la recensione

Lumberjack the Monster è la fiaba nera in salsa body horror da non perdere su Netflix

Tra thriller e noir, tra orrore e fantascienza, la pellicola del regista Takashi Miike (Ichi The Killer) è una gradita sorpresa della piattaforma per gli amanti del genere
Netflix Lumberjack the Monster è la fiaba nera in salsa body horror da non perdere

Il film giapponese Lumberjack the Monster - uscito tanto in sordina su Netflix che viene da chiedersi se volesse tenerlo nascosto -, presentato l’anno scorso al Sitges Film Festival, è l’ultima pellicola firmata dal folle e prolifico (ha raggiunto la soglia dei cento film nel 2017 con L’immortale) Takashi Miike di Audition, Ichi the Killer e Crows Zero. L'ultima opera del regista nipponico è una fiaba nera che oscilla tra thriller e noir, fantascienza e horror, raccogliendo e connettendo tra loro gli elementi di tre titoli di cui avevamo parlato tempo fa su Wired Italia: Beautiful Mind, su un neurochirurgo incapace di provare emozioni; Dr. Brain, su uno scienziato che fa esperimenti per condividere i ricordi e Connect - Occhio per occhio, su un serial killer che ha subìto il trapianto di un occhio da quella che diventerà la sua nemesi.

La trama del film disponibile su Netflix, che adatta il romanzo Kaibutsu no Kikori dello scrittore Mayusuke Kurai, trae a sua volta ispirazione dalla favola di un mostro il quale si finge un mite e gentile taglialegna per intrufolarsi nelle case di malcapitati che poi divora. Il mostro si sposta di villaggio in villaggio senza mai essere scoperto, integrandosi con la comunità grazie alla distribuzione gratuita di legna, massacrando a colpi di ascia (per poi sbranarle -“gnam, gnam, gulp”!) ignare vittime. Il tempo scorre e lui comincia a chiedersi se, nel frattempo, non sia diventato più un taglialegna umano che mostro assassino. Questa storia dark, narrata in apertura al film, viene letta da un bimbo, in un flashback di trent'anni prima, sopravvissuto agli esperimenti medici di una coppia che ha rapito e ucciso tantissimi ragazzini. Ai giorni nostri, i protagonisti – quasi tutti assassini affetti da sociopatia o psicopatia – sono coinvolti nel caso di un vero Lumberjack the Monster che dà la caccia agli psicopatici che si sono macchiati delle peggiori nefandezze, per massacrarli a colpi di ascia e sottrarre loro il cervello.

Ninomiya (Kazuya Kamenashi, J-pop idol che sembra l’incrocio perfetto tra Miyavi e G-Dragon) è un avvocato privo di rimorsi che uccide per opportunismo e aiuta abitualmente il sadico ricercatore Sugitani (Shota Sumetani di Himizu di Sion Sono e L'ultimo yakuza di Miike) a nascondere le tracce dei suoi esperimenti illegali. Kenmochi (Shido Nakamura di Lettere da Iwo Jima e Gatchaman) è un poco di buono che ha ucciso la moglie scatenando la reazione violenta dell'onesto poliziotto Inui (Kiyohiko Shibukawa di Ichi the Killer e Punk Samurai Slash Down), collega della profiler Toshiro (Nanao di Gintama). Tutti sono coinvolti nel caso, che diventa sempre più fosco, complicato e caratterizzato da azioni disumane man mano che il confronto tra il mostro e la sua ultima vittima si fa inevitabile. Abbandonata l’estetica più estrema, violenta e inquietante - gli uncini e gli aghi, etc… - dei suoi titoli più celebri, il cinema di Miike si è fatto più edibile per il largo pubblico.

Siamo ancora lontani dall’essere palatabile per i più schizzinosi (per fortuna), e Lumberjack the Monster, sebbene non sia la splatterfest che le premesse suggeriscono, è comunque una visione scandita da aggressioni mortali, pozze di sangue, crani sfracellati e cadaveri in barattolo. Dagli echi cronenberghiani del body horror a sfondo medico-(fanta)scientifico, il film è un noir solido con tanti plot twist gustosi e non sempre prevedibili, ma è ancor più un thriller psicologico cupo che si apre alle più sinistre e angoscianti interpretazioni del genere. Merito di un protagonista che, lungi dall'essere una figura positiva o edificante, si rivela immediatamente un uomo amorale, un assassino gelido e opportunista: l'avvocato psicopatico Ninomiya, Il racconto è ricco di spunti interessanti che speculano sul libero arbitrio e la predeterminazione, sul senso di colpa e sull’espiazione, e sui limiti dell’etica nella scienza.

Quella concepita da Kurai e ritratta da Miike è una realtà filtrata attraverso una lente che mette a fuoco i nostri istinti più turpi, dove gli scienziati pazzi sperimentano su bambini e animali senza remore morali, dove gli orfanotrofi pullulano di bambini “buttati” via dopo essere stati usati nei modi più crudeli, dove la personalità del singolo può essere cancellata e riplasmata artificialmente privandolo della volontà, e dove convivere con le proprie colpe coincide con il peggiore degli inferni in Terra. C’è tanta carne (lacerata e sfrigolante) al fuoco in Lumberjack The Monster: i generi si sovrappongono così come i temi, ma la struttura narrativa è solida, nitida e ordinata, e le due ore della narrazione scorrono con fluidità instillando pensieri e offrendo visioni uno più agghiacciante e morboso dell’altro. Grazie Miike.