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Semestrale del Laboratorio di Etica
e Informazione Filosofica
Università di Catania
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Semestrale del Laboratorio di Etica e Informazione Filosofica - Università di Catania
Direttore
MARIA VITA ROMEO
Redazione
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Semestrale del Laboratorio di Etica
e Informazione Filosofica
Università di Catania
n. 5, gennaio-giugno 2010
Anno IV
AGORÀ
Laurence Devillairs
Considerazioni sul Dio di Descartes
5
Denis Kambouchner Descartes e il problema della fede
23
Floriana Ferro
Elementi cartesiani nell’Infinito di Levinas
45
Maria Vita Romeo
Legge e coscienza morale nelle «Provinciali»
61
Giuseppe Pezzino
Etica e politica nelle «Provinciali»
81
SPIGOLATURE
A. Giovanni Pesce
La forte fede del pensiero debole
99
Antonio Caramagno Bon ton dell’informatica o etica dell’informatica?
103
Massimo Vittorio
108
Un affascinante viaggio nel pianeta uomo
45
FLORIANA FERRO
Elementi cartesiani nell’Infinito di Levinas
I
N MOLTI TESTI LEVINAS RICONOSCE il contributo della Terza Meditazione di Descartes. Il filosofo ebreo considera l’idea di Infinito una
breccia nell’onto-teologia occidentale, capace di rinviare, come il Bene
platonico e l’Uno neoplatonico, al di là del logos umano1. Si tratta di un
rimando alla trascendenza, oltre la soggettività e le sue categorie: «pensiero dell’assoluto, senza che questo assoluto sia raggiunto come un termine,
il che avrebbe significato ancora la finalità e la finitezza»2.
Levinas svincola l’Infinito dalla rappresentazione e dal finalismo. Giocando con il francese «fin» («termine» o «scopo»), il filosofo teorizza la
possibilità, all’interno della stessa ontologia, di concepire una forma di
assoluta alterità. Il Dio di Descartes è senza fine e senza fini, irraggiungibile dallo spirito umano. A livello conoscitivo, l’Infinito deborda la rappresentazione e l’idea contiene oltre la capacità cogitante.
Eppure l’Infinito di Levinas è lontano anni luce da quello di Descartes. Non basta parlare di «inafferrabilità» ed «esteriorità», perché essi
coincidano. Levinas ne è consapevole e prende le distanze dal «linguaggio
sostanzialista»3 cartesiano. Tale espressione chiarisce diversi punti di discordanza, ma risulta insufficiente.
1 Cfr. E. Lévinas, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Milano, Jaca Book, 1983, pp. 58, 24-5, 184; Idem, Dall’ Uno all’ Altro. Trascendenza e tempo, in E. Baccarini, Lévinas. Soggettività e Infinito, Roma, Studium, 1985, pp. 115-8; Idem, Dio e la filosofia, in Di Dio che viene all’idea,
Milano, Jaca Book, 1983, pp. 85-91; Idem, La filosofia e l’idea dell’Infinito, in E. Levinas-A. Peperzak, Etica come filosofia prima, Napoli, Guerini e Associati, 1989, pp. 38-9; Idem, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Milano, Jaca Book, 1977, pp. 21-3, 46-7, 104-6.
2 Idem, Di Dio che viene all’idea, cit., Prefazione, p. 11.
3 Idem, Dio e la filosofia, cit., p. 85.
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Floriana Ferro
Si dimostrerà qui che, contro quanto afferma Levinas, l’idea cartesiana di Infinito non è una breccia nel pensiero onto-teologico, ma ne costituisce l’apoteosi. La perfezione del Dio di Descartes coincide con una
pienezza d’essere: è «inter-essata». Ciò non significa adottare l’ipotesi di
Marion, che attribuisce al cogito l’oggettivazione dell’Infinito4. Una certa
esteriorità viene infatti mantenuta, malgrado non sia radicale.
Nella Terza Meditazione, Descartes delinea l’infinità come ciò che
«qualifica» il divino: l’idea di Dio è l’idea di una sostanza infinita. Questo la differenzia dalle altre idee. Il fatto di trovarsi nel cogito e di essere
un’immagine mentale non dice nulla. Persino l’idea del freddo o quella di
una chimera sono presenti allo stesso titolo nel soggetto pensante. Ciò che
conferisce verità o falsità alle idee è il riferimento a una realtà esterna5.
L’infinità definisce la sostanza divina e rimanda oltre la finitezza del
cogito. La dimostrazione dell’esistenza di Dio si basa, dunque, sul legame
tra presenza intramentale e presenza extramentale.
[L’idea] per la quale io concepisco un Dio sovrano, eterno, infinito, immutabile, onnisciente, onnipotente e Creatore universale di tutte le cose che sono fuori
di lui; quella, dico, ha certamente in sé più realtà oggettiva di quelle da cui mi
sono rappresentate le sostanze finite.
Ora, è una cosa evidente al lume naturale, che deve esserci per lo meno tanta
realtà nella causa efficiente e totale, quanta nel suo effetto […]. E da ciò segue
non solo che il niente non potrebbe produrre nessuna cosa, ma anche che ciò
che è più perfetto, cioè che contiene in sé più realtà, non può essere una conseguenza e una dipendenza del meno perfetto6.
