Una parola la mese per rendere insieme più umano il mondo. Ragionare sulle parole non è un esercizio retorico, ma è una proposta concreta e una sfida che voglio lanciare, anzitutto, ai cittadini attivi, ai volontari e ai professionisti del dono (ossia a chi lavora nel e per il non profit). Perché per vivere bene ci servono anche le parole giuste da scegliere insieme. Ecco il motivo della mia #newsletter mensile per Ma che razza di umani che non a caso si chiama 'Parole Umane': https://lnkd.in/dvHYtdip Sempre con un contributo di Non Profit Factory
Post di Elena Inversetti
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📬 Da un po' di mesi seguo una deliziosa #newsletter (un'altra, si! E una delle poche che arriva di mercoledì - menomale! -). Si tratta di "Ti spiego il dato" di Donata Columbro. Questa bella incursione settimanale mi ha permesso di comprendere che è possibile osservare oggetti e comportamenti con maggiore consapevolezza navigando nell'universo delle notizie scientifiche senza timore e osservando i dati nel modo giusto. Oggi questa newsletter è stata il mio punto di riferimento nella lettura dei dati sulla qualità dell'aria che respiriamo e, più in generale, della comunicazione che si attua nella narrazione del #climatechange. Alle controverse e a volte indignate battute dei sindaci rispetto alle classifiche dell'aria delle città, Donata pone la lettura e l'analisi di dati non strettamente legati a questo problema per comprenderne la complessità. Ciò contribuisce a evitare l'inganno delle solite #fakenews e a sviluppare dentro ognuno di noi una comprensione più approfondita del contesto. Se usassimo questa tecnica per ogni informazione che recepiamo? Se leggessimo più spesso dati diversi per accedere a orizzonti più chiari? E se anche noi, professionisti della #comunicazione usassimo questo metodo per la costruzione dei nostri contenuti? Quanta aria pulita avremo intorno a noi? Posologia di "Ti spiego il dato": almeno una volta a settimana, abbinata ai libri della sua autrice 👇
Ti spiego il dato - ogni settimana | Donata Columbro | Substack
tispiegoildato.it
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In questa nuova #rubrica, intitolata "Duecani" (ogni riferimento a nomi di #vocabolari è puramente casuale), ci si lascia ispirare dalla #parola della settimana: per questa prima "puntata", si tratta di #amante. Un termine che molto si lega alle recenti vicende riguardanti l'ex #ministrodellacultura #GennaroSangiuliano.
Una nuova rubrica, "Duecani", che prende spunto dalla parola della settimana: amante
sudpress.it
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In queste ultime settimane io e Matteo ci siamo scambiati diversi articoli che parlavano del problema delle notizie che non sono notizie: da quelle innocue come la proposta di matrimonio andata storta, a quella tragiche come la storia della ristoratrice Giovanna Pedretti. Abbiamo capito che il vero problema non sono le fake news, ma le real news, ovvero i fatti assolutamente irrilevanti che diventano notizie, deformano la realtà, ci impediscono di capire cosa succede davvero nel mondo. Perché l'informazione torni a svolgere la sua funzione originaria, servirà una nuova generazione di giornalisti capaci di cambiare l'agenda di ciò che è rilevante, sperimentare modelli di business diversi, e creare un nuovo rapporto con i lettori.
Cattive notizie
futuripreferibili.substack.com
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Ho ricevuto una mail in cui mi si diceva che sono o sembro uno di quei "giornalisti con il ditino alzato". Più impegnato a dire agli altri giornalisti come si fanno le cose che a farle. Ci sta. Può sembrare così e capisco che possa dare fastidio. Il mio proposito per il 2024 è di apparire più impegnato a farle che a dirle. Perché la verità è che sono MOLTO più impegnato a farle che a dirle, ma forse non si vede. Ne ho scritto un po' nella newsletter The Slow Journalist [1] Le riassumo qui: sì, è vero, con Slow News abbiamo passato molto tempo a dire come non si dovrebbero fare le cose. Quel che forse poche persone sanno è che l'abbiamo fatto *mentre* facevamo cose. Abbiamo fondato Slow News investendo l'unica cosa che avevamo: il nostro tempo. Zero capitali. Non ne avevamo e ancora oggi non ne abbiamo. Ci siamo sporcati le mani, venivamo da "contenutifici" – mica più redazioni – abbiamo fatto e visto qualsiasi tipo di giornalismo e poi abbiamo deciso di studiare e di tornare alle basi. Eravamo disgustati e non potevamo fare finta che andasse tutto bene: non andava proprio per niente tutto bene. Abbiamo raccontato quello che imparavamo in un film documentario [2] che mostra molte redazioni in giro per il mondo. Mi piacerebbe vantarmi del fatto che il film è stato visto da un sacco di persone ma, almeno in Italia, non è così. Uscire a marzo 2020 è stata una tempistica sfortunata. Ma anche dopo è stato difficilissimo convincere a pagare quei 3,49 € che abbiamo lasciato come prezzo praticamente simbolico per vedere il doc su Vimeo. Il target più difficile da convincere? Mi duole dirlo: i giornalisti. Anche quelli che si lamentano del fatto che le cose non vanno. Forse siamo scarsi nel portar fuori quel che facciamo, nel far bene marketing del nostro lavoro, nel vedere che non siamo solo filosofia ma anche pratica. Un giro dentro A Brave New Europe [3] dovrebbe essere un buon inizio. Abbiamo imparato molto bene a nostre spese che i buoni contenuti, da soli, non bastano e siamo usciti dall'idea che il solo fatto di produrre sia sufficiente: non si può dare per scontato il "pubblico" del giornalismo. Che poi, col "pubblico" cerchiamo di avere un rapporto di parità: niente blastate, niente insulti, niente arroganza, niente "ti dico io cosa devi pensare", conversazioni: anche quello si fa con grande fatica e porta via un sacco di tempo e di energie. Le persone che lavorano con Slow News – siamo piccoli, non possiamo assumere: saremmo matti e irresponsabili a farlo – sanno di trovare un ambiente non tossico, dove ci ascoltiamo e ci prendiamo cura vicendevolmente, a volte anche uscendo dal seminato. Rispettando il tempo e la professionalità delle persone. A volte riusciamo a fare tutto quel che vorremmo. A volte mettiamo in cantiere talmente tante cose che poi si perdono e io finisco per fare ghosting e sembrare ancor più antipatico di prima, quando avevo solo il ditino alzato. Ma mi sto attrezzando anche per quello.
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