OCCHIALÌ – RIVISTA SUL MEDITERRANEO ISLAMICO (N.1, 2017)
Viaggi nel Mediterraneo.
La “ri-scoperta” dell’Occidente nell’epoca
del riformismo tunisino
Manuelita Scigliano
Abstract: Between the late 1700s and early 1800s the Islamic countries in the Mediterranean region
seem to re-discover the West as a new and surprising otherness. The perception of a clear scientific and
technological gap stimulates interest in the social and political structures of the European countries. In this
first stage, however, an interest in dialogue prevails more than the demarcation of borders. In Tunisia,
specially, the reformists of the nineteenth century look to Europe as a source of inspiration compatible
with the Arab and Islamic values.
Keywords: Tunisian reformation movement – Occidentalism – Mediterranean – Tunisia
Parole chiave: Riformismo tunisino – occidentalismo – Mediterraneo – Tunisia
***
INTRODUZIONE
Fra la fine del 1700 e gli inizi del 1800 il mondo arabo-musulmano è scosso dalle
avvisaglie di quella che si preannuncia come una fase di cambiamento epocale.
L’incontro con l’Occidente, a cui le campagne in Egitto di Napoleone danno
nuovo impulso e intensità, sembra risvegliare improvvisamente il nord-Africa da
un sonno che sembrava durare da qualche secolo. I popoli nord-africani si
accorgono, allora, che i vicini del Mediterraneo con cui da sempre erano stati in
contatto costante, comunicando, scambiando, confrontando, si erano
improvvisamente allontanati. L’altro si affacciava oltre l’orizzonte del mare, un
altro con cui non si ci riconosceva più.
Cos’era successo fra il ‘600 e il ‘700 su entrambe le sponde del mare per creare
un simile divario? E, soprattutto, in cosa consisteva questa cultura, fortemente
altra, che faceva capolino e pretendeva di dettare leggi universali? Nel tentativo
di dare una risposta e di riallacciare i fili del dialogo millenario inizia un intenso
periodo di viaggi in Occidente, specchio dei più famosi viaggi in Oriente
attraverso cui la classe alto-borghese europea si riappropriava di un passato
mitico e reale e di un patrimonio culturale considerato culla della propria civiltà.
Questi viaggi ponevano le basi di un confronto e creavano le premesse per una
distinzione fra un noi e un loro.
In realtà, nell’universo turbinoso e perennemente in trasformazione del
Mediterraneo, era sempre stata forte e ben percepita l’alterità fra mondo
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cristiano e islam, Europei e Turchi o Arabi, ma quest’alterità era stata fluida,
permeabile, in continua trasformazione. Passaggi da una sponda all’altra non
erano stati né rari né inusuali e i documenti storici di tanti paesi del nord-Africa
ci raccontano di schiavi cristiani convertitisi e divenuti regnanti, alti funzionari,
capi militari. Così come non inusuale era la presenza di comunità musulmane in
Europa, di commercianti, di avventurieri. Alleanze, trame segrete, lotte e scambi
si susseguivano in un «incontro di civiltà» costante, i cui confini erano mobili e
sfumati.
Con la Rivoluzione industriale, prima, e la Rivoluzione francese, poi, i paesi
europei imprimono, però, una spinta senza precedenti al progresso tecnologico,
industriale e ai mutamenti politico-sociali, creando decennio dopo decennio un
divario sempre crescente con i paesi della riva sud.
«Cela n’a d’autre cause que la supériorité et les progrès de l’Européen dans les
connaissances dont le développement est favorisé par des institutions politiques
basées sur la justice et la liberté», scrive il riformista tunisino Khayr ad-dīn atTūnisī a metà del XIX secolo (Khérédine 1868, 11).
Nel 19° secolo l’equilibrio di potere fra impero Ottomano e stati europei
cambia irreversibilmente, a causa, tra l’altro, dello spostamento del baricentro
commerciale verso gli Stati Uniti e le rotte atlantiche, della forte inflazione
causata dalla massiccia importazione di oro e argento dalle colonie americane,
della perdita di competitività delle produzioni turche e mediorientali ferme alla
produzione artigianale, cui conseguono minori entrate per lo stato, meno
investimenti nelle spese militari e, quindi, perdita di potere e prestigio. Nasce la
consapevolezza della necessità di rapporti diplomatici e di relazioni improntate a
«alleanze» e «amicizie» con gli stati cristiani (concetti assolutamente nuovi). La
Sublime Porta1 non può più guardare dall’alto in basso ai vicini barbari.