Nonostante l’idea di Infinito sia innata, chiara e distinta, dunque oggetto di intuizione7, la reale esistenza dell’ideatum va dimostrata. L’argo4
Cfr. J.-L. Marion, Sur le prisme métaphysique de Descartes, Paris, PUF, 1986, pp. 147-8,
243-4.
5 Cfr. AT IX, 29. Con la presente sigla ci si riferisce a R. Descartes, Œuvres, a cura di C.
Adam e P. Tannery, 12 voll., Paris, Cerf, 1897-1913. La traduzione italiana dei passi sarà mia.
Per eventuali confronti, si segnalano le seguenti raccolte: Cartesio, Opere filosofiche, a cura di E.
Garin, 4 voll., Bari, Laterza, 1986; Idem, Opere filosofiche, a cura di E. Lojacono, 2 voll., Torino,
UTET, 1994; Idem, Opere, 3 voll., a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani, 1994.
6 AT IX, 32.
7 Su Dio come «fatto della ragione», cfr. O. Dekens, L’a priori divin: l’idée de Dieu comme
fait de la raison chez Descartes, in «L’enseignement philosophique», vol. 51, n. 3, 2001, pp. 6-11;
Elementi cartesiani nell’Infinito di Levinas
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mentazione si basa su due princìpi: l’adeguazione dell’ideatum all’idea e il
nesso causale8. Per meglio delinearli, Descartes riprende alcuni concetti
dell’area scotista9.
La realtà oggettiva di un’idea non è una semplice denominazione
estrinseca (obiezioni di Caterus10), ma una presenza autentica nell’intelletto. Tale presenza, sebbene sia un minus quam rispetto alla realtà formale, non è comunque un puro nulla. Nel caso della sostanza infinita, la
realitas obiectiva è maggiore di quella delle sostanze finite. Quando la cosa rappresentata contiene la stessa realtà dell’idea, la sua causa è formale;
se è maggiore, la sua causa è eminente. Nel caso dell’infinito, l’ideatum
oltrepassa l’idea, contenuta in un intelletto finito. Il cogito può render
conto delle idee dei modi e delle sostanze finite, che gli sono pari o inferiori, ma non della sostanza infinita, che gli è superiore. La produzione
dell’idea di Dio non dipende dall’individuo umano, bensì da un essere
esterno più potente, anzi infinitamente potente.
L’Infinito è inteso come sostanza del più alto grado e causa efficiente
totale. Cosa intende invece Levinas per «Infinito»? Di certo non una sostanza.
Se la trascendenza ha un senso, essa può solo significare il fatto, per l’avvenimento dell’essere – per l’esse – per l’essenza […] – di passare all’altro dell’essere.
[…] L’essere e il non-essere si chiariscono naturalmente e sviluppano una dialettica speculativa che è una determinazione dell’essere. […] Essere o non essere
– la questione della trascendenza dunque non risiede qui. L’enunciato dell’altro
dell’essere, dell’altrimenti che essere, pretende enunciare una differenza al di là di
quella che separa l’essere dal nulla; precisamente la differenza dell’al di là, la differenza della trascendenza11.
P. Fontan, Descartes: une certaine idée de Dieu, in Le fini et l’absolu. Itinéraires métaphysiques, Paris,
Tequi, 1990, pp. 71, 80-3; P. Guenancia, Lire Descartes, Paris, Gallimard, 2000, pp. 169-70.
18 Cfr. L. J. Beck, The Metaphysics of Descartes. A Study of the Meditations, Oxford, Oxford
University Press, 1965, pp. 164-9.
19 Cfr. F. Marrone, Res e realitas in Descartes. Gli antecedenti scolastici della nozione cartesiana
di «realitas obiectiva», Lecce, Conte Editore, 2006, pp. 20, 46-7, 75, 100-200, 237-8, 274-81,
282-90, 319.
10 Cfr. AT IX, 74-5.
11 E. Lévinas, Altrimenti che essere, cit., pp. 5-6.
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Floriana Ferro
Il pensiero dell’essere (ontologia) è alienante e riduttivo. L’Infinito,
trascendenza per eccellenza, deve porsi al di là dell’essenza. Il divino non
solo va oltre la sostanza, ma non è nemmeno «presente» nel soggetto. Il
divino nel cogito è assente, passato immemoriale, traccia12.
Le differenze non finiscono qui. In Cartesio l’Infinito corrisponde al
Dio filosofico, che non contraddice in nulla il Dio delle religioni positive.
Levinas, invece, priva l’appellativo di Dio della sua accezione teologica13.
Al di là della propria matrice ebraica14, il pensatore connota l’Infinito solo in maniera filosofica, rifiutando commistioni con le religioni positive.
D’altronde, identificare l’Infinito con il Dio del monoteismo significherebbe ancorarlo all’essere e alla presenza, nell’onto-teologia e nella storia.
