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Francesco Guccini

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Francesco Guccini nel 1970

Francesco Guccini (1940 – vivente), cantautore e scrittore italiano.

Citazioni di Francesco Guccini

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  • [Riferendosi agli inizi della sua carriera] Brel, Brassens, Dylan... Con loro in mente, andavo all'impronta. "Dio è morto" non l'ho scritta avendo riferimenti discografici. L'ho fatta per me.[1]
  • [Parlando di Fabrizio De André] Ci siamo conosciuti perché era reciproca la curiosità. Capitò a Bologna, sarà stato il '66 [...] Addirittura avevamo pensato di fare, se non una tournée, un concerto assieme. Sarebbe stato "epocale" (si fa per dire, insomma). E poi per vari motivi non se n'è mai fatto niente. Lui disse anche: «...Sì, mi piacerebbe moltissimo eccetera, ma poi tu parli tanto, io invece non dico mai niente, non vorrei fare brutta figura...» Lui non diceva mai niente durante gli spettacoli.[fonte 1]
  • [...] ho una mia religiosità molto vaga, molto panteistica, per cui mi piace pensare di rincontrare tante persone che nel frattempo hanno deciso di andarsene prima di me. Io sono invece intenzionato a rimanere qua il più possibile, naturalmente. Sono quelle idee un po' romantiche; se ragiono freddamente dico che è impossibile, ma se lascio andare la fantasia... Sono sicuro in qualche modo di rincontrarle.[fonte 2]
  • Io e Giorgio e eravamo accomunati da un forte rispetto reciproco, ma fra noi c'erano profonde differenze. Lui era un "borghese" di Milano, io, pur essendo nato a Modena, sono un montanaro. E poi, il ragionier Gaberscik e il maestro elementare Guccini. Due modi diversi di vedere le cose. E anche se poi ci siamo sempre trovati molto bene insieme, credo che queste differenze si notino.[1]
  • L'uomo, non tutti per carità, guarda pochi metri accanto a sé. E si scorda presto. La storia è maestra di pochi. Insegna poco davvero, a noi italiani. Siamo partiti con le pezze al culo, e adesso ci dimentichiamo che chi viene qui ha la stessa faccia di noi cento anni fa. Ecco, Odysseus su questo avrebbe qualcosa da dire.[fonte 3]
  • [Riferito alle possibili conseguenze della pandemia di COVID-19] La storia non insegna mai niente. Anche dopo l'11 settembre si diceva che sarebbe cambiato tutto, ma non è cambiato nulla. Gli uomini non imparano. È nella natura umana dimenticarsi presto delle tragedie passate per riprendere la vita di sempre.[2]
  • [Su Giorgia Meloni] Lei dice che quando è nata, il fascismo non c'era più. Dice anche di essere cristiana, ma quando è nata anche Cristo era già morto...[3]
  • [Su La mia generazione ha perso di Giorgio Gaber] Mio padre si è fatto due anni di servizio militare, due anni di guerra d'Africa e cinque anni di guerra mondiale: di cui due in campo di concentramento. Ecco, la sua era una generazione che aveva perso, essendo cresciuta durante il fascismo. Noi, bene o male, siamo invece riusciti a fare le nostre cose. Anche più dei giovani di oggi, che non hanno mai lavoro sicuro. La nostra generazione è stata abbastanza fortunata, ha trovato spazio, possibilità, modo di esprimersi. Non ha perso. Anche se, forse, quel concetto veniva solo da un momento di pessimismo di Giorgio. Solo, ho il rimpianto di non averglielo mai chiesto.[4]
  • Nel 1964 era uscita Auschwitz, nel 1966-67 Dio è morto e all'epoca ricordo che ci incontravamo in un appartamento di amici, che era stato liberato dai genitori ed era stato battezzato "Folkstudio", dove ci trovavamo certe sere alla settimana a suonare e a discutere. Cantavamo canzoni anarchiche di fine Ottocento, inizi Novecento, come quelle di Pietro Gori.[fonte 4]
  • Ogni opera – sia una canzone, sia una poesia, sia un libro, un romanzo etc. – va per il mondo... e ognuno ha il diritto di interpretarla come vuole. Non è che il pensiero dell'autore sia necessariamente il pensiero giusto; non c'è un pensiero giusto: ci sono vari modi di interpretare una cosa, un pezzo, una frase...[fonte 5]
  • Raoul e, prima ancora, suo zio Secondo hanno saputo intercettare l'ansia di spensieratezza che c'era nel Dopoguerra, una voglia di ballare che "faceva luce".[5]
  • Zucchero è la semplicità: un modo di vedere la vita, gli amici e il proprio ambiente che difficilmente viene abbandonato. È rimasto ancorato ai posti che lo hanno prodotto.[fonte 6]

Intervista di Antonio Gnoli, Rep.repubblica.it, 29 dicembre 2017.

  • Ricordo che proposi alla Equipe [Equipe 84] Dio è morto, ma rifiutarono per paura che la canzone facesse troppo casino. Avevo pronta anche Un altro giorno è andato e Maurizio Vandelli, il leader del gruppo, sentenziò che Guccini non aveva più un cazzo da dire. E questo atteggiamento fece sì che si rafforzasse la mia collaborazione con i Nomadi.
  • [Su La locomotiva] Lessi le memorie bolognesi di Romolo Bianconi, un lavoratore che raccontando la sua vita scrisse di un ferroviere anarchico, Pietro Rigosi, cui avevano amputato una gamba che decise di impadronirsi di un treno per farlo saltare. Fu una ballata, contro le ingiustizie sociali, che scrissi in mezz'ora.
  • [Su Eskimo] Comprai l'indumento nel 1963 al mercatino di Trieste. Avevo finito il militare. Costò diecimila lire e veniva indossato dai soldati americani nella guerra di Corea. Anni dopo mi sono ritrovato in un mondo di eskimo.
  • [Su Incontro] Parlava di una ragazza che ora vive negli Stati Uniti e che allora viveva a Modena. C'era molta complicità tra noi. Poi si trasferì a Bologna. Sposò un americano. E sparì per un po' di tempo. Un giorno mi telefonò per dirmi che il matrimonio era andato a pezzi e lei lo aveva lasciato. Lui si uccise. E a me venne in mente di scriverci su una canzone.

Intervista di Gino Castaldo, Repubblica.it, 17 giugno 2021.

  • Non so se Dante o Guinizzelli fossero musicisti, sicuramente lo erano i provenzali, quindi in un certo senso sono gli antenati dei cantautori, quindi si può dire che io sia un esperto del ramo. Diciamo che musica e poesia si sono separate dopo, si sono specializzate, ma certi procedimenti sono continuati, pensiamo ai libretti d’opera, ma anche noi cantautori...
  • [Franco Battiato] L'ho conosciuto molto meglio dopo [il primo incontro], negli anni d'oro del Tenco, ricordo che era un gran barzellettiere, il che non ha niente a che vedere con le sue grandi qualità musicali, ma è un aspetto che mi colpì molto perché era meno prevedibile.
  • Ogni tanto mi viene da pensare a vecchissime canzoni come Signorinella, Vecchia America, c'erano storie, parole messe bene insieme.

Citazioni tratte da canzoni

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Folk beat n. 1

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Etichetta: La voce del padrone, 1967, prodotto da Odoardo Veroli.

  • Solo il silenzio come un sudario si stenderà | fra il cielo e la terra per mille secoli almeno. (da Noi non ci saremo, n. 1)
  • E catene di monti coperte di nevi | saranno confine a foreste di abeti. (da Noi non ci saremo, n. 1)
  • Risorgerà un mondo nuovo | ma noi non ci saremo. (da Noi non ci saremo, n. 1)
  • Non lo sapevi, ma cosa hai pensato | quando lo schianto ti ha uccisa, | quando anche il cielo di sopra è crollato, | quando la vita è fuggita. (da In morte di S.F., n. 2)
  • Sull'autostrada cercavi la vita | ma ti ha incontrato la morte. (da In morte di S.F., n. 2)
  • Vorrei sapere a che cosa è servito | vivere, amare e soffrire | spendere tutti i tuoi giorni passati | se così presto hai dovuto partire. (da In morte di S.F., n. 2)
  • Voglio però ricordarti com'eri | pensare che ancora vivi | Voglio pensare che ancora mi ascolti | e che come allora sorridi. (da In morte di S.F., n. 2)
  • Venerdì santo, anche l'amore sembra languore di penitenza. (da Venerdì santo, n. 3)
  • Venerdì santo, muore il Signore, tu muori, amore, fra le mie braccia. | Poi torna sera, resta soltanto, dolce, il ricordo: venerdì santo. (da Venerdì santo, n. 3)
  • Alzan gli occhi i pescatori verso il cielo così livido | le onde sembra che si fermino, non si sente che il silenzio | e le reti sono piene | di cadaveri d'argento. (da L'atomica cinese, n. 4)
  • Ad Auschwitz tante persone, ma un solo grande silenzio. (da Auschwitz (Canzone del bambino nel vento), n. 5)
  • Io chiedo: come può l'uomo uccidere un suo fratello? | Eppure siamo a milioni, in polvere, qui nel vento. (da Auschwitz (Canzone del bambino nel vento), n. 5)
  • Statale 17, com'è lunga da far tutta. (da Statale 17, n. 7)
  • Statale 17, sembri esplodere di sole, | Statale 17, alzo il dito inutilmente, | Statale 17, lungo nastro di catrame: | la gente bene dorme, sei deserta all'orizzonte | a quest'ora non c'è un cane che mi voglia prender su... (da Statale 17, n. 7)
  • Statale 17, sei triste nella sera, | non alzo più la mano, cammino piano piano sulla strada ormai deserta | mentre tu chissà se aspetti ancora, | mentre qui la strada che si sperde sembra un letto di cemento: | sono mortalmente stanco chissà mai se arriverò da te... (da Statale 17, n. 7)
  • Mia madre, santa donna di Dio, aggiunse un Pio per contentar | uno zio prete che per commosso ringraziamento mi battezzò. (da Il 3 dicembre del '39, n. 8)
  • La provvidenza ci ha poi aiutati con i soldati della Wehrmacht. (da Il 3 dicembre del '39, n. 8)
  • Mia madre, donna di gran pietà, cercò in politica verginità. (da Il 3 dicembre del '39, n. 8)
  • Mia madre, donna di grande amore, sentì nel cuore l'error di un dì | fu clericale, democristiana, e nella lana fede trovò. (da Il 3 dicembre del '39, n. 8)
  • Io chiesa, nobili e terzo stato sempre ho fregato solo per me. (da Il 3 dicembre del '39, n. 8)
  • Il fiume racconta leggende mentre veloce va al mare, | le narrano piano le onde e i pioppi le stanno a ascoltare. (da La ballata degli annegati, n. 9)
  • Per me era peso il passato, e l'acqua sembrava leggera. (da La ballata degli annegati, n. 9)
  • Odio il gusto del retorico, il miracolo economico, | il valore permanente e duraturo. (da Il sociale e l'antisociale, n. 10)
  • E voi bimbe sognatrici della vita delle attrici, | attenzione: da me state alla lontana. | Non mi piace esser per bene, far la faccia che conviene | poi alla fine sono sempre senza grana. (da Il sociale e l'antisociale, n. 10)
  • Vuoti e pieni di sussiego se il vestito non fa un piego | mentre io mi metto quello che mi pare. (da Il sociale e l'antisociale, n. 10)
  • Sono contro il matrimonio, sono senza patrimonio, | non ho quello che si dice un posto al sole. (da Il sociale e l'antisociale, n. 10)
  • Non amo viver con tutta la gente, mi piace solo la gente "bene" | come si dice comunemente: "bene si nasce non si diviene". (da Il sociale e l'antisociale, n. 10)
  • Sono elegante ed è inutile dire che le mie vesti son sempre curate, | perché è senz'altro importante il vestire perché è la tonaca che fa il frate... | In fondo sol due cose hanno importanza, e sono il conto in banca e l'eleganza. (da Il sociale e l'antisociale, n. 10)
  • Non ho rapporti coi proletari, soltanto a tarda notte lungo i viali. (da Il sociale e l'antisociale, n. 10)

Due anni dopo

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Etichetta: EMI, 1970.

  • Ed ogni giorno ormai sentirsi raccontare la storia conosciuta, | la frase risaputa, la propria morta vita. (da Lui e lei, lato A, n. 1)
  • Di antichi fasti la piazza vestita | grigia guardava la nuova sua vita, | come ogni giorno la notte arrivava, | frasi consuete sui muri di Praga, | ma poi la piazza fermò la sua vita | e breve ebbe un grido la folla smarrita | quando la fiamma violenta ed atroce | spezzò gridando ogni suono di voce. (da Primavera di Praga, lato A, n. 2)
  • Quando la fiamma col suo fumo nero | lasciò la terra e si alzò verso il cielo, | quando ciascuno ebbe tinta la mano, | quando quel fumo si sparse lontano, | Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava | all'orizzonte del cielo di Praga. (da Primavera di Praga, lato A, n. 2)
  • Dimmi chi era che in corpo, | portava la città intera che lo accompagnava: | la città intera che muta lanciava | una speranza nel cielo di Praga. (da Primavera di Praga, lato A, n. 2)
  • I manifesti sono visi di carta che non dicono nulla e che nessuno più guarda, | colori accesi dentro ai vicoli scuri, | sembrano un urlo quelle carte sui muri. (da Giorno d'estate, lato A, n. 3)
  • Giorno d'estate, giorno fatto di niente, | grappoli d'ozio danzan piano con me, | il sole è un sogno d'oro, ma evanescente, | guardi un istante e non sai quasi se c'è. (da Giorno d'estate, lato A, n. 3)
  • Il tempo è passato e la grande giornata | è quasi finita e non è cominciata: | hai visto che lui la tua amica ha baciato e da te | non verrà. (da Il compleanno, lato A, n. 4)
  • Consolati e pensa che il tuo compleanno | ritorna fra poco, soltanto fra un anno, | gli amici gentili un regalo faranno, ed il tuo tempo va | e non tornerà... (da Il compleanno, lato A, n. 4)
  • Quando il mio ultimo giorno verrà dopo il mio ultimo sguardo sul mondo, | non voglio pietra su questo mio corpo, perché pesante mi sembrerà. | Cercate un albero giovane e forte, quello sarà il posto mio; | voglio tornare anche dopo la morte sotto quel cielo che chiaman di Dio. (da L'albero ed io, lato A, n. 5)
  • E così, assieme, vivremo in eterno qua sulla terra, l'albero e io | sempre svettanti, in estate e in inverno contro quel cielo che dicon di Dio. (da L'albero ed io, lato A, n. 5)
  • E ancora non sai come potrai | trovare lungo i muri un'esperienza; | sapere vorrai, ma ti troverai | due anni dopo al punto di partenza. | E senti ancora quelle voci di mezzi amori e mezze vite accanto; | non sai però se sono vere o sono dentro all'anima soltanto. (da Due anni dopo, lato A, n. 6)
  • Parole a vuoto son passate nel cielo breve dell'estate, | la saga falsa degli amori è già finita come i fiori. | Ma i venditori di illusioni han già cantato le canzoni, | le sale buie splenderanno e i nuovi amori nasceranno. (da La verità, lato B, n. 1)
  • E li vedi, girare lenti strascicando i piedi, | parlare forte a tutti od a nessuno | o piangere aggrappati ai muri, stanchi e addormentati. | L'ora vola e il vino amico o ammazza o li consola | e il vino li fa vivere o morire | e la tristezza solita o li uccide o se ne va... (da Per quando è tardi, lato B, n. 2)
  • Vedi cara, è difficile a spiegare, | è difficile parlare dei fantasmi di una mente. | Vedi cara, tutto quel che posso dire | è che cambio un po' ogni giorno, è che sono differente. | Vedi cara, certe volte sono in cielo | come un aquilone al vento che poi a terra ricadrà. | Vedi cara, è difficile a spiegare, | è difficile capire se non hai capito già... (da Vedi cara, lato B, n. 3)
  • Vedi cara, certi giorni sono un anno | certe frasi sono un niente che non serve più sentire. | Vedi cara, le stagioni ed i sorrisi | son denari che van spesi con dovuta proprietà. (da Vedi cara, lato B, n. 3)
  • Non cercare in un viso la ragione, | in un nome la passione che lontano ora mi fa. (da Vedi cara, lato B, n. 3)
  • Tu sei tutto, ma quel tutto è ancora poco, | tu sei paga del tuo gioco ed hai già quello che vuoi. | Io cerco ancora e così non spaventarti | quando senti allontanarmi: fugge il sogno, io resto qua! (da Vedi cara, lato B, n. 3)
  • Ophelia che vedi dentro al verde dell'acqua del fossato, | nei guizzi che la trota fa cambiando di colore? (da Ophelia, lato B, n. 4)
  • Cade il vino nel bicchiere poi nessuno più si muove | e non sai se fuori all'aria ci sia il sole oppur se piove. | E quell'uomo si ricorda e, per uno scherzo atroce, | quasi il vino gli dà forza, l'illusione gli dà voce. (da L'ubriaco, lato B, n. 5)

L'isola non trovata

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Etichetta: EMI, 1970, prodotto da Pier Farri.

