Epic fail

Nucleare, tra 6 mesi l'Italia deve riprendersi le scorie parcheggiate all'estero. Ma non rispetterà l'impegno

Roma ha fatto un patto con Regno Unito e Francia per processare all'estero alcuni rifiuti radioattivi, da far rientrare nel 2025. Ma ci manca il deposito per stoccarli. E Parigi non è più disposta a pazientare
Combustibile trasferito dall'Eurex di Saluggia
Combustibile trasferito dall'Eurex di SaluggiaSogin

Sei mesi di tempo. Poi entreremo in quel fatidico 2025 in cui l'Italia dovrebbe far rientrare dall'estero le scorie della stagione nucleare che ha parcheggiato fuori casa, per essere trattate in attesa di avere un impianto ad hoc dove archiviarle. Un appuntamento, però, a cui il paese non è preparato. Perché manca ancora un deposito nazionale. Viene quasi da chiedersi: dov'è la notizia? Ogni volta che si apre il dossier nucleare in Italia e si analizza la gestione delle scorie, parte una lamentazione sui ritardi che si accumulano di anno in anno.

Non fa eccezione la relazione che l'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), l'autorità che deve sorvegliare la filiera dell'atomo in Italia, ha consegnato nei giorni scorsi al Parlamento. Fa riferimento al 2023 ma in questa prima metà dell'anno non è che siano successi miracoli, anzi. L'ultima carta che il governo si era giocato per uscire dall'impasse su dove collocare il deposito nazionale delle scorie nucleari, un'autocandidatura, è stata bruciata nell'arco di due mesi.

Il rientro delle scorie

Il problema resta. L'Italia deve dotarsi di un sito unico dove stoccare i rifiuti radioattivi oggi distribuiti in alcune sedi temporanee. Sono 78mila metri cubi di scorie a bassa e media intensità, provenienti da diversi fonti (dall'industria alla medicina nucleare), a cui sommare il parcheggio a termine di altre 17mila ad alta intensità. “Nodo irrisolto”, lo definisce la relazione dell'Isin. Il blocco, determinato dal no delle 51 aree potenzialmente idonee a ospitare l'infrastruttura e dalla mancata riuscita del piano B del governo (affidarsi a un Comune volontario), di fatto mette il paese di fronte all'impossibilità di rispettare una scadenza fondamentale. Ossia far rientrare entro il 2025 al più tardi 1.680 tonnellate di combustibile nucleare esaurito spedito nel Regno Unito e 235 tonnellate dalla Francia, frutto di un accordo del 2006. In particolare Oltralpe l'Italia invia nel 2010 190 tonnellate dalla centrale di Caorso, in provincia di Piacenza, e 15 nel 2015 da quella di Trino, nel Vercellese, con l'impegno di riprendersele tra il 2020 e il 2025 perché, per allora, ci sarebbe stato un deposito nazionale per accoglierle.

Che, invece, è rimasto ancora sulla carta. Risultato? La Francia si sarebbe dovuta far carico di trattare a La Hague altre 13 tonnellate di combustibile esaurito collocato nel deposito Avogadro a Saluggia, in uno degli impianti nazionali della filiera dell'atomo, ma ha bloccato l'intesa nel 2023, perché, scrive Isin, “l’Italia non ha potuto fornire alla Francia le garanzie richieste sui tempi di realizzazione del deposito nazionale”. Le autorità francesi, prosegue la relazione, "richiedono la dimostrazione di effettivi progressi sulle procedure per la realizzazione del deposito nazionale, destinato a ricevere i residui derivanti dalle operazioni di ritrattamento, con prolungamento dei tempi necessari all’allontanamento del combustibile nucleare esaurito dal deposito Avogadro". E, insiste Isin, “non è stata individuata alcuna soluzione alternativa”. Così il 2025 si avvicina a grandi passi, con esso l'impossibilità di far rientrare le scorie e, sentenzia l'ente, “l’inosservanza di questo termine rischia di comportare ulteriori e gravosi oneri a carico dello Stato italiano”. Stesse parole usate dall'Isin nel 2023, un laconico copia-incolla che dimostra l'impasse degli ultimi 12 mesi.

Effetto collo di bottiglia

Il decommissioning nucleare è il un collo di bottiglia. Isin osserva che aumentano i rifiuti prodotti dallo smantellamento, che però non possono essere allontanati dagli impianti in via di demolizione per l'assenza di un deposito dove stoccarli. Così restano in sito rifiuti di calcestruzzo e acciaio (i cosiddetti rifiuti esenti), che occupano lo spazio che potrebbe essere destinato allo smantellamento dell'isola nucleare, il “cuore” delle centrali. “È vero che sono stati realizzati nuovi depositi temporanei secondo i più avanzati requisiti di sicurezza - riconosce Isin -, ma in molti casi i rifiuti radioattivi continuano ad essere collocati provvisoriamente in strutture datate che per garantire il rispetto dei necessari parametri e standard tecnici devono essere sottoposte a un costante monitoraggio, a continui miglioramenti e adeguamenti alle soluzioni tecnologiche e impiantistiche più recenti e innovative”. E solo il 30% dei rifiuti radioattivi frutto del decommissioning è stato “condizionato” (ossia sottoposto a un processo che lega la scoria al manufatto che la contiene, come la cementificazione).