Il presente paper intende illustrare le tappe di questa «riscoperta
dell’Occidente» fra la fine del settecento e la fine del 1800, prendendo ad
esempio il caso specifico della Tunisia ma in un quadro che coinvolge
pienamente tutto l’impero ottomano, le sue province più remote così come il
potere centrale. Di una «ri-scoperta» si tratta, poiché, in effetti, i due vicini non si
sono mai veramente ignorati: scambi, osmosi, contaminazioni sono sempre
esistite, ma, a partire dalla rivoluzione industriale, lo sguardo con cui si osserva
l’altro diviene improvvisamente diverso, e questo vale sia per quello occidentale
che orientale. Se tanto si è discusso di «orientalismo», sulla scia della inconturnable
opera di Said, ancora poco si studia l’occidentalismo e la sua genesi, se non nelle
nuove riflessioni sul confronto/scontro fra islam e mondo occidentale, e
accompagnando la riflessione a diramazioni concettuali come l’occidentalite o
l’occidentalizzazione.
Il paper vuole mostrare come, almeno per quanto riguarda il caso tunisino che
è però a suo modo esemplare, l’occidentalismo sviluppa le stesse strutture e
caratteristiche dell’orientalismo e si nutre delle stesse pulsioni e fantasie estetiche,
1
L’Impero Ottomano.
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storiche e artistiche. A differenza dell’orientalismo però l’occidentalismo, almeno
in questa fase iniziale, è più proiettato verso il futuro e molto più aperto alle
importazioni culturali, alle negoziazioni di valori e verità, alla messa in
discussione dei propri sistemi e al riconoscimento di una storia comune. Laroui
(1986, 162) scrive che «l’occidentalismo pratico degli arabi significa non tanto
uno studio asettico della cultura europea, quanto la loro valorizzazione e
appropriazione di alcuni dei suoi aspetti. Mentre l’orientalista vuole solitamente
descrivere, raramente comprendere e quasi mai acquisire, l’occidentalista arabo
cerca anzitutto dei modelli».
ORIENTALISMO VS OCCIDENTALISMO
All’alba dell’epoca moderna lo sguardo dell’Europa verso Oriente sembra seguire
due traiettorie specifiche, da un lato la scoperta dell’Oriente equivale alla
rivisitazione di una dimensione più temporale che spaziale, la riappropriazione
del proprio passato e delle radici della civiltà occidentale. La Grecia, in
particolare, più che un altrove rappresenta un tempo perduto, un’epoca storica,
una memoria collettiva da recuperare e ri-costruire. Lo stesso si può dire per
Gerusalemme e il Medio Oriente in generale. I racconti, i diari e i resoconti dei
viaggi in Oriente, in particolare fra ‘700 e ‘800, illustrano perfettamente questo
stato d’animo: alle descrizioni dei luoghi visitati si sovrappongono, fino quasi a
cancellarne la presenza reale, le citazioni storiche e artistiche. Il poeta e
diplomatico Lamartine scrive negli Avertissement del suo libro Voyage en Orient:
«j’y ai passé seulement en poète et en philosophe»2.
L’Oriente reale diviene quindi solo pretesto per un Oriente ideale, fonte di
rinvigorimento dello spirito Occidentale che tenta, qui, di abbeverarsi alla
sorgente della propria tradizione. A far da guida ai pellegrini e i viaggiatori sono
le opere di Omero o i passi delle Sacre Scritture. Niente di quello che è
«presente» sembra interessare veramente se non per un vago gusto dell’esotico e
per l’esitazione a soffermarsi sui piaceri dei sensi e su voluttà immaginate e
fantasticate, legate all’esperienza di climi miti e caldi, di tradizioni e pratiche al
tempo stesso estranee e conturbanti.
