la recensione

Quattro figlie è il documentario che rompe tutte le regole dei documentari

Dopo essere passato a Cannes arriva adesso al cinema uno degli esperimenti più riusciti di mescolanza di vero e falso per far capire una storia e non solo raccontarla
Quattro figlie

Bisogna vederlo per capirlo. Quattro figlie è un documentario recitato, cioè è un film che racconta una storia vera facendo parlare le vere protagoniste, ma è anche un film che mette in scena alcuni passaggi di questa storia, li rappresenta, e lo fa fare anche alle vere persone che li hanno vissuti. È un meccanismo non immediatamente intuitivo, e infatti all’inizio del film viene proprio spiegato cosa vedremo, viene precisato chi sono le persone vere e chi le attrici. Poste queste basi, Quattro figlie non è per nulla difficile da seguire, anzi sempre molto chiaro, e dà vita a momenti di rievocazione degli eventi che sono sia strani che coinvolgenti.

All'inizio si è un po' straniti dalla novità ma quasi subito si capiscono le potenzialità. La storia è quella di una madre e delle sue quattro figlie, due delle quali a un certo punto si sono unite all’Isis, cioè sono fuggite e diventate parte dello Stato Islamico. Le altre due e la suddetta madre nel documentario rievocano i momenti prima e dopo quella partenza, cosa sia successo, come siano andate le loro vite e in quali modi queste ragazze che non erano molto diverse dalle loro sorelle sono state attirate dall’Isis. È una storia di sottomissione agli uomini ma anche di grandissima autonomia, perché Olfa (la madre) nonostante il timore di Dio e il rispetto della religione, è una donna forte e autonoma, non facile da sottomettere.

Succede così che due attrici interpretino le sorelle poi attirate dallo Stato Islamico, e che lo facciano a fianco alle altre due, e che nel rimettere in scena momenti della loro vita quotidiana o snodi molto importanti nella storia della famiglia, le persone vere non ce la facciano, cioè non riescano a sopportare di rivedere quegli eventi e chiedano l’intervento di attrici. Accade che durante una rievocazione, tutta con attori, di un momento duro tra la madre e il marito, la vera persona, cioè proprio Olfa, entri in scena per correggere la recitazione, spiegare esattamente come fossero andate certe cose. Nel momento più incredibile e vertiginoso, una delle sorelle è lì, in campo, accanto agli attori che recitano un evento terribile della sua vita, li osserva e nel vedere questa versione di finzione che rievoca un ricordo importante e duro, ne rimane distrutta interiormente. L'impressione è che loro stesse nel vedere la rappresentazione possano capire cosa sia successo davvero, e che lo comprendano davanti all'obiettivo. Non è mai chiaro, e questo è il bello, se ciò che il documentario documenta sia la storia raccontata o la presa di coscienza di queste persone di fronte alla rievocazione.

Ce n’è abbastanza sia per un trattato di politica internazionale che per uno di recitazione. Perché con il procedere del film la sua regista Kaouther Ben Ania, lentamente mescola sempre più le acque, finendo a far interagire attrici e vere protagoniste come fossero amiche. Il documentario diventa l’identificazione di una nuova famiglia, quella messa insieme sul set, che a noi spettatori riesce a rendere la maniera in cui queste donne interagiscono e i contrasti generazionali che emergono quasi subito. Più Quattro figlie avanza e meno contano i confini di vero e falso. È in un certo senso l’esperienza di lavorazione di un film esplosa e fusa con l’esperienza di ricerca e scrittura delle vere fonti e della vera storia.

È chiaro che Quattro figlie è un film molto attaccato al suo tema, a quello che la storia di queste donne e ragazze dice sulla vita in quella parte del mondo, ma anche un film di incredibile potenza sulla forza del falso, su come la messa in scena fasulla non sia una copia degradata della realtà ma una sua versione aumentata, in cui non ci sono solo i fatti, ma anche le emozioni recitate e quindi portate in superficie, ingrandite e messe in evidenza. E nonostante sia un esperimento abbastanza unico di documentario che rievoca ciò di cui parla insieme ai protagonisti, dichiarando e mostrando anche la lavorazione, come si arriva a certe scene, è anche fin da subito uno standard da cui non si vorrebbe più tornare indietro. Come si può ritornare alle storie vere romanzate senza l’intervento dei veri protagonisti? Come si può tornare ai documentari che non possono avere questo tipo di minuziosa ricostruzione con attori di ciò che raccontano?