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Lingue senza frontiere? Confini linguistici in storie migranti

2023, Confini nelle lingue e tra le lingue. Atti del LV Congresso della Società di Linguistica Italiana (Bressanone, 8-10 settembre 2022), a cura di Silvia Dal Negro e Daniela Mereu, Milano, Officinaventuno

Il concorso DiMMi (acronimo di Diari Multimediali Migranti) raccoglie dal 2012 testimonianze autobiografiche di persone di origine o provenienza straniera che vivono o hanno vissuto in Italia. Il presente contributo mira a esplorare un corpus di tali s storie con lo scopo, da un lato, di indagare il ruolo delle lingue nel processo migratorio e nella costruzione e negoziazione identitaria e, dall’altro lato, di identificare pratiche e fenomeni plurilingui, riflettendo sulla natura stessa delle lingue e dei confini tra di esse. Per farlo è stato adottato un approccio metodologico misto e un quadro teorico interdisciplinare, che si rifà a studi sociolinguistici, sul contatto linguistico e di filosofia del linguaggio. I risultati cui si giunge delineano un panorama eterogeneo di funzioni e pratiche plurilingui, le quali evidenziano l’importanza della questione linguistica in emigrazione e supportano l’idea di un modello integrato di plurilinguismo.

DOI: 10.17469/O210XSLI000010 MARTINA BELLINZONA Lingue senza frontiere? Confini linguistici in storie migranti Il concorso DiMMi (acronimo di Diari Multimediali Migranti) raccoglie dal 2012 testimonianze autobiografiche di persone di origine o provenienza straniera che vivono o hanno vissuto in Italia. Il presente contributo mira a esplorare un corpuss di tali storie con lo scopo, da un lato, di indagare il ruolo delle lingue nel processo migratorio e nella costruzione e negoziazione identitaria e, dall’altro lato, di identificare pratiche e fenomeni plurilingui, riflettendo sulla natura stessa delle lingue e dei confini tra di esse. Per farlo è stato adottato un approccio metodologico misto e un quadro teorico interdisciplinare, che si rifà a studi sociolinguistici, sul contatto linguistico e di filosofia del linguaggio. I risultati cui si giunge delineano un panorama eterogeneo di funzioni e pratiche plurilingui, le quali evidenziano l’importanza della questione linguistica in emigrazione e supportano l’idea di un modello integrato di plurilinguismo. Parole chiave: migrazione, DiMMi, code-switching, g translanguaging, g spazio linguistico. 1. Introduzione Esplorare la questione linguistica in emigrazione è un compito complesso in quanto richiede, anzitutto, un confronto interdisciplinare. Anche solo muovendosi all’interno delle scienze del linguaggio, le funzioni e le caratteristiche delle lingue facenti parte dello spazio linguistico migrantee (Vedovelli 2011; Bellinzona in pubblicazione) sono state oggetto di studi sociolinguistici, di filosofia del linguaggio, di linguistica acquisizionale, educativa e, non ultimo, di quella migratoria. Prendendo in considerazione il contesto italiano, infatti, nel corso degli anni sono state condotte numerose ricerche volte a indagare, in primo luogo, i processi di (ri- e co-) costruzione e negoziazione dell’identità linguistica e l’importanza delle lingue nel percorso migratorio (ad esempio Calvi 2014). Per portare avanti tali analisi sono stati utiliz- 166 MARTINA BELLINZONA zati strumenti di ricerca eterogenei, ad esempio questionari, interviste, focus groups e autobiografie linguistiche, i quali presentano il grande pregio di permettere un’esplorazione approfondita dei temi linguistici stessi ma che, al contempo, hanno il limite di essere indirizzati precisamente verso lo scopo che si prefiggono. In questo senso non consentono di indagare la rilevanza della questione linguistica nella più ampia costellazione di temi reputati importanti dai migranti1. In secondo luogo, non mancano indagini focalizzate sulle caratteristiche dell’italiano (o meglio, degli italiani) di contatto di diversi gruppi o comunità linguistiche presenti sul territorio (ad esempio Vietti 2009), nonché sui modi in cui tutte le varietà dello spazio linguistico italiano (italiano stesso, lingue migranti e immigrate, dialetti locali ecc.) si manifestano all’interno di conversazioni bi- e plurilingui (ad esempio Goglia 2018). In quest’ultimo caso si tratta di studi che, quasi esclusivamente, si concentrano sulla dimensione orale, in particolare sui contesti di conversazione spontanea, non andando a toccare la dimensione del testo scritto. Ciò è legato al fatto, come spiega Baglioni (2017: 290), che la comunicazione scritta «non ha carattere immediato e prevede un livello assai più basso di interazione» ed è per questo «considerata immune da reali manifestazioni di commutazione». Scopo del presente contributo è quello di esplorare la questione linguistica in emigrazione, integrando discipline e quadri teorici diversi, al fine di approfondire aspetti finora poco esplorati nella ricerca scientifica. In particolare, le domande a cui si vuole rispondere sono le seguenti: 1. Che ruolo ricoprono le lingue nel processo migratorio e qual è il reale «peso» assegnato dai migranti alla questione linguistica all’interno dello stesso? 2. In quali contesti, per quali motivi e che funzioni hanno le pratiche plurilingui all’interno del discorso (sulla migrazione) scritto? 