Dall’altro lato, però, lo spirito razionale europeo, riesce a mascherare
abilmente la forte spinta imperialistica, dettata da impellenti bisogni economici,
in missione civilizzatrice e salvifica. Per sostenere la crescita portentosa
dell’industria europea, nuovi mercati devono aprirsi e nuove fonti di
approvvigionamento di materie prime. Ma, idealmente, questa missione di
conquista si tinge dei nobili ideali del progresso e dello sviluppo: l’Europa porta,
ai propri vicini, i frutti delle scoperte tecnologiche e scientifiche, li sveglia dal
«loro letargo e immobilismo, dal “sonno della ragione”, dalle catene
2
Alphonse de Lamartine (1790-1869), scrive Voyage en Orient nel 1835 alla fine di un lungo viaggio
intrapreso in Oriente principalmente per curare, col clima caldo, sua figlia malate di tubercolosi.
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dell’oppressione tirannica», per usare alcune delle espressioni utilizzate dalla
propaganda imperialista dell’epoca.
Questi passaggi costituiscono tappe di quello che Edward Said ha descritto
come la creazione dell’Oriente da parte dell’Europa e allo stesso tempo tassello
necessario all’auto riconoscimento identitario come un «unicum» dell’Europa
prima e dell’occidente poi. In un gioco continuo di rimandi e convergenze gli
sguardi incrociati al di sopra del mare mediterraneo creano l’altro e permettono
anche di riconoscersi unici e diversi.
Cosa succede però dall’altra parte del Mediterraneo? Qual è la natura dello
sguardo che varca il mare dal sud al nord? Cosa vedono i viaggiatori musulmani
quando incontrano l’«occidente»? Bernard Lewis (2001, 9) ci ricorda che
for most of the Middle Ages, statesmen and scholars in the great cities of the Islamic world
looked on Europe as an outer darkness of barbarism and unbelief, offering nothing of
interest and little of value.
Quando i barbari eravamo noi l’interesse dei popoli medio orientali e nord africani
per quello che accadeva al di là della Grecia era pressoché nullo. Quei popoli,
quelle terre erano solo eventuali future conquiste, territori da annettersi e in cui
portare finalmente il progresso e la civiltà.
Europe was a frontier to which the Ottomans and indeed many other Muslims, looked in
much the same way as Europeans were to view the Americas from the sixteenth to the
eighteenth century. Beyond the northern and western frontiers lay rich and barbarous
lands to which it was their sacred mission to bring religion and civilization, order and
peace (ibidem, 29).
Il vero Occidente, per i popoli musulmani dell’epoca medievale era tutt’al più
la Grecia, ma anche qui in una visione più temporale che spaziale. Era la Grecia
dell’epoca classica, a cui si doveva e poteva attingere per alimentare la scienza e
la cultura musulmana. In questo senso l’Occidentalismo sembra riprodurre
alcuni dei paradigmi dell’Orientalismo, mescolando insieme alterità spaziali con
traiettorie temporali.
A partire dall’‘800, però, quando il mondo musulmano si scopre
improvvisamente debole e vulnerabile, si fa strada un atteggiamento molto più
aperto alla reale comprensione dell’altro, sembra svilupparsi quindi
nell’occidentalismo una maggiore propensione all’accettazioni di importazioni,
maggiori aperture al dialogo paritario. Atteggiamento sicuramente non nuovo se
si pensa alle aperture verso la cultura greca e bizantina. Lo stesso al-Kindī (cit.
Ben Achour 2010, 81), uno dei più grandi filosofi arabi, scriveva nell’ 800: «Non
dobbiamo vergognarci di riconoscere la verità e di farla nostra… anche se essa
proviene da generazioni lontane o da popoli stranieri».
Fra 1700 e 1800 aprirsi al confronto con l’Occidente non è più un’opzione,
ma una scelta obbligata nel tentativo di preservare l’autonomia, l’indipendenza e
la forza dell’Impero Ottomano.
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Iniziano, quindi, i viaggi dell’élite musulmana alla scoperta dell’Occidente, i
battelli incrociano in alto mare, trasportando ognuno in senso inverso due popoli
che si stanno studiando. Artisti, intellettuali e uomini politici europei partono alla
ricerca delle proprie radici; intellettuali e uomini politici arabi e turchi partono
alla ricerca di ricette per il progresso tecnico, scientifico e militare. La prof.ssa
Anna Maria Medici (2000) parlando in un suo saggio dei viaggi degli intellettuali
musulmani in Europa parla proprio di una variante del «Grand Tour» europeo
dei secoli XVII-XIX.