Si tratta, in ogni caso, - insiste l'istituto, i cui vertici sono stati rinnovati dal governo a metà aprile con la nomina a direttore (incarico che dura 7 anni) di Francesco Campanella - di problemi che potrebbero trovare rapida soluzione con la localizzazione e realizzazione del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, soprattutto ora che le attività di smantellamento coinvolgono sempre di più la zona della centrale dove è presente il reattore nucleare e i componenti del circuito primario a maggiore radioattività, cioè le strutture e i sistemi della cosiddetta “isola nucleare””. Scartata l'opzione dell'autocandidatura, avanzata a gennaio e ritirata a marzo dal Comune di Trino, restano sul campo le 51 aree individuate da Sogin, la società pubblica per lo smantellamento della filiera atomica nelle province di Viterbo (che ne conta 22), Alessandria, Matera, Potenza, Bari, Taranto, Oristano, Sud Sardegna e Trapani.

Nessuna disponibile a farsi carico dell'impianto, che a regime occuperà 50 ettari e sarà composto da novanta costruzioni in calcestruzzo armato, dette celle, che a loro volta conterranno i moduli in cemento, dove saranno collocati i contenitori di metallo con i rifiuti, già processati nei siti di stoccaggio temporaneo. Il tutto ricoperto da una barriera protettiva, come una matrioska, per sigillarli per i successivi 300 anni. Altri quattro edifici conterranno i rifiuti ad alta intensità, la cui destinazione finale è un deposito sotterraneo europeo.

Tempi e costi

L'impianto porterà in dote anche un parco tecnologico per la ricerca e lo studio sui rifiuti nucleari e un ristoro economico di un milione di euro l'anno. La costruzione comporta un cantiere da 900 milioni di euro, quattromila operai e quattro anni di durata. Per cui è già scritto che nel 2025 nessuna scoria potrà lasciare Francia o Regno Unito. A questi tempi vanno aggiunti quelli della scelta del luogo.

Il ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica (Mase) deve condurre sulle 51 aree una valutazione ambientale strategica (Vas), una procedura che si applica a progetti che possono avere impatti significativi sull'ambiente. E che in genere richiede anni e coinvolge altri enti, oltre al Comune candidato, come provincia, Regione e città limitrofe. Per legge dovrebbe impiegarci 30 giorni, ma in questi mesi non si è mossa foglia. E se qualcuno si oppone (in questo momento, di fatto, tutti), la proposta viene silurata. Terminate le Vas, Sogin ha altri 30 giorni per stilare la classifica finale delle aree, in ordine di priorità, che spedisce al Mase, che lo inoltra all'Isin, che ha altri 30 giorni per dare un parere. Insomma, solo per prendere le decisioni e passarsi la pratica, il decreto prevede 240 giorni massimo di impegno. A quel punto scattano 15 mesi di analisi sul territorio prima della localizzazione definitiva. Infine, il cantiere.

Il governo sul nucleare dice di voler fare sul serio. Riattivare la produzione, ricorrere a nuove tecnologie ed entro il 2050 immaginare uno scenario in cui l'11% del fabbisogno nazionale è soddisfatto dall'atomo. Ma sulle scorie nicchia. Senza un deposito, non è certo che nel 2042, 55 anni dopo lo stop, si possa chiudere lo smantellamento della centrale di Latina, perché si conta sull'impianto per stoccare la grafite presente. Nel 2022 l'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente ha riconosciuto a Sogin 30,8 milioni per i costi sostenuti per il progetto del deposito nazionale. Lo stesso dalle bollette la spa pubblica ha incassato 200 milioni per far fronte al decommissioning.

Riceviamo e pubblichiamo una lettera dell'amministratore delegato di Sogin, Gian Luca Artizzu, in data 10 luglio 2024.

Gentile direttore,

in merito all'articolo "Nucleare, tra sei mesi l'Italia deve riprendersi le scorie parcheggiate all'estero. Ma non rispetterà l'impegno" pubblicato sulla testata Wired Italia in data odierna, dobbiamo fornirLe alcune precisazioni e qualche aggiornamento, probabilmente non in Suo possesso.

L'attuale amministrazione di Sogin, in carica da agosto 2023, ha avviato una nuova impostazione nei rapporti con la società Orano (ex Areva), seguendo la lettera dell'Accordo Intergovernativo di Lucca del 2006 e del contratto di riprocessamento del combustile irraggiato stipulato all'epoca con Areva.

Tale attività ha portato alla riattivazione di un processo ormai bloccato di fatto da oltre sette anni e basato sul supposto obbligo di possedere un Deposito Nazionale per i rifiuti nucleari al fine del rientro dalla Francia dei rifiuti prodotti dal riprocessamento. L'Accordo di Lucca riporta, in realtà, non già l'obbligo di disporre del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi, ma dell'utilizzo di un "centro di stoccaggio o deposito conforme alle regole di sicurezza in vigore".

Sulla base di questa nuova impostazione, sono stati riavviati i rapporti con il Governo francese e il 3 maggio 2024 il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase), l'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin) e Sogin hanno incontrato gli omologhi dirigenti del Governo francese e di Orano.

Le interlocuzioni con il Governo francese proseguiranno nell'autunno 2024 e consentiranno di giungere, fra l'altro, ad una reciproca programmazione delle attività fra Sogin e Orano, sotto l'egida e il controllo da parte di Isin. Solo a valle di tale definizione, si potrà avere una nuova impostazione e pianificazione delle prossime attività.

Risponde l'autore dell'articolo.

Ringraziamo l'ad di Sogin per le informazioni offerte in un chiarimento della situazione in essere, sulla scia dell'attività di monitoraggio del fenomeno che da sempre Wired esercita e che siamo lieti stimoli l'attenzione delle autorità. L'auspicio è che i colloqui in corso possano portare a una rapida risoluzione di un'annosa vicenda e ci impegniamo a seguirli per darne conto su Wired, affinché la cittadinanza sia informata.