3. Esistono confini evidenti nei repertori e nelle identità linguistiche dei migranti e, più in generale, nelle rappresentazioni delle lingue? Per soddisfare gli obiettivi della ricerca, è stato costruito e, conseguentemente, analizzato un corpuss di 37 testimonianze di migranti (si veda Al fine di rendere più scorrevole la lettura del testo, in questo contributo si farà uso del maschile non marcato per riferirsi tanto a migranti di sesso maschile quanto femminile, cittadini e cittadine, autori e autrici, ecc. 1 LINGUE SENZA FRONTIERE? 167 § 3), raccolte tramite il concorso DiMMi. Quest’ultimo è parte dell’omonimo progetto, sostenuto dalla Regione Toscana, nato con l’obiettivo di sensibilizzare e coinvolgere i cittadini sui temi della pace, della memoria e del dialogo interculturale, e di creare un fondo speciale dei “diari migranti” presso l’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. Tramite il concorso, attivo dal 2012 e riservato a persone di origine o provenienza straniera che vivono o hanno transitato in Italia e nella Repubblica di San Marino, sono state raccolte oltre 400 storie autobiografiche (Cangi 2022). Queste si presentano in forma di diari, memorie ed epistolari, scritti (in italiano e altre lingue) o realizzati in altre modalità, come disegni, fotografie, interviste e video. Le storie DiMMi non solo raccontano l’immigrazione in Italia, e permettono di indagare la questione linguistica nel processo migratorio, ma consentono di farlo a partire dalle parole di chi emigra, e che decide di raccontarsi. Gli eventuali riferimenti alle proprie o altre lingue, dunque, sono frutto di una scelta personale di chi decide di parlare di sé in quanto migrante e non è conseguenza di una domanda diretta da parte del ricercatore. Inoltre, trattandosi di narrazioni depositate nella forma originale, non corretta o rivista (almeno ufficialmente), si ha la possibilità di esplorare le (eventuali) pratiche plurilingui presenti nei testi così come sono state prodotte, senza un’opera di mediazione condotta da terzi. L’utilizzo della dicitura “pratica plurilingue” all’interno del presente contributo è giustificata, da un lato, dalla volontà di includere sotto un termine ombrello una moltitudine sfaccettata di fenomeni legati al contatto linguistico; dall’altro lato, alla posizione (per il momento) neutrale di chi scrive all’interno del dibattito, molto acceso in campo sociolinguistico, sulle cosiddette named languages (Makoni & Pennycook 2007), e dunque sulla possibilità di analizzare la conversazione bi-plurilingue adottando il quadro del translanguagingg2 o del code-switching. g Di tale questione si tratterà brevemente nel paragrafo seguente. Specifichiamo fin da subito che ci riferiamo qui alla teoria linguistica alla base del translanguaging, g la quale è da tener ben distinta dal concetto di translanguagingg pedagogico, inteso come approccio didattico trasversale volto, anzitutto, all’inclusione, e dunque valorizzazione, di tutte le lingue dei repertori degli studenti nella pratica didattica (Carbonara & Scibetta 2020). 2 168 MARTINA BELLINZONA 2. Identità linguistica e pratiche plurilingui I contesti migratori sono, necessariamente, densi di contatti, culturali e linguistici in primis. In emigrazione i repertori linguistici degli individui subiscono continui rinnovamenti, sono in mutamento, e si manifestano in «situazioni concrete e cangianti di mescolanza e pluralità, paesaggi sonori dove parole, suoni e alfabeti si incontrano, si perdono e si contaminano» (Favaro 2020: 317). Le lingue appaiono centrali in emigrazione sia per il processo di integrazione sociale (De Fina & Bizzoni 2003), per le funzioni pragmatiche, comunicative e affettive che le lingue rivestono, sia perché sono legate indissolubilmente con il concetto di identità. La scoperta, il mantenimento o l’apprendimento di una lingua, infatti, implica, e sottende al tempo stesso ristrutturazioni anche da un punto di vista identitario (De Fina et al. 2006). È possibile vedere nel concetto di identità una realtà dinamica, plurale, legata tanto alla presentazione di sé nella società, all’interpretazione e alla definizione dei ruoli sociali (De Marco 2010), quanto all’appartenenza, simbolica e ideologica, a una categoria o a un gruppo (Antaki & Widdicombe 1998). Uno stesso individuo, in realtà, può essere (o meglio, è) portatore di identità multiple, situazionali: l’identità (anche linguistica), perciò, è un processo, è una risorsa che i parlanti sfruttano in determinati contesti, è l’esito di una costruzione discorsiva (De Fina & Bizzoni 2003). I contesti migratori incentivano il manifestarsi di «identità oscillanti» (Calvi 2014), che esprimono appartenenze multiple, e possono prendere la forma di pratiche plurilingui all’interno del discorso. L’analisi delle pratiche e dei fenomeni plurilingui, e più nello specifico di conversazioni bi-plurilingui, è uno degli ambiti maggiormente indagati all’interno degli studi sul contatto linguistico. Questi si sono focalizzati, talvolta, sulle caratteristiche linguistiche, formali e strutturali delle diverse lingue a contatto (Poplack 1980), talvolta invece sulle funzioni, sui motivi per cui individui bilingui decidono (in maniera più o meno consapevole) di usare una o un’altra lingua del proprio repertorio all’interno di una conversazione (Blom & Gumperz 1972; Auer 1984) (per una sintesi, si faccia riferimento a Adamou & Matras 2021). Si parla in questo senso di code-switching, g intendendo con ciò «alternating use of two or more “codes” within one conversational episode» (Auer 1998: 1). LINGUE SENZA FRONTIERE? 