In mezzo un numero sempre crescente di Europei che viene chiamato ad
insegnare nelle prime scuole laiche del mondo musulmano. Come accade
appunto in Turchia con la Scuola di Ingegneria militare o la Scuola di ingegneria
navale o in Tunisia con la Scuola Militare del Bardo.
Nel 1729, un nobile francese, il conte di Bonneval, arriva in Turchia, si
converte, assume il nome di Ahmed ed entra al servizio degli ottomani, incaricato
di riformare il corpo dei bombardieri, stabilisce nel 1734 una scuola di ingegneria
militare. Nel 1773 apre la prima scuola di ingegneria navale. L’importazione di
istruttori militari dall’occidente per formare gli ufficiali turchi genera una serie di
conseguenze: nuove relazioni fra infedeli, come insegnanti, e musulmani-studenti,
che quindi devono rispettare come mentori e guide quelli che erano stati educati
a disprezzare. Gli studenti devono, inoltre, apprendere nuove lingue «barbare»,
cosa di cui finora non avevano sentito alcuna necessità. E una volta imparato il
francese, o un’altra lingua, per seguire le lezioni di ingegneria, o leggere manuali
di artiglieria, si apre una nuova infinita possibilità di letture, dalle conseguenze
più esplosive e rivoluzionarie.
Fattore decisivo è anche l’arrivo delle tipografie. Già dal XV secolo esistevano
nel territorio dell’impero ottomano tipografie di ebrei e poi armeni e greci, ma
che potevano stampare solo nelle loro rispettive lingue, visto che stampare opere
in turco e arabo era vietato per direttiva imperiale. Il divieto di pubblicare in
arabo o turco rimane fino agli inizi del XVIII secolo, quando venne superato
grazie anche all’intervento di Jelebi Said, figlio di un ambasciatore della Sublime
Porta a Parigi. Solo nel 1729, viene stampato il primo libro in turco «Vankulu
Lügati» un dizionario arabo-turco in due volumi, mentre nel 1731 vede la luce un
Memorandum di Ibrahim Muteferrik, diviso in tre parti: nella prima l’attenzione è
rivolta all’importanza di un ben organizzato sistema di governo, una seconda
parte è costituita da riflessioni sull’importanza delle conoscenze scientifiche, in
particolare di geografia e nella terza parte si discute sulle forze militari europee.
Viene sottolineata in quest’opera l’importanza di imitare per sopravvivere.
L’influenza delle idee europee, però, è ancora minima, arriva a pochi
esponenti dell’élite moderniste ed è controbilanciata dalla reazione dei movimenti
conservatori. Se le sconfitte militari furono lo stimolo all’accettazione delle prime
idee europee l’impatto di queste ultime sul contesto sociale, politico e culturale
nel mondo turco e arabo musulmano fu minimo per tutto il 18° secolo. Ma verso
la fine dello stesso secolo nuove forze e nuovi eventi diedero grande impulso al
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processo di modernizzazione. Grande fu soprattutto lo shock per la perdita della
Crimea (1783), la perdita per la prima volta di un territorio interamente abitato
da musulmani fin dal XIII secolo.
Poi, nel 1798, la spedizione di Napoleone in Egitto. Le idee della Rivoluzione
francese arrivano insieme a Napoleone nelle terre islamiche e per la prima volta
idee occidentali rompono la barriera fra mondo degli infedeli e dār al-islām.
Mentre il Rinascimento, l’epoca della riforma, la rivoluzione scientifica, il secolo
dei lumi sembrano essere passati senza lasciare tracce nel mondo islamico (e
senza quasi essere stati notati), questa nuova ideologia, secolare, laica, perché non
sostenuta da una credenza religiosa, viene considerata potenzialmente
compatibile con l’islam. Bernard Lewis (2001) nella sua opera, The Muslim
Discovery of Europe argomenta, infatti, come proprio il carattere non-religioso e i
valori non legati alla cristianità della rivoluzione francese, permisero una loro
parziale accettazione fra gli intellettuali musulmani. Accettazione nel senso che su
di essi si iniziò a dibattere e ad analizzare, cercando attraverso questi valori di
carpire il segreto del dinamismo occidentale e della sua ricchezza materiale e
tecnologica.