Il filosofo preferisce parlare dell’Infinito in quanto Altro. Ma anche
qui i problemi non mancano. Dagli scritti degli anni Cinquanta sino a
Totalità e Infinito, l’Altro metafisico e l’altro uomo si identificano, oppure si oscilla ambiguamente tra i due poli: il rapporto con l’Infinito diviene
il «rapporto sociale»15. Da Altrimenti che essere in poi, Levinas distingue
l’altro metafisico (o Altrui) dall’altro uomo, indicando il primo con la
maiuscola, il secondo con la minuscola. Lo stesso accade con l’io. Il volto
perde addirittura il maiuscolo, diventando manifestazione fenomenologica dell’altro uomo. L’Infinito va dunque al di là del volto e, come trascendenza assoluta, si esprime nella comunicazione autentica, nel Dire16.
Assistiamo alla costituzione di due poli: uno dell’alterità e uno della trascendenza (Rolland)17.
12 Cfr. ivi, pp. 110-8; Idem, Dall’ Uno all’Altro. Trascendenza e tempo, cit., pp. 122-3; Idem,
La traccia dell’Altro, cit., pp. 107-12.
13 Cfr. Idem, Altrimenti che essere, pp. 15, 128-31, 153-4, 220; Idem, Dio e l’onto-teologia, in
Dio, la morte e il tempo, Milano, Jaca Book, 1996, pp. 286-7; Idem, Dio e la filosofia, cit., p. 78;
Idem, Ermeneutica e al di là, in op. cit., p. 132.
14 Cfr. E. Baccarini, Lévinas. Soggettività e Infinito, cit., Introduzione, pp. 81-3; C. Chalier,
La trace de l’Infini. Emmanuel Levinas et la source hébraïque, Paris, Cerf, 2002, pp. 68-73; A. Peperzak, Introduzione ad Altrimenti che essere, in E. Levinas-A. Peperzak, Etica come filosofia
prima, cit., p. 130; Idem, Esperienza ebraica e filosofia, in op. cit., pp. 150-3.
15 E. Lévinas, La filosofia e l’idea dell’Infinito, cit., p. 39.
16 Cfr. Idem, Altrimenti che essere, cit., pp. 57-65, 180-4, 191-6; Idem, Pensare Dio a partire
dall’etica, in Dio, la morte e il tempo, cit., p. 192; Idem, La soggettività come anarchia, in op. cit.,
pp. 236.
17 Cfr. J. Rolland, Parcours de l’autrement, Paris, PUF, 2000, pp. 35-40, 95-6, 111-9.
Elementi cartesiani nell’Infinito di Levinas
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Gli sviluppi del tardo pensiero di Levinas distinguono dunque l’altro
dall’assolutamente Altro. Il Dio levinassiano è sia nell’io che nell’altro
(«idea dell’Infinito in noi»18, «Egli al fondo del Tu»19) e in entrambi risulta
inafferrabile, “come se […] l’in dell’Infinito significasse ad un tempo il non
e il dentro”20. A differenza del Dio cartesiano, l’Infinito di Levinas non è il
principio primo della teoresi e della religione. È puramente filosofico, al di
fuori dell’onto-teologia, delle religioni positive e della teologia negativa.
Le due concezioni dell’Infinito risultano ancor più divergenti nell’analisi dei particolari, dei cosiddetti «attributi di Dio»21. Cartesio definisce l’Infinito con delle qualità che, a differenza dei modi, ineriscono alla
sostanza non accidentalmente, ma necessariamente. Dio è un prisma dalle diverse facce: ognuna rappresenta l’intero, è inscindibile dalle altre e
possiede la medesima dignità ontologica.
Con il nome di Dio intendo una sostanza infinita, eterna, immutabile, indipendente, onnisciente, onnipotente, e dalla quale io stesso, e tutte le altre cose che
sono (se è vero che ve ne sono di esistenti), sono state create e prodotte 22.
Se, agli appellativi qui presenti, aggiungiamo gli altri esposti nella
Terza Meditazione, Dio è anche «sovrano», «semplice» e «perfetto» 23. Si
può dire lo stesso dell’Infinito di Levinas?
1) Si inizierà qui dall’eternità e dall’immutabilità. Il tempo, nel pensiero greco, è legato al movimento. La filosofia cristiana riprende l’«immagine mobile dell’eternità»24 e ne attribuisce la nascita a Dio. Prima della creazione non esistono né tempo, né movimento. Il divino è causa di
entrambi: li fa nascere insieme al mondo. La natura trascendente di Dio
gli consente, inoltre, di operare senza commistioni con l’operato. Mentre
il mondo si muove nel tempo, Dio non si muove e non muta, all’interno
E. Lévinas, Totalità e Infinito, cit., p. 77.
Idem, Dio e la filosofia, cit., p. 92.
20 Ivi, p. 86.
21 Essenziale è il contributo di Laurence Devillairs. Descartes et la connaissance de Dieu (Paris,
Vrin, 2004) è la prima trattazione esaustiva degli attributi del Dio cartesiano.
22 AT IX, 35-6.
23 Cfr. AT IX, 31-2, 38.
24 Platone, Timeo, 37d.
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di un’altra dimensione, quella dell’eternità. È una permanenza nell’essere
e nell’atto (nella sostanza divina atto e potenza coincidono). Dio è in atto
sempre e per sempre.
Levinas non parla mai dell’Infinito come mobile o immobile, mentre
esprime delle posizioni sull’eternità. Il filosofo si schiera, in generale, contro una collocazione del divino nel presente: l’Infinito non risiede nella
sin-cronia dell’esistenza, ma nella dia-cronia di un passato immemoriale.