169 Ritenuto per molto tempo indice di un deficit linguistico, oggi il code-switchingg è considerato un comportamento normale, governato da proprie regole (Auer 1998; MacSwan 2017): il bilinguismo, grazie al corpus estensivo di ricerche teoriche ed empiriche condotte in questo campo, è visto come una risorsa, da valorizzare e tutelare (anche e soprattutto nella pratica didattica), ed è considerato la norma e non l’eccezione. Come suggerisce l’espressione stessa, parlare di code-switching, g e dunque di alternanza e commutazione di codici, tuttavia, presuppone l’esistenza del costrutto “codice”, “lingua”. Proprio questo concetto negli ultimi anni è stato messo in discussione da studiosi post-strutturalisti, i quali, legando teoria linguistica e storia coloniale, hanno iniziato a sostenere la necessità di una decostruzione delle “lingue”, intese come entità discrete. Come scrivono Makoni & Pennycook (2007: 2), «languages do not exist as real entities in the world and neither do they emerge from or represent real environments; they are, by contrast, the invention of social, cultural and political movements». In questa prospettiva le lingue non esistono come sistemi ontologici, ma come costruzioni ideologiche di stampo nazionalista (Pennycook 2006). I ricercatori che sostengono tali visioni ritengono inappropriato l’utilizzo del termine “lingua”, “codice” e, di conseguenza, “code-switching”, g preferendo espressioni che meglio descrivono pratiche linguistiche differenziate e ibride, come metrolingualism (Otsuji & Pennycook 2011), translingual practices (Canagarajah 2013) e, soprattutto, translanguagingg (García 2009). Il concetto di translanguagingg è sfaccettato ed è stato declinato in molte definizioni e contesti, e non è questa la sede per una disamina approfondita dello stesso (si rimanda a Carbonara & Scibetta 2020). In termini generali, è possibile affermare che il translanguagingg includa «multiple discursive practices in which multilinguals engage in order to make sense of their bilingual words» (García 2009: 45). Tale strategia discorsiva è vista come modo usuale, non marcato, di comunicare. Gli individui “plurilingui”, in altre parole, attingono a tutte le risorse linguistiche e semiotiche del proprio repertorio per esprimersi e costruire significati. Tale repertorio, a sua volta, è visto come unitario, indifferenziato internamente: non ha senso, dunque, parlare di individui bi-plurilingui o di code-switching, g in quanto quest’ultimo «constitutes a theoretical endorsement of 170 MARTINA BELLINZONA the idea that what the bilingual manipulates, however masterfully, are two separate linguistic system» (Otheguy et al. 2015: 282). Per sintetizzare, la questione qui dibattuta è se le lingue esistano o meno come sistemi con confini (mentalmente e psicologicamente) reali; se i repertori linguistici dei parlanti siano unitari o se includano al loro interno sistemi linguistici discreti o, ancora, se tali sistemi linguistici, distinti tra loro, si sovrappongano in parte in un modello di plurilinguismo integrato (si vedano anche MacSwan 2017 e Auer 2022). 3. La ricerca: corpus e metodologia Per rispondere alle domande di ricerca formulate, come anticipato, è stato costruito un corpus di 37 storie di migranti. Queste sono state selezionate tra le 45 vincitrici delle prime quattro edizioni del concorso DiMMi (2014, 2017, 2018, 2019), escludendo, da un lato, le testimonianze depositate in una lingua diversa dall’italiano e tradotte da una persona terza e, dall’altro, quelle significativamente diverse per numero di parole usate (per approfondimenti si veda Bellinzona in pubblicazione). Tra gli autori delle testimonianze del nostro corpuss vi sono 16 donne e 21 uomini, di provenienza varia ma con una preponderanza africana (n. 20) (seguono per numero quella europea (n. 9), sudamericana (n. 5) e asiatica (n. 3)). Si tratta di immigrati di prima e di seconda generazione, giunti in Italia per motivi economici, o per sfuggire a guerre, o a situazioni familiari complicate, o ancora, per frequentare l’università o per amore di una persona. Altrettanto eterogenei appaiono i motivi che li spingono a raccontarsi e a partecipare al concorso DiMMi e, di conseguenza, diversi sono i temi che vengono trattati all’interno delle narrazioni. Per poter soddisfare l’obiettivo della presente ricerca e, dunque, esplorare la questione linguistica all’interno di un panorama tanto vario di storie e retroterra linguistici e culturali è stato deciso di adottare un approccio metodologico misto (Creswell 2003). Sono state, infatti, condotte analisi sia da una prospettiva contenutistica, sia da una linguistica. In particolare, per quanto riguarda il primo approccio, i testi del corpuss sono stati analizzati, tramite il software NVivo Pro 11, in accordo con i principi della grounded theory (Charmaz 2006), integrati con quelli della qualitative content analysiss (Mayring 2000). Dopo una fase iniziale di open coding, g i nodi, ossia le categorie descrittive identificate, LINGUE SENZA FRONTIERE? 