  • Il Re di Spagna fece vela cercando l'isola incantata, | però quell'isola non c'era e mai nessuno l'ha trovata: | svanì di prua dalla galea come un'idea, | come una splendida utopia, è andata via e non tornerà mai più... (da L'isola non trovata, n. 1)
  • K.D. non seppe mai dire che sensazione la prese, | sentì il suo corpo svanire, le braccia eran ali rapprese. | Pianse qualcuno lontano che forse non conosceva | ed il suo pianto pian piano quell'orizzonte scioglieva... (da L'orizzonte di K.D., n. 2)
  • Forse l'abbiam vista nel passato, ma il ricordo se n'è andato dalla mente. | Cercala negli angoli del sogno per portarla lungo il mondo del presente. | Oh, se solamente io potessi rivederla com'è adesso per un'ora! | So di fiori grandi come soli ma mi sfuggono i colori, ancora. (da La collina, n. 3)
  • Dopo un bicchiere di vino con frasi un po' ironiche e amare, | parlava in tedesco e in latino, parlava di Dio e Schopenhauer. (da Il frate, n. 4)
  • Ma non ho ancora capito con la mia cultura fasulla | chi avesse capito la vita chi non capisse ancor nulla. (da Il frate, n. 4)
  • E un altro giorno è andato, la sua musica ha finito, | quanto tempo è ormai passato e passerà? (da Un altro giorno è andato, n. 5)
  • Negli angoli di casa cerchi il mondo, | nei libri e nei poeti cerchi te, | ma il tuo poeta muore e l'alba non vedrà | e dove corra il tempo chi lo sa? (da Un altro giorno è andato, n. 5)
  • La sfera di cristallo si è offuscata | e l'aquilone tuo non vola più, | nemmeno il dubbio resta nei pensieri tuoi | e il tempo passa e fermalo, se puoi! (da Un altro giorno è andato, n. 5)
  • Vorresti alzarti in cielo a urlare chi sei tu, | ma il tempo passa e non ritorna più! (da Un altro giorno è andato, n. 5)
  • Tu canti nella strada frasi a cui nessuno bada, | l'indomani come tutto se ne andrà. | Ti guardi nelle mani e stringi il vuoto, | se guardi nelle tasche troverai | gli spiccioli che ieri non avevi ma | il tempo andato non ritornerà! | Il tempo andato non ritornerà! | Il tempo andato non ritornerà! (da Un altro giorno è andato, n. 5)
  • Bagasce sono i tuoi ricordi che fra canzoni e vino ti disturbano, | che ti molestano pian piano e il giorno sembra ormai così lontano. (da Canzone di notte, n. 6)
  • Se ridi o piangi è sempre uguale, le cose nel ricordo poi si sfumano, | il sacro si unirà al profano e il giorno sembra ormai così lontano. (da Canzone di notte, n. 6)
  • E dirò sempre le stesse cose viste sotto mille angoli diversi, | cercherò i minuti, le ore, i giorni, i mesi, gli anni, i visi che si sono persi, | canterò soltanto il tempo... (da Il tema, n. 7)
  • C'era buio nella stanza, di malato un greve odore | e una lieve, pazza danza di mosconi in amore; | lievi ronzan le preghiere, poi qualcuno se n'è accorto: | si alzò atroce nella sera, solo un chiaro grido: "È morto!" (da L'uomo, n. 8)
  • Una vita: quante cose dice il prete in due parole; | lo ringraziano gli astanti, via l'inverno, c'è già il sole, | chiacchiere, risate lievi, vanno per il cimitero, | restan fiori con le scritte, resta al vento un drappo nero. (da L'uomo, n. 8)
  • E l'Asia par che dorma ma sta sospesa in aria l'immensa, millenaria sua cultura. (da Asia, n. 9)
  • Appare, a volte, avvolta di foschia, magica e bella, | ma se il pilota avanza su mari misteriosi è già volata via, | tingendosi d'azzurro, color di lontananza... || Il Re di Spagna fece vela cercando l'isola incantata... (da L'isola non trovata, n. 10)

Radici

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Etichetta: EMI, 1972, prodotto da Pier Farri.

Francesco Guccini nel 1972
  • La casa sul confine dei ricordi, | la stessa sempre, come tu la sai | e tu ricerchi là le tue radici | se vuoi capire l'anima che hai. (da Radici, n. 1)
  • La casa è come un punto di memoria, | le tue radici danno la saggezza | e proprio questa è forse la risposta | e provi un grande senso di dolcezza. (da Radici, n. 1)
  • I tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti | sembrava il treno anch'esso un mito di progresso | lanciato sopra ai continenti. (da La locomotiva, n. 2)
  • E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano | che l'uomo dominava con il pensiero e con la mano | ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite | sembrava avesse dentro un potere tremendo | la stessa forza della dinamite. (da La locomotiva, n. 2)
  • Ma un'altra grande forza spiegava allora le sue ali, | parole che dicevano: «Gli uomini son tutti uguali» | e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via | la bomba proletaria e illuminava l'aria | la fiaccola dell'anarchia. (da La locomotiva, n. 2)
  • Ma intanto corre, corre, corre la locomotiva: | e sibila il vapore, e sembra quasi cosa viva; | e sembra dire ai contadini curvi il fischio che si spande in aria: | «Fratello non temere, che corro al mio dovere, | trionfi la giustizia proletaria!». (da La locomotiva, n. 2)
  • E che ci giunga un giorno ancora la notizia | di una locomotiva come una cosa viva, | lanciata a bomba contro l'ingiustizia! (da La locomotiva, n. 2)
  • Gli occhi guardavano voi, ma sognavan gli eroi, le armi e la bilia, | correva la fantasia verso la prateria, fra la via Emilia e il West. (da Piccola città, n. 3)
  • Se penso a un giorno o a un momento ritrovo soltanto malinconia. | È tutto un incubo scuro, un periodo di buio gettato via... (da Piccola città, n. 3)
  • E pensavo dondolato dal vagone: «Cara amica, il tempo prende, il tempo dà... | noi corriamo sempre in una direzione ma qual sia e che senso abbia chi lo sa... | Restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento, | le luci nel buio di case intraviste da un treno: | siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno». (da Incontro, n. 4)
  • Viene Gennaio silenzioso e lieve, un fiume addormentato | fra le cui rive giace come neve il mio corpo malato, il mio corpo malato... | Sono distese lungo la pianura bianche file di campi, | son come amanti dopo l'avventura neri alberi stanchi, neri alberi stanchi... (da Canzone dei dodici mesi, n. 5)
  • Viene Febbraio, e il mondo è a capo chino, ma nei convitti e in piazza | lascia i dolori e vesti da Arlecchino, il carnevale impazza, il carnevale impazza... | L'inverno è lungo ancora, ma nel cuore appare la speranza | nei primi giorni di malato sole la primavera danza, la primavera danza... (da Canzone dei dodici mesi, n. 5)
  • Cantando Marzo porta le sue piogge, la nebbia squarcia il velo, | porta la neve sciolta nelle rogge il riso del disgelo, il riso del disgelo... | Riempi il bicchiere, e con l'inverno butta la penitenza vana, | l'ala del tempo batte troppo in fretta, la guardi, è già lontana, la guardi, è già lontana... (da Canzone dei dodici mesi, n. 5)
  • Con giorni lunghi al sonno dedicati, il dolce Aprile viene | quali segreti scoprì in te il poeta che ti chiamò crudele? |Ma nei tuoi giorni è bello addormentarsi dopo fatto l'amore, | come la terra dorme nella notte dopo un giorno di sole, dopo un giorno di sole...[6] (da Canzone dei dodici mesi, n. 5)
  • Ben venga Maggio e il gonfalone amico, ben venga primavera, | il nuovo amore getti via l'antico nell'ombra della sera, nell'ombra della sera...[7] (da Canzone dei dodici mesi, n. 5)
  • Giugno, che sei maturità dell'anno, di te ringrazio Dio: | in un tuo giorno, sotto al sole caldo, ci sono nato io, ci sono nato io... | E con le messi che hai fra le tue mani ci porti il tuo tesoro, | con le tue spighe doni all'uomo il pane, alle femmine l'oro, alle femmine l'oro... (da Canzone dei dodici mesi, n. 5)
  • Con giorni lunghi di colori chiari ecco Luglio, il leone, | riposa, bevi e il mondo attorno appare come in una visione, come in una visione... (da Canzone dei dodici mesi, n. 5)
  • Non si lavora Agosto, nelle stanche tue lunghe e oziose ore | mai come adesso è bello inebriarsi di vino e di calore, di vino e di calore. (da Canzone dei dodici mesi, n. 5)
  • Settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull'età, | dopo l'estate porta il dono usato della perplessità, della perplessità... | Ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità, | come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità, le possibilità... (da Canzone dei dodici mesi, n. 5)
  • Non so se tutti hanno capito Ottobre la tua grande bellezza: | nei tini grassi come pance piene prepari mosto e ebbrezza, prepari mosto e ebbrezza... | Lungo i miei monti, come uccelli tristi fuggono nubi pazze, | lungo i miei monti colorati in rame fumano nubi basse, fumano nubi basse... (da Canzone dei dodici mesi, n. 5)
  • Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti, | lungo i giardini consacrati al pianto si festeggiano i morti, si festeggiano i morti... (da Canzone dei dodici mesi, n. 5)
  • E mi addormento come in un letargo, Dicembre, alle tue porte, | lungo i tuoi giorni con la mente spargo tristi semi di morte, tristi semi di morte... | Uomini e cose lasciano per terra esili ombre pigre, | ma nei tuoi giorni dai profeti detti nasce Cristo la tigre, nasce Cristo la tigre... (da Canzone dei dodici mesi, n. 5)
  • E poi e poi, gente viene qui e ti dice di sapere già ogni legge delle cose. | E tutti, sai, vantano un orgoglio cieco di verità fatte di formule vuote... | E tutti, sai, ti san dire come fare, | quali leggi rispettare, quali regole osservare, qual è il vero vero... (da Canzone della bambina portoghese, n. 6)
  • E in questo sentiva qualcosa di grande | che non riusciva a capire, che non poteva intuire, | che avrebbe spiegato, se avesse capito lei, quell'oceano infinito... (da Canzone della bambina portoghese, n. 6)
  • E poi, e poi, che quel vizio che ti ucciderà non sarà fumare o bere, | ma il qualcosa che ti porti dentro, | cioè vivere. (da Canzone della bambina portoghese, n. 6)
  • I vecchi subiscon le ingiurie degli anni, | non sanno distinguere il vero dai sogni. | I vecchi non sanno, nel loro pensiero, | distinguer nei sogni il falso dal vero. (da Il vecchio e il bambino, n. 7)

Opera buffa

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Etichetta: EMI, 1973, prodotto da Pier Farri.

  • Bello col vestito della festa, bello con la brillantina in testa | bello, con le scarpe di coppale e l'andata un po' per male, ed in bocca il riso amar... | Le donne treman quando monto la Gilera, fremono aspettando alla balera, | muoion spasimando nell'attesa che ad un mio cenno d'intesa io le stringa nel "casché". (da Il bello[8], n. 1)
  • Più d'una donna procace ha simulato l'amor | con un suo bacio mendace, promessa fallace di un attimo sol. (da Di mamme ce n'è una sola, n. 2)
  • Per capire la nostra storia bisogna farsi ad un tempo remoto: | c'era un vecchio con la barba bianca, lui, la sua barba, ed il resto era vuoto. | Voi capirete che in tale frangente quel vecchio solo lassù si annoiava, | si aggiunga a questo che, inspiegabilmente, nessuno aveva la T.V. inventata... || Be', poco male, pensò il vecchio un giorno, a questo affare ci penserò io: | sembra impossibil, ma in roba del genere, modestia a parte, ci so far da Dio! | "Dixit", ma poi toccò un filo scoperto, prese la scossa, ci fu un gran boato: | come T.V. non valeva un bel niente, ma l'Universo era stato creato... (da La Genesi, n. 3)
  • Prese un poco di argilla rossa, fece la carne, fece le ossa, | ci sputò sopra, ci fu un gran tuono ed è in quel modo che è nato l'uomo... (da La Genesi, n. 3)
  • La brava giovane campava bene, ma ormai sentiva il richiamo dell'arte: | qualunque cosa lei avrebbe donato sol per avere in un film una parte. | Se ne andò a letto con tre produttori, studiò dizione, bel canto, regia, | mimica, scenica, recitazione e apparve nuda in un film di Golia. (da Fantoni Cesira, n. 4)
  • E la morale di questa storia al giorno d'oggi non è tanto strana: | per aver soldi, la fama e la gloria bisogna essere un poco puttana! (da Fantoni Cesira, n. 4)
  • Ma questo fatto dell'educazione non è ben visto dalla nazione: | "morte alla pillola atea e nociva! Per l'aspirina si gridi evviva!" (da Talkin' sul sesso, n. 5)
  • Italia per bene, sii sveglia, sii desta, intendi l'orecchio, solleva la testa! Ah, ah... | I giovani d'oggi han scoperto, vergogna, chi porta i bambini, non è la cicogna! (da Talkin' sul sesso, n. 5)

Stanze di vita quotidiana

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Etichetta: EMI Italiana, 1974, prodotto da Pier Farri.

