer Professur in Shanghai?“ Aus Neugierde und auch, weil meine Position in Berlin befristet war, sagte ich zur Sicherheit erst einmal „Ja“ Einige Monate später erhielt ich eine ziemlich formlose E-Mail mit der Einladung zu einem Gespräch über eine Professur an der Tongji-Universität in Shanghai. Eine Recherche ergab, dass diese Universität tatsächlich existiert. Anfang des 20. Jahrhunderts von deutschen Medizinern gegründet, zählt sie heute mit etwa 38.000 Studierenden vor allem der Architektur, Stadtplanung und Wirtschaftswissenschaften zu den Elite-Universitäten Chinas und belegt auch in internationalen Rankings gute Plätze. Es folgten Video-Telefonate mit sehr gut Deutsch sprechenden Assistenzprofessoren, in denen es vor allem um praktische Dinge wie Kranken- und Rentenversicherung, Gehalt, Wohnung und weniger um Aufgaben, Themen oder Lehrverpflichtungen ging. Einen akademischen Lebenslauf und einige Schriften habe ich zur Begutachtung nach Shanghai geschickt, aber die eigentliche Entscheidung wurde in einem Café in Stuttgart gefällt, wo ich mich im Sommer 2015 mit dem Dekan der philosophischen Fakultät traf. An einem denkwürdigen Nachmittag bei drei Bieren und sehr vielen Zigaretten (ich nahm etwa jede zweite an) erläuterte Professur Sun seine Strategie für die Entwicklung der Philosophie an der Tongji und in China und wir kamen zu dem Eindruck, dass ich in diesem Plan eine passende Rolle spielen könnte. Meine Frau hielt das ebenfalls für eine gute Idee, also akzeptierte ich den Ruf an die Tongji Universität in Shanghai, um als Vize-Direktor der Akademie für Europäische Kulturen chinesische Studentinnen und Studenten mit westlicher Philosophie bekannt zu machen. Wir lösten unseren Haushalt in Deutschland auf und zogen in die Volksrepublik China. In der ersten Zeit erschien mir vieles fremd und undurchsichtig, aber schon nach wenigen Monaten hielt ich mich für einen China-Experten. Nach etwa einem Jahr begriff ich, dass ich im Grunde überhaupt nicht verstehe, wie dieses Land funktioniert und wie die Leute dort ticken – und dabei blieb es dann. Dabei sind zunächst vor allem die Gemeinsamkeiten mit den modernen Industrieund Dienstleistungsnationen des Westens in den chinesischen Metropolen besonders auffällig. Die Vollzüge des Alltags, insbesondere der private Zahlungsverkehr oder die Berührungen mit der Verwaltung folgen – wie stets im Ausland – teilweise anderen Üblichkeiten, aber sie sind von ähnlicher rationaler Effizienz. Selbst Spenden an Bettler, die man selten und vor allem in touristischeren Gegenden sieht, kann man direkt mit dem Mobiltelefon überweisen. Verglichen mit Shanghai wirken Berlin oder New York auf geradezu charmante Weise altmodisch. Wenn man mit dem Westen eine innovative Architektur, hektisches Treiben, klimatisierte Shopping-Center, Konsumgüter aus aller Welt und ein hocheffizientes Transportwesen verbindet, dann ist Shanghai westlicher als jede mir bekannten Stadt in Europa oder Nordamerika. Während westliche Kreativarbeiter in den antiken Weisheitslehren des Ostens nach Sinn und Besinnung suchen, ist man in China energisch mit einem dynamischen Umbau geradezu aller Lebensbereiche beschäftigt. Was Hartmut Rosa mit Blick auf die westliche Spätmoderne beschrieben hat, zeigt sich auch in einer Diagnose, die der Ethnologe Xiang Biao der chinesischen Gegenwart stellt. »Alles, wofür sie im Hier und Jetzt arbeiten, dient einem künftigen Ziel, aber ob dieses Ziel erreicht werden kann, ist völlig unklar. Das Wesen des Tuns ist nicht das Streben nach der Zukunft, sondern die 1 Verneinung der Gegenwart.