171 sono stati organizzati e sintetizzati in un processo dii focused coding: sono state, perciò, create categorie più ampie che hanno permesso una gerarchizzazione dei temi in nodi primari e secondari (treee e child nodes). I risultati di tale analisi serviranno a rispondere alla prima domanda di ricerca formulata. Per quanto riguarda il secondo approccio, invece, la ricerca è consistita nell’estrazione manuale di casi di pratiche ed elementi plurilingui3. Tale operazione è stata effettuata con l’ausilio di diverse fonti lessicografiche4. I fenomeni identificati sono stati, quindi, analizzati da diverse prospettive, portando avanti un’analisi lessicale volta a identificare le caratteristiche, i campi semantici e i contesti d’uso degli elementi plurilingui; un’analisi dell’interlingua, per esplorare transferr semantici e lessicali (Selinker 1972); e un’analisi pragmatico-funzionale per indagare i motivi e gli scopi che portano all’emergere delle pratiche plurilingui (Gumperz 1982; Zentella 1997; Auer 1998; Alfonzetti 1998). Quanto emerso da queste analisi servirà a rispondere alla seconda domanda di ricerca. Infine, il confronto e l’interpretazione organica dei risultati di entrambi gli approcci sarà alla base della discussione inerente alla terza domanda di ricerca, in accordo con il design della triangolazione (Creswell et al. 2003). Tale disegno di ricerca prevede, infatti, che i dati vengano analizzati simultaneamente con i diversi approcci e metodi scelti, in maniera indipendente gli uni dagli altri, e che la fase di integrazione dei risultati avvenga solo successivamente, ossia al momento dell’interpretazione finale. 4. Panoramica dei risultati Le analisi condotte hanno permesso di indagare in modo approfondito la questione linguistica all’interno delle storie migranti, portando all’identificazione di numerosi nodi tematici ad essa connessi, nonché all’esplorazione di pratiche e fenomeni plurilingui eterogenei e sfaccettati. Nei prossimi paragrafi verranno discussi i risultati di tali operazioni, cominciando con la disamina degli esiti dell’analisi del contenuto delle testimonianze, per passare poi a quanto emerso sul piano linguistico. Questa ricerca è stata portata avanti in collaborazione con il Dott. Salvatore Orlando dell’Università di Pisa. 4 In particolare, sono stati consultati il “Nuovo Vocabolario di base della lingua italiana”; il “Grande dizionario della lingua italiana”; il “Vocabolario della lingua italiana Treccani”. 3 172 MARTINA BELLINZONA 4.1 Ruoli e rilevanza delle lingue Con la prima domanda di ricerca ci siamo chiesti quale fosse il ruolo (o meglio i ruoli) e l’importanza assegnata alle lingue all’interno della narrazione sulla migrazione. L’analisi del contenuto delle storie DiMMi ha portato alla codifica, in 33 fonti (su 37), di 404 riferimenti (su un totale di circa 8000) inerenti alla questione linguistica (per maggiori informazioni in merito si rimanda a Bellinzona in pubblicazione). Con “fonti” si intendono le testimonianze stesse, vale a dire i testi sottoposti ad analisi; con “riferimenti”, invece, si indicano gli estratti di testo codificati all’interno di una (o più) categorie/nodi. Dall’operazione di focused coding, g e dunque di gerarchizzazione dei nodi, è emerso come la discussione sulle lingue venga coniugata essenzialmente in quattro modi: tramite rimandi all’ “apprendimento linguistico” (16 fonti – 47 riferimenti), alla “diversità linguistica” (22 fonti – 78 riferimenti), ad “aneddoti, usi e riflessioni” (23 fonti – 78 riferimenti) e, soprattutto, a valutazioni e pensieri su “ruoli e importanza delle lingue” (30 fonti – 201 riferimenti). Nella Tabella 1 sono dettagliati gli esiti quantitativi del processo di codifica di quest’ultimo nodo, sul quale concentreremo la trattazione, mentre nella Figura 1 è rappresentato lo schema che evidenzia i rapporti gerarchici tra i vari nodi secondari ad esso connessi. Tabella 1 – Nodi, fonti e riferimenti legati a “Ruoli e importanza delle lingue” Ruoli e importanza delle lingue Nodo Fonti Rif. Per la comunicazione Per la socializzazione Per le difficoltà dell’emigrazione Per l’identificazione Per l’identità Per l’integrazione Per motivi religiosi Per motivi simbolici Per motivi strumentali e di sopravvivenza Per pensare 9 8 17 9 8 15 2 8 18 2 17 13 36 23 16 29 4 12 49 2 Tot. 30 201 LINGUE SENZA FRONTIERE? 173 Figura 1 – Nodi secondari inerenti a “Ruoli e importanza delle lingue” 174 MARTINA BELLINZONA Come si può osservare, le funzioni assegnate alle diverse lingue, del repertorio e della società, sono molteplici e complesse. I singoli child nodes sono ulteriormente ramificati al loro interno, in quanto includono altri ed eterogenei nodi secondari. Tra i nodi con il maggior numero di riferimenti vi è quello inerente all’importanza della lingua per motivi strumentali, in particolare in relazione al “rapporto lingua e questioni giuridico-burocratiche” e al “rapporto lingua e lavoro”, e per ragioni di sopravvivenza. Degno di nota, in questo senso, è quanto riportato da Thierno Sadou Sow (DiMMi 2018), ragazzo della Guinea che racconta di come sia sopravvissuto nel corso del lungo viaggio attraverso l’Africa imparando varie lingue e facendo da interprete per i trafficanti. Nella sua memoria si legge, infatti (1): (1) A volte è scocciante imparare lingue e culture diverse ,ma grazie alla mia conoscenza linguistica e culturale riusci