Francesco Guccini con i proletari
  • Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta, | ma la gente che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta, | qualcuno è andato per età, qualcuno perché già dottore | e insegue una maturità, si è sposato, fa carriera ed è una morte un po' peggiore. (da Canzone delle osterie di fuori porta, n. 1)
  • Ma non ho scuse da portare, non dico più d'esser poeta, | non ho utopie da realizzare: stare a letto il giorno dopo è forse l'unica mia meta... (da Canzone delle osterie di fuori porta, n. 1)
  • Si alza sempre lenta come un tempo l'alba magica in collina, | ma non provo più quando la guardo quello che provavo prima. | Ladri e profeti di futuro mi hanno portato via parecchio, | il giorno è sempre un po' più oscuro, sarà forse perché è storia, sarà forse perché invecchio... (da Canzone delle osterie di fuori porta, n. 1)
  • Ride chi ha nel cuore l'odio e nella mente la paura. (da Canzone delle osterie di fuori porta, n. 1)
  • Son stanco d'aver detto le cose che dirò, di aver già fatto le cose che farò, | ma è tardi, troppo tardi, piangere ormai sulla rinuncia triste a quello che non fai... || Credevo l'incertezza possibilità e il dubbio assiduo l' unica ragione, | ma quali scelte hai fatto in piena libertà: ti muovi sempre dentro a una prigione... || Non è la luce o il buio né l'ero ed il sarò, non è il coraggio che ti fa dir "vivrò", | è solo un'altra scusa che usare vuoi per la rinuncia triste a quello che non puoi... (da Canzone della triste rinuncia, n. 2)
  • Inizia presto all'alba o tardi al pomeriggio, | ma in questo non c'è alcuna differenza, | le ore che hai davanti son le stesse, son tante, | stesso coraggio chiede l'esistenza... (da Canzone della vita quotidiana, n. 3)
  • Ipocrisie leggere, rabbie da poco prezzo, | risposte argute date sempre tardi, | saluti caldi d'ansia, di noia o di disprezzo | o senza che s'incrocino gli sguardi, || le usate confidenze di malattie o di sesso | dove ciascuno ascolta sol se stesso: | finzioni naturali in cui ci adoperiamo | per non sembrar di esser quel che siamo. (da Canzone della vita quotidiana, n. 3)
  • Chi glielo dice a chi è giovane adesso di quante volte si possa sbagliare, fino al disgusto di ricominciare perché ogni volta è poi sempre lo stesso. (da Canzone per Piero, n. 4)
  • Quei giorni spesi a parlare di niente sdraiati al sole, inseguendo la vita | come l'avessimo sempre capita, come qualcosa capito per sempre. (da Canzone per Piero, n. 4)
  • Io dico sempre "non voglio capire", ma è come un vizio sottile e più penso | più mi ritrovo questo vuoto immenso, e per rimedio soltanto il dormire. | E poi ogni giorno mi torno a svegliare e resto incredulo, non vorrei alzarmi, | ma vivo ancora e son lì ad aspettarmi le mie domande, il mio niente, il mio male... (da Canzone per Piero, n. 4)
  • Le strade sono aperte ed il momento viene sempre. (da Canzone delle ragazze che se ne vanno, n. 5)
  • T'invidio perché ancora hai molte pagine da aprire | di un libro che ho già letto e che tu devi ancor scoprire, | ma quando capirai che cerchi un libro che non c'è, | allora ti ricorderai di me. (da Canzone delle ragazze che se ne vanno, n. 5)
  • Ma eroi, profeti, miti, santi, bambole e banditi ti rapiranno ancora tante volte | o tu li aspetterai e non verranno mai, per una aperta chiudi cento porte. (da Canzone delle ragazze che se ne vanno, n. 5)
  • Le ore sono andate e le parole consumate attendon le parole che verranno. | Castelli e primavere che hai creduto di vedere non sai se son durante un'ora o un anno. | Son pronti i tuoi misteri: chiama ciò che non conosci, | già corri dove ho corso, verso nuove strade e voci, | ma se vorrai capire tutto questo che cos'è, | allora ti ricorderai, allora ti ricorderai, allora ti ricorderai di me. (da Canzone delle ragazze che se ne vanno, n. 5)
  • O sera scendi presto, o mondo nuovo arriva! | Rivoluzione, cambia qualche cosa. | Cancella il ghigno solito di questa ormai corrosa, | mia stanca civiltà che si trascina. (da Canzone delle situazioni differenti, n. 6)
  • Malinconie discrete che non sanno star segrete, | le piccole modeste storie mie, | che non si son mai messe addosso il nome di poesie. (da Canzone delle situazioni differenti, n. 6)
  • Di giorno bevo l'acqua e faccio il saggio, | per questo solo a notte ho quattro soldi di messaggio | da urlare in faccia a chi non lo raccoglie. (da Canzone delle situazioni differenti, n. 6)
  • Noi siamo come tutti e un poco, giorno dopo giorno, | sciupiamo i nostri "oggi" come "ieri". (da Canzone delle situazioni differenti, n. 6)

Via Paolo Fabbri 43

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Etichetta: EMI Italiana, 1976.

Via Paolo Fabbri, 43
Bologna
  • Ma che piccola storia ignobile mi tocca raccontare, così solita e banale come tante, | che non merita nemmeno due colonne su un giornale o una musica o parole un po' rimate, | che non merita nemmeno l'attenzione della gente, quante cose più importanti hanno da fare, | se tu te la sei voluta, a loro non importa niente, | te l'avevan detto che finivi male... (da Piccola storia ignobile, n. 1)
  • E così ti sei trovata come a un tavolo di marmo desiderando quasi di morire, | presa come un animale macellato stavi urlando, ma quasi l'urlo non sapeva uscire | e così ti sei trovata fra paure e fra rimorsi davvero sola fra le mani altrui, | che pensavi nel sentire nella carne tua quei morsi | di tuo padre, di tua madre e anche di lui. (da Piccola storia ignobile, n. 1)
  • E un'altra volta è notte e suono, | non so nemmeno io per che motivo, forse perché son vivo | e voglio in questo modo dire "sono" | o forse perché è un modo pure questo per non andare a letto | o forse perché ancora c'è da bere | e mi riempio il bicchiere... (da Canzone di notte n. 2, n. 2)
  • Eppure fa piacere a sera, | andarsene per strade ed osterie, vino e malinconie, | e due canzoni fatte alla leggera | in cui gridando celi il desiderio che sian presi sul serio | il fatto che sei triste o che ti annoi, | e tutti i dubbi tuoi... (da Canzone di notte n. 2, n. 2)
  • È bello ritornar "normalità". | È facile tornare con le tante stanche pecore bianche. | Scusate, non mi lego a questa schiera: | morrò pecora nera. (da Canzone di notte n. 2, n. 2)
  • Non scampa, fra chi veste da parata, | chi veste una risata... (da Canzone di notte n. 2, n. 2)
  • Ognuno vive dentro ai suoi egoismi vestiti di sofismi | ognuno costruisce il suo sistema | di piccoli rancori irrazionali, di cosmi personali | scordando che poi infine tutti avremo due metri di terreno... (da Canzone di notte n. 2, n. 2)
  • E un'altra volta è notte e suono, | non so nemmeno io per che motivo, forse perché son vivo | o forse per sentirmi meno solo, | o forse perché è notte e vivo strani fantasmi e sogni vani, | che danno quell'ipocondria ben nota, | poi, la bottiglia è vuota... (da Canzone di notte n. 2, n. 2)
  • Però non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far poesia... (da L'avvelenata, n. 3)
  • Secondo voi ma a me cosa mi frega di assumermi la bega di star quassù a cantare, | godo molto di più nell'ubriacarmi oppure a masturbarmi o, al limite, a scopare... (da L'avvelenata, n. 3)
  • Se son d'umore nero allora scrivo frugando dentro alle nostre miserie: | di solito ho da far cose più serie, costruire su macerie o mantenermi vivo! (da L'avvelenata, n. 3)
  • Io tutti, io niente, io stronzo, io ubriacone, io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista, | io ricco, io senza soldi, io radicale, io diverso ed io uguale, negro, ebreo, comunista. | Io frocio, io perché canto so imbarcare, io falso, io vero, io genio, io cretino, | io solo qui alle quattro del mattino, l'angoscia un po' di vino, voglia di bestemmiare. (da L'avvelenata, n. 3)
  • Ma se io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, forse, farei lo stesso, | mi piace far canzoni e bere vino, mi piace far casino, poi sono nato fesso. (da L'avvelenata, n. 3)
  • Gli arguti intellettuali trancian pezzi e manuali, | poi stremati fanno cure di cinismo, | son pallidi nei visi e hanno deboli sorrisi | solo se si parla di strutturalismo. (da Via Paolo Fabbri 43, n. 4)
  • Se fossi accademico, fossi maestro o dottore | ti insignirei in toga di 15 lauree ad honorem, | ma a scuola ero scarso in latino e il pop non è fatto per me | ti diplomerò in canti e in vino qui in via Paolo Fabbri 43. (da Via Paolo Fabbri 43, n. 4)
  • Jorge Luis Borges mi ha promesso l'altra notte | di parlar personalmente col "persiano", | ma il cielo dei poeti è un po' affollato in questi tempi, | forse avrò un posto da usciere o da scrivano: | dovrò lucidare i suoi specchi, | trascriver quartine a Kayyam, | ma un lauro da genio minore | per me, sul suo onore, non mancherà... (da Via Paolo Fabbri 43, n. 4)
  • Ma anche i miei eroi sono poveri, si chiedono troppi perché... (da Via Paolo Fabbri 43, n. 4)
  • Le sere sono uguali, ma ogni sera è diversa | e quasi non ti accorgi dell' energia dispersa | a ricercare i visi che ti han dimenticato | vestendo abiti lisi, buoni ad ogni evenienza, inseguendo la scienza o il peccato... (da Canzone quasi d'amore, n. 5)
  • D'altra parte, lo vedi, scrivo ancora canzoni | e pago la mia casa, pago le mie illusioni, | fingo d'aver capito che vivere è incontrarsi, | aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare, | bere, leggere, amare... grattarsi! (da Canzone quasi d'amore, n. 5)
  • Io ascolto e non capisco e tutto attorno mi stupisce | la vita, com'è fatta e come uno la gestisce | e i mille modi e i tempi, poi le possibilità, | le scelte, i cambiamenti, il fato, le necessità. (da Il pensionato, n. 6)
  • Ma poi mi accorgo che probabilmente è solo un tarlo | di uno che ha tanto tempo ed anche il lusso di sprecarlo. (da Il pensionato, n. 6)

Amerigo

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Etichetta: EMI Italiana, 1978, prodotto da Pier Farri.

  • Probabilmente uscì chiudendo dietro a sé la porta verde. | Qualcuno si era alzato a preparargli in fretta un caffè d'orzo. | Non so se si girò, non era il tipo d'uomo che si perde | in nostalgie da ricchi, e andò per la sua strada senza sforzo. (da Amerigo, n. 1)
  • Colpiva il cranio raso e un misterioso e strano suo apparecchio: | un cinto d'ernia che sembrava una fondina per la pistola. (da Amerigo, n. 1)
  • E già sentiva in faccia l'odore d'olio e mare che fa Le Havre. (da Amerigo, n. 1)
  • L'America era Life, sorrisi e denti bianchi su patinata; | l'America era il mondo sognante e misterioso di Paperino. (da Amerigo, n. 1)
  • L'America era allora per me provincia dolce, mondo di pace, | perduto paradiso, malinconia sottile, nevrosi lenta. (da Amerigo, n. 1)
  • Un sogno lungo il suono continuo ed ossessivo che fa il Limentra. (da Amerigo, n. 1)
  • Non so come la vide, quando la nave offrì New York vicino: | dei grattacieli il bosco, città di feci e strade, urla, castello. | E Pavana un ricordo lasciato tra i castagni dell'Appennino, | l'inglese un suono strano che lo feriva al cuore come un coltello. (da Amerigo, n. 1)
  • L'America era un angolo, l'America era un' ombra, nebbia sottile, | l'America era un'ernia, un gioco di quei tanti che fa la vita, | e dire boss per capo e ton per tonnellata, "raif" per fucile. (da Amerigo, n. 1)
  • Quand'io l'ho conosciuto o inizio a ricordarlo era già vecchio. | Sprezzante come i giovani, gli scivolavo accanto senza afferrarlo | e non capivo che quell'uomo era il mio volto, era il mio specchio, | finché non verrà il tempo in faccia a tutto il mondo per rincontrarlo. (da Amerigo, n. 1)
  • Da te, dalle tue immagini e dalla tua paura, | dai preti d'ogni credo, da ogni loro impostura, | da inferni e paradisi, da una vita futura, | da utopie per lenire questa morte sicura, | da crociati e crociate, da ogni sacra scrittura, | da fedeli invasati d'ogni tipo e natura, | libera, libera libera, libera nos Domine. (da Libera nos Domine, n. 2)
  • Ogni cosa alla lunga mi molesta | e cerco un'altra festa, e poi le feste in fondo mi han stancato... (da 100, Pennsylvania Ave, n. 3)
  • Ma tu non sei cambiata di tanto e se cos'è un orgasmo ora lo sai, | potrai capire i miei vent'anni allora e i quasi cento adesso capirai. (da Eskimo, n. 4)
  • Portavo allora un eskimo innocente dettato solo dalla povertà, | non era la rivolta permanente: diciamo che non c'era e tanto fa. (da Eskimo, n. 4)
  • Bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà. | Tu giri adesso con le tette al vento, io ci giravo già vent'anni fa. (da Eskimo, n. 4)
  • Perché a vent'anni è tutto ancora intero, perché a vent'anni è tutto "chi lo sa", | ma a vent'anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell'età. (da Eskimo, n. 4)
  • Io come sempre faccio quel che posso, domani poi ci penserò... se mai. (da Eskimo, n. 4)
  • Ed io ti canterò questa canzone uguale a tante che già ti cantai: | ignorala come hai ignorato le altre e poi saran le ultime, oramai. (da Eskimo, n. 4)
  • Cinque anatre andavano a sud: forse una soltanto vedremo arrivare, | ma quel suo volo certo vuole dire che bisognava volare, che bisognava volare. (da Le cinque anatre, n. 5)
  • E corre l'uomo confuso verso | ciò che neanche lui capisce, | chi ha programmato la sua vita | non sa chi sia e dove; ma che | importa, se solo questo lo fa | già dubitare del suo equilibrio | e aperta è già la strada oscuramente | verso una nuova realtà. (da Mondo nuovo, n. 6)

Metropolis

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Etichetta: EMI, 1981.

Francesco Guccini nel 1972
  • Che oroscopo puoi trarre questa sera, Mago? (da Bisanzio, lato A, n. 1)
  • O forse io, forse io, ho sottovalutato questo nuovo Dio. (da Bisanzio, lato A, n. 1)
  • Città assurda, città strana di questo imperatore sposo di puttana, | di plebi smisurate, labirinti ed empietà, | di barbari che forse sanno già la verità, | di filosofi e di eteree, sospesa tra due mondi, e tra due ere... (da Bisanzio, lato A, n. 1)
  • Bisanzio è forse solo un simbolo insondabile, | segreto e ambiguo come questa vita, | Bisanzio è un mito che non mi è consueto, | Bisanzio è un sogno che si fa incompleto, | Bisanzio forse non è mai esistita. (da Bisanzio, lato A, n. 1)
  • Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare, | la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi Venezia la vende ai turisti. (da Venezia[9], lato A, n. 2)
  • Stefania era bella, Stefania non stava mai male, | è morta di parto gridando in un letto sudato d'un grande ospedale; | aveva vent'anni, un marito, e l'anello nel dito. (da Venezia[9], lato A, n. 2)
  • Venezia è un albergo, San Marco è senz'altro anche il nome di una pizzeria, | la gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra. (da Venezia[9], lato A, n. 2)
  • Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare, | però non ti puoi risvegliare con l'acqua alla gola, e un dolore a livello del mare. (da Venezia[9], lato A, n. 2)
  • Stefania affondando, Stefania ha lasciato qualcosa: | Novella Duemila e una rosa sul suo comodino, Stefania ha lasciato un bambino. (da Venezia[9], lato A, n. 2)
  • Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità: | del resto del mondo non sai più una sega, Venezia è la gente che se ne frega. (da Venezia[9], lato A, n. 2)
  • Quante volte per altri è vita quello che per noi è un minuto. (da Antènor lato A, n. 3)
  • La giustizia disse "bandito", ma un poeta gli avrebbe detto | che era come l'Ebreo errante, come il Batavo maledetto. (da Antènor lato A, n. 3)
  • Questa vita che ci birilla come bocce da biliardo. (da Antènor lato A, n. 3)
  • Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po' molli, | col seno sul piano padano ed il culo sui colli, | Bologna arrogante e papale, Bologna la rossa e fetale, | Bologna la grassa e l'umana già un poco Romagna e in odor di Toscana... (da Bologna, lato B, n. 1)
  • Bologna per me provinciale Parigi minore. (da Bologna, lato B, n. 1)
  • Bologna è una donna emiliana di zigomo forte, | Bologna capace d'amore, capace di morte, | che sa quel che conta e che vale, che sa dov'è il sugo del sale, | che calcola il giusto la vita e che sa stare in piedi per quanto colpita... (da Bologna, lato B, n. 1)
  • Bologna è una ricca signora che fu contadina: | benessere, ville, gioielli... e salami in vetrina, | che sa che l'odor di miseria da mandare giù è cosa seria | e vuole sentirsi sicura con quello che ha addosso, perché sa la paura. (da Bologna, lato B, n. 1)
  • Bologna è una strana signora, volgare matrona, | Bologna bambina per bene, Bologna "busona", | Bologna ombelico di tutto, mi spingi a un singhiozzo e ad un rutto | rimorso per quel che m'hai dato che è quasi ricordo, in odor di passato.... (da Bologna, lato B, n. 1)
  • Cos'è un lager? | Sono mille e mille occhiaie vuote, | sono mani magre abbarbicate ai fili, | son baracche, uffici, orari, timbri e ruote, | son routine e risa dietro a dei fucili, | sono la paura l'unica emozione, | sono angoscia d'anni dove il niente è tutto, | sono una pazzia e un'allucinazione | che la nostra noia sembra quasi un rutto. | Sono il lato buio della nostra mente, | sono un qualche cosa da dimenticare, | sono eternità di risa di demente, | sono un manifesto che si può firmare. (da Lager, lato B, n. 2)
  • Cos'è un lager? | Son recinti e stalle di animali strani, | gambe che per anni fan gli stessi passi, | esseri diversi, scarsamente umani, | cosa fra le cose, l'erba, i mitra, i sassi; | ironia per quella che chiamiam ragione, | sbagli ammessi solo sempre troppo dopo: | prima sventolanti giustificazioni, | una causa santa, un luminoso scopo. | Sono la furiosa prassi del terrore | sempre per qualcosa, sempre per la pace; | sono un posto in cui spesso la gente muore; | sono un posto in cui, peggio, la gente nasce. (da Lager, lato B, n. 2)
  • E non andrà il televisore, cosa faremo in queste ore? | Rumore attorno non si sente, giochiamo a immaginar la gente, | corriamo a fare gli incubi indiscreti, curiosi d'ozi e di segreti, | di quei pensieri quotidiani che a notte il sonno fa lontani | o che nel sogno sopra a un viso diventan urlo od un sorriso, | il paradiso, inferno, mani, l'odio e amore. (da Black-out, lato B, n. 3)
  • In fondo è proprio un gran bel gioco a far l'amore tanto e non bere poco. (da Black-out, lato B, n. 3)
  • Poveri bimbi di Milano, coi vestiti comprati all'Upim, | abituati ad un cielo a buchi che vedete sempre più lontano. | Poveri bimbi di Milano, così fragili, così infelici, | che urlate rabbia senza radici con occhi tinti e con niente in mano. | Poveri bimbi di Milano, derubati anche di speranza, | che danzate la vostra danza in quello zoo metropolitano. | Poveri bimbi di Milano, con fazzoletti come giardini, | poveri indiani nella riserva, povere giacche blu questurini... (da Milano (Poveri bimbi di)[9], lato B, n. 4)
  • Poveri bimbi di Milano dall'orizzonte sempre coperto, | povera sete di libertà costretta a vivere nel deserto. | Poveri bimbi di Milano dalle musiche come un motore, | col più terribile dei silenzi la solitudine del rumore. | Poveri bimbi di Milano, figli di padri preoccupanti | con un esistere da nano e nella mente sogni giganti. | Poveri bimbi di Milano, numerosi come minuti, | viaggiatori di mete fisse, spettatori sempre seduti... (da Milano (Poveri bimbi di)[9], lato B, n. 4)

Guccini

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Etichetta: EMI, 1983.