«1 Die größte Gemeinsamkeit zwischen Ost und West scheint derzeit die rast- und ziellose Beschleunigung fortgesetzter Innovation und Profitmaximierung zu sein. Die Tongji ist eine moderne Campus-Universität, die noch in den 1990ern am Stadtrand, inzwischen aber inmitten der ständig wachsenden Metropole gelegen ist. Wir haben eine kleine Wohnung in einer chinesischen Nachbarschaft gefunden, nur wenige Minuten zu Fuß vom Gebäude der philosophischen Fakultät entfernt. Mit etwa 40 Dozierenden ist das Institut für Philosophie nach deutschen Standards riesig, aber im chinesischen Vergleich eher von mittlerer Größe. Die Mehrheit der Professoren ist mit chinesischer Philosophie beschäftigt, während sich eine etwas kleinere Hälfte mit westlicher Philosophie befasst. Einen großen Teil meiner Kolleginnen und Kollegen habe ich im Laufe der drei Jahre allerdings kaum oder gar nicht kennengelernt. An den Institutsversammlungen zu Beginn des Semesters nahm ich pflichtschuldig teil, obwohl ich aufgrund fehlender Chinesisch-Kenntnisse natürlich nichts verstand. Ohnehin wurden nach meinem Eindruck wie schon bei meinem etwas ungewöhnlichen Rekrutierungsverfahren die wichtigen hochschulpolitischen Entscheidungen im kleineren Kreis bei anderen Gelegenheiten getroffen. Der Dekan, ein charismatischer, humorvoller und begeisternder Heidegger-Forscher, war sehr beschäftigt, wir trafen uns selten. Die wichtigsten Bezugspersonen waren ein weiterer deutscher Kollege, der chinesische Philosophie und Teekultur unterrichtete, sowie vier Kollegen, die sich mit Nietzsche, Heidegger, Adorno oder Benjamin befassten und alle länger in Deutschland studiert hatten. Entsprechend verstand man unter ‚westlicher Philosophie’ vor allem das Denken der griechischen und römischen Antike sowie dann die kontinentaleuropäische Philosophie des 19. und 20. Jahrhunderts. Seit im 20. Jahrhundert die Tradition der konfuzianischen Beamtenschulen aufgegeben wurde, folgt die Organisation von Forschung und Lehre britischen und deutschen Vorbildern. CampusUniversitäten sind nach Disziplinen in Fakultäten untergliedert und bieten die weltweit gängigen Fächer und Studiengänge. Bemerkenswert ist vielleicht, dass es Institute für Cultural Industry oder für Social Engineering gibt. Die Rolle von internationalen Rankings und quantitativen Evaluationen ist massiv, wenn sie auch in der Verteilung der Mittel und Publikationsmöglichkeiten von komplexen Formen des Nepotismus unterlaufen wird. Grundsätzlich anders als im Westen funktioniert also auch das nicht. Neben den Gremien der akademischen Selbstverwaltung gibt es eine Parallelstruktur von Parteisekretären. Der Einfluss von Parteipolitik, Zensur und staatlicher Kontrolle auf die akademische Freiheit war deutlich komplexer, als ich anfangs dachte. Zunächst hatte ich die Vorstellung, dass man vermutlich wie in einem totalitären Überwachungsstaat besonders vorsichtig sein und ständig mit der Präsenz von Spitzeln rechnen müsse. Auch in meinen Seminaren gab es Kameras, aber die Kommunikation mit Studierenden und Kollegen habe ich meist als sehr offen erlebt. Fast konnte man denken, die Regierung habe Foucault gelesen und intelligentere Formen der gesellschaftlichen Disziplinierung anstelle der groben Mittel früherer Zeiten gefunden. Ich fragte auch, ob ich in der Lehre auf bestimmte Dinge zu achten habe. Tatsächlich riet man mir von regelmäßigem Insistieren auf der nationalen Unabhängigkeit Taiwans ab, aber ansonsten