a fuggire da queste mure […] rimasi in buone condizioni per i miei ultimi mesi prima dell’imbarcazione , li aiutavo a tradurre dall’arabo alle varie lingue africane specialmente alle lingue precoloniali, francese inglese , spagnolo e in alcuni dialetti africani come il fulla del quale ero nativo, il bambara che avevo imparato in Mali ect. In cambio mi fecero imbarcare tra una delle sue barche per l’europa come ricompensa5. In altre testimonianze, invece, si trova riscontro del ruolo fondamentale delle lingue, in particolare in questo caso dell’italiano, e delle politiche (linguistiche) per questioni burocratiche, legate allo status di immigrato. Dal 2009, infatti, tra i requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno e la concessione della cittadinanza italiana è richiesto l’accertamento di competenze sociali, civiche e, soprattutto, linguistiche. Flora Muzhaqi (DiMMi 2014), una donna albanese, emigrata in Italia seguendo l’esempio di una delle figlie, riferisce le disavventure di quest’ultima, la quale (2): (2) Per la sua sfortuna perde il giorno dell’esame della lingua e rimane senza documenti cioè clandestina. Il rapporto lingua-lavoro, a sua volta, è al centro delle riflessioni degli autori DiMMi: da un lato, molti di loro spiegano come la propria pro5 Gli estratti sono riportati nella loro forma originale, così come stati depositati presso ADN, salvo per quanto riguarda l’uso del corsivo, aggiunto da noi in alcuni dei seguenti estratti per evidenziare i fenomeni linguistici oggetto di discussione. LINGUE SENZA FRONTIERE? 175 fessione sia strettamente legata alla dimensione linguistica (si tratta spesso di traduttori free-lance, mediatori linguistico-culturali o docenti di lingua); da un altro lato, dalle loro parole emerge con forza l’importanza della dimensione lavorativa per l’acquisizione di competenze linguistiche; da un altro lato ancora, tutti coloro che raccontano della vita in Italia esprimono con chiarezza il disagio e la necessità dell’apprendimento linguistico (dell’italiano in particolare) per poter trovare un lavoro e poter, così, iniziare un processo di integrazione nella società. L’integrazionee stessa e l’importanza della lingua in tal senso sono al centro di considerazioni che includono il ruolo delle lingue “come difesa nella società”, o come strumenti “per poter vivere in maniera dignitosa”, ma anche come “elemento di discriminazione”, soprattutto in relazione all’ “inserimento nel contesto scolastico”. La maggior parte dei riferimenti codificati all’interno di quest’ultimo nodo si riferisce, come facilmente immaginabile, all’inserimento nella scuola italiana e alle difficoltà riscontrate in tale contesto. Non mancano, però, casi diversi: significativo è quanto narrato da Nahida Akhter (DiMMi 2019), giovane bengalese, giunta in Italia durante l’infanzia, ma tornata in Bangladesh per alcuni anni (al termine del percorso della scuola primaria e fino alla secondaria di secondo grado). Nella sua testimonianza si trovano riferimenti alle difficoltà linguistiche incontrate nel processo di inserimento scolastico durante la sua emigrazione di ritorno. Nel testo si legge, infatti (3): (3) I miei compagni di classe non mi accettavano nel gruppo, mentre gli insegnanti c’era chi capiva la mia difficoltà linguistica e culturale e chi no e pretendeva che io facessi le stesse cose che facevano gli altri studenti e se c’erano dei giorni in cui venivo a scuola senza i compiti, mi metteva in punizione […] non capivo perchè mi punivano per una cosa di cui non avevo colpa, io ero lì, per imparare e non per essere punita solo perchè non sapevo leggere e scrivere, in bengalese. Anche se da una prospettiva diversa e in contesto italiano, un disagio simile emerge dalle parole di Madassa Traore (DiMMi, 2018), ragazzo maliano emigrato in Italia a seguito dell’omicidio del padre. Al termine del racconto del viaggio, Madassa afferma (4): (4) La mia integrazione fuori di centro cioè con gli italiani e altri stranieri, all’inizio è stata dura perché non capivo niente nella lingua italiana e poi avevo paura di parlare con le persone che non conoscevo. 176 MARTINA BELLINZONA Quest’ultima citazione si lega fortemente ad un altro dei nodi identificati, ossia quello relativo alla socializzazione, a sua volta collegata a “motivi affettivo-familiari” e all’importanza della lingua (italiana, soprattutto) per “combattere la solitudine”. Si riportano di seguito tre esempi, tratti rispettivamente dalle storie di Loredana Damian (DiMMi 2018 (5)), Maia Tsertsvadze (DiMMi 2019 (6)) e Maria Fernanda Gonzales Peluffo (DiMMi 2018 (7)), i quali rendono evidente il valore della questione linguistica in questo frangente. (5) Accendo la televisione per sentire delle voci, ma non capisco niente. […] Solo il sabato sera è più interessante, si esce con gli amici di Alessandro e le loro fidanzate o mogli, ma non capisco perché ridono o perché alzano la voce. Non capisco niente di quello che dicono. Mi mancano i miei amici, mi manca qualcuno con cui parlare. Le ragazze cercano di essere gentili, mi sorridono, mi chiedono se mi piace non so cosa e io rispondo di si e sorrido. Devo sembrare una cretina. (6) Ho iniziato un corso di italiano perché non sapevo nemmeno una parola, per comunicare usavo l’inglese però mi sentivo isolata. (7) In un momento in cui hai un grande