La via dell'atomo

Nucleare, non è chiaro come il governo abbia calcolato i numeri per il ritorno

Si prevede addirittura un contributo del 22% del fabbisogno nazionale, quando gli esperti internazionali immaginano un 10%. E risparmi per 17 miliardi, senza dire come
L'ex centrale nucleare di Garigliano
L'ex centrale nucleare di Garigliano(Foto: Sogin/Canva)

Negli intenti del governo, dovrebbe essere il primo passo verso il ritorno al nucleare. Ma il capitolo sull'energia atomica contenuto nell'aggiornamento del Piano nazionale energia e clima (Pniec), il documento programmatico che l'Italia ha inviato nelle scorse ore alla Commissione europea per indicare i suoi impegni per raggiungere gli obiettivi climatici comunitari, è più un esercizio di speculazione. Una bandierina piantata dall'esecutivo sul tema e contesa tra Forza Italia, che esprime il numero uno del ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica (Mase), Gilberto Pichetto Fratin, e il collega ai Trasporti, il leader leghista Matteo Salvini. Perché di fatto, a scorrere il capitolo dedicato al nucleare, non c'è nessuna indicazione concreta di come il governo voglia raggiungere l'obiettivo di ottenere 8 Gigawatt (GW), circa l'11% del fabbisogno nazionale previsto, dall'atomo entro il 2050. Né di come questo scenario, considerato conservativo, possa comportare un risparmio di 17 miliardi di euro rispetto a un investimento concentrato solo sulle rinnovabili.

È tutto rimandato al prossimo anno, all'aggiornamento di un altro documento programmatico: la strategia italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni a effetto serra. Il che la dice lunga della distanza tra i proclami dell'esecutivo e la realtà. Non abbiamo risolto il problema di dove collocare il deposito delle scorie nucleari. Non abbiamo concluso i lavori di smantellamento delle centrali chiuse dopo il referendum contro l'atomo del 1987. E non abbiamo neanche un piano sul da farsi.

I numeri del ministero

Per il Mase, il ritorno al nucleare è necessario per compensare la produzione di energia da fonti rinnovabili, che non si può programmare, e risparmiare sui sistemi di accumulo necessari ad alimentare il fabbisogno nazionale quando un pannello fotovoltaico non riceve luce dal sole o una turbina eolica non è spinta dal vento. In questo scenario 2050 il nucleare, insomma, fornirebbe uno zoccolo duro di energia, affiancando le rinnovabili. Uno scenario riconosciuto anche dall'Agenzia internazionale per l'energia (Aie), un organismo internazionale di analisi del settore, che tuttavia, nelle sue previsioni a zero emissioni al 2050, immagina un contributo mondiale del nucleare pari al 10%. Nel Pniec italiano si prospetta di arrivare all'11% sfruttando metà della capacità installabile (senza dire a quanto ammonti, però), mentre nello scenario più entusiasta, quello a piena capacità, si vaticina un contributo del 22%. Quasi un quinto della produzione nazionale.

Ma attenzione. Quando l'Aie raccomanda il da farsi sul nucleare, mette in guardia da facili equazioni. Primo: sebbene siano le economie più avanzate a detenere il 70% della potenza energetica dall'atomo a livello mondiale, i nuovi progetti galoppano in paesi orientali. Russia e Cina in testa. Secondo: per l'Agenzia, “estendere la durata delle centrali nucleari è una parte indispensabile”. Circa 260 GW, o il 63% della potenza installata delle centrali nucleari attuali, hanno più di 30 anni e sono prossimi alla pensione delle licenze operative. Entro il 2030 si potrebbe assistere a una diminuzione del 10% della produzione, se non si interviene con una estensione. Un'operazione che l'Italia, però, non può fare. Perché le sue centrali sono chiuse da 30 anni. Nel caso in cui non si possano estendere le attività dei vecchi impianti, lo scenario dell'Aie riduce al 3% il contributo del nucleare. Molto al di sotto dei traguardi che ha fissato l'Italia.

Terzo: se è Pechino la potenza destinata a prendere lo scettro della produzione dell'atomo entro la fine del decennio, Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Canada hanno pianificato una serie di investimenti. L'Aie prevede che le fiches su nuovi impianti dell'atomo passano dai 30 miliardi di dollari degli anni Dieci del nuovo millennio a oltre 100 miliardi entro il 2030 e rimangono sopra gli 80 miliardi fino al 2050.