Negli scritti degli anni Cinquanta e Sessanta, Levinas fa coincidere l’eternità con tale diacronia, definendola «passato assoluto»25. Nelle opere successive la rifiuta, attribuendola a una visione sostanzialista del tempo 26.
La dimensione privilegiata dell’etica è dunque il passato, sebbene non sia
da escludere l’avvenire, che richiama profeticamente all’azione e alla responsabilità per altri27. La temporalità dell’Infinito levinassiano si oppone
così all’eterno presente di Cartesio.
2) L’onnipotenza e l’onniscienza del Dio cartesiano sono legate a uno
statuto puramente ontologico. La prima ha radici aristoteliche e coincide
con l’autoconoscenza28. Ad essa si aggiungono elementi della filosofia tardo-antica e medievale, secondo cui, prima di creare gli enti finiti, Dio
presenta in sé le loro idee 29. La conoscenza divina è totale, in quanto
comprende le sostanze finite e la sostanza infinita (sé stesso).
L’onnipotenza proviene invece dal cristianesimo. Si tratta di un attributo dai diversi aspetti, tra cui quello volontaristico («Egli opera tutto ciò
che vuole»30). Descartes predilige l’autocausazione, ovvero la capacità di
esistere e di conservarsi nel tempo31.
E. Lévinas, La traccia dell’Altro, cit., p. 113.
Cfr. Idem, Dall’Uno all’Altro. Trascendenza e tempo, cit., p. 123.
27 Cfr. ivi, pp. 140-5. Per l’etica diacronica, cfr. Idem, Altrimenti che essere, cit., pp. 13-7,
97-100, 110-8, 123-37, 152-7, 175-8, 200-3; Idem, Humanisme de l’autre homme, Montpellier,
Fata Morgana, 1972, pp. 69-82; Idem, Fuori dall’esperienza: l’idea cartesiana di infinito, in E. Lévinas, Dio, la morte e il tempo, cit., p. 287. Alcuni studiosi collocano la produzione dell’Infinito levinassiano nella stessa dimensione cartesiana. Cfr. E. Baccarini, Lévinas. Soggettività e Infinito, cit.,
p. 172; e B. Forthomme, Une philosophie de la transcendance. La métaphysique d’Emmanuel Lévinas, Paris, Vrin, 1979, pp. 203-4.
28 Aristotele, Metafisica, § 9, 1074b35.
29 È una teoria presente in numerosi autori, a partire da Ps. Dionigi, De Divina Natura, 11, 35.
30 Salmi 115, 3.
31 Cfr. AT IX, 86.
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Elementi cartesiani nell’Infinito di Levinas
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Nei suoi testi filosofici, Levinas non parla mai di un Dio che sa tutto,
né che possiede una potenza infinita. Tali attributi ineriscono ad aspetti
sostanziali e quantitativi. In Levinas il divario tra finito e infinito è soltanto qualitativo. La trascendenza divina è irriducibile all’immanenza del
soggetto e inafferrabile teoreticamente.
La sua connotazione è puramente etica32. L’Infinito è il Desiderabile
per eccellenza, radicale alterità presente in me e nell’altro uomo: esorta a
frenare la mia potenza nei confronti di quest’ultimo, debole e indesiderabile, e a non assorbirlo con una conoscenza alienante. Dio è dunque l’intangibile e l’inafferrabile, fonte anarchica della morale.
3) Se i primi quattro attributi del Dio cartesiano non appartengono
all’Infinito di Levinas, la situazione muta nel caso della creazione. In entrambi gli autori, la divinità è creatrice e l’individuo creatura. La creazione ex nihilo implica la separazione tra umano e divino, dunque l’esteriorità33. A completare il quadro, si aggiunge una «traccia della creazione»,
presente nel finito e rinviante all’infinito.
E certo non si deve trovare strano che Dio, creandomi, abbia messo in me questa idea, perché fosse come il marchio dell’operaio impresso sulla sua opera; e
non è neppure necessario che questo marchio sia qualcosa di diverso da questa
stessa opera. Ma dal solo fatto che Dio mi ha creato, è assai credibile che mi abbia in qualche modo prodotto a sua immagine e somiglianza, e che io concepisca questa rassomiglianza (nella quale l’idea di Dio si trova contenuta) tramite
la stessa facoltà con cui concepisco me stesso34.
La capacità creatrice divina viene affermata in entrambi i pensatori,
ma non è esente da differenze. In Cartesio va di pari passo con l’onnipotenza e l’eternità: Dio, non soggetto a degradazione e permanente nell’essere, fa sorgere la creatura dal nulla e ne mantiene l’esistenza (teoria della
creazione continua)35. E, mentre il Dio di Cartesio riafferma eternamente
la sua presenza, quello di Levinas crea una volta sola.
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35
Cfr. E. Lévinas, Totalità e Infinito, cit., p. 48.
Cfr. ivi, pp. 105-6.
AT IX, 41.
Cfr. AT IX, 38-40.
52
Floriana Ferro
È questo il senso della traccia: assenza e alterità assoluta. Non c’è alcuna somiglianza tra Dio e l’uomo. Malgrado ciò, la traccia implica
un’affinità inscindibile tra il soggetto e l’altro, in virtù dell’irriducibilità e
dell’esteriorità che entrambi hanno in se stessi. È una trascendenza radicale, fonte dell’imperativo etico: esorta l’io a donarsi e indica l’altro come
destinatario.
