Stamattina i pensieri si sono disposti sotto gli occhi con ordine, come articoli in vetrina o, meglio, come i vecchi giocattoli che i bambini del quartiere rivendono ai passanti dopo averli allestiti su un muretto. Fare la bancarella: così dicevamo da piccoli.
Quante cose sono successe negli ultimi mesi, quante sono cambiate; e la differenza - molto nel bene e a volte anche nel male - credo l’abbia fatta ciò che sono, più delle mie capacità. A volte ho temuto di essere un impostore per questo. E a volte ho messo in dubbio la purezza di ciò che provavo. Ero smarrito, evanescente. Stavo agendo solo per essere amato?
Continuando a osservare i pensieri sul muretto, ho carpito qualcosa di diverso. Ciò che vedevo non era una vetrina, non era una bancarella, ma un inventario emotivo. Stavo tracciando i confini di ciò che voglio essere, sulla base di ciò che sono stato. Non era una vendita, ma un’appropriazione. E lentamente, ripensando alla volta in cui ho fatto, all’altra in cui ho detto, ho scritto un manifesto, come quelli delle correnti artistiche, dei movimenti rivoluzionari.
Voglio essere accolto mentre accolgo,
sorretto mentre sorreggo.
Voglio essere imperfetto e amare l’imperfezione fino in fondo.
Voglio fatti e parole che sono fatti.
Voglio coraggio e generosità,
che accolga me e chi amo, insieme.
Voglio il futuro che il presente custodisce.
Non voglio la grandiosità,
voglio la grazia della mano sulla mano
e l’orizzonte infinito che ci esplode dentro.
perché lo merita ogni creatura del mondo.
Voglio tutto e poi donarlo
per riaverlo indietro, diverso e migliore
Voglio solo la verità, pure quando fa male.
Quanto sono belli i manifesti. Bisognerebbe formularne uno ogni tanto, per stare bene, o anche solo per stare.