Il sogno dei piccoli reattori

Soldi in effetti ne dovrebbe sborsare anche l'Italia se, come si legge nel Pniec, il nucleare dovrà arrivare da impianti di nuova generazione: piccoli reattori modulari (sotto i 300 megawatt di produzione) e altre tecnologie che, al momento, sono sperimentali e non sono commerciali, parola dell'Aie. Pichetto Fratin ha siglato l'adesione italiana all'Alleanza industriale europea sui piccoli reattori modulari (Small modular reactors, smr, un nuovo tipo di reattori), varata dalla Commissione a febbraio con l'obiettivo di investire nella ricerca del settore per avere i primi prototipi pronti nel 2030. E alcuni progetti sta conducendo l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea). Sta sperimentando un nuovo tipo di reattore con Newcleo, la più ambiziosa startp del settore, e poi ha test in corso insieme ad Ansaldo Nucleare e operatori stranieri del settore, tra cui Westinghouse e Rolls Royce.

A fornire le idee è la Piattaforma nazionale sul nucleare sostenibile (Pnns), un gruppo di esperti nominato lo scorso settembre per elaborare una strategia del settore. Stando al documento, il team avrebbe dovuto fornire entro tre mesi (quindi Natale) una ricognizione del settore, entro sei mesi una raccolta di proposte (marzo), sette mesi (aprile) la strategia di azione ed entro nove mesi la lista pratica delle attività da intraprendere. Al momento abbiamo i suggerimenti per il Pniec: 0,4 GW da fissione di nuova generazione nel 2035, 3,5 GW 10 anni dopo e al 2050 un primo contributo di 0,4 GW dalla fusione nucleare, la nuova forma di produzione dall'atomo che replica il meccanismo delle stelle (fondendo gli atomo per generare energia anziché scindendoli, come nella fissione) ma che è ancora a livelli di sperimentazione preliminari. E questo è lo scenario conservativo.

Nelle previsioni del Pniec, il ricorso al nucleare ridurrebbe da 11,5 a 4 Terawattora (TWh) il ricorso al gas naturale, e da 12,6 a 6 TWh le bioenergie, tagliando quindi le emissioni inquinanti, che alterano il clima, e che il governo vorrebbe contenere con la discussa tecnologia della cattura della CO2. Lo stesso governo ammette in coda al capitolo nucleare che lo scenario “non modifica né inficia in alcun modo le ipotesi 2030 alla base di questo aggiornamento Pniec e le relative conclusioni, ma si limita ad evidenziare, a valle delle analisi portate avanti all’interno della Pnns un potenziale ruolo dell’energia nucleare per contribuire al “Net Zero” al 2050”. Insomma, sono gli stessi ministeri ad ammettere che mancano gli aspetti pratici per dare seguito ai desiderata.

Il problema del deposito

Al netto degli auspici, è la stessa Aie a raccomandare concretezza. Chi vuole tenere il nucleare dentro al suo mix energetico deve approvare regole che agevolino gli investimenti, semplificare i processi amministrativi e prevedere contributi pubblici per lo sviluppo del settore. Il ministro Fratin, che di nucleare ha parlato con interesse al G7 dell'Ambiente, ha incaricato il costituzionalista Giovanni Guzzetta di preparare il terreno regolatorio per l'atomo. Ma poi bisogna passare dalle parole ai fatti. Decidere dove installare gli impianti, confrontarsi con i territori, informare la popolazione. Il governo avrebbe un banco di prova per dimostrare di prendere sul serio la faccenda nucleare: la costruzione del deposito nazionale delle scorie, che a regime dovrà ospitare i 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media intensità e stoccarne temporaneamente 17mila ad alta intensità.

La partita per assegnare l'impianto a un Comune auto-candidato, decisa dal Mase per aggirare il no delle 51 località designate dall'analisi di Sogin, la società pubblica incaricata del decommissioning nucleare, si è infranta contro il dietrofront di Trino Vercellese, in Piemonte, dove già sorge un'ex centrale atomica e dove sono stoccate temporaneamente alcune scorie, che a metà marzo ha ritirato la sua proposta di accogliere l'impianto, avanzata il 12 gennaio scorso, dopo fortissime politiche, locali e nazionali. Il processo è tornato alla casella di via e non si sa a che punto sia. Mentre sull'Italia incombe il rientro di 235 tonnellate di scorie ad alta e media intensità nel 2025 dalla Francia, che per legge non può trattare in casa. Sarebbero dovute finire stoccate nel deposito, che per allora, però, non vedrà la luce. E chissà che fine farà il sogno nucleare del governo Meloni.