Ahmed Asim Efendi, storiografo alla corte del Sultano pubblica una cronaca
degli anni fra il 1791-18083 nella quale denunciava proprio la grande presa che le
idee francesi stavano avendo non solo nelle menti dei grandi dell’impero, ma
anche in quelle della popolazione in generale. Attraverso l’apprendimento della
lingua si veicolavano nuovi concetti, modi di pensare, e secondo l’opposizione dei
conservatori più intransigenti, venivano addirittura indeboliti i precetti della legge
sacra.
IL CASO TUNISINO, RIFORMISMI E RAPPORTI CON L’OCCIDENTE
Bernard Lewis (2001) sostiene la tesi di un quasi totale disinteresse del mondo
musulmano e della Sublime Porta nei confronti dell’Occidente fino almeno al
XIX secolo, quando per ragioni soprattutto militari i Turchi furono costretti a
“scoprire l’Europa”. Sicuramente però la situazione reale, fatta di continui
scambi, commerci, anche scontri, permetteva una continua osmosi fra i due
blocchi e i confini non erano netti come Lewis sembra voler tracciare, ma molto
più fluidi, mobili, anche a causa delle continue perdite o annessioni di territori4.
Se questo è vero per tutti i territori musulmani lo è ancor di più per l’Ifrīqiyya, il
territorio che oggi comprende più o meno l’attuale Tunisia.
Documenti tunisini del 1400/1500 mostrano, per esempio, come la politica
estera, ma anche interna del paese fosse spesso gestita da stranieri, ex-schiavi
3
Ahmed Asim Efendi, Tarih-i Asim (Asim’s History) 2 voll, Instabul, data di pubblicazione incerta, la
data di morte di Ahmed Asim Efendi è il 1820. Le Cronache dello storiografo di corte sono citate da
Lewis 2001, 49.
4 Si pensi alla conquista (prima metà dell’ottavo secolo) e poi alla perdita (fine quindicesimo secolo)
dell’Andalusia o alla conquista di Bisanzio nel 1453.
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convertitisi, ma, comunque, sempre portatori di un bagaglio culturale e
ideologico “altro” che veniva accettato e che contaminava i locali. Sono attestate,
inoltre, dai documenti di archivio le presenze di vaste comunità straniere nel
territorio della Tunisia, comunità che vivevano non chiuse e separate tra loro, ma
con contatti frequenti e reciproci. Frequenti erano anche i matrimoni misti,
anche se spesso si trattava di matrimoni fra condottieri musulmani e donne
cristiane rapite durante la corsa. Nonostante quindi il carattere tragico di questi
matrimoni l’immissione nel tessuto sociale tunisino di donne straniere (che spesso
sotto l’apparente conversione continuavano anche a rimanere cristiane) ha
permesso numerose e frequenti contaminazioni culturali e influenze linguistiche.
Queste donne sono state portatici di tradizioni, che venivano trasmesse ai figli e
alle generazioni future. Frequenti erano anche i casi di naturalizzazione di exschiavi, avventurieri e commercianti che decidevano di stabilirsi definitivamente
nel paese, in molti casi questi continuavano a mantenere rapporti con le famiglie
di origine5. Esempi storici di questa comunicazione e vicinanza costante sono ad
esempio la cessione ai genovesi del territorio di Tabarca, nel nord della Tunisia,
o l’alleanza di Khayr ad-dīn Barbarossa con i francesi contro la Spagna6.
A partire dalla fine del 1700, il Mediterraneo, però, non è più il centro dei
commerci, la corsa perde importanza fino a scomparire del tutto e il potere degli
stati nord africani inizia il suo lento declino. Altro fattore cruciale di
indebolimento del potere economico e politico degli stati nord africani e
mediorientali sono le «capitolazioni» (dal latino capitula); questa pratica, risalente
già al XII secolo, esisteva come concessione offerta dai regnanti musulmani ai
cittadini di stati cristiani a cui veniva concessa la libertà di lavorare e
commerciare nei paesi islamici senza essere sottoposti al fisco locale.