  • La ragazza dietro al banco mescolava birra chiara e Seven-Up | e il sorriso da fossette e denti era da pubblicità | come i visi alle pareti di quel piccolo autogrill | mentre i sogni miei segreti li rombavano via i TIR. (da Autogrill, n. 1)
  • Il silenzio era scalfito solo dalle mie chimere | che tracciavo con un dito dentro ai cerchi del bicchiere. (da Autogrill, n. 1)
  • Non la vedi, non la tocchi oggi la malinconia? | Non lasciamo che trabocchi: vieni, andiamo, andiamo via. (da Autogrill, n. 1)
  • Il treno, ah, un treno è sempre così banale se non è un treno della prateria | o non è un tuo "Orient Express" speciale, locomotiva di fantasia. | L'aereo, ah, l'aereo è invece alluminio lucente, l'aereo è davvero saltare il fosso, | l'aereo è sempre "The Spirit of Saint Louis", "Barone Rosso" | e allora ti prende quella voglia di volare che ti fa gridare in un giorno sfinito, | di quando vedi un jumbo decollare e sembra che s' innalzi all'infinito. (da Argentina, n. 2)
  • L'Argentina è solo l'espressione di un'equazione senza risultato. (da Argentina, n. 2)
  • Nelle lunghe ore d'inattività e di ieri | che solo certa età può regalare, | Samuele Gulliver tornava coi pensieri | ai tempi in cui correva per il mare | e sorridendo come sa sorridere soltanto | chi non ha più paura del domani, | parlava coi nipoti, che ascoltavano l'incanto | di spiagge e odori, di giganti e nani, | scienziati ed equipaggi e di cavalli saggi | riempiendo il cielo inglese di miraggi... (da Gulliver[9], n. 3)
  • I desideri sono solo nostalgia | o malinconia d'innumeri altre vite. (da Gulliver[9], n. 3)
  • Sono da secoli o da un momento fermo in un vuoto in cui tutto tace, | non so più dire da quanto sento angoscia o pace. (da Shomèr ma mi-llailah?, n. 4)
  • La notte, udite, sta per finire ma il giorno ancora non è arrivato, | sembra che il tempo nel suo fluire resti inchiodato. | Ma io veglio sempre, perciò insistete, voi lo potete, ridomandate, | tornate ancora se lo volete, non vi stancate. (da Shomèr ma mi-llailah?, n. 4)
  • Ma ora capisco il mio non capire, che una risposta non ci sarà, | che la risposta sull'avvenire è in una voce che chiederà: | "Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell".[10] (da Shomèr ma mi-llailah?, n. 4)
  • Ma se fossimo stati un'altra coppia fra le tante | avremmo trasformato tutto in quella poca gioia | o avremmo litigato per sfogare ad ogni istante l'urlare della noia? (da Inutile, n. 5)
  • Contandoli uno a uno non son certo parecchi, | son come i denti in bocca a certi vecchi, | ma proprio perché pochi son buoni fino in fondo | e sempre pronti a masticare il mondo. (da Gli amici, n. 6)
  • Per quello che ci basta non c'è da andar lontano | e abbiamo fisso in testa un nostro piano: || se e quando moriremo, ma la cosa è insicura, | avremo un paradiso su misura, | in tutto somigliante al solito locale, | ma il bere non si paga e non fa male. (da Gli amici, n. 6)

Signora Bovary

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Etichetta: EMI, 1987.

  • Ricordi, le strade erano piene di quel lucido scirocco | che trasforma una realtà abusata e la rende irreale. | Sembravano alzarsi le torri in un largo gesto barocco | e in via dei Giudei volavan velieri come in un porto canale. | Tu dietro al vetro di un bar impersonale, | seduto a un tavolo da poeta francese, | con la tua solita faccia aperta ai dubbi | e un po' di rosso routine dentro al bicchiere: | pensai di entrare per stare assieme a bere | e a chiacchierare di nubi... (da Scirocco, n. 1)
  • E le lacrime si aggiunsero al latte di quel tè. (da Scirocco, n. 1)
  • Ma è meglio poi, un giorno solo da ricordare | che ricadere in una nuova realtà sempre identica. (da Scirocco, n. 1)
  • Ma che cosa c'è in fondo a questa notte, | quando l'ora del lupo guaisce | e il nuovo giorno non arriva mai, mai | e il buio è un fischio lontano che non finisce | di minuti lunghi come il sudore, | di ore che tagliano come falci | e i tuoi pensieri sono un cane in chiesa | che tutti prendono a calci. (da Signora Bovary, n. 2)
  • Van Loon, uomo destinato direi da sempre ad un lavoro più forte | che le sue spalle o la sua intelligenza non volevano sopportare | sembrò quasi baciato da una buona sorte | quando dovette andare. (da Van Loon, n. 3)
  • Van Loon viveva e io lo credevo morto | o, peggio, inutile, solo per la distanza | fra i suoi miti diversi e la mia giovinezza e superbia d'allora, | la mia ignoranza: | che ne sapevo quanto avesse navigato | con il coraggio di un Caboto fra le schiume | di ogni suo giorno e che uno squalo è diventato, | giorno per giorno, pesce di fiume... (da Van Loon, n. 3)
  • Ora Van Loon si sta preparando piano al suo ultimo viaggio, | i bagagli già pronti da tempo, come ogni uomo prudente, | o meglio, il bagaglio, quello consueto, di un semplice o un saggio, | cioè poco o niente | e andrà davvero in un suo luogo o una sua storia | con tutti i libri che la vita gli ha proibito, | con vecchi amici di cui ha perso la memoria, | con l'infinito. (da Van Loon, n. 3)
  • Ti accorgerai com'è facile farsi un inutile software di scienza | e vedrai che confuso problema è adoprare la propria esperienza. (da Culodritto, n. 4)
  • Vola tu, dov'io vorrei volare, verso un mondo dove è ancora tutto da fare | e dove è ancora tutto, o quasi tutto, da sbagliare. (da Culodritto, n. 4)
  • S'illuminava poi come di colpo | lungo l'effimero consueto di una sera, | s'illuminava di una gioia grande | quando si avvicinava a una tastiera | e preferiva quelle un poco usate, | quelle in cui tutti mettono le mani, | quelle ingiallite dal tempo, un po' scordate | dall'ignoranza e dalla passione degli umani... (da Keaton[11], n. 5)
  • E finalmente un chissacchì non mi delude, | forse, però non sa, probabilmente, | è in una provincia lontana come una palude | dai nostri discorsi di suonare fra la gente; | una provincia come una sconfitta, | meno che essere una minoranza dignitosa, | e una palude è certo troppo fitta | di voli di zanzara per suonarci qualche cosa... (da Keaton[11], n. 5)
  • Keaton, quello vero, l'ultima volta che l'hanno visto passeggiava | lungo le strade e per il vento di Roma | durante le pause di un film con Franchi e Ingrassia. | Aveva in corpo mille litri di alcool, | la faccia la solita, senza allegria; | si ubriacava ogni giorno con la troupe borgatara | alla faccia della cirrosi epatica, | perché lui ci teneva al suo pubblico, | più che al suo fegato. (da Keaton[11], n. 5)
  • Ma dove quelle stagioni smisurate quando ogni giorno figurava gli anni a venire | e dove a ogni autunno quando finiva l'estate trovavi la voglia precisa di ripartire? || Che ci farai ora di questi giorni che canti, dei dubbi quasi doverosi che ti sono sorti, | dei momenti svuotati, ombre incalzanti di noi rimorti, | che ci potrai fare di quelle energie finite, di tutte quelle frasi storiche da dopocena; | consumato per sempre il tempo di sole e ferite, | basta vivere appena, basta vivere appena... (da Le piogge d'aprile, n. 6)
  • Esistenza, che stai qui di contrabbando, | come un ladro sempre pronta per fuggire, | ogni età chiude in sé i crismi dello sbando, sbaglio e intuire, | coi suoi giochi di carambola e rimando, prendere e offrire, | ma si muoia solo un po' di quando in quando, | ma sia poco a poco che si va a morire... (da Canzone di notte n. 3, n. 7)
  • Ma si perda perché siam tre volte buoni | e si vinca solo in sogni straordinari. (da Canzone di notte n. 3, n. 7)

Quello che non...

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Etichetta: EMI Italiana, 1990.

  • La vedi nel cielo quell'alta pressione, la senti una strana stagione? | Ma a notte la nebbia ti dice di un fiato che il dio dell'inverno è arrivato. (da Quello che non...)
  • E l'urlo di sempre che dice pian piano: | "Non siamo, non siamo, non siamo." (da Quello che non..., n. 1)
  • Ancora qui a domandarsi e a far finta di niente | come se il tempo per noi non costasse l'uguale, | come se il tempo passato ed il tempo presente | non avessero stessa amarezza di sale. (da Canzone delle domande consuete, n. 2)
  • Se ci sono non so cosa sono e se vuoi | quel che sono o sarei, quel che sarò domani, | non parlare non dire più niente, se puoi, | lascia farlo ai tuoi occhi, alle mani... (da Canzone delle domande consuete, n. 2)
  • Pronto a dire "buongiorno", a rispondere "bene", | a sorridere a "salve", dire anch'io "come va?" | Non c'è vento stasera. Siamo o non siamo assieme? | Fuori c'è ancora una città? (da Canzone delle domande consuete, n. 2)
  • Brandelli di canzoni, frasi e televisioni parlano dalle finestre aperte, | in un telegiornale qualcuno il bene o il male denuncia, auspica, avverte; | frasi del quotidiano ti sfiorano pian piano ed entrano senza toccarti | s'infilano negli angoli della tua casa suoni che tu non sai. (da Canzone per Anna, n. 3)
  • Niente "se" e "forse", fra le occasioni avute e perse | restano solo ore scomparse, | di certo hai solo quello che farai... (da Canzone per Anna, n. 3)
  • Fa niente, danno in TV un programma intelligente, | ci vuole un tè aromatico e bollente | e poi che il sonno arrivi a poco a poco. (da Canzone per Anna, n. 3)
  • Con gesti da gatto infilava sui tetti le antenne, | in alto d'estate sui grattacieli della periferia | come un angelo libero, in bilico sulla città. (da Ballando con una sconosciuta[11], n. 4)
  • Felicità che sappiamo soltanto guardare, aspettare, cercare già fatta, | quasi fosse anagramma perfetto di facilità, | barando su un'unica lettera... (da Ballando con una sconosciuta[11], n. 4)
  • Che cosa dicono le ragazze della notte a quei baristi ruffiani e discreti | che si chinano preteschi sul bancone per confessare chissà quali segreti | e poi guardano in controluce a un bicchiere e agili danzano versando un liquore; | quanto da dire e quanto c'è da bere mentre la notte macina le ore... (da Le ragazze della notte, n. 5)
  • Finché anche dai vetri affumicati spinge la luce ed entra all'improvviso | e autobus gonfi di sonni arretrati passano ottusi nel mattino intriso | di edicole che espongono i giornali pieni di fatti che sappiamo già, | di cappucci e brioche e dei normali rumori che ha al mattino una città... (da Le ragazze della notte, n. 5)
  • L'oggi ha cambiato facciata, ma di quell'ieri passato io so | che tante ne potreste raccontare e il ricordo stempera e non guasta | quante cose e facce da narrare che come si dice un romanzo non basta, | nate con un rapido "a domani", continuate in giorni di "si" e "no", | lampi sotto cieli suburbani e raffica il tango che vi presentò... (da Tango per due, n. 6)
  • La vita che buffa cosa, ma se lo dici nessuno ride. (da Tango per due, n. 6)
  • Dove scappare per sentirsi vero, dove fuggire per non essere diverso? | E sognò il circo, realtà capovolta, mondo di uguali perché tutti strani, | la nostra solita realtà stravolta, quell'Eden senza giganti o nani. (da Cencio, n. 7)
  • Ma il tempo più ottuso di noi incalza per tutti, sia per i giganti che i nani: | chi immaginava allora che ognuno sarebbe finito in un proprio circo personale? | Vincenti o perdenti non importa, ma quasi mai secondo i propri piani, | con la faccia tinta, sul trapezio, fra i leoni, solo attenti a non farsi troppo male.. (da Cencio, n. 7)
  • Le Alpi, si sa, sono un muro di sasso, una diga confusa, fanno tabula rasa | di noi che qui sotto, lontano, più in basso, abbiamo la casa; | la casa ed i piedi in questa spianata di sole che strozza la gola alle rane, | di nebbia compatta, scabrosa, stirata che sembra di pane | ed una strada antica come l' uomo marcata ai bordi dalla fantasie di un duomo | e fiumi, falsi avventurieri che trasformano i padani in marinai non veri... (da Æmilia[12], n. 8)
  • Emilia sdraiata fra i campi e sui prati, lagune e piroghe delle terramare, | guerrieri del Nord dai capelli gessati, ne hai visti passare! | Emilia allungata fra l'olmo e il vigneto, voltata a cercare quel mare mancante | e il monte Appennino rivela il segreto e diventa un gigante. (da Æmilia[12], n. 8)
  • Vero, aperto, finto, strano, chiuso, anarchico, verdiano... brutta razza, l'emiliano! (da Æmilia[12], n. 8)
  • Emilia sognante fra l'oggi e il domani, di cibo, motori, di lusso e balere, | Emilia di facce, di grida, di mani. (da Æmilia[12], n. 8)

Parnassius Guccinii

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Etichetta: EMI, 1993.

