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One Market Plaza San FranciscoOne Market Plaza, San Francisco, California. E’ questo l’indirizzo molto californiano della filiale americana di una azienda italianissima, Neptuny. O forse dovrei dire Moviri, visto che dopo aver venduto Caplan, il suo software per il capacity management, a BMC Software, colosso globale dell’enterprise software che compete con HP, CA e IBM, la società si è data una nuova identità

La notizia della cessione a BMC, annunciata il 5 ottobre scorso, ha avuto una forte risonanza qui negli Stati Uniti, ma paradossalmente sembra essere passata quasi inosservata in Italia. Eppure si tratta di un evento molto importante nel panorama del software e della tecnologia Made-in-Italy, una vera storia di successo tutta italiana in un settore nel quale se ne sono contate ben poche negli ultimi 20 o 30 anni. 
Nata come uno spinoff del Politecnico di Milano, Neptuny ha costruito nel corso degli anni una competenza specifica e molto richiesta nella ottimizzazione delle risorse hardware e software all’interno dei data center, sviluppando un prodotto software, Caplan, per il quale ha trovato clienti tra grosse aziende, prima italiane, poi europee e, più recentemente, americane. Il successo del prodotto, la crescita del volume di affari e il prestigio dei partner della azienda non sono passate inosservate agli operatori del settore, tant’è che BMC ha deciso di avvicinare Neptuny per acquisirne il prodotto e le competenze.

Tale è la qualità di Caplan che BMC, che pure ha più di venti anni di storia nel settore del capacity management, ha deciso di rinnovare completamente la sua offerta in questo settore con il prodotto e il team della azienda italiana, anche nell’ottica delle strategie sul cloud computing.

Nei giorni immediatamente successivi all’annuncio, ho avuto modo di rivolgere alcune domande a Fabio Violante, fondatore e AD di Neptuny, ora passato in BMC e Paolo Bozzola, dal 2005 in azienda come responsabile della attività di consulenza e, dal 1 ottobre, AD di Moviri:

1) Quanto importante è questo accordo con BMC per Neptuny e più in generale per il mondo del software in Italia?

Fabio: “Questo accordo ha una portata straordinaria per Neptuny, per il mercato del software e per tutti i giovani imprenditori italiani. La nostra storia è iniziata nel 2000 nell’acceleratore del Politecnico di Milano, e quindi con forti radici accademiche, ma si è sviluppata attorno ad un mix di visione, capacità pragmatica di eseguire, e ascolto continuo dei clienti e del mercato. Dagli inizi ad oggi abbiamo fatto parecchia strada, diventando un player importante sul mercato globale con un prodotto come Caplan, riconosciuto da analisti e clienti come superiore alla concorrenza. In questo rappresentiamo un esempio di azienda privata, che ha avuto il coraggio di reinvestire in prodotto le risorse economiche generate attraverso la consulenza (più del 30% del fatturato annuo dal 2000 fino ad oggi investito in R&D) per crescere oltre i limiti del mercato italiano e mirare a obiettivi ambiziosi. Con tempo e determinazione, i risultati ci hanno dato ragione. E se ci siamo riusciti noi, non c’è motivo per cui altri, facendo leva su risorse e persone giuste, non possano fare altrettanto. Questa acquisizione da parte di BMC testimonia il fatto che in Italia si può investire in aziende hi-tech di valore.”

Paolo: “Di recente si sente sempre più spesso della “fuga di cervelli” all’estero. A loro dico: l’innovazione e l’hi-tech sono possibili in Italia, a Milano. E’ possibile portare un po’ di silicio in pianura padana. Ci sono le competenze, ci sono le infrastrutture, c’è il capitale umano. Quindi: scriveteci, stiamo cercando talenti per ingrandire il nostro team e portare tecnologia italiana nel mondo. Non c’è una sola ragione per cui non si debba imporre il nostro modello di creatività e qualità, dominante in altri settori, anche nel business del 21 secolo che è indubbiamente rappresentato dal software.

2) Esiste un segreto del successo di Neptuny? Cosa ha fatto la differenza per l’azienda in un mercato così competitivo come quello dell’Enterprise Software?

Fabio: “Certamente alcuni fattori hanno fatto la differenza: l’attenzione costante alla richiesta del mercato, invece che chiudersi in un ufficio a creare soluzioni che non hanno un immediata applicazione; la cura nella selezione delle persone e lo sviluppo della squadra; l’investimento nel marketing in internet e sui media fatto in maniera professionale; l’attenzione alla protezione e gestione della proprietà intellettuale; il focus, fin dagli inizi, alla creazione di una azienda che fosse sostenibile a lungo termine, built-to-last, piuttosto che built-to-sell, che e’ poi l’unico modo di destare l’interesse di investitori seri come BMC. Comunque, il lavoro duro 24h su 24 che, più di mille parole e pretese, è forse l’unica chiave per il successo.”

