"CHE SINTOMI HAI?"

Quando ho capito di essere diventata una malata oncologica

Una scrittrice e sceneggiatrice racconta a Wired la sua esperienza con la diagnosi di un tumore al seno a 32 anni. La terza puntata di un diario personale sulla malattia e sui suoi impatti
Men in Black
Will Smith e Tommy Lee JonesSONY AND COLUMBIA PICTURES

Che sintomi hai

Questo articolo fa parte di una serie in cui l'autrice racconta gli impatti personali, affettivi e sociali di un tumore diagnosticato all'età di trent'anni.

“Guarisci presto”. Due parole che ho usato tante volte: per la collega con il raffreddore; l’amico che si è rotto una gamba; il vicino con l’influenza a cui offri una zuppa vegana che il brodo di pollo è così demodé. Le ho ricevute pure io ma mai da uno sconosciuto di vent’anni con cui avevo condiviso un paio di ore di treno nel quale c’eravamo giusto sorrisi e scusati tutte le volte che per attaccare il caricatore, spostare la borsa e respirare c’eravamo sfiorati. Cercando le parole per congedarmi da lui ho capito di essere diventata una malata oncologica.

Sì, potevo arrivarci prima, penserete voi, visto che questo viaggio l’ho affrontato a quattro mesi dalla diagnosi. Beh, non è così semplice, anche quando sai da un po’ di avere un tumore.

Il cancro ti trascina in un frullatore, quindi, si corre, dalla mattina alla sera, dall’accettazione al prelievo, dalla visita con il chirurgo, l’oncologo, la tomoscintigrafia, la scintigrafia e basta, la risonanza.

Non hai capito ancora se ti resta poco tempo, ne hai ancora come tutti gli altri, o puoi continuare a fregartene, perché nella realtà non esiste il meme delle gemelle Olsen dove una sa quando muori e l’altra il perché. Ne perdi una montagna di tempo.

Tutto si dilata, gli esiti sembrano non arrivare mai e tu inizia a sentirti i sintomi di tutti i tumori del mondo anche di quelli che non ti hanno diagnosticato ed è improbabile tu abbia. Questo ti risucchia, ti impedisce di pensare e nel caos anche le consapevolezze sfumano, arrivano più tardi.

Il bisogno di tempo

Scoprire di avere un cancro è un trauma e processarlo richiede tempo.

Una parola che continua a tornare e di cui non sei più padrona perché non hai più controllo di niente. Ti senti in Men in Black quando gli alieni prendono possesso del corpo degli umani e indossano la loro pelle come un costume da carnevale. In questa versione, non c’è Will Smith a cancellarti la memoria per farti tornare alla vita com’era prima, a quando il tuo cervello era in grado ogni mattina di rifare il letto, segnarsi le cose da fare e organizzare la lista della spesa in ordine di come incontrerai i prodotti dall’entrata all’uscita dal supermercato.

Oltre allo shock, anche il senso di colpa non aiuta ad avere epifanie.

I genetisti ti spiegano, lo so, sembra assurdo, ma io ne sentivo il bisogno, che non è colpa tua, che il cancro è multifattoriale, che non arriva per una cosa soltanto. Ti dicono anche che, un po’, è il caso e che non lo puoi controllare come cerchi di fare con tutto il resto della tua vita. Così, per trenta secondi, smetti di pensare che è il karma, che te lo sei meritata, che stai rovinando l’esistenza a ogni persona della tua vita.

Hai paura che mentre capisci cosa hai, anzi lo capiscano gli altri che tu una laurea in medicina non ce l’hai e l’ultima volta che hai cercato su Google lasciamo perdere, questa roba si ingrossi, vada in giro, ti consumi come ruggine dall’interno.

È possibile, non solo, è probabile, perché il tuo corpo ti ha già tradito.

Avere un cancro fa abbastanza schifo, quindi, è anche per questo che scacci lontano l’idea di averlo dentro di te.

Non mi stanno venendo in mente grandi vantaggi, così su due piedi. Forse, l’esenzione 048 perché quando leggi che un esame costerebbe 1.036 euro e tu lo paghi 0, un po’ ringrazi di non essere nata a Orange County o in Oklahoma, per ora, perché anche il declino del servizio sanitario pubblico popola le mie attuali ansie notturne.

Così, quando, uno sconosciuto che, in due ore, cosa avrà capito di te - niente, pensi, ma tutto, in realtà - ti propina un “guarisci presto” a tradimento, tu te ne resti lì imbambolata a chiederti perché. Sì, assomigliare a Britney nel 2007 non aiuta, nemmeno che sia stato seduto a fianco a te mentre scrivevi un articolo che inizia con: “Potrei morire”, ma cosa ha visto lui che io rifiuto?

Quello che sono oggi che, se ci penso bene, è quello che sono per lui, per sto sconosciuto del treno che non so manco come si chiama, perché lui non ha mai visto l’Alessandra di prima, quella con i capelli e le sopracciglia perfette, quella che sa che il cancro esiste ma: “Figurati se proprio a me”.

C’è stato un prima, ma lui non lo sa e c’è un adesso, c’è un’Alessandra dell’oggi che è l’unica pelle, sì, stile alieni di cui sopra, in cui posso vivere, perché il passato l’ho già attraversato e mi ha cambiata, mi ha reso quella che sono oggi, quella che gli altri vedono. Tra le altre cose, una malata oncologica.

Ah, giusto, vi starete chiedendo cosa gli ho risposto dopo tutto questo cinema.

Niente, non mi è venuto nulla di intelligente da dire, ho abbozzato un grazie e ho pianto mentre scendevo a Rogoredo e non per la fermata.

Una nota dell'autrice

Il cancro non è uguale per tutti. La malattia di ciascuno è unica, sia per motivi biologici
e medici che perché ognuno di noi la affronta in un diverso momento della vita. Ciò
che scrivo è frutto della mia personale esperienza. Non vuole dare una visione totale e
totalizzante sulla malattia oncologica o insegnare come affrontarla.