  • Il cielo dell'America son mille cieli sopra a un continente; | il cielo della Florida è uno straccio che è bagnato di celeste, | ma il cielo là in prigione non è cielo, è un qualche cosa che riveste | il giorno e il giorno dopo e un altro ancora sempre dello stesso niente. (da Canzone Per Silvia, n. 1)
  • L'America è una statua che ti accoglie, e simboleggia, bianca e pura, | la libertà, e dall'alto, fiera, abbraccia tutta quanta la nazione, | per Silvia questa statua simboleggia solamente la prigione | perché di questa piccola italiana ora l'America ha paura. (da Canzone per Silvia, n. 1)
  • Mi chiedo se ci sono idee per cui valga restare là in prigione | e Silvia non ha ucciso mai nessuno e non ha mai rubato niente. || Mi chiedo cosa pensi alla mattina nel trovarsi il sole accanto | o come fa a scacciare fra quei muri la sua grande nostalgia | [...]. | Mi chiedo ma non riesco a immaginarlo; penso a questa donna forte | che ancora lotta e spera perché sa che adesso non sarà più sola. (da Canzone Per Silvia, n. 1)
  • La vedo con la sua maglietta addosso, con su scritte le parole | che sempre l'ignoranza fa paura, ed il silenzio è uguale a morte. (da Canzone Per Silvia, n. 1)
  • L'acqua che passa fra il fango di certi canali | tra ratti sapienti e pneumatici e ruggine e vetri | chissà se è la stessa lucente di sole o fanali | che guardo oleosa passare rinchiusa in tre metri. | Si può stare ore a cercare se c'è in qualche fosso | quell'acqua bevuta di sete o che lava te stesso | o se c'è nel suo correre un segno od un suo filo rosso | che leghi un qualcosa a qualcosa, un pensiero a un riflesso. (da Acque, n. 2)
  • E l'acqua passa e gira e colora e poi stinge, cos'è che mi respinge e che m'attira; | acqua come sudore, acqua fetida e chiara, amara senza gusto né colore. | Ma l'acqua gira e passa e non sa dirmi niente di gente, me, o di quest'aria bassa, | ottusa e indifferente cammina e corre via lascia una scia e non gliene frega niente... (da Acque, n. 2)
  • E fuori: Milano muore di malinconia, di sole che tramonta là in periferia, | di auto del ritorno, famiglie, freni e gas di scarico. | Lontano il centro è quasi un altro mondo, | San Siro un urlo che non cogli a fondo, | ti taglia un senso vago di infinito panico. | Spunta un gasometro dietro a muri neri, oziosi vagolano i tuoi pensieri | e in aria il cielo è un qualche cosa viola carico... (da Samantha, n. 3)
  • Ed io, burattinaio di parole, perché mi perdo dietro a un primo sole, | perché mi prende questa assurda nostalgia? (da Samantha, n. 3)
  • E sorridevi e sapevi sorridere, coi tuoi vent'anni portati così, | come si porta un maglione sformato su un paio di jeans... (da Farewell, n. 4)
  • E sentire i tuoi passi che arrivano, il ticchettare del tuo buonumore, | quando aprivi la porta il sorriso ogni volta mi entrava nel cuore... (da Farewell, n. 4)
  • Ma ogni storia ha la stessa illusione, sua conclusione, | e il peccato fu creder speciale una storia normale. | Ora il tempo ci usura e ci stritola in ogni giorno che passa correndo, | sembra quasi che ironico scruti e ci guardi irridendo. | E davvero non siamo più quegli eroi pronti assieme a affrontare ogni impresa; | siamo come due foglie aggrappate su un ramo in attesa. (da Farewell, n. 4)
  • Farewell, non pensarci e perdonami se ti ho portato via un poco d'estate | con qualcosa di fragile come le storie passate: | forse un tempo poteva commuoverti ma ora è inutile credo, | perché ogni volta che piangi e che ridi non piangi e non ridi con me. (da Farewell, n. 4)
  • La domenica di Mezza Quaresima fu processione di etere di Stato | dai puttanieri a diversi pollici dai furbi del "chi ha dato ha dato" | ed echeggiarono tutte le sere, come rintocchi schioccanti a morto, | amen, mea culpa e miserere, ma neanche un cane che sia risorto | e i cavalieri di tigri a ore e i trombettieri senza ritegno | inamidarono un nuovo pudore, misero a lucido un nuovo sdegno: | si andò alle prime con casto lusso e i quiz pagarono sobri milioni | e in pubblico si linciò il riflusso per farci ridiventare buoni... (da Nostra signora dell'ipocrisia, n. 5)
  • Poi tutto tacque, vinse ragione, si placò il cielo, si posò il mare, | solo qualcuno in resurrezione, piano, in silenzio, tornò a pensare... (da Nostra signora dell'ipocrisia, n. 5)
  • Non bisognerebbe mai ritornare: | perché calcare i tuoi vecchi passi, | calciare gli stessi sassi, | su strade che ti han visto già a occhi bassi? | Non troverai quell'ombra che eri tu | e non avrai quell'ora in più | che hai dissipato e che ora cerchi; | si scioglierà impossibile il pensiero | a rimestare il falso e il vero | in improbabili universi. (da Non bisognerebbe, n. 7)
  • Primo, non ricordare, | perché i ricordi sono falsati, | i metri e i cambi sono mutati | per la spietata legge dei mercati. | È come equilibrarsi sugli specchi, | ad ogni occhiata un po' più vecchi, | opachi, muti e deformanti. | Frugare dentro ai soliti cassetti | dove non c'è quel che ci metti | e mai le cose più importanti. (da Non bisognerebbe, n. 7)
  • La fortuna di un amante è un fiore d'esile stelo, | una favola inquietante, fugace e fragile velo, | il respiro di un istante che scomparirà nel cielo. (da Luna fortunata, n. 8)
  • Parole, son parole, e quante mai ne ho adoperate | e quante ancora lette e poi sentite, | a raffica, trasmesse, a mano tesa, sussurrate, | sputate, a tanti giri, riverite, | adatte alla mattina, messe in abito da sera, | all'osteria citabili o a Cortina e o a Marghera. || Con gioia di parole ci riempiamo le mascelle | e in aria le facciamo rimbalzare | e se le cento usate sono in fondo sempre quelle | non è importante poi comunicare, | è come l'uomo solo che fischietta dal terrore | e vuole nel silenzio udire un suono, far rumore. (da Parole, n. 9)
  • Qui sul mio onore, smetterei di giocar con le parole, | ma è un vizio antico e poi quando ci vuole per la battuta mi farei spellare. (da Parole, n. 9)

D'amore di morte e di altre sciocchezze

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Etichetta: Emi Italia, 1996, prodotto da Renzo Fantini.

  • All'una in punto si sente il suono acciottolante che fanno i piatti, | le TV sono un rombo di tuono per l'indifferenza scostante dei gatti. (da Lettera, n. 1)
  • Son tornate a sbocciare le strade, ideali ricami del mondo. (da Lettera, n. 1)
  • Ma il tempo, il tempo, chi me lo rende? Chi mi dà indietro quelle stagioni | di vetro e sabbia, chi mi riprende la rabbia, il gesto, donne e canzoni, | gli amici persi, i libri mangiati, la gioia piana degli appetiti, | l'arsura sana degli assetati, la fede cieca in poveri miti? (da Lettera, n. 1)
  • Come vedi tutto è usuale, solo che il tempo stringe la borsa | e c'è il sospetto che sia triviale l'affanno e l'ansimo dopo una corsa, | l'ansia volgare del giorno dopo, la fine triste della partita, | il lento scorrere senza uno scopo di questa cosa che chiami... vita. (da Lettera, n. 1)
  • Vorrei tornare nei posti dove son stato, | spiegarti di quanto tutto sia poi diverso | e per farmi da te spiegare cos'è cambiato | e quale sapore nuovo abbia l'universo. (da Vorrei, n. 2)
  • Vorrei [...] che l'oggi restasse oggi senza domani | o domani potesse tendere all'infinito. (da Vorrei, n. 2)
  • Ma io son fiero del mio sognare, di questo eterno mio incespicare | e rido in faccia a quello che cerchi e che mai avrai! (da Quattro stracci, n. 3)
  • Ognuno vada dove vuole andare, ognuno invecchi come gli pare, | ma non raccontare a me che cos'è la libertà. (da Quattro stracci, n. 3)
  • Ma ora scommetto che vorrai provare quel che con me non volevi fare: | fare l'amore, tirare tardi o la fantasia! (da Quattro stracci, n. 3)
  • La fantasia può portare male se non si conosce bene come domarla, | ma costa poco, val quel che vale, e nessuno ti può più impedire di adoperarla. (da Quattro stracci, n. 3)
  • Ma guarda quante stelle questa sera fino alla linea curva d'orizzonte, | ellissi cieca e sorda del mistero là dietro al monte: | si fingono animali favolosi, pescatori che lanciano le reti, | re barbari o cavalli corridori lungo i pianeti || e sembrano invitarci da lontano per svelarci il mistero delle cose | o spiegarci che sempre camminiamo fra morte e rose | o confonderci tutto e ricordarci che siamo poco o che non siamo niente | e che è solo un pulsare illimitato, ma indifferente. (da Stelle, n. 4)
  • Amore, s'io fossi aria, le tue rondini vorrei, | per guardarmele ogni minuto e farle volare negli occhi miei, | quelle rondini bianche e nere che anche mute dicono tanto. (da Canzone delle colombe e del fiore, n. 5)
  • Amore, nel mio giardino vorrei fiorisse la tua rosa | perché l'anima mia si perda dove il corpo rinasce e riposa, | quella rosa di primavera sempre rorida di rugiada, | misteriosa come la sera, balenante come una spada. (da Canzone delle colombe e del fiore, n. 5)
  • Perché sono in prigione per sempre, qui in questa pianura | dove orizzonte rincorre da sempre un uguale orizzonte, | dove un vento incessante mi soffia continua paura, | dove è impossibile scorgere il profilo d'un monte? (da Il caduto, n. 6)
  • Guarda la guerra che beffa, che scherzo puerile, | io che non mi ero mai spinto in un lungo cammino | ho visto quel poco di mondo da dietro a un fucile, | ho visto altra gente soltanto da dietro a un mirino... (da Il caduto, n. 6)
  • Venite pure avanti, voi, con il naso corto, signore imbellettate, io più non vi sopporto, | infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio, perché con questa spada vi uccido quando voglio... (da Cirano[13], n. 7)
  • Non me ne frega niente se anch'io sono sbagliato, spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato. (da Cirano[13], n. 7)
  • Non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute, | per colpa o per destino le donne le ho perdute. (da Cirano[13], n. 7)
  • Venite gente vuota, facciamola finita, voi preti che vendete a tutti un'altra vita; | se c'è, come voi dite, un Dio nell'infinito, guardatevi nel cuore, l'avete già tradito. (da Cirano[13], n. 7)
  • E voi materialisti, col vostro chiodo fisso che Dio è morto e l'uomo è solo in questo abisso, | le verità cercate per terra da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali. (da Cirano[13], n. 7)
  • Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo, tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo: | dev'esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto | dove non soffriremo e tutto sarà giusto. | Non ridere, ti prego, di queste mie parole, | io sono solo un'ombra e tu, Rossana, il sole, | ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora | ed io non mi nascondo sotto la tua dimora | perché oramai lo sento, non ho sofferto invano, | se mi ami come sono, per sempre tuo, per sempre tuo, per sempre tuo... Cyrano. (da Cirano[13], n. 7)
  • Mi dicevano il matto perché prendevo la vita | da giullare, da pazzo, con un'allegria infinita. | D'altra parte è assai meglio, dentro questa tragedia, | ridersi addosso, non piangere e voltarla in commedia. (da Il matto, n. 8)
  • Mi son trovato il nemico di fronte e abbiamo sparato, | chiaramente io a vuoto, lui invece mi ha centrato. | Perché quegli occhi stupiti, perché mentre cadevo | per terra, la morte addosso, io ridevo, ridevo? (da Il matto, n. 8)
  • I fichi son quella cosa | pregevoli assieme al prosciutto, | mangiabili in parte o del tutto | da soli o sia pure in alcun... (da I fichi, n. 9)
  • Mangiabili in verno o d'estate | e fino all'autunno inoltrato, | ma allora c'ha il nome cambiato | e si chiamano marrons glacés. (da I fichi, n. 9)
  • Ma quando è maturo e sugoso | allora è il momento del fico | ch'e buono sì che non vi dico... | Oh rabbia, che ormai l'ho già dett! (da I fichi, n. 9)
  • Il fico fa bene alla vista... | Stupiti! Vi vedo stupiti.. | gli uccelli ne mangian quintali | e... quasi nessuno ha gli occhiali, | ma questo è un segreto di poc. (da I fichi, n. 9)

Stagioni

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Etichetta: EMI, 2000.

Francesco Guccini nel 2009
  • Nell'anno '99 di nostra vita | io, Francesco Guccini, eterno studente | perché la materia di studio sarebbe infinita | e soprattutto perché so di non sapere niente, | io, chierico vagante, bandito di strada, | io, non artista, solo piccolo baccelliere | perché, per colpa d'altri, vada come vada, | a volte mi vergogno di fare il mio mestiere, | io dico addio... (da Addio (intro), n. 1)
  • Ci prese come un pugno, ci gelò di sconforto, | sapere a brutto grugno che Guevara era morto: | in quel giorno d'ottobre, in terra boliviana | era tradito e perso Ernesto "Che" Guevara... (da Stagioni, n. 2)
  • "Che" Guevara era morto, ma ognuno lo credeva | che con noi il suo pensiero nel mondo rimaneva... (da Stagioni, n. 2)
  • Passarono stagioni, ma continuammo ancora | a mangiare illusioni e verità a ogni ora. (da Stagioni, n. 2)
  • Il terzo mondo piange, ognuno adesso sa | che "Che" Guevara è morto, forse non tornerà, | ma voi reazionari tremate, non sono finite le rivoluzioni | e voi, a decine, che usate parole diverse, le stesse prigioni. || Da qualche parte un giorno, dove non si saprà, | dove non l'aspettate, il "Che" ritornerà. (da Stagioni, n. 2)
  • L'autunno ti fa sonnolento, | la luce del giorno è un momento | che irrompe e veloce è svanita: | metafora lucida di quello che è la nostra vita... || L'autunno che sfuma i contorni | consuma in un giorno più giorni, | ti sembra sia un gioco indolente, | ma rapido brucia giornate che appaiono lente... (da Autunno, n. 3)
  • Le storie credute importanti | si sbriciolano in pochi istanti: | figure e impressioni passate si fanno lontane | e lontana così è la tua estate... (da Autunno, n. 3)
  • E un giorno cammini per strada e ad un tratto comprendi | che non sei la stessa che andava al mattino alla scuola, | che il mondo là fuori t'aspetta e tu quasi ti arrendi | capendo che a battito a battito è l'età che s'invola. (da E un giorno..., n. 4)
  • Sentirai che tuo padre ti è uguale, lo vedrai un po' folle, un po' saggio | nello spendere sempre ugualmente paura e coraggio, | la paura e il coraggio di vivere come un peso che ognuno ha portato, | la paura e il coraggio di dire: "io ho sempre tentato, | io ho sempre tentato..." (da E un giorno..., n. 4)
  • E al mondo sono andato, | dal mondo son tornato sempre vivo... (da Ho ancora la forza[14], n. 5)
  • Ho ancora la forza di non tirarmi indietro | di scegliermi la vita masticando ogni metro. (da Ho ancora la forza[14], n. 5)
  • E ho ancora la forza di scegliere parole | per gioco, per il gusto di potermi sfogare | perché, che piaccia o no, è capitato | che sia quello che so fare... (da Ho ancora la forza[14], n. 5)
  • Bisogna divertirsi, è domenica sera, | c'è da dimenticare la noia pesa e nera, | c'è da dimenticare la favola che fu... (da Inverno '60, n. 6)
  • C'è da ricominciare un'altra settimana | strascinando nei giorni l'attesa quotidiana, | scordando e stemperando la tua precarietà... || La notte sale adagio, la strada è di un randagio | che annusa i suoi fantasmi e abbaia alla città... (da Inverno '60, n. 6)
  • Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante, | e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante, | colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte, | com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte... (Don Chisciotte: da Don Chisciotte[13], n. 7)
  • È la più triste figura che sia apparsa sulla Terra, | cavalier senza paura di una solitaria guerra | cominciata per amore di una donna conosciuta | dentro a una locanda a ore dove fa la prostituta, | ma credendo di aver visto una vera principessa, | lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa. (Sancho Panza: da Don Chisciotte[13], n. 7)
  • Salta in piedi, Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora, | solo i cinici e i codardi non si svegliano all'aurora: | per i primi è indifferenza e disprezzo dei valori | e per gli altri è riluttanza nei confronti dei doveri! (Don Chisciotte: da Don Chisciotte[13], n. 7)
  • Mio Signore, io purtroppo sono un povero ignorante | e del suo discorso astratto ci ho capito poco o niente, | ma anche ammesso che il coraggio mi cancelli la pigrizia, | riusciremo noi da soli a riportare la giustizia? | In un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre, | dove regna il "capitale", oggi più spietatamente, | riuscirà con questo brocco e questo inutile scudiero | al "potere" dare scacco e salvare il mondo intero? (Sancho Panza: da Don Chisciotte[13], n. 7)
  • Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro | perché il "male" ed il "potere" hanno un aspetto così tetro? | Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità, | farmi umile e accettare che sia questa la realtà? (Don Chisciotte: da Don Chisciotte[13], n. 7)
  • Il "potere" è l'immondizia della storia degli umani | e, anche se siamo soltanto due romantici rottami, | sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte: | siamo i "Grandi della Mancha", | Sancho Panza... e Don Chisciotte! (Don Chisciotte e Sancho Panza: da Don Chisciotte[13], n. 7)
  • E credevate che | sarebbe stato eterno quell'amore, | quel fiore non avrebbe mai visto l'inverno, | quel giorno non sarebbe mai mutato in sera, | per voi sarebbe stata sempre, sempre primavera... (da Primavera '59, n. 8)
  • Ma i giovani s'illudono d'essere immortali | e che ogni storia duri per l'eternità; | non sanno quanti fili, trame occasionali, | si tessono o svaniscono in casualità... (da Primavera '59, n. 8)
  • Io dico addio a tutte le vostre cazzate infinite, | riflettori e paillettes delle televisioni, | alle urla scomposte di politicanti professionisti, | a quelle vostre glorie vuote da coglioni... (da Addio, n. 9)
  • Io, figlio d'una casalinga e di un impiegato, | cresciuto fra i saggi ignoranti di montagna | che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia, | io, tirato su a castagne e ad erba spagna, | io, sempre un momento fa campagnolo inurbato, | due soldi d'elementari ed uno d'università, | ma sempre il pensiero a quel paese mai scordato | dove ritrovo anche oggi quattro soldi di civiltà... (da Addio, n. 9)
  • Nell'anno '99 di nostra vita | io, giullare da niente, ma indignato, | anch'io qui canto con parola sfinita, | con un ruggito che diventa belato, | ma a te dedico queste parole da poco | che sottendono solo un vizio antico | sperando però che tu non le prenda come un gioco, | tu, ipocrita uditore, mio simile... | mio amico... (da Addio, n. 9)

Ritratti

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Etichetta: EMI, 2004.

  • Un'isola d'aratro e di frumento | senza vele, senza pescatori, | il sudore e la terra erano argento | il vino e l'olio erano i miei ori. (da Odysseus, n. 1)
  • Ma nel futuro trame di passato | si uniscono a brandelli di presente, | ti esalta l'acqua e al gusto del salato | brucia la mente | e ad ogni viaggio reinventarsi un mito | a ogni incontro ridisegnare il mondo | e perdersi nel gusto del proibito | sempre più in fondo. (da Odysseus, n. 1)
  • E andare come spinto dal destino | verso una guerra, verso l'avventura | e tornare contro ogni vaticino | contro gli Dei e contro la paura. (da Odysseus, n. 1)
  • E fuggendo si muore e la mia morte | sento vicina quando tutto tace | sul mare, e maledico la mia sorte, | non trovo pace, | forse perché son rimasto solo, | ma allora non tremava la mia mano, | e i remi mutai in ali al folle volo[15] | oltre l'umano. (da Odysseus, n. 1)
  • La vita del mare segna false rotte, | ingannevole in mare ogni tracciato, | solo leggende perse nella notte | perenne di chi un giorno mi ha cantato | donandomi però un'eterna vita | racchiusa in versi, in ritmi, in una rima, | dandomi ancora la gioia infinita | di entrare in porti sconosciuti prima. (da Odysseus, n. 1)
  • La canzone è una penna e un foglio | così fragili fra queste dita, | è quel che non è, è l'erba voglio | ma può esser complessa come la vita. (da Una canzone, n. 2)
  • La canzone può aprirti il cuore | con la ragione o col sentimento | fatta di pane, vino, sudore | lunga una vita, lunga un momento. | Si può cantare a voce sguaiata | quando sei in branco, per allegria | o la sussurri appena accennata | se ti circonda la malinconia | e ti ricorda quel canto muto | la donna che ha fatto innamorare | le vite che tu non hai vissuto | e quella che tu vuoi dimenticare. (da Una canzone, n. 2)
  • La canzone è una scatola magica | spesso riempita di cose futili | ma se la intessi d'ironia tragica | ti spazza via i ritornelli inutili. (da Una canzone, n. 2)
  • Se il rivoluzionario | non trova altro riposo che la morte, | che rinunci al riposo e sopravviva; | niente o nessuno lo trattenga, | anche per il momento di un bacio | o per qualche calore di pelle o prebenda. (da Canzone per il Che[16], n. 3)
  • Lasciate che lo dica | mai il rivoluzionario quando è vero | è guidato da un grande | sentimento d'amore, | ha dei figli che non riescono a chiamarlo, | mogli che fan parte di quel sacrificio, | suoi amici sono "compañeros de revolucion". (da Canzone per il Che[16], n. 3)
  • Genova, schiacciata sul mare, sembra cercare | respiro al largo, verso l'orizzonte. | Genova, repubblicana di cuore, vento di sale, | d'anima forte. | Genova che si perde in centro nei labirintici vecchi carrugi, | parole antiche e nuove sparate a colpi come da archibugi. (da Piazza Alimonda, n. 4)
  • Uscire di casa a vent'anni, è quasi un obbligo, quasi un dovere, | piacere d'incontri a grappoli, ideali identici, essere e avere. (da Piazza Alimonda, n. 4)
  • Genova non sa ancora niente, lenta agonizza, fuoco e rumore, | ma come quella vita giovane spenta, Genova muore. (da Piazza Alimonda, n. 4)
  • La Lanterna impassibile guarda da secoli gli scogli e l'onda. (da Piazza Alimonda, n. 4)
  • Mi affascina il mistero delle vite | che si dipanano lungo la scacchiera | di giorni e strade, foto scolorite | memoria di vent'anni o di una sera. (da Vite[17], n. 5)
  • Tu sei quelli che son venuti prima | che in parte hai conosciuto, e quelli dopo | che non conoscerai, come una rima | vibrante e bella, però senza scopo. (da Vite[17], n. 5)
  • Questo dolore | che vagli fra le maglie di un tuo cribro | svanisce un po' nel contemplare un fiore | si scorda fra le pagine di un libro. (da Vite[17], n. 5)
  • E percorriamo strade non più usate | figurando chi un giorno ci passava | e scrutiamo le case abbandonate | chiedendoci che vite le abitava, | perché la nostra è sufficiente appena, | ne mescoliamo inconsciamente il senso; | siamo gli attori ingenui sulla scena | di un palcoscenico misterioso e immenso. (da Vite[17], n. 5)
  • È già stanco di vagabondare sotto un cielo sfibrato | per quel regno affacciato sul mare che dai Mori è insidiato | e di terra ne ha avuta abbastanza, non di vele e di prua, | perché ha trovato una strada di stelle nel cielo dell'anima sua. | Se lo sente, non può più fallire, scoprirà un nuovo mondo; | quell'attesa lo lascia impaurito di toccare già il fondo. | Non gli manca il coraggio o la forza per vivere quella follia | e anche senza equipaggio, anche fosse un miraggio ormai salperà via. (da Cristoforo Colombo[13], n. 6)
  • Sarà forse un'assurda battaglia, ma ignorare non puoi | che l'Assurdo ci sfida per spingerci ad essere fieri di noi. (da Cristoforo Colombo[13], n. 6)
  • E naviga, naviga là | come prima di nascere l'anima naviga già, | naviga, naviga ma | quell'oceano è di sogni e di sabbia | poi si alza un sipario di nebbia | e come un circo illusorio s'illumina l'America. (da Cristoforo Colombo[13], n. 6)
  • Certo non sai quanto sei dolce e bella quando dormi | con i capelli lunghi sparsi abbandonati sul cuscino | neri e lucenti, come degli stormi | di corvi in volo chiaro del mattino. (da Certo non sai, n. 7)
  • Certo non sai quanto mi commuovi quando dici | parole strane e quasi senza senso a mezza voce, | forse ricordi di attimi felici | persi in un atomo onirico veloce. | Certo non so con cosa o chi sorride quel sorriso; | dicon con gli angeli ma il nostro cielo è quello umano, | un lampo breve che dà luce al viso | accarezzato da questa mia mano. (da Certo non sai, n. 7)
  • E un uomo saggio regole farà, | una prigione fatta di parole; | i carcerieri di una società | ti impediranno di cercare il sole; | la tua libertà, | se vuoi, la puoi avere. (da La tua libertà, n. 9)
  • Fossi un uccello | alto nel cielo | potrei volare senza aver padroni; | se fossi un fiume | potrei andare | rompendo gli argini nelle mie alluvioni. (da La tua libertà)
  • Ma sono un uomo | uno fra milioni | e come gli altri ho il peso della vita | e la mia strada | lungo le stagioni | può essere breve, ma può essere infinita; | la tua libertà | cercala, che si è smarrita. (da La tua libertà, n. 9)

L'ultima Thule

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Etichetta: Capitol/EMI, 2012.

Francesco Guccini nel 2016
  • Ehi notte, che ti strusci come un gatto | contro gli angoli più oscuri del paese, | ehi notte, che ti insinui in ogni anfratto, | notte pavanese. (da Canzone di notte n. 4, n. 1)
  • Ehi notte che mi ha vinto di sorpresa del tuo viluppo, | il fiume muglia sempre laggiù in fondo | e nel silenzio bevi la sua voce | racconta questo eterno vagabondo storie del viaggio da sorgente a foce. (da Canzone di notte n. 4, n. 1)
  • Ehi notte larva oscura di altre notti | rabbiose, fatte a morsi, divorate | prendendo a gabbo ipocriti e bigotti, | lunghe d'inverno, eterne nelle estati. (da Canzone di notte n. 4, n. 1)
  • Ti sembrava durasse per sempre | quell'amore assoluto e violento | quando è stato che finito il niente | perché è stato che tutto si è spento | non ha visto nemmeno settembre. (da L'ultima volta, n. 2)
  • In quei giorni ormai troppo lontani | era tutto presente e il futuro | un qualcosa lasciato al domani | un'attesa di sogno e di oscuro | un qualcosa di incerto e insicuro. (da L'ultima volta, n. 2)
  • Il vento era ghiacciato e per la schiena | sentivamo un gran gelo da tremare, | c'era un freddo compagni su in collina | che non riuscivi neanche a respirare. (da Su in collina, n. 3)
  • E l'Italia cantando ormai libera allaga le strade | sventolando nel cielo bandiere impazzite di luce | e tua madre prendendoti in braccio piangendo sorride | mentre attorno qualcuno una storia o una vita ricuce. (da Quel giorno d'aprile[13], n. 4)
  • Ma nei suoi sogni continua la guerra e lui scivola ancora | sull'immensa pianura e rivela in quell'attimo breve | le cicogne sospese nell'aria, i compagni coperti di neve. (da Quel giorno d'aprile[13], n. 4)
  • E l'Italia è una donna che balla sui tetti di Roma | nell'amara dolcezza dei film dove canta la vita | ed un papa si affaccia e accarezza i bambini e la luna | mentre l'anima dorme davanti a una scatola vuota. (da Quel giorno d'aprile[13], n. 4)
  • Di cosa muore? muore intossicato | da sogni vani di democrazia, | rifiuta i compromessi alla bugia. | Muor contento? no, da disperato. (da Il testamento di un pagliaccio, n. 5)
  • Poi morto, sia sepolto, e con le mani | si sparga attentamente sul defunto | quello che l'ha ridotto, qua a questo punto | le utopie, i sogni, i desideri vani. (da Il testamento di un pagliaccio, n. 5)
  • A noi non resterà che andare via, | e sciogliendoci da quel mortale abbraccio | ricorderemo forse quel pagliaccio | e la sua lotta ingenua e così sia. (da Il testamento di un pagliaccio, n. 5)
  • Notti che durano non so quante ore, | cascate impetuose o gocce in un mare, | notti che bruciano su una ferita, notti boccate di vita. || Notti indelebili che marchiano un volto, | notti invisibili senza raccolto, | notti da incorniciare, ore di plastica da riciclare. | Notti che spaccano il calendario senza brindare per l'anniversario, | vasi di tempo che invecchiano l'uomo e le facciate di un duomo. (da Notti[18], n. 6)
  • Le notti scivolano o raschiano il fondo | lievi di schiuma o pugni di piombo, | imprevedibili come naufragi, | notti da cani randagi. (da Notti[18], n. 6)
  • Con la costanza potrai | seguirle fino a un traguardo | voltarti indietro stupito | ché non sei neanche partito. (da Notti[18], n. 6)
  • Con la coerenza potrai | difenderle dalla vergogna, | dare ragione a uno sbaglio, | strapparti di dosso il guinzaglio. (da Notti[18], n. 6)
  • Gli artisti non nascono artisti, non sembrano strani | animali ma nascono un po' come tutti, | come individui normali. | Hanno lacrime e riso, | hanno due occhi e due mani, | hanno stampata sul viso l'impronta di esseri umani. || Poi, appena un po' cresciuti, | li avvolge una strana espressione | e appare sui volti convinti la stigmate della vocazione. (da Gli artisti, n. 7)
  • Perché anche una vita infelice si illumina con la fantasia. || Io semplice essere umano, | costretto a costretti ideali | sono solo un umile artigiano | e volo con piccole ali | Fabbrico sedie e canzoni, | erbaggi amari, cicoria o un grappolo di illusioni | che svaniscono dalla memoria | e non restano nella memoria. (da Gli artisti, n. 7)
  • Guardo le vele pendere afflosciate con i cordami a penzolar nel vuoto, che sbatton lenti contro le murate con un moto continuo, senza scopo. (da L'ultima Thule, n. 8)
  • L'ultima Thule attende e dentro il fiordo si spegnerà per sempre ogni passione, si perderà in un'ultima canzone di me e della mia nave anche il ricordo. (da L'ultima Thule, n. 8)

Dizionario delle cose perdute

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  • Così oggi, non tanto più sereni ma, diciamo, distaccati, vogliamo voltarci indietro e riguardare con affettuosa rimembranza a tante piccole cose che abbiamo incontrato e che, come tante altre cose andate, più che andarsene ci sono volate via. (p. 7)
  • Pare che l'uso di masticare qualcosa sia antico come il mondo, anche se non parlerò dei Neanderthal (sembra masticassero pure loro curiose resine. Ecco perché poi sono stati sopraffatti dai Cro-Magnon). (p. 8)
  • Nell'immediato dopoguerra c'era una voglia di ballare che faceva luce. (p. 51)

Nuovo dizionario delle cose perdute

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  • [Sui vespasiani] Sorgevano sullo spartitraffico di viali, ombreggiati in calura estiva da frondosi platani o, nei mesi autunnali e invernali, lasciavano vedere la loro grazia vagamente art déco sotto le ramaglie rese scheletriche dagli accidenti atmosferici. Oppure erano in angoli di remote piazzette di periferia, in vicoletti seminascosti su cui si affacciavano piccole modeste case dai colori tenui, pastello, come fossero immaginati da un poeta crepuscolare o da un pittore amante di tristi meriggi provinciali italiani. Sembravano gazebo, garitte dimenticate senza soldati in vigile guardia, edicole, chioschetti per la vendita, se vogliamo, di gentili fiori; erano eleganti, di lamiera di ferro, dipinti di un verde cupo o di un grigio plumbeo, a due ingressi laterali sfalsati, in modo che, chi entrava per accingersi alla bisogna più o meno impellente, avesse un minimo di privacy, a soccorso dell'eventuale pudore. (p. 8)
  • [...] un maglione è quella cosa che i bambini indossano quando le mamme hanno freddo [...]. (p. 20)
  • Cominciava a delinearsi quel famoso motto della naia che recita: "La vita militare è rendere le cose facili difficili attraverso l'inutile." (p. 71)

Portavo allora un eskimo innocente

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  • Una volta ho scommesso un cartone di vino con De André. Il buon Fabrizio non credeva possibile che i bolognesi potessero aver avuto la meglio sui veneziani [nella battaglia di Polesella del 1271]. Invece sì. Commisero l'errore di accettare una battaglia più fluviale che marinara, consentendo ai bolognesi, che avevano navi più piccole e agili, di muoversi agilmente e stravincere. (p. 19)
  • [A proposito di Plauto] [...] il suo latino non è certo quello di Cicerone: è molto popolare, sboccato, ai limiti del volgare. I suoi intrecci hanno una comicità elementare che io amo molto, ricca di doppi sensi, con una macchina scenica accattivante che non smette mai di tener desta l'attenzione. Non a caso è stato saccheggiato a destra e manca [...]. E poi Plauto mi piace perché si respira quasi un clima contadino, parecchio simile a quello italiano degli anni Trenta o Quaranta. (p. 20)
  • È il 14 giugno 1940. Entro al mondo che l'Italia è in guerra da quattro giorni. Quando si dice nascere sotto una buona stella. il 14 le truppe tedesche sfilano a Parigi, io sfilo nella vita. Avreste il coraggio di negare che sono partito subito con una fortuna sfacciata? (p. 25)
  • [Parlando del padre] Era molto duro, severo fino all'eccesso. In tutta la sua esistenza mi ha fatto due soli regali: un libro, Senza famiglia, per il Natale dei miei 13 anni, e un rasoio elettrico a batteria alla fine del militare. Per di più, il rasoio era un dono riciclato: l'avevano regalato a lui ma non gli serviva, così mi domandò se mi andasse di tenerlo. (p. 32)
  • Un altro aspetto ci fece preferire [negli anni cinquanta] il rock al jazz: per suonare il secondo bisogna essere eccellenti strumentisti, per fare il primo è sufficiente conoscere tre accordi. (p. 48)
  • Guardavo i film di Elvis Presley e, come facevan molti, mi piazzavo davanti allo specchio e cercavo di imitarne le movenze. Cominciai a non separarmi più dalla chitarra perché la differenza tra un Guccini con chitarra e un Guccini senza chitarra era evidente: il secondo non aveva nessuna possibilità di avere delle ragazze. (p. 48)
  • Cominciai a frequentare ancora più assiduamente Bonvi. Anche lui disegnava risvolti e vecchie sacche legate con la corda nelle quali si metteva la tuta da ginnastica. Bonvi è sempre stato un grande fiancheggiatore. Ci seguiva, ma non sapeva né suonare né cantare. Era stonatissimo. Amava disegnare, fare casino e tutto ciò che era tedesco. Alle feste in maschera di carnevale si presentava sempre vestito da generale germanico. (p. 56)
  • Bonvi era matto, forse la persona più matta che io abbia mai conosciuto. Capace di slanci generosissimi ma anche difficile da frequentare. Molto buono ma spesso insopportabile. Non si reggeva. Era sempre oltre le righe, in fatto di bevute, ed era anche una persona molto sola, di quel tipo di solitudine che a volte è inavvicinabile anche dagli amici. Lui mi amava molto, per quello che ero ma un po' anche per quello che rappresentavo, cioè il vecchio gruppo di Modena. Lo dico senza paura di offendere la sua memoria o di commettere un'ingiustizia: mi considerava suo amico più di quanto io considerassi lui amico mio. Ci trattavamo malissimo ma per gioco. In un locale di Bologna che ha radunato molto materiale suo, c'è ancora, appesa al muro, una lettera che gli mandai mentre ero militare. Cominciava così: "Vecchia sifilitica puttana...". Bonvi era leggendifico. (pp. 56-58)
  • Teniamoci stretti, noi che rimaniamo. Sì, ci penso alla morte. Se dicessero a una persona che fra due mesi morirà, lui farebbe in modo di mettere tutto a posto, doveri e divertimenti. Invece noi siamo abituati a condurre la vita come fossimo immortali, a vent'anni soprattutto. (p. 58)
  • Prima ti esibivi con il tuo gruppo e poi fungevi da accompagnamento a qualcuno più famoso di te. In genere andava tutto bene, ma capitavano sere in cui niente andava per il verso giusto. Tipo quella sera. Non ricordo con esattezza se la stella fosse Nunzio Gallo, allora popolarissimo, oppure Narciso Parigi, uno stornellatore toscano che aveva una voce da tenore leggero. Credo fosse Nunzio Gallo. Per farla breve, nessuno dei Gatti conosceva le sue canzoni e nemmeno sapeva leggere gli spartiti, che erano enormi, grandi come lenzuoli. Noi bluffammo alla grande e rassicurammo Nunzio Gallo dicendo che ci avrebbe pensato il pianista, a seguirlo. In realtà, il pianista, cioè Marino [Salardini], non aveva la più pallida idea di dove andare a parare e così dava delle martellate sui tasti da far venire il mal di mare. Da gran professionista qual era, Nunzio Gallo continuava a cantare cercando di non andare fuori tempo, ma tra una canzone e l'altra si voltava verso di noi dicendo a mezza voce ma in realtà ben udibile a tutti: "Ma che cazzo sta facendo quell'idiota?"- Mosso a compassione, provai ad accompagnarlo io con la chitarra, ma riuscii solo a limitare i danni. Fu un'esperienza devastante. (pp. 60-61)
  • La musica era un ottimo collante per l'amicizia, per fare gruppo, e al tempo stesso valeva anche il discorso inverso: l'amicizia ti invogliava a metter su un complesso e far musica. (p. 62)
  • Adriano Spatola lo ricordo magrissimo. Quando me lo presentarono, in centro, ebbi come un'epifania e compresi a fondo la differenza tra Bologna e Modena. Un amico comune mi disse: "Lui è Adriano Spatola, poeta". A Modena nessuno avrebbe mai detto una cosa simile, perché l'essere poeta non era ancora uno status riconosciuto. Spatola era un anarcoide, ma a modo suo. Aveva anche organizzato per benino un attentato, tirando una molotov contro la questura. Per farsi coraggio era entrato in un bar per tirarsi su con del vino, ma si era fatto qualche bicchierino di troppo e quando fu il momento di lanciare la molotov, un po' perché non le sapeva fare un po' perché sbagliò la mira e colpì un portone a fianco, non successe assolutamente nulla. Allora lui, ligio al dovere di anarchico ma anche di sbronzo, si precipitò dai poliziotti dicendo: "Arrestatemi, sono responsabile di un attentato contro la Questura, ho appena lanciato una bomba molotov fallendo purtroppo il bersaglio". Fu scambiato per un ubriaco e accompagnato sulla via di casa, nonostante l'insistenza con la quale tentava disperatamente di convincerli a metterlo in galera. (pp. 71-72)
  • Nel 1963 tornai da militare e mi iscrissi nuovamente all'università. Il primo esame che sostenni fu Storia medievale. Il docente era il fratello di Romano Prodi, Guardò il libro e vide che l'esame precedente era Filologia Romanza, anno 1959. E prima di darmi 28, sorrise ironicamente e disse, riferito al lasso di tempo tra i due esami: "Vedo che l'ha preparato bene...". (p. 77)
  • Non mi sono mai laureato, purtroppo. Ho dato tutti gli esami ma mi manca la tesi. Qualche anno fa, quando cominciai a lavorare al vocabolario sul dialetto pavanese, pensai che avrei potuto utilizzare quegli studi anche come tesi. Ma quando mi chiesero le tasse arretrate per oltre dieci milioni - l'ultimo esame l'avevo infatti dato nel 1970 - cambiai idea, ritenendo che avrei fatto meglio a spendere quei soldi in altro modo. (p. 79)
  • Fu uno sconvolgimento senza precedenti, sia formale che culturale. Dylan mi spalancò le porte della contestazione studentesca e di Berkeley, della canzone di protesta e del folk nonché del finger-picking, un maledetto arpeggio che avrei decifrato compiutamente soltanto nel 1969 grazie a Deborah Kooperman, meraviglioso personaggio sbarcato a Bologna da New York con una borsa di studio e un bagaglio di conoscenze straordinario. (p. 81)
  • [Parlando di Riccardo Bertoncelli] Con il tempo, abbiamo interrotto le ostilità. Qualche anno fa, durante una delle tante cene organizzate dal Premio Tenco, mi avvicinò una fan che, saputo della presenza di Bertoncelli a un altro tavolo, mi chiese se potevo presentarglielo. Pensa te, cosa mi è toccato fare. Ho avuto la mia vendetta l'anno scorso, quando un altro fan, più giovane, mi ha domandato: "Senti Francesco, questo Bertoncelli che citi ne L'avvelenata, ma si può sapere chi cazzo è?". (p. 86)
  • Credo che i cattolici apprezzino le mie canzoni perché dietro vedono solo me stesso, nessuna sovrastruttura, nessuna strumentalizzazione o polemica fine a se stessa; l'ambiente di sinistra suppongo mi stimi per la mia coerenza e per il mio rimanere il più possibile lontano da atteggiamenti divistici. (pp. 86-87)
  • A casa non ho i miei dischi. O meglio, ne conservo qualcuno, ma non saprei dire né dove, né come, né quando, né, soprattutto, perché. (p. 91)
  • [Nella prima metà degli anni sessanta] [...] ma allora il mio approccio al mondo della musica era ancora molto naïf. Facevo dischi perché ero curioso, volevo vedere come funzionava uno studio di registrazione, come venivano accolte le mie canzoni. C'è stata, per qualche anno, una beata incoscienza che mi ha portato ad accettare arrangiamenti o concetti che magari non mi piacevano. È che io ero ancora troppo incerto e impreparato per sapere che cosa volessi davvero. Di sicuro, una cosa che volevo era sviluppare un discorso compiuto in uno spazio più ampio del 45 giri. Sono stato tra i primi a concepire l'album come prodotto unico, come idea. Prima d'allora, i cantanti incidevano un album solo dopo aver raggiunto il successo e spesso i primi dischi altro non erano che raccolte di singoli. (p. 91)
  • L'America era meglio immaginarla che viverla. (p. 96)
  • La canzone più famosa dell'album [Radici] è forse La locomotiva. Avevo letto una storia che mi aveva entusiasmato. Era contenuta in Trent'anni di officina, un libro di memorie (amo i libri di memorie) di Romolo Bianconi[19], un ex operaio cui piaceva raccontare e raccontarsi. Uno degli episodi ricordati e realmente accaduti parlava di un ferroviere che si era lanciato contro un treno. E il Bianconi si domandava: "Fu un gesto di un pazzo o un preciso atto politico?". Quando raccontai questa storia a Mignani, il Pensionato che viveva accanto a me e al quale avrei dedicato più tardi una canzone[20], mi disse che ricordava bene quell'episodio e che all'epoca si pensava fosse stato un supremo gesto di anarchia. Così provai a comporre una canzone nello stile di quelle che cantavamo ogni tanto, canzoni politiche anarchiche alla Pietro Gori. Per di più mio cugino [...] faceva parte della Federazione Anarchica di Carpi, per cui mi piacque l'idea di raccontare la vicenda di questo macchinista. Mi sentivo ispirato, scrivevo la storia e già pensavo alle strofe e prendevo appunti per le rime. In mezz'ora La locomotiva era finita. (pp. 107-108)
  • Il vecchio e il bambino ha il sapore di una storia di fantascienza ma non ha nulla a che vedere, nonostante i pur lodevoli tentativi d'interpretazione di molti, con lo smog, la polluzione e l'inquinamento. [...] Il vecchio e il bambino parla dell'olocausto nucleare. È una canzone intoccabile. I miei fans non sopporterebbero di vederla estromessa dalle scalette dei miei concerti, almeno così dicono. (p. 110)
  • [Riferito all'album Stanze di vita quotidiana (1974)] [...] il disco che più ho odiato nella mia vita. (p. 117)
  • E ancora adesso, più che concerti, i miei spettacoli sembrano serate da osteria trascorse con gli amici, dove, in tempi e momenti diversi, puoi trovare musica, risate, momenti comici intervallati da altri serissimi, invettive, commozione, teatralità e dove tutto può cambiare da un attimo all'altro, grazie all'interazione con la gente. Credo di essere l'unico musicista rimasto a parlare e scherzare anche per un quarto d'ora di seguito, senza che nessuno mi abbia mai urlato di smettere di parlare e ricominciare a suonare. Ancora adesso non riesco a capire chi suona cinque sere la settimana. Se facessi anch'io così, diventerebbe un lavoro da impiegato. E poi, il mio continuo interloquire con il pubblico è dato dall'attualità. Vado a braccio, improvviso in base a quello che ho letto sui giornali. Se cantassi tutte le sere, dovrei replicare le battute e questo non mi piacerebbe affatto. (p. 120)
  • [Negli anni settanta] C'era anche un altro motivo a tenermi lontano dai concerti. Sono stato uno dei pochi cantautori a non subire processi pubblici, ma ho conosciuto anch'io momenti assurdi. Il cantautore, in quegli anni, doveva essere una sorta di francescano laico che andava in giro vestito di saio e sandali, pronto a offrirsi a chiunque lo richiedesse. (pp. 120 e 122)
  • L'idea del cantautore scalzo e seminudo come portatore di saggezza o di messaggi per il popolo mi faceva ridere. Io canto quando posso, come posso. Se vi va di ascoltarmi bene, altrimenti amici come prima. Non sono, per usare le parole di Vittorini, il pifferaio della rivoluzione. (p. 123)
  • La mia geografia musicale non ha cambiato confini, è rimasta sostanzialmente la stessa. A differenza di mia figlia, che la usa come sottofondo per ogni attività quotidiana e che mi propina suoni inudibili come impronunciabili sono i nomi dei gruppi che li propongono, ascolto poca musica: i colleghi cantautori per curiosità, gli argentini per amore. (p. 128)
  • La maggior parte dei miei brani è condotta sul filo della memoria, coniugata più al passato che al presente o al futuro. Guardo al passato soprattutto perché si carica di mitico e di eroico. Nasce l'aneddoto, interviene la tendenza al favolistico, si smussano gli angoli, tendi a dimenticare il negativo, al limite scivoli nel nostalgico, nel malinconico. Il passato è di per sé narrazione, il presente è cronaca, il futuro è l'ignoto. Credo che il futuro sia la somma di tutti i nostri giorni passati. E non solo: anche dei giorni di chi è vissuto prima di noi, dei giorni di chi incontri per strada. (p. 128)
  • Il mio unico rammarico, riguardo Amerigo, è la sua brevità. Solo sei canzoni [...]. Forse fu per questo che non conobbe grande successo. La canzone che dà il titolo all'album è la più bella, completa, finita, ricca di cose e forse e una delle più belle che io abbia mai scritto. (p. 133)
  • Eskimo è il ricordo di una donna molto importante con cui non stavo più ma per la quale provavo quel po' di nostalgia legato anche allo scorrere inesorabile del tempo e alle sue vicende. Il brano è un bignamino degli anni '60 o almeno dei miei '60 [...]. L'"eskimo innocente dettato solo dalla povertà" l'avevo comprato a Trieste, subito dopo il servizio militare e non aveva ancora quel significato simbolico che avrebbe avuto in seguito. (p. 133)
  • [Su Augusto Daolio] Sembra strano a tutti ma non ci conoscevamo molto bene. Ci eravamo visti qualche volta negli anni '60, quando i Nomadi prendevano le mie canzoni per i loro dischi, ma niente di fisso. Erano frequentazioni occasionali. Dopo la sua morte, a tutti coloro che mi chiedevano un suo ricordo, anche la gente ai concerti, io opponevo il silenzio: un po' per non inventarmi un'amicizia che non avevamo, un po' perché odio la retorica. Almeno in questi casi. (p. 139)
  • Purtroppo, noi italiani siamo malati di esterofilia e non ci rendiamo sempre conto del valore delle nostre cose. Mussolini diceva: "Dico e vi autorizzo a dire che il cioccolato italiano è migliore dei migliori cioccolati inglesi". Era una delle rare volte in cui aveva ragione. Se leggessimo i testi di molte canzoni italiane e li paragonassimo a quelli inglesi e americani, ci accorgeremmo che sono migliori i nostri. (p. 142)
  • La canzone più misteriosa in assoluto [dell'album Guccini] è Autogrill, intravista e non vissuta, venuta fuori chissà come. Nacque a Pàvana ed è il resoconto di ciò che non fu mai, ovvero un sogno mai avverato. (p. 153)
  • Ho un rapporto conflittuale con il tempo. Esistono due tempi: quello quotidiano, scandito dagli orari, vissuto non sempre bene da chi, come me, guarda sempre l'orologio; e quello lato, che passa e non ritorna e ci macina tutti, senza troppo rispetto. Si va avanti, si cammina, s'invecchia e ci si guarda alle spalle per vedere che cosa è stato e che cosa sarebbe potuto essere; più difficile guardare avanti e interrogarsi su che cosa sarà. Nelle mie canzoni si respira forte il senso del tempo che passa. (p. 154)
  • Io sono un accumulatore, ma anche uno smarritore. Perdo i libri dopo due settimane, non trovo più niente, non so nemmeno che cosa ho, figuriamoci dove. È sempre stato così, non è una questione di vecchiaia. Forse era meglio quando i libri da leggere erano sei in un anno, perché li leggevi e rileggevi, li mandavi a memoria, li consumavi e interiorizzavi. Oggi che sono trentamila, ti perdi e li perdi. È noto che la valanga di informazioni diminuisce, anziché aumentare, la capacità di memorizzare. (p. 155)
  • Guccini per me è l'impossibilità di viaggiare. Puoi raggiungere ogni parte del mondo in poche ore ma sei condannato a essere sempre turista. (p. 155)
  • Io non amo viaggiare, preferisco la mia montagna. Viaggiare è molto scomodo. I posti nell'aereo sono trappole barbariche, soffocanti per uno che ha le mie dimensioni. Forse odio l'aereo perché mi pare che ti privi della libertà di movimento. Sono invece un gran camminatore, da vero montanaro. È bello fermarsi, accelerare, rallentare a piacimento, anche cambiare direzione. (pp. 156-157)
  • In tutti noi c'è una signora Bovary, che non è madame Bovary, perché non siamo all'altezza. Desideri che rimangono tali, questa è la signora che è in noi. (p. 159)
  • Van Loon è dedicata a mio padre, che leggeva le opere di questo Piero Angela dei suoi tempi, cioè gli anni '30. Van Loon era un olandese (o un fiammingo, non ricordo bene) divulgatore di storia, geografia e umanità varia, i cui scritti si trovavano di frequente nelle case di chi, come mio padre, aveva molti interessi ma non aveva avuto l'occasione e i soldi per studiare. Una canzone molto intensa che ho provato più volte a inserire nella scaletta dei miei concerti. La provo e poi sono costretto a rimetterla via. Non riesco a farla senza star male e piangere, perché, nel frattempo, mio padre è morto. (p. 160)
  • Decisi di riprendere le antiche canzoni perché le buone canzoni difficilmente invecchiano, ma gli arrangiamenti sì. Così, a volte, è bene ripulirli e rimetterci le mani. (p. 161)
  • 1989: Cròniche epafániche. Il mio primo romanzo. Lo devo a tre cose. Innanzitutto il computer. Ho sempre scritto, ma anche sempre perduto. Smarrivo con una facilità incredibile. Il computer mi ha aiutato molto, accelerando inoltre il processo di scrittura, facilitando i "taglia e incolla" ed evitando il rimbambimento provocato dalla confusione. Non sono però ancora riuscito a capirlo fino in fondo. Non molto tempo fa mi venne voglia di ascoltare il mio ultimo album su computer. Niente. Non usciva alcun suono. Allora chiamai il mio tecnico di fiducia: mia figlia Teresa. Lei mi fece rifare l'operazione, poi mi guardò con compassione, prese il dischetto e lo infilò dalla parte giusta. (p. 162)
  • [Sull'album Quello che non...] Una negazione che tutti hanno definito montaliana e che invece è, più semplicemente, lo sfogo di uno che scopre di vivere con una persona che non lo considera più molto. Nel brano che dà il titolo all'album, la coppia non esiste, è dissolta, sparita, non è più niente. L'io narrante si rivolge a un'interlocutrice, come spesso accade nelle mie canzoni. La dissoluzione del rapporto emerge da una serie di immagini secche che, in apparenza, non hanno molto a che fare con il rapporto di coppia e che si sovrappongono l'una all'altra. Era un momento mio di grandi incertezze. Nonostante si trattasse di una questione privata, sotto sotto c'era anche, per vie oblique, tutto il malessere delle sinistre, in evidente crisi d'identità. Credo che entrambi i disamori si siano influenzati a vicenda. (p. 169)
  • In Canzone per Silvia seguo lo stesso procedimento di Amerigo: accosto due Americhe, quella vera e quella sognata, quella incontaminata e quella corrotta, quella pura e quella che fa paura. Come in Amerigo contrapponevo Atlantide e Donald Duck alla miniera e all'antracite, in Canzone per Silvia accosto le paludi dei Seminole e la statua della libertà alla prigione federale. Perché l'America è "tutto e niente, il bene e il male". (p. 178)
  • Farewell è la mamma di Quattro stracci e non vorrei aggiungere altro. (p. 178)
  • Nostra Signora dell'Ipocrisia è stata paragonata, in modo per me assurdo e incomprensibile, alla Domenica delle Salme di Fabrizio De André, forse perché faccio riferimento al Mercoledì delle Ceneri e alla Domenica di Mezza Quaresima. Nel mio brano c'è più ironia, mentre quello di Fabrizio è più cupo. La situazione politica è, inoltre, decisamente diversa. Il mio era un atto d'accusa verso Berlusconi e alcuni politici di allora, oltre che nei confronti della televisione. Non la propongo più in concerto proprio in quanto legata troppo all'attualità, come del resto Dovevo fare del cinema e Parole. (p. 179)
  • Ero scettico, ai tempi, anche per L'avvelenata, che giudicavo e ancora giudico un mio brano minore. Non riesco francamente a spiegarmi il suo successo. (p. 179)
  • Io, purtroppo, sono uno che torna sempre sulle sue strade, sui suoi passi. Sono uno che ricorda. E non fa bene alla vecchiaia. (p. 180)
  • Un presente fatto di trasmissioni televisive ignobili e di ignoranza, di persone pronte a prostituirsi per meno di trenta denari e di dignità strappate. Di volgarità di immagini e di un linguaggio sempre più decaduto. Di persone che hanno smesso di sognare in modo normale e pensano che l'aspirazione massima sia apparire in uno schermo, piccolo o grande, anche senza sapere niente e senza saper fare niente. La televisione è un continuo rilancio verso il basso e, invece di sforzarci per invertire la tendenza, noi ci uniformiamo e facciamo di tutto per abbassarci sempre più. (p. 187)
  • Penso che i ragazzi comprino Guccini e non solo le mie canzoni, che possono anche non colpire a fondo - l'ispirazione non è sempre al massimo, non lo è nemmeno dei geni - ma si portano dietro una coerenza di lungo corso: la mia. Una delle cose belle dei giovani, che non cambia, ma si tramanda di generazione in generazione, è che non si lasciano guidare: vogliono pensare con la loro testa, almeno quelli che vengono ai miei concerti. Non hanno tanti fronzoli: se una cosa non piace, vanno altrove. (p. 188)
  • Non è un caso che Benigni abbia riesumato Dante. Il suo non è sfoggio di attore o grandezza da guitto; Roberto sente Dante come lo sentivano i toscani una volta, come oralità di gruppo, non come studio solitario. (p. 190)
  • In ogni album ci sono brani che ti fanno alzare la testa e illuminare gli occhi non appena hai finito di scriverli; altri che finiscono in un album perché è giusto così, ma non dureranno per sempre. C'è una selezione naturale, quasi darwiniana, anche nella musica. Sopravvive il più forte; gli altri muoiono o vanno in letargo. Capita infatti a volte che un brano si risvegli all'improvviso, esca dal suo sonno e torni sotto una nuova veste. Se così non fosse, ogni tour sarebbe alquanto noioso, perché sarei costretto a cantare sempre le stesse canzoni. (p. 195)
  • Lo so, in Stagioni [album del 2000] manca l'estate. Ma io, d'estate, vivo. Non scrivo canzoni. (p. 197)
  • L'ispirazione non esiste, è un concetto romantico che io non possiedo. L'ispirazione, al massimo, è un'idea, uno spunto, qualcosa che si accende e ti dice: seguimi. Ma il resto è sudore. E capacità di attendere, perché un'idea può rimanerti dentro per anni senza mai decidersi a uscire. (p. 203)
  • È strano: nella vita sono un essere pacifico, nei film mi fanno sempre litigare con tutti. (p. 211)
  • Ci chiamano spesso poeti, noi cantautori (termine che peraltro detesto) facendo probabilmente torto tanto ai poeti che ai cantautori. Siamo due entità distinte che talvolta si avvicinano. Io, immodestamente, credo di aver lavorato molto sulle parole. Certo, qualche critico distratto potrebbe accusarmi di scrivere da anni la stessa canzone, ma commetterebbe un grosso errore. Inviterei questi critici a studiare per bene la forma, si accorgerebbero così che uso spesso un procedimento tecnico atipico che mi consente (che non è come dire: mi consenta...) di giocare con i vocaboli e la metrica. Non solo io, naturalmente. Ma anch'io. Abbiamo rinnovato il linguaggio della canzone. Prima di noi, tutto era più superficiale. (p. 219)
  • Ecco, io chiedo questo, ai miei anni: di avere sempre storie da bisbigliarmi, per poterle poi scrivere, raccontare, cantare. Finché non verrà il tempo. (p. 220)

Citazioni su Francesco Guccini

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  • A me Guccini fa venire in mente Ridolini. Non fraintendetemi... Larry Semon era un uomo intelligente e preparato, dotato di fantasia, inventiva, di uno spirito poetico accompagnato da una solida preparazione pratica, della rara capacità di scegliere collaboratori con cui rimanere amico per tutta la vita; era di era un uomo carattere generoso, e dotato di quel tanto di eccentricità che non guasta mai. Anche Francesco Guccini possiede queste caratteristiche... La ragione per cui mi viene da associare i due personaggi è... un singolare percorso che parte dalla carta stampata per arrivare al mondo dello spettacolo. [...] Per quanto riguarda Guccini, probabilmente i miei colleghi sceneggiatori ed io avremmo un concorrente agguerritissimo e soprattutto serio, che si prefigge di trovare sempre il modo di rendere la materia appetibile senza, per questo, scendere a compromessi, svendendosi o sputtanandosi. Resta il fatto che, così come si usa la frase "un film alla Ridolini", ho sentito anche dire "una canzone alla Guccini". E, in questo caso, non ci sono dubbi di interpretazione. (Alfredo Castelli)
  • Abbiamo delle nonne in comune io e Guccini. Fa piacere avere tra i parenti un tipo come lui. Sembra che non si sia mai allontanato da Pàvana, e racconta storie che hanno come scenario quei paesaggi che hanno accompagnato anche la mia infanzia: col cuore e le parole dei poeti. (Enzo Biagi)
  • [Sui suoi sequestratori] Alle mie canzoni, a parte le più vecchie come Il pescatore o Bocca di rosa, preferivano quelle di Guccini. (Fabrizio De André)
  • Bolognesi! Ricordatevi: Sting è molto bravo, però tenetevi il vostro Guccini. Uno che è riuscito a scrivere 13 strofe su una locomotiva, può scrivere davvero di tutto. (Giorgio Gaber)
  • Di Guccini porto nella memoria le bottiglie. Un tipo che come lui ha bevuto un Mar Caspio di vino dimostra che l'alcool non è affatto contrario all'arte. (Stefano Benni)
  • [Fabrizio De André] era l'unico poeta della canzone d'autore. Gli altri, me compreso, con l'eccezione forse di Guccini, sono bravi, non poeti. (Roberto Vecchioni)
  • Mi piace soprattutto per quello che mette nei suoi testi e per il personaggio che è: il classico tipo che entra col vino bianco e dice: "Mi disseto un momento e cominciamo subito". (Leo Ortolani)
  • Quella di Guccini è la voce di quello che un tempo si diceva il "movimento". Oggi, semplicemente una voce di gioventù. E cioè di granitica coerenza con il proprio linguaggio e pensiero. Nella sua opera c'è un discorso interminabile: sull'ironia, sull'amicizia, sulla solidarietà. (Dario Fo)
  • Se Fabrizio De André è stato un poeta della canzone. Se Francesco De Gregori è un intellettuale con la chitarra. Guccini è la sintesi di entrambi. Guccini non ha di De André l'immediatezza, la folgorazione. Non ha il ragionamento distaccato di De Gregori. Ma ha tutto il resto. Ironia, senso della storia, capacità di indignarsi, impegno politico vissuto con sospetto, curiosità verso il mondo. (Roberto Cotroneo)
  • Se mi avessero dato venti lire ogni volta che ho ascoltato "Incontro" mi ci sarei comprato un biglietto aereo da farci il giro del mondo. Conosco tutte le canzoni di Guccini a memoria. Quando sono andato a cercarlo a Pàvana e mi si è dischiuso in tutta la sua grandezza, è stato come essere davanti alla Madonna di Loreto. (Leonardo Pieraccioni)

Collaborazioni

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Note

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  1. a b Citato in Pedrinelli, p. 147.
  2. Dalla trasmizzione radiofonica Un giorno da pecora; citato in Francesco Guccini: «Dopo il coronavirus non cambierà nulla», Rollingstone.it, 14 aprile 2020.
  3. Dall'intervista di Diego Bianchi a Propaganda Live, LA7, 16 settembre 2022; citato in Giulia Turco, Francesco Guccini e la telefonata con Giorgia Meloni: "Rifiutai il suo invito, anni dopo mi infamò", Fanpage.it, 17 settembre 2022.
  4. Citato in Pedrinelli, p. 148.
  5. Citato in Matteo Cruccu, «Il suo ballo era luce. Ha saputo intercettare l'ansia di spensieratezza del Dopoguerra» Guccini: negli anni d'oro riusciva a suonare ogni sera, Corriere della Sera, 14 marzo 2021.
  6. Cfr. Thomas Stearns Eliot, La terra desolata: «Aprile è il mese più crudele, genera | lillà da terra morta, confondendo | memoria e desiderio, risvegliando | le radici sopite con la pioggia di primavera.»
  7. Cfr. Agnolo Poliziano, Rime: Ben venga Maggio e il gonfalon selvaggio! | Ben venga primavera che vuol ch'uom s'inamori. | E voi, donzelle, a schiera, con li vostri amadori, | che di rose e fiori vi fate belle il maggio, | venite alla frescura delli verdi arbuscelli.
  8. Canzone uscita su 45 giri nel 1968 ed incisa nel 1970 da Lando Buzzanca.
  9. a b c d e f g h i j Testo di Gian Piero Alloisio e Francesco Guccini.
  10. Il titolo e il ritornello della canzone si basano su un verso di Isaia (21, 11): «Sentinella, quanto resta della notte?».
  11. a b c d e Testo di Claudio Lolli e Francesco Guccini.
  12. a b c d Canzone già interpretata da Dalla Morandi nell'album Dalla/Morandi (1988).
  13. a b c d e f g h i j k l m n o p q r Testo di Beppe Dati e Francesco Guccini.
  14. a b c Testo di Luciano Ligabue e Francesco Guccini.
  15. Cfr. Divina Commedia, Inferno, canto XXVI, 125: «[...] de' remi facemmo ali al folle volo [...]».
  16. a b Testo di Manuel Vázquez Montalbán e Francesco Guccini.
  17. a b c d Canzone già interpretata da Adriano Celentano in una versione leggermente diversa nell'album Per sempre (2002).
  18. a b c d Testo di Gaspare Palmieri e Francesco Guccini.
  19. In realtà Mario Bianconi: cfr. scheda dell'OPAC.
  20. Il pensionato, sesta traccia dell'album Via Paolo Fabbri 43 (1976).

Fonti

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  1. Dall'intervista di Vincenzo Mollica nel programma televisivo Speciale TG1, Rai 1. Video disponibile su Youtube.com.
  2. Da Stagioni, a cura di Valentina Pattavina, Einaudi, 2000, p. 31.
  3. Citato in Guccini: "La storia è maestra di pochi", Gazzetta di Parma.it, 6 aprile 2011.
  4. Da Francesco Guccini: "Il mio '68 sognando Dylan e i Provos", Rep.repubblica.it, 31 gennaio 2018.
  5. Dal programma televisivo Che tempo che fa, Rai 3, 11 febbraio 2006.
  6. Dal programma televisivo Un soffio caldo – Natale con Zucchero, Rai 2, 21 dicembre 2010.

Bibliografia

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Filmografia

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Altri progetti

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Opere

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