Paolo: “Non esiste un segreto, ma credo alcuni elementi che hanno contribuito alla ricetta di successo. Il primo è la qualità delle persone. Siamo stati maniacali nel selezionare una squadra di talento, ne siamo gelosi e rappresenta il miglior asset dell’azienda. Il secondo è la qualità del lavoro: crediamo che sia meglio essere i primi della classe in una nicchia di mercato piuttosto che uno qualunque dei fornitori generalisti di servizi IT in un mercato più vasto. Quello del SW è un mercato senza barriere all’ingresso che premia il numero 1, e forse lascia dello spazio agli altri. Se vogliamo, con un irrispettoso paragone, è l’approccio “Ferrari” portato al software.”

3) Evidentemente si è chiuso un ciclo per Neptuny. Ne inizia un altro per Moviri. Cosa c’è nel futuro della azienda?

Paolo: “Continuità. Quando un approccio è vincente non c’è bisogno di cambiarlo ma solo di ingegnerizzarlo e farlo, se possibile, crescere ancora di più. Rimane l’azienda di esperti di IT Performance Optimization che ha creato la success story con BMC, rimane l’azienda che usa la ricerca del Politecnico di Milano con un occhio di riguardo all’innovazione ed al mercato per fare, a Milano, “cose da Silicon Valley”. Moviri si sta ora focalizzando sul mercato della televisione digitale interattiva e dei new media, attraverso soluzioni che analizzano il comportamento ed i gusto degli utenti per effettuare raccomandazioni “intelligenti” agli utenti. E’ una disciplina affascinante che necessita di coniugare matematica teorica, ingegneria spinta, acume di business. E vincono tutti: gli utenti che hanno un’offerta interessante di contenuti video “personalizzata”, gli operatori che hanno un meccanismo per aumentare il gradimento ed i consumi, l’IT che beneficia di una soluzione pacchettizata e “chiavi in mano” in grado di operare su volumi di dati notevoli, in modo affidabile, e senza nessun problema di performance o affidabilità.”

Photo credit RTH Photos

Leggendo l’ultimo post di Marco Marinucci, mi sono ritornate in mente le parole di Bill Young, CEO di Monogram Bio, azienda di South San Francisco (la “culla del biotech” come ricordano i cartelli stradali) specializzata nel valutare l’efficacia dei trattamenti farmaceutici per pazienti affetti da HIV.
Ci siamo rivisti un paio di settimana fa, un venerdì mattina a colazione (alle 6.30 della mattina al Marriott di San Mateo, le giornate nella valle iniziano piuttosto presto). Mi capita di incontrarmi con lui con una certa regolarità  in quanto Monogram Bio è uno dei casi che analizzerò nel mio libro sui business model delle aziende life sciences che dovrebbe uscire in America nella prossima primavera (dico dovrebbe, perchè sono un pò in ritardo). Bill mi stava raccontando del fatto che erano stati appena acquisiti da LabCorp. Ne parlava con grande orgoglio e con una assoluta naturalezza, nonostante tecnicamente quella successiva fosse la sua ultima settimana di lavoro e si apprestasse a rimanere “unemployed” e ad abbandonare la valle (nessuno può permettersi di vivere a lungo nella Bay area senza lavorare).
Nella mentalità  della Silicon Valley l’acquisizione rappresenta la meta per una azienda e per tutte le persone che vi lavorano, dal CEO all’ultimo dei dipendenti. Resta un obiettivo nonostante a questa faccia di solito seguito una ampia ristrutturazione aziendale, che porterà  all’uscita di gran parte del management e di molti dei dipendenti. “Folle”, diremmo noi. “So what?”, dicono loro. Rappresenta la conclusione di un percorso professionale ma anche l’opportunità  per avviarne uno nuovo, magari in una startup.In questa prospettiva l’acquisizione rimette in circolo innovazione e crescita economica su basi rinnovate. Ovviamente, le opportunità  non sono necessariamente per tutti non si manifestano esattamente il giorno dopo: ci saranno persone che rimarranno a piedi per un certo tempo. Tuttavia il gioco è più spesso a somma positiva che negativa.
Preparati ad una nuova ondata di startup nel campo biotech” mi dice Bill tra un sorso di caffè e l’altro (sì, perchè il caffe americano è molto, troppo lungo, nulla da cui noi italiani dobbiamo prendere esempio in questo  caso). Roche ha difatti comprato lo scorso marzo Genentech, la più grande azienda biotech al mondo, guarda caso con base a South San Francisco (nel caso vi foste in precedenza chiesti perchè South San Francisco dichiari di essere la culla del biotech). Grande acquisizione (quasi 50 miliardi di dollari, la più grande mai avvenuta nel mondo delle biotecnologie), imponente ristrutturazione. Molta gente in uscita, una fiumana di nuove startup in entrata. Questo è forse il vero segreto della Bay Area e della sua capacità  di avviare sempre nuovi cicli di innovazione.

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