Concita De Gregorio
Concita De Gregorio (1963 – vivente), giornalista e scrittrice italiana.
Citazioni di Concita De Gregorio
modifica- Allora come si fa a dire che questa è antipolitica, questa è ricerca di una politica diversa da quella che non ti dà risposte. Se la politica tradizionale avesse dato delle risposte nette e semplici ai problemi tradizionali, per esempio: nessun inquisito in parlamento, tanto per fare un esempio, oppure avesse dato seguito al referendum del '93 sul finanziamento ai partiti, oppure avesse dato prova di una trasparenza di una vita politica, allora Grillo non sarebbe esistito. Grillo è cresciuto perché non sono date delle risposte.[1]
- [Su Franca Viola] Cinquant’anni fa, alle nove del mattino, Franca aveva 17 anni e 11 mesi. Era la ragazza più bella di Alcamo, figlia di contadini. Filippo Melodia, nipote di un boss, la voleva per sé. Lei si era promessa a Giuseppe Ruisi, un coetaneo amico di famiglia. Melodia e altri dodici della sua banda bussarono alla porta e rapirono lei e il fratello Mariano, 8 anni. Li portarono in un casolare in campagna. Dopo due giorni lasciarono andare il bambino, dopo sei portarono Franca a casa della sorella di Melodia, in paese. La legge diceva, allora, all’articolo 544 del codice penale, che il matrimonio avrebbe estinto il reato di sequestro di persona e violenza carnale. Reato estinto per la legge, onore riparato per la società. Doveva sposare Melodia, insomma: era scritto. Ma Franca non volle. Fu la prima donna in Italia – in Sicilia – a dire di no alla "paciata", la pacificazione fra famiglie, e al matrimonio riparatore. Ci fu un processo, lungo, a Trapani. Lei lo affrontò. Un grande giudice, Giovanni Albeggiani. I sequestratori furono tutti condannati. Melodia è morto, ucciso da ignoti con un colpo di lupara, molti anni dopo. Gli altri sono ancora lì, in paese.[2]
- [Su Sangue del mio sangue] Cos'è il tempo, se non serve e non basta a guarire il vizio dell'infanzia? Se non chiude le ferite e ti mura vivo, invece, come una monaca punita a vita, nella perpetua penitenza del desiderio e della colpa. Di quanti abissi parla, e quanto in profondità, questo potente imperfetto magnifico film di Marco Bellocchio, maestro di visioni capaci da sole di dire quel che la parola non può. Un piccolo mondo, Bobbio, il paese natale. Un piccolo film costato l'essenziale e fatto di pezzi di storie girate dagli allievi del suo laboratorio di cinema a Bobbio, appunto. Come I pugni in tasca da cui tutto è iniziato, la sala da pranzo di questo e quel film è la stessa: quella, vera, dei ragazzi Bellocchio bambini.
Girato in tempi diversi, Sangue del mio sangue, eppure tutto compatto, tutto in un punto. In uno spazio e un luogo dell'anima prezioso e blindato che poco a poco si schiude e la famiglia intera – la famiglia, quella di sangue e quella di lavoro – arriva in sostegno, con amore e dedizione, ad aprire la scatola nera dei segreti dell'anima. Il doppio, il legame di sangue: di questo parla fin dal titolo e non è certo, certo no, un film di vampiri anche se un grottesco vampiro, in una dissertazione sul futuro adesso qui presente, c'è.[3] - Il vento che la vide così bella senz'altro la portò sopra una stella, questa bimba di quattro forse cinque anni di cui non si sa il nome: la chiameremo Marinella, come la canzone di De André. La presidente del Consiglio [Giorgia Meloni] la intonava in karaoke con Matteo Salvini per celebrare il di lui cinquantesimo compleanno, festa a sorpresa a due passi dal lago di Como, nelle stesse ore in cui il mare restituiva il corpo della settantaquattresima vittima del naufragio di Cutro: una bimba piccola, appunto, dopo tanti giorni irriconoscibile.[4]
- [...] l'argomento dei radical chic lo conosco molto bene ed è il classico argomento che si mette in azione quando si blocca il pensiero, quando non c'è nient'altro da dire. Il tema del "sei comunista e vai a sciare" è un po' decaduto. Secondo me è passato di moda. Non trovo niente di male nell'adeguare il proprio aspetto al messaggio che vuoi comunicare. Diventa il fatto centrale se noi vogliamo farlo diventare centrale.[5]