4) Legati alla potenza creatrice sono altre due qualità, l’indipendenza
e la sovranità. Nonostante alcune discordanze, entrambi i pensatori le attribuiscono all’Infinito. L’indipendenza, per Cartesio, appartiene soltanto
al divino36 e consiste nella capacità di creare e di sussistere. L’uomo non
possiede nessuna delle due, quindi dipende da Dio.
Levinas ha una concezione indipendente dell’Infinito, ma non costringe l’individuo a una dipendenza radicale.
La creatura è un’esistenza che, certamente, dipende da un Altro ma non come
una parte che se ne separa. La creazione ex nihilo rompe il sistema, pone un essere al di fuori di qualsiasi sistema, cioè là dove la sua libertà è possibile. La
creazione lascia alla creatura una traccia di dipendenza, ma di una dipendenza
senza simili: l’essere dipendente trae da questa dipendenza eccezionale, da questa relazione, la sua indipendenza stessa, la sua esteriorità al sistema37.
Ritorna qui il concetto di traccia, stavolta come dipendenza pre-originaria, sui generis, in grado di condurre l’io all’indipendenza. In Totalità e
Infinito, il soggetto può sussistere senza Dio. Una volta venuto fuori dal
c’è, dall’esistenza anonima, possiede la pienezza di sé. Solo così diviene
sensibile alla chiamata etica38. In Altrimenti che essere, di contro, la condizione umana è sempre minata dall’ossessione per l’altro 39. In entrambi i
casi, Levinas teorizza comunque una certa autosufficienza dell’io, necessa36 Cfr. ivi. Sull’indipendenza del Dio cartesiano, cfr. M. Kowalska, Descartes et Sartre: le paradoxe du cogito, in AA. VV., L’esprit cartésien. Actes du quatrième centenaire de la naissance de Descartes, éd. par B. Bourgeois et J. Havet, Paris, Vrin, 2000, pp. 606-9; J.-L. Chédin, La condition
subjective. Le sujet entre crise et renouveau, Paris, Vrin, 1997, pp. 89-92; L. Devillairs, Descartes et
la connaissance de Dieu, cit., pp. 62-4.
37 E. Lévinas, Totaliltà e Infinito, cit., p. 106.
38 Cfr. ivi, pp. 110-21, 140-3.
39 Cfr. Idem, Altrimenti che essere, cit., pp. 81, 90-9, 102.
Elementi cartesiani nell’Infinito di Levinas
53
ria alla donazione. Il soggetto avverte un senso di colpa pre-originario,
sentendosi in debito per una violenza mai commessa. Deve spogliarsi della propria pelle, diventare esteriore, respirare venendo incontro all’indigente. Nonostante i princìpi etici abbiano un riferimento trascendente
(eteronomia), l’io è responsabile di sé 40.
In Levinas, l’indipendenza concerne sia l’infinito sia il finito. Riguardo al primo, egli concorda con Descartes, che si difende da chi considera
l’infinità un’estensione delle qualità umane 41. Tuttavia, e qui Levinas si
allontana, il soggetto non ha alcun bisogno di Dio, né per sussistere, né
per agire. Descartes, invece, è sostenitore di una dipendenza radicale del
finito dall’infinito.
La sovranità del Dio cartesiano è connessa all’onnipotenza e alla capacità creatrice: l’Essere supremo è sovrano, poiché crea dal nulla e mantiene le creature nell’essere. La sovranità possiede due ulteriori aspetti, uno
teoretico e uno etico. Dio è garante della conoscenza umana: pone nell’individuo idee vere e strumenti adeguati. Gli errori derivano dal superamento che la volontà (infinita) attua nei confronti dell’intelletto (finito)42. Oltre a ciò, Dio è sovrano dell’etica in quanto Sommo Bene, destinatario ultimo dell’amore umano 43, della morale e della religione.
In Levinas la situazione è diversa. A causa della sua radicale esteriorità, l’Infinito non regge il mondo: sarebbe contraddittorio ritenerlo garante dell’essere e al di là dell’essere. L’ordine dell’essere, basato sull’analogia,
è fonte di conflittualità violenta per gli individui 44. Levinas rifiuta dunque la sovranità teoretica e la reggenza del mondo, tipiche di un Dio ontologicamente supremo. Condivide solo la sovranità etica, ponendola, diversamente da Descartes, su un piano superiore alla teoresi.
5) Parlare di «semplicità» significa, per entrambi i pensatori, parlare
di «unità». In Descartes si tratta di non-composizione: Dio è sostanza infinita, unica e superiore alle sostanze finite 45. Persino l’idea con la quale ci
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Cfr. ivi, pp. 62-71, 80-1, 98-111, 134-50, 223-5.
Cfr. AT IX, 97-8, 105-10, 145-7; VII, 286-8, 296-7, 366-9.
Cfr. AT VI, 37-9; IX, 45-9; IV, 332-3.
Cfr. AT IV, 607-11.
Cfr. E. Lévinas, Altrimenti che essere, cit., pp. 6-7.
Cfr. AT IX, 31-3.