Originariamente questi privilegi erano concessi come un atto di grazia e
condiscendenza da un monarca a un umile supplicante, questa relazione era
chiaramente riflessa nel linguaggio stesso dei documenti, dove venivano spesso
ripetute parole come: devozione e sottomissione, man mano queste concessioni si
trasformano però in rivendicazioni e in diritti pretesi, comportando l’esonero da
qualsiasi intromissione del potere locale, e di sottomissione alla giurisdizione dello
stato.
With the progressive decline in the power of the Muslim states and the change in the
effectual relationship between them and their Christian neighbors, the capitulations came
to confer privileges greatly in excess of those originally intended. They included
exemption from local jurisdiction and taxation, the citizens of the capitulatory powers
being answerable only to their own consular courts. By the late eighteenth century, the
protection of a European power conferred important commercial and fiscal advantages
and the practice grew up whereby European diplomatic missions distributed “berats”,
5 Esemplare il caso di Khaznadar Primo Ministro in Tunisia fra il 1837 e il 1873, di origine greca, che
mantenne costanti e frequenti rapporti con la famiglia in Grecia, partecipando a matrimoni, battesimi e
cerimonie familiari. Altro esempio storico di rilievo è quello del conte Giuseppe Raffo che fu ministro
degli esteri in Tunisia intorno alla metà dell’800 e la cui sorella sposò il Bey Mustafā.
6 Entrambi gli avvenimenti risalgono alla metà del 1500.
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documents, or certificates of protection, in abusive extension of their capitulatory rights.
Originally, these certificates were intended only to protect locally recruited officers and
agents of the European consulate. They were, by abuse, sold or granted to increasing
numbers of local merchants who thus acquired a privileged protected status (Lewis 2001,
42).
Poiché inizialmente questo declino generale delle potenze musulmane venne
percepito solo come una perdita di potenza militare, i primi rimedi adottati
furono quelli di acquisire gli strumenti, le tecniche e i nuovi ritrovati dell’arte
militare. In questo contesto, si colloca, in Tunisia, l’apertura della scuola militare
del Bardo. Nel 1837, Aḥmed Bey incarica l’italiano Luigi Calligaris di istituire la
prima scuola laica del paese, votata a formare le alte gerarchie militari della
Tunisia, nonché le élite del paese. Calligaris, che conosce anche l’arabo, inizia a
scrivere e tradurre non solo opere di ingegneria e tecnica militare, ma anche di
politica7.
Incontestablement, l’activité de traduction et de publication de nouveaux ouvrages qui
accompagne la création de l’école militaire introduit une donnée profane dans le paysage
culturel. Princes et courtisans se mettent à consulter d’autres livres que les exégèses et les
compilations de la Tradition. L’école militaire constitue une petite fenêtre sur un monde
diffèrent, qui affiche sa supériorité par son avance technique et qui la traduit par ses
victoires militaires. La nécessité sinon de l’imiter, du moins de le découvrir, devient
impérative pour les jeunes esprits avides de changement et d’implication dans le temps
(Blili 2017, 25).
Nello stesso periodo, Khayr ad-dīn at-Tūnisī, uno dei padri del riformismo
tunisino, che guidò il paese nei primi passi verso l’acquisizione di istituzioni
politico-giuridiche moderne, fu mandato, sempre da Aḥmed Bey, in
perlustrazione in Europa, per allacciare contatti diplomatici e soprattutto
conoscere e comprendere la natura e le istituzioni dei paesi europei.
Al suo ritorno dal viaggio europeo Khayr ad-dīn at-Tūnisī pubblica un’opera
in cui raccoglie le sue impressioni su ogni paese visitato; parte fondamentale della
sua opera sono soprattutto le Introduzioni intitolate Réformes nécessaires aux états
musulmans dove presentando quelle che sono secondo lui le motivazioni del
progresso tecnologico e sociale dei paesi occidentali sottolinea anche, come una
delle cause principali di questo sviluppo, sia dovuta al fatto che i popoli europei si
erano dotati, ormai da tempo, di istituzioni politiche liberali. Secondo Khayr addīn at-Tūnisī questa sarebbe dovuta essere la strada da seguire anche in Tunisia.
L’intento di Khayr ad-dīn è quello di lasciarsi ispirare, sempre mantenendo però
ben salda la propria identità araba e musulmana.