bisogno di condivisione, la condivisione è limitata, è una grande prova. Ci vole forza, serenità e contenzione per viverla bene. L’importanza delle lingue emerge anche per motivi religiosi, in particolare in relazione all’arabo, o semplicemente per pensaree (si veda in tal senso l’estratto (8) – Liudmila Florenta (DiMMi 2019)). (8) La lingua più importante per me è il romeno perché è la mia madrelingua ed è la lingua in cui io penso ed esprimo i miei pensieri, che poi vengono tradotti nella lingua desiderata ossia la lingua che posso padroneggiare abbastanza. Non sorprende, inoltre, come la costruzione e ricostruzione della propria identità, anche linguistica, sia un altro grande filone legato alla riflessione sulla lingua. Il nodo inerente all’identità si ramifica al suo interno nei nodi legati al “mantenimento e ricerca delle radici” e all’“apprendimento linguistico e crisi identitarie”. Di seguito (9) riportiamo le parole di Arber Agalliu (DiMMi 2014), ragazzo albanese, il quale arriva in Italia da bambino e decide poi, una volta cresciuto, di imparare nuovamente l’albanese. Questo fatto stimola in lui un desiderio di riscoperta del Paese d’origine e una voglia di condivisione, LINGUE SENZA FRONTIERE? 177 che porta però a una serie di interrogativi sulla sua stessa identità, a cavallo tra due mondi. Scrive infatti: (9) Chi ero veramente? Cosa pensavo quando parlavo in italiano? E quando parlavo in albanese? Dove vivrò un domani? Come posso farmi capire, nonostante non abbia problemi di lingua? Sono italiano o albanese? Dalle testimonianze emerge, infine, come le lingue possano fungere da elementi identificativi, utilizzati sia per “caratterizzare una persona o un gruppo” all’interno della narrazione stessa, sia per riconoscere o farsi riconoscere in contesti di contatto linguistico. Tale identificazione può avvenire tramite l’utilizzo tanto di named languages, quanto di varietà miste, a “stadi intermedi dell’interlingua”. Un esempio lampante è dato dal racconto di Bakary Jobe (DiMMi 2018), il quale, parlando di una partita di calcio, scrive (10): (10) I ragazzi africani in Italia. Sono neri scuri come me, mentre io faccio parte dell’altra squadra dove sono l’unico di colore. E come me parlano male la lingua italiana. […] Ascoltavo che lingua parlavano i ragazzi dell’altra squadra. Parlavano diverse lingue africane, la lingua principale che parlavano era francese e poi ho sentito frase gambiano, in mandingo. Il loro difensore ha detto al centro campista: “Boy eight mai talti”. Parlava di me, vuol dire: “il numero 8 è il tuo, non lo far giocare è pericoloso!”. Come si può osservare in quest’ultimo estratto, la citazione di quanto udito dall’autore in campo (“Boy eight mai talti”) non è riportata tradotta in italiano, bensì nella varietà linguistica originale in cui è stata prodotta. La presenza di lessico, fenomeni e pratiche plurilingui come questa nelle storie DiMMi sarà oggetto di trattazione nel prossimo paragrafo, nel quale ci spostiamo alla seconda domanda di ricerca, e dunque ai risultati dell’analisi linguistica condotta sul lessico migrante. 4.2 Lingue e parole a contatto L’esplorazione del corpus DiMMi ha portato all’identificazione di un alto numero di fenomeni e pratiche plurilingui, con caratteristiche e funzioni molto diverse tra loro che, per ragioni di chiarezza, abbiamo raggruppato in due macro-categorie: casi di pratiche plurilingui relative all’onomastica e casi di pratiche e fenomeni plurilingui dovuti 178 MARTINA BELLINZONA a esigenze lessicali. I fenomeni facenti parte di entrambe le categorie sono stati ulteriormente indagati poi dal punto di vista delle funzioni pragmatico-comunicative per le quali si manifestano nel discorso (Gumperz 1982; Alfonzetti 1998). Si osservi a tal proposito la Tabella 2. Tabella 2 – Elementi lessicali e pratiche plurilingui nelle testimonianze Fenomeno plurilingue Suddivisione interna N. rif. Per onomastica Antroponimi Toponimi Crematonimi 952 303 142 103 98 Per esigenze lessicali Totale di marketing di associazioni ideativi Totale 1598 Tecnicismi e nomi comuni Esotismi 69 164 Totale 233 Ambito culturale Altro ambito 215 114 Totale 329 2160 Come si può notare, il gruppo di occorrenze più numeroso è costituito dall’onomastica plurilingue (Marcato 2009). Con tale etichetta intendiamo tutti quei casi in cui gli autori hanno utilizzato nomi propri in lingue diverse dall’italiano all’interno delle testimonianze. In particolare, sono stati documentati 952 antroponimi (il 59% del totale), 303 toponimi (19%) e 343 crematonimi (22%). Tra gli antroponimi si segnalano nomi di persona, di personaggi famosi o di fantasia, ma anche soprannomi; un esempio è riportato in (11) dove Khadija Ezouatni (DiMMi 2014), raccontando della nascita della figlia, spiega il perché della scelta del nome. (11) Dopo qualche mese dal matrimonio rimasi incinta, ed ebbi una figlia, che chiamai Dounia, infatti in arabo significa mondo, e lei lo era per me... era tutto il mio mondo! LINGUE SENZA FRONTIERE? 