54
Floriana Ferro
rappresentiamo l’Infinito, soggetta ai limiti umani, riguarda un essere
concepito per intero. Dio può essere, dunque, «colto» o «intuito». I confini intellettivi ne impediscono, tuttavia, una conoscenza completa. Si
spiega così la differenza tra intelligere e comprehendere.
Sull’idea dell’infinito, avvertirò soltanto […] che ripugna, se comprendo [comprehendo] qualcosa, che ciò che comprendo sia infinito; l’idea dell’infinito, per
essere vera, non deve in nessun modo essere compresa, poiché l’incomprensibilità stessa è contenuta nella ragione formale di infinito. E nondimeno, è
manifesto che l’idea che abbiamo dell’infinito non rappresenta solo una delle
sue parti, ma tutto l’infinito, nel modo in cui dev’essere rappresentato da
un’idea umana […] In effetti, come basta concepire [intelligere] una figura contenuta in tre linee, per avere l’idea di tutto il triangolo, così basta concepire una
cosa non compresa in nessun limite, perché si abbia un’idea vera e intera di tutto l’infinito46.
L’idea dell’Infinito è vera e intera. D’altronde non vi è alternativa:
una sostanza semplice può essere appresa solo rispettandone l’unicità. Ad
impedirne la comprensione sono i limiti umani, incapaci di conoscerne
gli infiniti particolari nella loro infinita estensione.
Anche Levinas concepisce l’Infinito come unico, ma tale unicità non
è concettualizzabile. Essa rimanda al comandamento etico, all’immediatezza della dimensione anarchica. E, come accade per la questione dell’indipendenza, le differenze con Descartes si situano nel rapporto con l’essere umano. Secondo l’autore delle Meditazioni, l’individuo non è sostanza
semplice, ma è composto da pensiero ed estensione 47. In Levinas, invece,
il soggetto è assolutamente unico, nel senso sia dell’unità sia dell’unicità.
La dimensione sensibile va di pari passo con quella interiore, pur essendone ontologicamente separata48.
La dimensione interiore si denuclea e diviene tutt’uno con quella corporea: spogliarsi della propria pelle diviene dono della sensibilità all’altro.
L’etica colma lo scarto tra la semplicità di Dio e la complessità psico-fisica dell’uomo.
46
47
48
AT VII 367-8.
Cfr. AT IX, 70-2; VI, 33-7.
Cfr. E. Lévinas, Altrimenti che essere, cit., pp. 177-8.
Elementi cartesiani nell’Infinito di Levinas
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6) La perfezione è la qualificazione più esatta dell’Infinito cartesiano. A
differenza degli altri attributi, non rimanda all’infinità, né caratterizza un
suo aspetto. È bene dire, piuttosto, che perfezione e infinità coincidono.
[Dio, l’idea del quale è in me,] possiede tutte quelle alte perfezioni, di cui il nostro spirito può ben avere qualche idea, senza pertanto comprenderle tutte, […]
non è soggetto ad alcun difetto e […] non ha nessuna di tutte quelle cose che
indicano qualche imperfezione 49.
La dimostrazione dell’esistenza di
Dio va di pari passo con la definizione
di assoluta perfezione. Nei testi cartesiani, il termine «perfetto» si incontra
più spesso del termine «infinito». Sulla
rilevanza di tale attributo concordano
parecchi studiosi50. E il legame tra
perfezione e infinità ha conseguenze
ben note.
Innanzitutto vi è la distinzione tra
infinito e indefinito. L’universo è indefinito, poiché i suoi limiti spaziotemporali non sono rintracciabili dall’uomo. L’infinito, invece, non è spazializzabile, né temporalizzabile 51. Lo
spazio appartiene all’estensione, il
tempo inizia con la creazione. L’illimi-
Emmanuel Lévinas
AT IX, 41.
Cfr. I. Agostini, Ne quidem ratione. Infinità ed unità di Dio in Descartes, Lecce, Conte
Editore, 2003, pp. 63-6; V. Carraud, Causa sive ratio. La raison de la cause de Suarez à Leibniz,
Paris, PUF, 2002, p. 187; E. Curley, Descartes aginst the skeptics, Oxford, Basil Blackwell, 1978,
p. 129; L. Devillairs, Descartes et la connaissance de Dieu, cit., pp. 134, 150-3; A. Kenny, Descartes: a study of his philosophy, New York, Random House, 1968, p. 134; R. Lefèvre, La bataille du
«cogito», Paris, PUF, 1960, p. 205; G. Simon, Les vérités éternelles de Descartes, évidences ontologiques, in Studia Cartesiana 2, Amsterdam, Quadratures, 1981, p. 129, n. 18; N. K. Smith, New
Studies in the Philosophy of Descartes, London, Macmillan, 1952, p. 298
51 AT IX, 89-90. Cfr. inoltre N. Kendrick, Uniqueness in Descartes’ “infinite” and “indefinite”, in «History of Philosophy Quarterly», n. 15, 1998, pp. 31-3.
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Floriana Ferro
tatezza di Dio non indica mancanza di coordinate spazio-temporali, bensì
massima potenza, sapienza e amore. Mentre l’indefinitezza è una caratteristica relativa, l’infinità è assoluta, e l’assolutezza (forma passiva di absolvo, «sciogliere da») si predica solo di un essere perfetto.
