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LA GRANDE BELLEZZA

Recensione del famoso film di Paolo Sorrentino

LA GRANDE BELLEZZA di Jacopo De Pasquale http://www.youtube.com/watch?v=cJ8O-Y2CXk8 - "Morta anche Roma?" -esclamai costernato. -"Da gran tempo, signor Meis! Ed è vano , creda, ogni sforzo per farla rivivere. Chiusa nel sogno del suo maestoso passato, non ne vuol sapere di questa vita meschina che si ostina a formicolarle intorno. Quando una città ha avuto una vita come quella di Roma, con caratteri così spiccati e particolari, non può diventare una città moderna, cioè una città come un'altra. Roma giace là, col suo gran cuore frantumato, a le spalle del Campidoglio. Son forse di Roma queste nuove case? [...] I papi ne hanno fatto - a modo loro, s'intende - un'acquasantiera; noi italiani ne abbiamo fatto, a modo nostro un portacenere. D'ogni paese siamo venuti qua a scuotere le ceneri del nostro sigaro, che è poi il simbol0 della frivolezza di questa miserrima vita nostra e dell'amaro e velenoso piacere che essa ci dà." Luigi Pirandello Il fu Mattia Pascal Dopo l'immagine tramandataci da Seneca ecco un'altra affresco della nostra Capitale. Già Pirandello, aveva compreso ciò che Sorrentino è riuscito a tramutare in immagini. "La Grande Bellezza", attraverso gli occhi del suo protagonista, ci mostra la disillusione e l'amarezza di questo frivolo mondo italico che solo a Roma può esplicarsi ed esistere al meglio. Punto di partenza del film è, sicuramente, "La Dolce Vita" di Fellini, del quale, con le dovute differenze, riprende il tema portante della umana mediocrità, incapace di uscire da un mondo squallido e decadente. Il grande regista romagnolo produce un effetto di compenetrazione unica tra azione dei personaggi ed immagini della Città Eterna, ammantando tutto con il suo pessimismo cosmico. Sorrentino invece ci strania con il forte contrasto tra la bellezza di Roma città (la fotografia è eccezionale) e lo squallore di chi la abita. Ma La Grande Bellezza non è solamente un remake aggiornato di Fellini: Sorrentino, infatti, grazie alle sue indubbie capacità registiche estrapola dalle vie, i terrazzi e le antichità alcune nuove istantanee di Roma completamente indipendenti da quelle del famoso regista riminese. Il protagonista, pur assomigliando in parte sia al Marcello Rubini della "Dolce Vita" che al Guido Anselmi di "8 e mezzo", vive di vita propria, grazie anche alla interpretazione ottima e volutamente un po' sopra le righe di Toni Servillo. Jep Gambardella, questo è il suo nome nel film, con cinismo e ironia sopravvive tra una festa e l'altra senza guizzi, accompagnandoci in un viaggio tra uomini e donne inconsistenti e superficiali . Si salvano, in questo cabaret decadente, solamente i personaggi interpretati da Verdone (lo sconfitto per antonomasia) e Sabrina Ferilli simbolo di un candore e di una semplicità ormai perduti. Intendiamoci però: Roma non è solo il fulcro dell' inconsistenza italiana. La nostra Capitale è anche grandezza, cultura e voglia di riscatto (La grande Bellezza del titolo), anche se tutto ciò non è visibile ai nostri occhi se non attraverso un buco della serratura (come quello sull'Aventino che si apre sul giardino dei cavalieri di Malta e sulla cupola di San Pietro). Jep, che si identifica con la stessa Roma, dopo un cammino interiore, nauseato dal mondo che lo circonda, decide di ripartire verso un domani denso di dubbi, ma anche di nuove speranze. Jep e Roma quindi due facce della stessa medaglia. Fin qui i lati positivi di questo film, estremamente complesso. Concordo, però, con Paolo Mereghetti (cfr. http://video.corriere.it/grande-bellezza/171f958c-c14d-11e2-9182-3948fb309202) quando afferma che il suo limite è forse proprio la sceneggiatura, troppo letteraria ed intellettuale rispetto allo squallore descrittivo delle immagini. Il rischio, è che tutto si blocchi a metà tra realtà e finzione, rendendo le due ore abbondanti di proiezione troppo difficili da digerire per i palati più semplici. La Grande Bellezza ha meritato l'Oscar? Secondo me si. Sorrentino è uno dei pochi registi italiani capace di osare, andando oltre il classico neorealismo all'italiana, regalandoci uno spaccato della crisi identitaria e culturale che attanaglia l'Italia in questi ultimi anni. Il problema è che non ha vinto il premio più ambito per questo motivo, ma per la capacità artistica espressa nella descrizione di Roma. Il recente film di Woody Allen (To Rome with Love) testimonia, a mio modo di vedere, questa inconsistenza dello spettatore americano, incapace, vista anche la sua gioventù storico-letteraria (Pirandello docet), di andare oltre le immagini, per quanto ben confezionate dal regista di Napoli. Concludendo: guardate questo film, perché vi regala un volto nuovo di una città unica ed ambigua, che solamente noi italiani abbiamo il dono e la maledizione di possedere. VOTO 8 E MEZZO