könne ich Liberalismus und Individualismus ebenso thematisieren wie die Universalität von Menschenrechten. Ohnehin sei ich als Ausländer kaum im Fokus der Behörden und im ungünstigsten Fall würde ich an bürokratischen Schwierigkeiten mit der Visa-Behörde merken, dass ich vielleicht in Ungnade gefallen bin. Dennoch konnte ich bereits in dem kurzen Zeitraum zwischen 2015 und 2018 wahrnehmen, wie die zentrale Kontrolle und die Einschüchterung meiner chinesischen Kollegen im Rahmen der Konsolidierung der Herrschaft von Xi Jinping zunahm. Es dauerte etwas mehr als ein Jahr, ehe ich ein erstes reguläres Seminar unterrichten konnte. Aufgrund technischer und bürokratischer Prozeduren sei das kompliziert. Die ungewöhnlich geringe Dringlichkeit an dieser Stelle hatte wohl vor allem damit zu tun, dass es genügend 1 Xifan YANG: »Was haben wir gemeinsam?« In: Die Zeit 14. Juli 2022, S. 47. 2 Lehrpersonal im Institut gab und für mein englisch- oder deutschsprachiges Angebot passende Module gefunden werden mussten. Zugleich wurde so deutlich, dass man mich nicht zur Verstärkung der Lehre an die Tongji berufen hatte. Der vermutlich wichtigste Grund war, dass für den Status als Eliteuniversität auch die Internationalität des Personals von Bedeutung war. Als ich den Vertrag unterschrieben hatte, konnte man dieses Kriterium abhaken. Zudem sollte ich durch eigenständige Publikationen das internationale Profil des Instituts schärfen und Workshops und Sommerkurse mit möglichst renommierten ausländischen Wissenschaftlern organisieren. Ebenfalls von Bedeutung war, dass man bei den großen Übersetzungs- und Editionsprojekten der Gesamtausgabe Martin Heideggers und nun vor allem auch der kompletten Studienausgabe Friedrich Nietzsches intellektuelle Unterstützung suchte. Immerhin hatte man gezielt nach einem ausgewiesenen Nietzscheforscher gesucht. Ein Journalist des deutschen Magazins Cicero fand diesen Umstand so seltsam, dass er nach Shanghai kam, um einen Bericht über meine Arbeit und die Nietzscheforschung an der Tongji zu produzieren.2 Bevor die Formalitäten für ein reguläres Seminar pro Semester überwunden werden konnten, richtete ich einen Arbeitskreis zur Lektüre und Diskussion klassischer Texte der deutschen Philosophie ein. In sehr enger Arbeit am Text lasen wir in wöchentlichen Sitzungen über zwei Semester lang das erste Hauptstück von Nietzsches Jenseits von Gut und Böse. Später widmeten wir uns einigen Passagen von Hegels Vorrede zur Phänomenologie des Geistes sowie dem Manifest der Kommunistischen Partei von Marx und Engels. Der Kurs fand auf deutsch statt, wobei die Sprachkompetenz der im Schnitt zehn Teilnehmenden sehr unterschiedlich war. Während eine philosophisch neugierige Dozentin der Germanistik und die beteiligten Assistenzprofessoren sehr gut deutsch sprachen – einer von ihnen hatte gerade die chinesische Übersetzung von Jenseits von Gut und Böse publiziert – taten sich die engagierten Studierenden und Doktoranden besonders mit der freien Diskussion schwer. Mit der Lektüre kamen wir sehr langsam voran. Es war ein close reading von der Art, wie klassische Philologen ihren Horaz gelesen haben, das auch für mich eine Vielzahl neuer Gedanken und Deutungsebenen ans Licht brachte. Faszinierend war insbesondere anhand möglicher Übersetzungen ins Chinesische das Bedeutungsspektrum von nur vorgeblich eindeutigen Begriffen zu durchleuchten. Nach dem Seminar sind wir oft gemeinsam Essen gegangen, wobei mir aufgrund der Hierarchie die durchaus anspruchsvolle Aufgabe zufiel, die