Bisogna poi considerare la priorità dell’infinito sul finito. Descartes
ribalta una frequente obiezione, secondo cui l’Infinito nasce da un’estensione indefinita delle qualità umane: è vero piuttosto il contrario, cioè
che il finito nasce da una limitazione dell’infinito. Nonostante la consapevolezza primaria sia l’esistenza del cogito, a livello logico e ontologico
essa viene dopo l’esistenza di Dio. La nozione dell’infinito precede, dunque, quella del finito 52.
Gli argomenti cartesiani vertono sulla perfezione della sostanza divina
e sul legame tra presenza intramentale e presenza extramentale. Che la
prima implichi la seconda è possibile solo in un caso: se il contenuto dell’idea supera l’idea stessa, in maniera non formale, bensì eminente. La sostanza infinita oltrepassa, come ideatum, la capacità di un intelletto finito,
perché possiede un maggior grado di perfezione, cioè d’essere. E tale grado è il più elevato in assoluto.
Il Dio cartesiano è infinito in quanto perfetto ed è perfetto in rapporto all’imperfetto, cioè al finito. Il finito possiede meno realtà dell’infinito.
La differenza tra i due, quindi, è quantitativa.
Ben diversa è la questione in Levinas. In Totalità e Infinito, egli attribuisce a Dio l’appellativo di «Perfetto»53, ma usa tale termine raramente.
D’altronde, la perfezione mal si adatta alla concezione levinassiana del divino. In Descartes coincide con la massima quantità d’essere, mentre Levinas rifiuta ogni sostanzialismo. Ciò si ripercuote nella relazione con il
finito. La conoscenza divina è impossibile non per i limiti intellettivi dell’uomo, ma per l’ineffabilità della trascendenza54. L’Infinito può essere
accolto, per giunta solo eticamente, mai appreso teoreticamente. Ci troviamo di fronte a due termini incommensurabili. Parlare di «perfetto» e
«imperfetto» prevede, invece, una certa commensurabilità.
52
53
54
Cfr. AT IX, 36.
E. Lévinas, Totalità e Infinito, cit. p. 85.
Cfr. ivi, pp. 76-7.
Elementi cartesiani nell’Infinito di Levinas
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Sia in Descartes che in Levinas, il divino è trascendente e l’infinità è
irriducibile all’io. In entrambi i pensatori vi è poi il rifiuto di qualunque
teologia negativa. L’esteriorità dell’Infinito si connota, dunque, come positività.
Descartes ritiene di poter parlare negativamente dell’infinito come
non-finito, ma solo da un punto di vista logico. Dio, ovvero la «cosa infinita», è da intendere in positivo, come ente perfetto e sempre in atto.
L’idea di infinito è, altresì, chiara e distinta. L’impossibilità di conoscerne
pienamente il contenuto non ne intacca la validità gnoseologica55.
Il valore positivo dell’infinito viene messo in luce anche da Levinas.
L’idea dell’infinito è dunque la sola che permette di conoscere quel che si ignora. Essa è stata messa in noi. […] L’esperienza, l’idea dell’infinito, ha luogo nel
rapporto con Altri. L’idea dell’infinito è il rapporto sociale.
Questo rapporto consiste nell’avvicinare un essere assolutamente esteriore. L’infinito di questo essere, che proprio perciò nessuno può contenere, ne garantisce
e costituisce l’esteriorità56.
«Conoscere quel che si ignora»: a primo impatto queste parole stridono con gli sviluppi levinassiani della maturità. Eppure non esiste un vero
e proprio contrasto. Il termine «conoscere», sostituito in Totalità e Infinito con «pensare», indica il rimando dell’intelletto al suo contenuto, in virtù dell’esteriorità di quest’ultimo. Subito dopo, infatti, si parla dell’idea
dell’infinito come rapporto sociale, come rinvio al divino nell’altro. Non
si tratta di una relazione soggetto-oggetto, ma di un’epifania etica.
Si parla di positività, non di veridicità dell’Infinito: se la sua idea fosse
vera, implicherebbe una relazione teoretica con l’esteriorità. Levinas evita,
dunque, la chiarezza e la distinzione di Descartes. La relazione tra idea e
ideatum non può nemmeno paragonarsi a quella tra atto mentale e oggetto. Nell’autore delle Meditazioni, il problema concerne la figurazione dell’oggetto, la sua resa come immagine. Levinas considera la rappresentazione un atto riduttivo nei confronti dell’Altro, una sua costrizione alle
categorie dell’Identico.
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Cfr. AT IX, 90.
E. Lévinas, La filosofia e l’idea dell’Infinito, cit., pp. 39-40.
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Resta da precisare, adesso, in che senso l’idea di Infinito contenga più
di quanto non contiene. In Descartes bisogna riportare tutto all’uso ambiguo del termine «idea», che oscilla tra un’affezione della coscienza (modus cogitationis) e ciò che la mente apprende. In entrambi i casi essa, che
è «idea di», non coincide con il suo contenuto interno57. Si ritiene, inoltre, che l’idea possa essere considerata da un terzo punto di vista, come
semplice rimando all’oggetto esterno. Se intendiamo l’idea dell’Infinito
nella prima accezione, ovvero come «modificazione contenente», essa è
«limitante», poiché dà un’immagine inadeguata del contenuto. Nel secondo significato, quello di «contenuto esterno», essa è «limitata» dalla
manchevolezza dell’intelletto. Se consideriamo l’ultima accezione, ovvero
il «rimando», essa è «adeguata», poiché fornisce la rappresentazione migliore possibile a un intelletto finito.