- [Dichiarazione pronunciata all'inizio della prima guerra civile in Libia] La guerra in sé è una notizia pessima. Detto questo, il risorgimento libico, come lo chiama il presidente Napolitano, i moti risorgimentali del popolo nordafricano, nell'anno in cui noi celebriamo i nostri 150 anni di storia […], è qualcosa di fenomenale che deve assolutamente essere sostenuto.[6]
- La lingua della paura dice chi sei. È lì che abita la nostra identità profonda. È quella lingua, che viene alla coscienza senza controllo da un luogo remoto, a definire chi siamo. Di questo sono certa, pensavo ascoltando le telefonate dei bambini che chiamano casa dal bus[7] perché qualcuno sta minacciando le loro vite. Hanno paura in Italiano. Sono bambini italiani.[8]
- Le persone più interessanti sono le donne con molto passato e gli uomini con molto futuro.[9]
- [Sul Festival di Sanremo 2008] Non è detto, perché qui mai nulla succede davvero, ma quello che avete visto ieri sera in tv potrebbe essere stato l'ultimo giorno di Pippo: di una certa democristianità televisiva pietosa e crudele, di un'Italia da maestro Manzi che non è mai troppo tardi per diventare qualcuno, persino una domestica straniera se s'impegna può trasformarsi in una star. Invece no, non può: la gente cambia canale. Fine del Festival come Baudo lo ha pensato congegnato e disegnato da quarant'anni in qua, ha cominciato nel '68. Ultimo giorno di Pippo, ultimo giorno di Sanremo in versione nazional-popolare, ultimo giorno di una tv che non esiste più se non nella testa di chi ancora crede che cento bambini di periferia che ballano il tip tap mascherati da Fred Astaire sia "un grande momento di televisione" e non al massimo una commovente esibizione di fine corso per i loro cari.[10]
- Non risulta che ci sia in Italia alcun attacco alla famiglia cosiddetta tradizionale, che gode con evidenza del massimo credito anche tra quei leader della destra la cui vita privata è, come tutte, variegata e complessa. Non c'è paese come l'Italia, che ingloba il Vaticano nel suo corpo fra la milza e il fegato, in cui la Famiglia sia totem radicato nelle coscienze, perciò fonte suprema e costante di sensi di colpa. L'attacco alla famiglia tradizionale, con annessi gadget di feti da usare eventualmente come portachiavi, è un chiarissimo pretesto per sdoganare una galassia di fossili viventi e nuovi soggetti economici rampanti finanziatori del neo conservatorismo mondiale.[11]
- Sono sicura che le persone che ci hanno lasciato siano nelle cose che ci hanno insegnato, nei loro pensieri da finire di pensare, nei gesti che ripetiamo ogni giorno quando prepariamo il pranzo e curiamo i fiori, nella capacità di dire di no quando serve e di restare integri anche in loro nome.[12]
Per Susana non un verso di meno
la Repubblica, 25 ottobre 2024.
- La lingua di Susana Chávez Castillo è un mondo all'interno del quale non vale altra regola che non sia la libertà. [...] Qui siamo davanti a uno spartito che tiene insieme la lingua alta dell'università e delle lettere, l'eco degli studi di psicologia, i riferimenti alla poesia e alla musica del suo tempo – Alfonsina Storni, Chavela Vargas – e molta, moltissima lingua della casa e della strada. Le ninnenanne popolari, il lessico familiare, le potenti leggende messicane che fanno parte del cuento, il racconto di un popolo. Lo sciamanesimo, gli animali totemici, gli alebrijes spiriti guida. Il turpiloquio che scaturisce dallo spavento e dal dolore, dalla passione. Il dio con la minuscola, ma poi maiuscolo altrove.
- Susana Chávez scriveva sui tovaglioli di carta dei bar, quando le è stato possibile le sue poesie sono state la moneta con cui ha saldato il conto.
- L'attivismo e il femminismo di Chávez nascono dalla sua esperienza di vita in modo istintivo e razionale assieme, ma sempre prescindendo dai grandi testi di riferimento, talvolta li precedono. Le sue poesie d'amore, anche quando si tratta di amore carnale, sono rivolte nella maggior parte dei casi a donne: Susana ha amato principalmente donne ma non sono soltanto donne i destinatari delle sue liriche.
Io vi maledico
modificaSono tanti anni che seguo la politica molto da vicino, è il mio lavoro. Non avevo mai vissuto, tuttavia, niente di simile a quello che stiamo tutti quanti oggi vivendo. Un disorientamento così assoluto, una perdita repentina di ogni punto di riferimento. Una classe politica che ha rinunciato a occuparsi del fatto che la metà dei cittadini non va più a votare e si trincera dentro un recinto ogni giorno più esiguo, che canta vittoria quando dentro quella minoranza ottiene la maggioranza. Si vincono le elezioni, oggi, coi voti di un cittadino su dieci. Altrove, in altre democrazie, può essere considerato un buon risultato. In Italia non era mai successo. In Italia quando ero ragazza, non molti decenni fa, votare non era considerato solo un diritto, era prima un dovere. Del resto questo c'è scritto nella Costituzione: un dovere. Bisognava votare, magari scheda bianca ma si andava. Ricordo che mio nonno mi diceva che se non ti presentavi al seggio ti sporcavi la fedina penale, ci scrivevano sopra «non ha votato» ed era una vergogna, poi dopo magari perdevi il lavoro. Lo diceva con orgoglio, gli sembrava giusto così. Avevano lottato tanto. A votare, a parte una minoranza davvero esigua, ci andavano tutti. (p. 3)
Citazioni
modifica- Volevo scrivere un libro sul lavoro. Pensavo: è la perdita del lavoro l'origine del vortice di frustrazione, disillusione e paura che ci ha condotti qui. Non c'è altro da fare, oggi, che non sia dare voce a chi non ha voce. È quello il punto di rottura, il luogo in cui sparisce la solidarietà e il sentimento di condivisione che è alla base dell'idea di democrazia. Perché se non hai di cosa vivere ogni vicino è tuo nemico. Se non hai dignità non hai niente altro di altrettanto prezioso da perdere e vale tutto, allora. Vale la legge della giungla. Che tu abbia vent'anni o cinquanta, non importa. (p. 4)
- Quando sono andata a Taranto a parlare con le vedove degli operai uccisi dal cancro, all'Ilva, sotto la casa di una famiglia sterminata dal tumore ho trovato una lapide, fatta mettere dall'ultimo dei morti quando era ancora vivo e combattivo, quando sperava che non sarebbe toccato anche a lui. Io vi maledico, ha scritto sulla pietra. Maledico voi che sapete cosa ci state facendo, voi che lo fate e voi che guardate in silenzio, i colpevoli e gli indifferenti, i padroni e i politici, i sindacati e i preti. Voi che pensate solo a voi stessi, e non ci ascoltate. (p. 5)
- Superficialità, disorientamento, fragilità, disincanto, rabbia sono la malattia del tempo, e non solo di una generazione. La rabbia fragile è tutto intorno a noi. Ha molti colori e molte voci, tutte sincere. Non porta da nessuna parte, consuma solo. È una rabbia giusta. Ha quasi sempre ragione ma non sa diventare indignazione. Schiuma nell'astensione, nella protesta. Distrugge quel che non le piace poi si ferma e non trova la strada. (p. 12)
- Il Movimento 5 Stelle ha un consenso crescente nel Paese. Si propone, principalmente, di distruggere il sistema esistente descritto – in buona parte a ragione – come un sistema di caste chiuse e autoreferenziali. I politici, i medici, i professionisti universitari, i giornalisti. Intercetta un'esasperazione diffusa contro la quale non ha molto senso combattere come fosse un nemico: la realtà non è un nemico, è la realtà. L'idea di Grillo è: «intanto abbattiamo tutto, poi si vede». Coloro che dicono che non ha un progetto possono anche aver ragione, ma non conta. Conta che un'altissima percentuale di italiani sia così furiosa da voler intanto demolire, poi si vede. Non sono solo elettori di sinistra, anzi. C'è una parte di delusi dalla sinistra, sì, poi c'è chi non sarebbe altrimenti andato a votare e c'è molta destra trasformista e opportunista, orfana dell'uomo della Provvidenza. (p. 10)
- C'è poi il tema del web, e della tv. Grillo è nemico della televisione, strumento dell'apparato corrotto e simulacro del potere da abbattere. È sulla tv che Berlusconi ha costruito la sua fortuna, politica e non. Ma è già il passato, quello. Ora c'è il web. Gli eletti del 5 Stelle non sono autorizzati ad andare in tv, pena anatema del leader. I giornali si accigliano e annoverano anche questo come folklore. Ma c'è qualcosa di interessante invece che varrebbe la pena osservare. Il web può essere usato come un manganello, ciascuno lo sa. Ci può essere un uso dispotico del mezzo per eccellenza democratico. La rabbia, sul web, monta come una schiuma. È una rabbia debole, è vero. Ma al momento del voto può tradursi in consenso e determinare le sorti di un Paese. In fondo è un elettore su dieci che decide, oggi, chi governa. Poi quel 10 per cento decide per tutti. Davvero conviene prestare attenzione a cosa succede fuori dalla trincea della vecchia politica, perché se non è oggi sarà domani ma quel che di decisivo accade è lì che sta accadendo. E duole dirlo, è comprensibile: è difficile dirlo ma la rabbia ha le sue ragioni. (pp. 10-11)
Mi sa che fuori è primavera
modificaCosa sei venuta a dirmi, Irina? Perché hai bussato qui? "Vorrei che mi aiutassi, se puoi, a prendere le parole metterle in fila ricomporre tutti i pezzi che sento frantumati e dispersi in ogni angolo del corpo. Vorrei ricostruire i frammenti come si ripara un oggetto rotto, prenderlo in mano e portarlo fuori da me. Per tenerlo accanto, portarlo in tasca, metterlo in borsa ma intero, tutto intero. Pensi che si possa farlo, scrivendo? Se fossi stata capace l'avrei fatto, ma non sono capace e non ero pronta. Ora sono pronta. Voglio mettere un punto. Segnare il passaggio. Sento che sarà facile, se riesco a raccontare ogni cosa." (p. 11)
Citazioni
modifica- Il dolore da solo non uccide e io sono viva. Dunque devo vivere, perché finché ci sono ci sarà il ricordo di chi non è più con noi. [...] Come potremmo vivere senza placare la memoria, che non vuol dire arrendersi, o dimenticare, ma lasciare che il caldo si raffreddi, che il bagnato si asciughi, che ogni cosa si trasformi e nasca un inizio da una fine. Che la fame si sazi per tornare a essere fame. Che il desiderio si estingua per rinascere. Che il sonno dia pace alla stanchezza per avere sonno di nuovo. Ogni minuto della vita gira attorno a qualcosa che non c'è più perché qualcos'altro possa accadere. [...] C'è bisogno di essere felici per tenere testa a questo dolore inconcepibile. C'è bisogno di paura per avere coraggio. È l'assenza la vera misura della presenza. Il calibro del suo valore e del suo potere. (p. 14)
- "Ho sempre sognato l'acqua, il mondo sott'acqua. Poi un giorno, quando Alessia e Livia non c'erano più, ho sognato che ero in una specie di città di legno scuro, costruita sulle palafitte, in mezzo al mare. Una città galleggiante. In mezzo al quadrato di case, come fosse una specie di cortile interno fatto di mare, c'erano due balenottere che giocavano. Si rincorrevano, sbuffavano soffi altissimi, si toccavano muso contro muso e poi sparivano sotto per riapparire all'improvviso, un gioco a nascondersi. Facevano un suono sottile come se ridessero. Loro vivevano lì. Erano le balene cucciolo della città. Ne sono certa." (Irina, p. 41)
- Non è vero che l'oblio non esiste. La testa seleziona, fa archivio continuamente e molto scarta. Fa spazio, compatta. Magari non elimina del tutto ma comprime in un formato illeggibile. Anche se ti sforzi non trovi la chiave, non lo puoi decifrare più. (p. 48)
- Se dovessi spiegare cos'è un amico, questo direi. Un amico è quella persona per cui anche se è cambiato tutto non è cambiato nulla. (p. 59)
- Non ho memoria di anelli. Eppure non può esistere un regalo più bello, no?, da fare a una persona che ami. Come diceva Marco a Susanna: un anello, così ti ricordi che siamo fidanzati. Che sta sempre con te, sul tuo corpo, che lo circonda e lo tiene, lo consola e lo rincuora, che è insieme un segreto e una vetrina. Un impegno, una promessa. È l'unica cosa da regalare quando si ama, no? Non c'è altro. Non può esistere altro. Un anello. (pp. 70-71)
- Il tempo non esiste. Siamo tutti al mondo allo stesso momento, nel passato nel presente e nel futuro. (p. 78)
- Le regole della salute: dormire almeno sei ore, avere rispetto del corpo, curarlo. Dedicare dieci minuti al giorno ad ascoltarlo e capire cosa chiede. Fare esercizio, camminare. Non usare farmaci se non è assolutamente necessario. Se non è. Assolutamente. Necessario. (p. 78)
- L'amore è fragile. È una cosa talmente magica che bisogna starci molto attenti. A come si dicono le cose. Svanisce altrimenti: va via. Deve rimanere nel bello. Vive di sorrisi. Handle with care, con cura. Controllare le proprie ossessioni, non fare scenate di gelosia inutili. Non metterlo alla prova, soprattutto. Mai. (p. 79)
- Quando sono scesa da Barnes&Noble, in libreria, a cercare una guida di New York. 11 settembre 2001. Gli sguardi delle persone attorno a me che si affacciavano per strada a vedere il fumo e dicevano un incendio, forse. La storia non la capisci mai mentre accade. È raro. Anche Vera, la mamma di David, mi diceva di quando furono portati nei campi: non lo capisci subito, è raro. La storia grande è uno spostamento piccolo nella tua vita. È la storia piccola della tua vita a essere grande. (pp. 79-80)
- Ho pensato, mentre scrivevo il sogno per fare pace con lui, che quando ho saputo di essere incinta di due bambini facevo molta fatica a immaginarli insieme, a parlarci insieme. Quando si parla, si parla sempre a una persona alla volta. A parte i comizi, certo, ma lì si è di fronte a una moltitudine di sconosciuti. Quando ci si rivolge a chi si ama, intendo, è sempre uno. È difficilissimo immaginare di dire ti amo a due. Insieme. Facevo molta fatica, quando ero incinta, a dire a due persone insieme: vi amo. È strano. È difficile. È davvero insolito. Rivolgersi a due, a volte, è troppo. Non ti senti capace. Non ti senti all'altezza. Non sai a chi chiedere aiuto. (p. 85)
- Temi che siano morte, in fondo lo pensi, a volte lo dici. Non hai i loro corpi, però. Il lutto in assenza del corpo è un'emorragia misteriosa e inarrestabile: hai sempre nuova linfa da perdere, si rigenera, non arriva mai il giorno in cui si estingue. (p. 86)
- Dimenticare è impossibile, ma vivere si deve perché la natura ha deciso così: il dolore da solo non uccide. L'assenza di un amore si ripara con altro amore. (p. 87)
- Non avevo mai messo la testa sott'acqua. Non così, intendo: a fondo, in immersione. Però lì nel villaggio c'era un cartello e il cartello offriva una guida. Sei mai stata sott'acqua? Io pensavo fosse buio ma non è mai buio. I pesci nuotano per famiglie, organizzati per colore, per razza. Il fondo è come un paesaggio montano, una geografia segreta. Riesco a dire solo il senso di pace. Come se la natura fosse molto più giusta. C'è silenzio. Stai sospeso: come se volassi, ma sostenuto dall'acqua. Ti alzi e scendi col respiro. L'aria si espande, e sali. Un po' di vertigine, a volte. Nel silenzio, a tratti una specie di musica, una melodia soffocata e remota. Blu, colori. Nessun confine. Il plancton, di notte. Quando ti muovi tutto brilla. Un'armonia immensa, perfetta. Una grande libertà. Sei inerme, indifesa. Non sei nulla, eppure finalmente ti senti. Te stessa, tutta intera, leggera e densa. Le vicende umane sembrano all'improvviso tutte contenute in un altro disegno. Coerente, misterioso. (pp. 94-95)
- La vita è molto semplice. Per essere felici non ci vuole tanto. Per essere felici non ci vuole quasi niente. Niente, comunque, che non sia già dentro di noi. (p. 95)
- È il tempo la nostra prigione. Il troppo presto, il troppo tardi, il troppo breve e troppo poco. (p. 95)
- Nessuna foto assomiglia a una persona viva. Nelle foto si sta fermi. Nella realtà, anche da fermi, si respira. Le foto non respirano. (p. 99)
- L'assenza è una presenza costante: ti sfida in un corpo a corpo quotidiano, ti assedia. Ti vuole nella lotta, misura il tuo respiro. La nostalgia è fisica, poi. È proprio impossibile colmare la mancanza di un corpo vivo: quell'odore, quella morbidezza della pelle, quella voce quando ti chiama. Quel tipo di resistenza docile all'abbraccio, quel modo di piegare il collo. Non c'è niente, nessuno che possa sostituire l'assenza di qualcuno. Solo il sogno. (p. 107)
- Gli attributi di possesso dovrebbero essere vietati per le persone. Quando sento dire "mia moglie", "mio figlio" sono sempre a disagio. [...] C'è qualcosa di bugiardo e di leggermente violento in quei "mio". Come una impercettibile sopraffazione. Un furto di identità. Nessuno è di nessuno, penso. Tutti, volendo, invece, di ciascuno. (p. 108)
- Solo l'amore per un figlio è amore, quello vero. E credo che solo quell'amore lì, l'amore per i figli, abbia un suono. Quando li guardi e ti guardano — in certi momenti di silenzio — riesci a sentirlo. Una specie di onda remota, magnetica. Come se un arco invisibile suonasse la corda di una viola che non c'è. (p. 110)
- Più doloroso di non avere accanto chi si ama c'è solo non sapere dov'è, chi si ama. Non avere neppure il suo corpo da immaginare che cammina altrove. (p. 115)
- "L'amore non si dimentica di te anche quando tu lo ignori. Torna, bussa. Se non rispondi ti porta a fondo. Devi averne un po' paura, ma più di tutto devi mostrargli il tuo coraggio. Devi esserci, quando chiama. Devi essere lì e prenderti cura di lui. Solo se lo lasci libero di andare puoi vederlo tornare." (Irina, p. 115)
Ecco, sai cosa sarebbe bellissimo? Che le persone con cui parli di te avessero la capacità di fare silenzio, di stare in ascolto, di non sentirsi in obbligo di commentare con frasi precotte e atterrite. Di accogliere, dare un posto a quel che stai dicendo. In fondo non è così insolito, sai? Ci sono migliaia di persone ogni giorno che perdono un figlio. Ci sono migliaia di persone ogni giorno che perdono un figlio. Incidenti malattie droghe guerre violenze follie. Ogni minuto. E allora mi domando, perché le nostre lingue hanno abolito la parola per dirlo? Sei vedova, se hai perso il marito. Sei orfana, se hai perso un genitore o entrambi. Ma io, noi cosa siamo? Dirai: che t'importa avere una parola. Importa. Perché avere un nome è avere un posto, una casa fatta di pensieri già pensati. Un luogo tiepido che porta traccia di migliaia, milioni di persone passate da lì prima di te. Ti fa sentire, nell'errore, al tuo posto. Un posto doloroso e illuminante, un posto difficile ma previsto nella storia del mondo.
Ora però facciamo due passi, che ne dici? Andiamo a vedere, perché mi sa che fuori è primavera. (pp. 121-122)
Citazioni su Concita De Gregorio
modifica- Meno male che Concita De Gregorio c'è, anche quando la do per scontata e – sessista che sono – mi accorgo che ha ragione solo quando i concetti li ripetono i maschi. (Guia Soncini)
Note
modifica- ↑ Dalla trasmissione televisiva Piazzapulita, LA7, 26 aprile 2012.
- ↑ Dall'intervista Franca Viola: "Io, che 50 anni fa ho fatto la storia con il mio no alle nozze riparatrici", repubblica.it, 27 dicembre 2015.
- ↑ Da "Sangue del mio sangue", Marco Bellocchio e la forza della memoria, repubblica.it, 9 settembre 2015.
- ↑ Da Le croci e la rabbia. Da Firenze a Cutro la staffetta che riporta l’altra Italia in piazza, Repubblica.it, 12 marzo 2023.
- ↑ Da In onda, LA7, 29 aprile 2023; citato in Massimo Falcioni, Caso Schlein, scontro Alemanno-De Gregorio: "Sinistra radical chic". La replica: "Accusa passata di moda", tvblog.it, 30 aprile 2023.
- ↑ Dal programma televisivo Che tempo che fa, Rai 3, 19 marzo 2011.
- ↑ Il 20 marzo 2019 l'autista sequestra l'autobus alla cui guida era, e con esso cinquanta studenti di una scuola media di Crema (CR). Tra i ragazzi sequestrati una dozzina erano figli di immigrati e pertanto senza cittadinanza italiana.
- ↑ Da La cittadinanza, l’identità e la lingua dei diritti, rep.repubblica.it, 23 marzo 2019.
- ↑ Da Così è la vita, p. 91.
- ↑ Da Il festival è al capolinea, si spegne l'Italia di Baudo, repubblica.it, 2 marzo 2008.
- ↑ Da Cinque Stelle di imbarazzo, la Repubblica, 30 marzo 2019.
- ↑ Da Così è la vita, p. 106.
Bibliografia
modifica- Concita De Gregorio, Io vi maledico, Einaudi, Torino, 2013. ISBN 978-88-6621-353-6
- Concita de Gregorio, Mi sa che fuori è primavera, Feltrinelli, Milano, 2015. ISBN 978-88-07-03158-8
Altri progetti
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Opere
modifica- Così è la vita (2011)