Gerichte für die gemeinsame Tafel auszuwählen. Die Rechnung hat nicht selten jemand anderes heimlich übernommen, um den obligatorischen Streit an der Kasse zu vermeiden, wer diesmal zahlen dürfe. Ab meinem dritten Semester in Shanghai habe ich regulär eine Veranstaltung pro Semester auf Englisch durchgeführt. Neben einführenden Vorlesungen zur antiken griechischen Philosophie, zur Vernunftkritik und zur Wissenschaftsphilosophie habe ich Platon, Nietzsche und Kritische Theorie unterrichtet. Die Studierenden waren im Schnitt vielleicht etwas zurückhaltender und respektvoller im Umgang mit einem westlichen Dozenten als ich es aus Berlin gewohnt war, aber doch weit entfernt von dem Cliché konfuzianischer Abnickerei. Besonders imponiert hat mir, dass gelegentlich Studierende kritisch auf etwas Bezug nahmen, was ich in der vorigen Woche gesagt hatte. Bemerkenswert war auch, dass alle eine über solide Kenntnis der philosophischen und kulturellen Tradition Chinas verfügten. In Deutschland bringt die meisten Studierenden kaum noch profunde Kenntnisse etwa der christlichen Tradition mit an die Uni. Informationen etwa zu den Inhalten der Bibel erschlossen sich chinesische Studierende wie eine Fremdsprache mit lexikalischem Eifer. Man schlug halt nach, was es mit diesem Jesus auf sich hatte. Bald stellte ich fest, dass Bertrand Russels Philosophie des Abendlands allgegenwärtig als Quelle herangezogen wurde. Wegen ihrer ziemlichen Einseitigkeit ist das nicht gerade eine besonders empfehlenswerte Ressource, aber offenbar gab es seit langem eine sehr gut lesbare Übersetzung. 2 https://www.cicero.de/kultur/nietzsche-in-china-denn-ein-uebermensch-kennt-keine-trauer 3 Das Interesse an klassischer, aber auch an zeitgenössischer westlicher Philosophie in China ist enorm, und es steht in einem eklatanten Missverhältnis zum professionellen Interesse an den aktuellen chinesischen Debatten in der deutschsprachigen Philosophie. Fabian Heubel unterstreicht daher mit gutem Recht, dass es sich bei der interkulturellen Kommunikation zwischen China und dem Westen meist um einen »hochgradig asymmetrischen Dialog« handelt, »in dem Europa spricht und China zuhört, China spricht und Europa weghört«. 3 Diese Asymmetrie zugunsten des Westens entspricht noch immer der Realität, aber während im Westen das Interesse an der chinesischen Gegenwartsphilosophie wächst, kann man in China eine zunehmende Eigenständigkeit auch dort beobachten, wo eine Auseinandersetzung mit westlicher philosophischer Literatur stattfindet. Symptomatisch ist in diesem Zusammenhang das unverhältnismäßig starke Interesse an Martin Heidegger, der zu fast allen philosophischen Fragen als maßgebliche Autorität herangezogen wird. Ich glaube, dass es dafür drei Gründe gibt: Erstens hat Heidegger mehr als andere westliche Philosophen des 20. Jahrhunderts ein explizites Interesse an der chinesischen und japanischen Philosophie gezeigt. Auf diese Weise hat er sich bereits selbst in einen kulturübergreifenden Dialog begeben, auch wenn sein eigenes Denken grundsätzlich okzidental blieb. Zweitens korreliert Heideggers Faszination für den doppelbödigen und tiefsinnigen Gebrauch der Sprache mit der etymologischen Tradition und den ebenfalls assoziationsreichen Möglichkeiten des Chinesischen. Ähnlich wie bei Heideggers lässt sich auch im chinesischen Denken offenbar aus dem Bedeutungsreichtum von Worten wie ‚Lichtung’ oder ‚Holzweg’ philosophisches Kapital schlagen. Der dritte und wichtigste Grund dürfte aber sein, dass Heidegger als herausragender Denker der abendländischen Tradition zugleich eine dezidiert antiwestliche und anti-moderne Haltung einnimmt. Heidegger kann so als ambivalenter Kronzeuge für die inneren Widersprüche und Fragwürdigkeiten des Westens zugleich den Raum für chinesische Alternativen öffnen. Mit Blick auf diese latent anti-westliche Dimension möchte ich zwei Aspekte betonen, weil sie mir sowohl im akademischen Unterricht wie auch in der chinesischen Konstellation insgesamt aufgefallen sind. Zum einen ist das ein insgesamt deutlich optimistischerer Blick in die Zukunft, zum anderen ein stark ausgeprägtes Bewusstsein davon, dass China in dieser Zukunft eine zentrale Rolle spielen werde. In einem Semester las ich zur Einführung in die Geschichte und Selbstkritik des abendländischen Rationalismus die Studie Reason after its Eclipse von Martin Jay. Unter anderem wird dort Voltaires Kritik am universalen theoretischen Optimismus von Leibniz behandelt. Voltaire versteht das Erdbeben von Lissabon am 1. November 1755 als Einwand gegen die Vorstellung, dass wir in der besten aller möglichen Welten lebten und dass das Weltenganze insgesamt vernünftig eingerichtet sei. Die unsinnige und schreckliche Naturkatastrophe untergrabe, so Jay, »confidence not only in ours being the best of all possible worlds but also the faith that history was somehow progressing, even fitfully, toward that goal.« 4 Eine Studentin hielt insbesondere den zweiten, weiterreichenden Schluss für wenig überzeugend und erklärte, Erdbeben würden sicher eines Tages abgeschafft. Da sie durchaus wusste, wie Erdbeben verursacht werden, drückt sich darin eine technologische Fortschrittbegeisterung aus, die mir unter derzeit meist eher apokalyptisch gestimmten westlichen Studierenden nie begegnet ist. Während in Berlin die Letzte Generation gegen die Selbstvernichtung der Menschheit kämpft, denkt man in Shanghai daran, Erdbeben abzuschaffen. Das passt gut zu dem expertokratischen Optimismus einer Gesellschaft, die ihren Eliten eine technische Lösung im Grunde aller ökonomischen, ökologischen und sozialen Probleme zutraut. Ein starker Ausdruck der Suche nach genuin chinesischen Lösungen nicht nur im Bereich der Technik sind etwa die Beiträge zu einer konfuzianisch geprägten Weltordnung Bei einer Tagung zum wechselseitigen kulturellen Austausch zwischen Deutschland und China im Dezember 2017 3 4 Fabian Heubel: Chinesische Gegenwartsphilosophie zur Einführung. Hamburg 2016, S. 20. Martin Jay: Reason after its Eclipse. On late Critical Theory. Madison 2016, S. 80. 4 stellte beispielsweise Professor Bai Tongdong von der Fudan Universität den »Konfuzianismus als Rettung der Welt« vor.5 Nachdem das Ende der Geschichte ausgeblieben sei, zeige die Krise der westlichen Demokratien (Trumpismus, Brexit, Islamismus, Post-Democracy, etc.) die Notwendigkeit einer neuen Weltordnung. Dafür käme ein modernisierter Konfuzianismus in Betracht, so der u.a. in Boston ausgebildete Tongdong, denn der Konfuzianismus nehme seinen Ausgangspunkt nicht beim solipsistischen Individuum, sondern in der natürlich Ordnung der Familie. Legitimität von Herrschaft beruhe so letztlich darauf, dass man der Familie und dem Volk diene. ›Of the people‹ und ›for the people‹ seien damit kompatibel, aber ›by the people‹ könne ein Konfuzianer nicht akzeptieren, denn nur wenige seien befähigt zu herrschen. Im Kontext solcher Überlegungen erscheint die Kommunistische Partei Chinas als eine Art meritokratischer Organisation von neokonfuzianischen Philosophenkönigen. Vor dem Hintergrund der Krisen westlicher Demokratien inszeniert sich China in einer Weise als Alternative, die auf das Selbstverständnis des Westens zurückspiegelt. Man ist in China nicht länger gewillt, die offenkundige Asymmetrie in der transkulturellen Kommunikation zu akzeptieren. Der zentrale Grund dafür ist nicht nur ein gestiegenes Selbstbewusstsein, sondern die tief verankerte Überzeugung, dass der Westen China ohnehin nur aufgrund historischer Zufälle und roher Gewalt für eine gewisse Zeit von seiner natürlichen Stellung als Reich der Mitte verdrängen konnte. Der Erfolg des Westens hat aus chinesischer Sicht eher den Charakter einer Irritation, einer Störung der richtigen Ordnung, die man mit Verdruss und widerwilligem Respekt zur Kenntnis nimmt. Die technologische und militärische Rationalität der westlichen Usurpatoren im 19. Jahrhundert war von erdrückender Überlegenheit und die verschiedenen chinesischen Modernisierungsbewegungen des 20. Jahrhunderts haben daraus die entsprechenden Schlüsse gezogen. Die soziale Integration der Mehrheiten erfolgt nicht in erster Linie durch Einschüchterung, Social Credit Points, Zensur und Umerziehungslager, obwohl die polizeistaatlichen Maßnahmen in den letzten Jahren wieder in erdrückendem Umfang intensiviert wurden und zuletzt in die Exzesse des Corona-Lockdowns mündeten. Die zentralen Mechanismen zur sozialen Kohäsion sind vielmehr Konsum und Nationalismus. Die chinesische Regierung darf für sich reklamieren, dass Reich der Han-Chinesen wieder bedeutend, respektiert und erfolgreich, kurzum ‚great’ gemacht zu haben. Nach den Demütigungen durch Opium- und Boxerkrieg, Ungleiche Verträge, Versailles, japanische Besatzer und sowjetische Berater sehen daher nicht wenige China auf dem richtigen Weg zu seinem naturgemäßen Platz auf der Weltkarte. An substanzieller Beratung durch den Westen sieht man dabei keinen Bedarf mehr. Aufgrund eines attraktiven Angebots von der Klassik Stiftung Weimar haben meine Frau und ich Weimar nach gut drei Jahren wieder verlassen. Wir wären gerne noch eine Weile länger geblieben, um dieses bemerkenswerte Experimente aus der Nähe zu beobachten und vor allem auch, um den transkulturellen Gesprächsfaden nicht abreißen zu lassen. Wie bei Gesprächen zwischen selbstbewussten Erwachsenen üblich, ist dabei Arroganz so wenig angebracht wie Anbiederei. Aber wenn man die mit der Geschichte des Westens verbundenen Vorstellungen von individueller Freiheit, kritischer Öffentlichkeit und politischer Selbstbestimmung weiter fördern will, wird man sich weiterhin über die Geltung und Überzeugungskraft solcher Ideen austauschen müssen. Diese Werte dabei als genuin westlich zu reklamieren, ist weder hilfreich noch sachgerecht. Eine Rhetorik, die den Westen umstandslos mit dem ›Reich des Guten‹ gleichsetzt, fällt hinter das auch in der westlichen Kulturentwicklung erreichte Niveau von intellektueller Redlichkeit zurück. Stark ist der sogenannte Westen dort, wo er seine Fähigkeit zur lernfähigen Selbstkritik realisiert, ohne gleich kleinlaut zu werden. Ich hoffe, dass meine Studierenden in Shanghai etwas durch mein Wirken dort gelernt haben, ich selbst bin jedenfalls mit für mich wichtigen neuen Einsichten zurück nach Deutschland. 5 Tongdong BAI: »Konfuzianismus als Rettung der Welt. Konfuzianische Alternativen zur liberal-demokratischen Weltordnung« In: Chunchun Hu, Hendrik Lackner und Thomas Zimmer (Hg.): China-Kompetenz in Deutschland und Deutschland-Kompetenz in China. Wiesbaden 2021, S. 81-91. 5