Descartes lo dimostra nella prima prova della Terza Meditazione. Qui
la realitas obiectiva di una sostanza infinita si riferisce necessariamente a
un esse extra intellectum. Dalla veridicità dell’idea dipende la possibilità di
una conoscenza autentica, seppur incompleta. D’altronde Dio può essere
considerato sotto diversi aspetti, diversi attributi, di cui alcuni sono presenti nell’uomo e sono conoscibili, altri, se esistono, sono ignoti58. Dalla
quantità intensiva (grado) alla quantità estensiva (pluralità)59: Dio possiede il maggior numero di perfezioni possibili e al massimo grado. Non vi è
alcuna connotazione qualitativa dell’Infinito cartesiano, ricondotta sempre e comunque alla quantità.
Il rapporto idea-ideatum si configura, in Levinas, secondo un’altra
prospettiva. Non esiste alcuna rappresentazione dell’Infinito, che è in noi
come assoluta alterità. Si tratta di un’esteriorità radicale60, la cui relazione
Cfr. Beck, The Metaphysic of Descartes, cit., pp. 151-3.
AT IX, 37; VII, 368. Secondo la Devillairs si tratta degli attributi trinitari (cfr. L. Devillairs, Descartes et la connaissance de Dieu, cit., pp. 150-3).
59 Cfr. I. Agostini, Ne quidem ratione, cit., p. 63.
60 Molti studiosi considerano radicale l’alterità dell’Infinito levinassiano e non radicale quella
di Descartes. Cfr. J. Benoist, Le cogito lévinassien. Lévinas et Descartes, in AA. VV., Emmanuel Levinas, Positivité et transcendance, suivi de «Lévinas et la phénoménologie», sous la direction de J.-L.
Marion, Paris, P.U.F., 2000, pp. 105-22; R. Célis, Entre monde et infini. La condition de l’homme
moderne chez Descartes et Lévinas, in «Cahiers de l’École des sciences philosophiques et religieuses», n. 8, 1990, pp. 51-6, 63-4; D. K. Keenan, Reading Levinas Reading Descartes’ Meditations,
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col soggetto è di semplice rimando. Delle tre accezioni qui attribuite all’idea cartesiana, ne rimane solo una. Essa non è nemmeno «adeguata» o
«inadeguata», altrimenti vi sarebbe commensurabilità e i due termini sono incommensurabili. Tra il soggetto e il divino intercorre solo l’etica,
che diviene «gloria dell’Infinito».
La gloria dell’Infinito è l’identità an-archica del soggetto scovato senza possibilità di scampo, io portato alla sincerità, facendo segno ad altri – di cui e dinanzi
al quale io sono responsabile – di questa donazione stessa di segno, cioè di questa responsabilità: «eccomi». […] La gloria dell’Infinito […] rompe il segreto di
Gige, del soggetto che vede senza essere visto, senza esporsi, il segreto del soggetto interiore61.
L’Infinito irrompe nell’interiorità del soggetto e lo costringe ad esporsi. La condizione di indipendenza e autosufficienza, in cui l’io si trova
prima dell’incontro con l’altro, viene stravolta. Il soggetto si mette in discussione non per introspezione, bensì per esternazione. Il Desiderio dell’Infinito non è bisogno, ma necessità di donarsi interamente. L’ossessione per l’altro parte da un riconoscimento dell’Infinito in lui e in noi. A
questo punto non esistono più ragionamenti, ogni Detto o Logos è riduttivo. La comunicazione autentica avviene nel Dire, nella parola profetica,
nell’avvenire della responsabilità che, da un passato immemoriale, si proietta oltre il presente. Al di là dell’essere, della sostanza e della presenza.
in «Journal of the British Society for Phenomenology», vol. 29, n. 1, January 1998, pp. 67-71; J.L. Marion, Sur le prisme métaphysique de Descartes, cit., pp. 147-8, 161-3; Idem, L’altérité originaire de l’ego, in Questions cartésiennes II. Sur l’ego et sur Dieu, Paris, PUF, 1996, pp. 34-5, 44-5;
K. S. Ong-Van-Cung, Descartes a-t-il identifié le sujet et la substance dans l’ego?, in AA. VV., Descartes et la question du sujet, cit., pp. 133-46; J. Rolland, Percours de l’autrement, cit., pp. 1-2, 7-8.
Pochi ritengono che il Dio di Descartes sia esteriore come quello di Levinas. Cfr. J. Drabinski,
The Enigma of the Cartesian Infinite, in «Studia Phaenomenologica», n. 6, 2006, pp. 203-9; e M.
Edgar, On the Ambiguous Meaning of Otherness in Totality and Infinity, in «Journal of the British
Society for Phenomenology», vol. 36, n. 1, January 2005, pp. 58-9.
61 E. Lévinas, Altrimenti che essere, cit., p. 182.
Caravaggio, Santa Caterina d’Alessandria, 1598-1599 ca.,
olio su tela, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza