la recensione

La memoria dell'assassino è un film piccolo e tutto d'un pezzo in cui brilla Michael Keaton

Esce questa settimana in sala il secondo film diretto dall'attore, in cui il crimine è usato per parlare di rapporti maschili
La memoria dell'assassino è un film piccolo e tutto d'un pezzo in cui brilla Michael Keaton

Assassini che non hanno memoria, assassini a cui viene cancellata, assassini a cui vengono manipolati i ricordi o che hanno qualcosa nella loro testa a cui gli altri vogliono accedere. Cosa ci sia nella testa dell’assassino (la stessa in cui i detective cercano di entrare per risolvere i casi) è sempre un punto cruciale nei thriller ma stavolta è tutta un’altra questione, più simile a quella vista in Memory, film di un paio di anni fa con Liam Neeson. Questa volta il sicario del crimine organizzato che per lavoro fa fuori persone cattive, sta invecchiando e una malattia degenerativa sta compromettendo la sua mente e quindi la sua memoria. La diagnosi è implacabile, ha solo poche settimane di vera lucidità, dopodiché saranno più i momenti in cui non ricorda niente di quelli in cui è in sé.

John Knox insomma se ne sta andando (come dice il titolo originale Knox Goes Away) ma prima c'è qualcosa che deve sistemare. Su questo spunto infatti si innesta la molla della trama che scatena la tensione: suo figlio ha fatto fuori un uomo, uno che aveva messo incinta la figlia e ne minacciava la vita, l’ha ucciso per errore e rischia grosso. Tocca al padre esperto, che di lavoro uccide persone, coprire le tracce, sviare le indagini ed elaborare un piano perché il figlio si salvi. Un piano per eseguire il quale ha poche settimane di decrescente lucidità. È una trama a suo modo classica, con una lotta contro il tempo per salvare qualcuno, che La memoria dell’assassino sfrutta a suo vantaggio per parlare di quello di cui davvero vuole parlare: la vita arrivati alla fine della vita. È la maniera in cui procede il cinema americano del resto. Se in un film europeo si sarebbe affrontato l’argomento di petto, con un film drammatico sulle difficoltà degli ultimi anni di vita o di lucidità; nel cinema americano si imbastisce un thriller con azione, un po’ di spari, delle botte che non guastano mai, tradimenti, aiutanti carismatici (un grande Al Pacino) e uomini duri. Ma non cambia il risultato.

Come molti film di questi anni, La memoria dell'assassino parla a un pubblico anziano, ma è fatto così bene da essere godibile da tutti. Il pubblico più anziano è quello più legato al cinema e a un certo tipo di film, quindi non è strano che molti film vogliano raccontare storie vicine a loro che mettono in scena non solo un mondo gentile con gli anziani (uno in cui i figli e le nuove generazioni sono smidollate e tocca a quelle vecchie salvarli) ma anche uno a loro misura. La memoria dell’assassino mostra personaggi che rispondono a modelli maschili di una volta, e ne esalta proprio le caratteristiche che meno sono in linea con la maniera in cui i ruoli dei sessi vengono rivisti nel presente.

Il protagonista è insomma un uomo che ha rapporti con le donne o come mogli ed ex mogli, verso le quali c’è stima e il ricordo di un sentimento, o come prostitute per la soddisfazione sessuale (ma con cui c'è anche un rapporto umano). Le vere relazioni complesse sono riservate agli altri uomini, gli unici sentimenti a contare sono quelli verso il figlio o verso gli amici che rimangono fedeli. Tutto è molto chiaro e per nulla ambiguo, dunque in questo senso estremamente godibile a prescindere da come la si pensi: è un film vecchio stampo su personaggi vecchio stampo ma anche uno che con questo mondo di una volta (idealizzato) costruisce un racconto basato sulla morale.

Del resto, la tradizione del cinema di malavitosi è quella di un tipo di film che hanno a che fare con i limiti della morale, l’unica cosa che rimane a personaggi che non vivono secondo le regole della legge ma secondo codici morali propri. Anche per questo La memoria dell’assassino ricorda film del passato, ed è un complimento. Lo dirige Michael Keaton (anche protagonista), che già era stato regista un’altra volta (con The Merry Gentleman nel 2008), e nel farlo rivela una grandissima sensibilità da Clint Eastwood, cioè per la maniera in cui l’universo maschile di sentimenti, rapporti e moralità, pretende un sacrificio e come sia necessario prendersi sempre le proprie responsabilità perché alla fine, a contare, è solo il fatto di potersi dire uomini nel senso più elevato del termine. Se questo è un film che pone il maschio al centro di tutto, gli chiede anche di fare la cosa giusta, ed è bravo a mostrare le conseguenze, le lotte e la fatica nel cercare disperatamente di coltivare dei rapporti soddisfacenti in tutto questo. E poi si spara un bel po', che (nei film) non fa male.