179 All’interno della categoria dei toponimi sono stati considerati nomi di Paesi, regioni, città e villaggi, quartieri e ghetti, laghi, fiumi e altri elementi del territorio, mentre tra i crematonimi, come proposto da Galkowski (2008), abbiamo distinto tra nomi legati al marketing, alle associazioni e a nomi ideativi. Dei crematonimi di marketing fanno parte tanto marchionimi (come nomi di compagnie aeree, vestiario, armi e oggetti in generale) quanto segni onomastici presenti nei panorami linguistici urbani (Bellinzona 2021), come nomi di negozi e hotel. Tra i crematonimi di associazioni, invece, sono stati inclusi nomi di associazioni appunto, aziende, gruppi armati e movimenti religiosi, squadre di calcio e partiti politici. Infine, tra i crematonimi ideativi sono stati inclusi nomi legati alla realtà immateriale relativi alla cultura, come eventi, ed etnonimi, inerenti a popoli, clan, tribù ed etnie, come nell’esempio in (12), estratto dalla testimonianza di Ghayas Uddin (DiMMi 2017). (12) Nostra tribu si chiama Shinwari, i nostri nonni vieni da Afghanistan, perché c’è il nostro padre e nonni 200 anni fa i nostri anni vengono da questa tribu. Nella lingua Shinwari parla pashto, ma un altro tipo, forse nostro grande nonno nome Shinwari. La seconda macro-categoria identificata, relativa a pratiche e fenomeni plurilingui dovuti a esigenze lessicali, si suddivide a sua volta in due gruppi: nel primo, sono inclusi elementi lessicali attestati all’interno delle fonti lessicografiche consultate; nel secondo, invece, quelli che non vi trovano posto. Per ragioni di comodità, per quanto riguarda il primo gruppo, abbiamo deciso di fare riferimento alle marche assegnate alle entrate lessicali nel Nuovo Vocabolario di Base della lingua italiana di De Mauro. In questo senso, sono stati estratti 69 tecnicismi (TS) e nomi comuni (CO), i quali includono parole, morfologicamente non adattate nella lingua italiana, che risultano ormai entrate nel linguaggio comune ma non appartengono ai gruppi di parole considerate come fondamentali, di altro uso e di altra disponibilità, come ad esempio sponsorr (CO), khan (TS), imam (TS), hennéé (TS-CO). Oltre a questi, abbiamo individuato 164 esotismi (ES): fanno parte di questa categoria i vocaboli avvertiti come stranieri, fonologicamente non adattati. Si tratta di parole riferibili al campo semantico dei mezzi di trasporto (es. pick-up, jeep, container), della musica (es. salsa, cha cha cha, rock), delle armi e della violenza (es. machete, kalashnikov, kamikaze), della 180 MARTINA BELLINZONA tecnologia (es. internet, t server), del lavoro (es. gaucho, stafff meeting), g della religione (es. madrasa, ramadan, muezzin) e dello sport (es. handball,l cricket, t footballl). Per quanto riguarda il secondo gruppo, invece, sono stati distinti fenomeni e pratiche plurilingui dovuti a esigenze lessicali per espressioni marcate culturalmente o esigenze (principalmente lessicali) di altro genere (si veda oltre). Fanno parte del primo gruppo 215 occorrenze, costituite da vocaboli che esprimono oggetti e concetti culturospecifici, strettamente legati al contesto di provenienza e difficili da trasferire in altre lingue (quelli che, in scienze della traduzione, vengono comunemente definiti come realia). Questi elementi li troviamo soprattutto legati al campo semantico della religione (13), del cibo (14) e dell’abbigliamento (15). Di seguito sono riportati alcuni estratti provenienti dalle testimonianze, rispettivamente, di Ghayas Uddin (DiMMi 2017), Maia Tsertsvadze (DiMMi 2019) e Hassan Ahmed (DiMMi 2017). (13) C’è una grande festa per mangiare si chiama Walima, molte persone, la sera le persone ballano, musica, se qualcuno vuole è costoso far venire le persone a suonare dal vivo […] Nikah è una regola religiosa: anche la ragazza e il ragazzo firmano che vogliono sposarsi, lo fanno prima del giorno del matrimonio (14) Qui mangiavo sempre le stesse cose ai soliti orari, mi mancavano tanto khachapuri, mchadi, gomi, mwvadi, fxali, chaxoxbili... (15) Nel pomeriggio faccio un salto con Hussen a Hamarweyne per comprare un po’ di baati, vestito somalo coloratissimo che piace a Udi e alle mie figlie. Il secondo gruppo, invece, raggruppa le 114 occorrenze che presentano un equivalente in italiano, ma che vengono proposti nella lingua d’origine, in un’altra lingua del repertorio o in una forma ibrida per diversi motivi. Anzitutto, si riscontrano numerosi esempi di pratica plurilingue dovuta alla mancanza di un equivalente in italiano nel bagaglio lessicale degli autori. Gli estratti in (16) e (17), tratti dalle storie di Karamoko Fofana (DiMMi 2018) e di Melanny J. Hernandez R. (DiMMi 2019) forniscono un modello di ciò. LINGUE SENZA FRONTIERE? 181 (16) Nel 2010 abbiamo fatto nuove elezioni fra Gbagbo e Quattara . Ognono dei due diceva di aver vinto. Ci fu un ballottagee e ognono dei due dicevano di essere arrivato primo. (17) Questa volta non era la giornalista undercover, ma una donna che, facendo ‘la donna della pulizia’, si chiedeva se tutto quello sforzo, tutto quel disagio aveva un senso. Le citazioni in (18) e (19), riprese dai racconti di Thierno Sadou Sow (DiMMi 2018) e Nahida Akhter (DiMMi 2019), a loro volta, forniscono esempi di pratiche linguistiche ibride imputabili al manifestarsi di stadi intermedi dell’interlingua. Tra i vari fenomeni identificati in questo senso sono stati distinti casi di transfer negativi, analogie, associazioni sbagliate, ipercorrettismi e neologismi. (18) ogni volta che eravamo da soli provavo a baciarla , ma lei non me l’ha mai permesso,mamma non smettava mai di burleffarmi […] quando sono tornato a casa francesco ha cominciato a