Après avoir longuement médité, l’histoire à la main, sur les causes du progrès et de la décadence
des sociétés anciennes et modernes, et m’être tenu autant que possible au courant de ce qui, chez
nous et à l’étranger, a été publié sur le passé ou préjugé, d’après les données de l’expérience, sur
7
Scrive ad esempio un’opera su Napoleone di cui rimangono estratti inediti negli archivi nazionali
tunisini.
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l’avenir des peuples musulmans, j’ai du me convaincre, comme de vérités qui ne sauraient être
mises en doute ni sérieusement contestées par aucun musulman sensé, que, au milieu du
mouvement général des esprits et dans l’état actuel des nations qui rivalisent entre elles dans la
recherche du bien et du mieux, nous ne pourrions pertinemment apprécier et recommander ce
qu’il convient de faire chez nous sans connaitre ce qui se passe chez les autres, particulièrement
chez ceux qui sont autour et près de nous (Khérédine 1868, 4-5).
In queste parole, c’è la sintesi di quello che fu lo spirito che animò i riformisti
tunisini nel XIX secolo: la volontà di conoscere e scoprire l’Europa in un
rapporto paritario di reciproco scambio, l’ammissione di un evidente divario
tecnologico e scientifico, ma anche politico e sociale, fra mondo musulmano e
occidentale, ma anche la consapevolezza che fondamenti su cui si basava questo
progresso europeo non fossero estranei o in contrasto con lo spirito della Legge
islamica, e che strumenti e istituzioni potessero, quindi, essere importati,
metabolizzati, adattati. Esenoussi, altro riformatore della stessa epoca, scriveva:
Dopo aver conosciuto queste leggi e averle confrontate in gran numero con le regole del nostro
diritto (Shar’), codificate da noi nei libri dei Malikiti e degli Hanafiti, posso dire che l’emanazione
delle regole si fonda su principi generali dai quali le nazioni e le razze non possono allontanarsi e
su particolari ramificazioni che dipendono dai costumi e dalle situazioni locali e storiche (Ben
Achour 2010, 81).
Per i riformisti l’ijtihād deve essere capace di adattare la legge alle necessità
storiche e alle condizioni sociali, scrive Ibn Abi Ḍyāf anch’egli sul finire dell’ ‘800:
Au nom de Dieu, qui lia le umran à la politique des croyants, diversifia ses jugements selon ses
volontés et assura, en relation avec les mutations de leurs conditions, les questions de l’ijtihad, ne la
limitant guère à ce qui est coutumier et usuel8.
Questo riformismo interno, il processo di costruzione del nuovo stato,
l’elaborazione delle prime istituzioni moderne (come la prima Costituzione del
1861) sono tutti processi che verranno bruscamente interrotti dall’avvento del
protettorato francese. La modernità venne allora brandita come arma di
oppressione. Al popolo tunisino, ma non solo a questo, per molto tempo non
restò che la strada del rifiuto dell’occidente o dell’ammirazione subalterna, in
quella che Albert Memmi (2002) chiama «il complesso del colonizzato».
In seguito alla fase di colonizzazione, prima, e decolonizzazione, poi, si diede
avvio a quello che molti studiosi, come ad esempio il prof. Yadh Ben Achour,
chiamano il paradosso dell’«occidentalizzazione incosciente», un’adeguazione dei
costumi e delle mode accompagnata dal rifiuto al contempo dei principi basilari
del diritto e della civiltà occidentale: un’ammirazione mista a risentimento, un
tentativo di emulazione frustrato da un rifiuto ontologico, un’identificazione di sé
vista e percepita come rifiuto dell’altro, un dialogo interculturale percepito,
spesso, come un’intromissione oppressiva. Paolo Branca (2015, 151) ribadisce
come nella fase di decolonizzazione l’Occidente era «allo stesso tempo maestro
8
Citato da Khalifa Chater, «La perception de la pensée d’Ibn Khaldoun par les réformateurs tunisiens»,
in AAVV 2008, 265.
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(per le idee d’indipendenza e libertà che predicava) e nemico (a causa della sua
politica coloniale)».
Ben Achour (2010, 86) descrive brillantemente questa nuova condizione
esistenziale: «Ne nacque prestissimo un nuovo malessere, una insopportabile
oppressione, quasi il sentimento di un naufragio… Comprendere il mondo arabo
significa comprendere questa condizione psicologica».
CONCLUSIONI
Datare la scoperta dell’Europa da parte dei popoli musulmani al XIX secolo e
nello stesso tempo far risalire solo a quest’epoca la fase di riformismo interna
avviata nell’impero ottomano e in molte delle sue province, compresa la Tunisia,
sembrerebbe per alcuni studiosi
la consècrations de la fameuse thèse de la vacuité culturelle ou politique qui sert à justifier
implicitement l’irruption coloniale dans certains pays islamo-méditerranéens (Tlili 1986, 36-37).
L’eccessivo peso dato a fattori esogeni, quindi, sorvolerebbe e ignorerebbe
tutto il processo interno di lenta evoluzione del pensiero filosofico e politico.
Ugualmente parlare di un’irruzione dell’occidente nel mondo musulmano
mediterraneo dell’‘800 significa ignorare gli scambi continui e mai interrottisi
almeno dall’epoca medievale.
La tesi di molti intellettuali (come quella del qui citato prof. Bechir Tlili) è che,
in realtà, a fronte di rapporti continui e di scambio paritario fra le due sponde, è
solo con l’avvento del colonialismo che il mondo musulmano scopre o meglio reinventa l’Occidente con le accezioni che oggi lo caratterizzano.
Car en fait l’impact de la colonisation, notamment en Egypte et en Tunisie, a renforcé
incontestablement cette conscience des différences et des divergences, corrélativement bien
entendu aux tentatives multiples d’assimilation culturelle et politique. Les résistances se multiplient
et se renforcent. Les déterminations institutionnelles islamiques traditionnelles deviennet des valeus
fondamentales (ivi, 43).
In precedenza l’Occidente sembra avere invece le caratteristiche di un vicino
diverso ma nello stesso tempo simile, con cui condividere un cammino “comune”
verso la modernità e il progresso, attraverso il dialogo e gli scambi.
Il paper ha inteso mostrare, infatti, come, soprattutto nel caso della Tunisia,
che assurge ad esempio di un processo comune all’area musulmana del Nord
Africa e Medio Oriente, l’interesse per l’Occidente che si sviluppa nel periodo del
riformismo ottocentesco è un interesse al dialogo e allo scambio, le importazioni e
rivisitazioni di valori europei non sono l’eccezione ma la norma. Il caso tunisino
evidenzia come queste importazioni non vengano vissute come intromissioni di
valori totalmente estranei ma come riflessioni comuni su problemi universali, sui
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quale le diverse civiltà concorrono alla definizione di possibili soluzioni. È solo col
colonialismo che questo processo assume significati diversi.
L’Oriente sembra inventare l’Occidente come “irrimediabilmente altro” solo
con la colonizzazione, mentre dall’altra parte l’Occidente, nell’epoca
dell’imperialismo, ammanta l’Oriente del suo velo mistificatore, tentando di
ridisegnarlo fisicamente e idealmente.
Solo qualche decennio prima però, nel mar Mediterraneo, infinite strade di
intellettuali, uomini politici, commercianti e avventurieri delle due sponde si
erano incrociate, nel tentativo di definire possibili cammini comuni verso la
modernità, generando dialoghi non conflittuali ma, almeno fino al diciottesimo
secolo, reciprocamente arricchenti.
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L’AUTRICE
Manuelita Scigliano ha ottenuto nel 2004 una Laurea v.o. in Filosofia e nel 2005
un Master in Economic Development and International Cooperation. Nel 2015
ha conseguito la Laurea Magistrale in Tutela dei diritti umani e cooperazione
internazionale. Attualmente è dottoranda in “Politica, Cultura e Sviluppo” presso
l’Unical in cotutela con l’Universitè de Carthage (Tunisia) con una ricerca su
«Sources du droit et constitution tunisienne: Problémes philosophiques et
politiques». Vive dal 2005 in Tunisia dove ha lavorato presso diverse
organizzazioni internazionali e Ong locali. Ha insegnato Lingua, Letteratura e
storia italiana dal 2007 al 2012 presso l’Università della Manouba a Tunisi. Sta
svolgendo ricerche sulla transizione democratica in Tunisia, sui flussi migratori
nel Mediterraneo e sulla storia dei rapporti e degli scambi fra Italia e Tunisia.
E-mail:
[email protected]
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