burleffarmi, dicendo che ho paura di parlare con le ragazze (19) Qualsiasi azione disumano oppure disrispettoso verso qualcuno era intollerabile per la mia natura […] ha dovuto subire umiltà e disrispetto, perchè in questa Terra che gli angeli ci sono o no, i demoni non ne mancano […] Una persona può non piacerci per vari motivi, ma non significa che abbiamo il diritto di umiliarlo, disrispettarlo. Oltre a usi linguistici creativi, o riempitivi in lingue diverse dall’italiano dovuti a competenze linguistiche sbilanciate, però, l’analisi delle pratiche plurilingui ha portato all’identificazione di un’ampia gamma di funzioni pragmatico-comunicative che motivano il manifestarsi stesso del plurilinguismo nei testi. Tali funzioni, in parte, si sovrappongono a quelle già ampiamente esplorate negli studi sulle conversazioni bi- e plurilingui (Gumperz 1982; Zentella 1997; Alfonzetti 1998 inter alia), in parte se ne discostano. Tra le funzioni più ricorrenti si segnalano casi di pratiche plurilingui per citazione (come già visto, ad esempio, in (10)), per commento, enfasi, per esprimere emozioni ((20) - Mouhamadou Lamine Dia, DiMMi 2019), per ambito esperienziale ((21) - Mamadou Diakite, DiMMi 2019), per affermare la propria identità e per questioni stilistiche ((22) - Houda Latrech, DiMMi 2019). 182 MARTINA BELLINZONA (20) Baba non ha guardato tutte queste cose, che riteneva senza alcun senso, perché nessuno decideva per lui (21) Perché ai passeurr che tengono in mano la tua vita, dopo un po’ ti affezioni, e allora li chiami corrispondenti. (22) Meglio la ghorba che la hogra, dice, meglio l’esilio che l’ingiustizia, la terra di Allah è vasta, ma tu resta 5. Osservazioni conclusive Lo scopo di questo contributo è stato quello di esplorare la questione linguistica in emigrazione, considerando tanto i ruoli assegnati dai migranti alle lingue del proprio repertorio, quanto le funzioni (esplicite e implicite) con cui queste stesse lingue vengono effettivamente impiegate all’interno del discorso scritto sulla migrazione. Le storie DiMMi, testimonianze dal basso dell’immigrazione in Italia oggi, sono risultate il corpus ideale da analizzare in questo senso poiché prodotte da immigrati di prima e seconda generazione, provenienti o originari di contesti diversi e con la volontà (o forse la necessità) di raccontare e condividere episodi e percorsi di vita eterogenei. Con la prima domanda di ricerca miravamo, nello specifico, a individuare i ruoli giocati dalle lingue nel processo migratorio e il peso della questione linguistica nelle più ampie e sfaccettate storie di vita dei migranti. I risultati ottenuti hanno confermato l’importanza e il valore delle lingue nella riflessione complessiva sulla migrazione (Vedovelli 2011): gli autori DiMMi, infatti, nella quasi totalità dei casi hanno sentito l’esigenza di parlare espressamente di questioni inerenti alla lingua, riportando aneddoti, opinioni e, soprattutto, riflessioni sulla sua centralità in molteplici frangenti. A ruoli più pragmatici e strumentali se ne affiancano di più simbolici, legati a questioni affettive e identitarie (Pozzi 2014; Calvi 2014). L’importanza delle lingue, però, si manifesta nella maggior parte dei casi anche a livello di scelte linguistiche specifiche. Le pratiche e i fenomeni plurilingui individuati, facendo seguito alla seconda domanda di ricerca, sono risultate eterogenee all’interno del testo scritto, manifestandosi tanto per lacune linguistiche, collegate allo sviluppo dell’interlingua, quanto per scelte consapevoli, motivate da diverse ragioni e con diverse funzioni. Queste si legano sia all’esigenza LINGUE SENZA FRONTIERE? 183 di esprimere concetti o nominare referenti per i quali non esiste un segno linguistico in italiano, sia a necessità o volontà di tipo pragmatico-comunicativo. Tutto ciò permette di vedere nelle pratiche plurilingui una strategia per comunicare e negoziare significati in modo efficace, un fenomeno naturale che si verifica non solo nel discorso parlato bilingue ma anche nel testo scritto (Gumperz 1982; Auer 1998; Baglioni 2017). Qui l’alternanza tra le lingue del repertorio è percepita come strumento comunicativo funzionale e sociolinguistico. A differenza del discorso parlato, però, l’analisi ha mostrato come, all’interno del corpus, le pratiche plurilingui si manifestino principalmente a livello di singoli elementi lessicali e solo raramente interessino interi periodi. Passando, infine, all’ultima domanda di ricerca formulata, il presente studio suggerisce come le lingue appaiono come entità sì costruite sociologicamente e ideologicamente, con confini sfocati che cambiano costantemente (si pensi all’interlingua e alla riflessione sull’identità), ma anche come entità astratte – sebbene non monolitiche – con confini ben definiti psicologicamente e materialmente. Si tratta di confini che i bilingui attraversano con consapevolezza per raggiungere scopi specifici, selezionando strategicamente elementi e risorse per comunicare in modo proficuo. I risultati di questa ricerca supportano, perciò, l’idea di un modello plurilingue integrato, secondo il quale gli individui bilingui possiedono risorse linguistiche sia condivise, sia discrete all’interno di un unico repertorio linguistico (Cummins 2017; MacSwan 2017; Auer 2022). 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