la recensione

Perché Hit Man - Killer per caso è la miglior commedia dell'anno

Il film fa quello che le commedie sanno fare meglio in una veste che evita ogni prevedibilità e ogni struttura nota. Dal 27 giugno al cinema
Hit Man  Killer per caso

Si ride moltissimo nel gran finale di Hit Man - Killer per caso, in un crescendo di sceneggiatura e recitazione dal ritmo perfetto, che arriva dopo quasi un paio d’ore perfette in cui il duo Glen Powell e Adria Arjona ridefinisce i confini e i ruoli della commedia romantica moderna, non più per forza storie di donne da convincere e uomini che lentamente cedono alla forza dell’amore, ma finalmente un rapporto complicato, fatto di equivoci (altrimenti che commedia è?) ma soprattutto di ridefinizione di identità e ruoli nella coppia. Lui è un docente che arrotonda dando una mano alla sezione informatica della polizia, quindi una persona ben poco d’azione, che si finge killer a pagamento; lei è una donna vittima di un uomo, in cerca di qualcuno che lo uccida. Entrambi interpretano una parte (lui non è certo capace di uccidere, lei non è vittima innocente come dice) e proprio per questo si attirano da morire e, nel farlo, attirano noi. Hit Man, in estrema sintesi, è un film troppo ben recitato, troppo ben scritto, troppo intelligente e troppo divertente per non andarlo a vedere al cinema.

Tutto questo film di Richard Linklater (un genio vero, capace di passare da School Of Rock a Prima dell’alba, da Boyhood a Un oscuro scrutare fino a questo film!) si basa sul fatto, vero, che i killer a pagamento (in inglese: Hit Man) in realtà non esistono. Sono un’invenzione della letteratura e del cinema. Nessuno al mondo esercita la professione dell’omicida che, dietro un salario, accetta di eliminare un’altra persona. E si basa anche sulla storia vera (ma molto modificata) comparsa sulla rivista Texas Monthly, di una serie di operazioni di polizia in cui gli agenti rispondevano alle richieste di chi cercava un killer. Si presentavano sotto mentite spoglie e, quando riuscivano a far dire al richiedente che era in cerca di qualcuno da assumere per uccidere qualcuno, procedevano ad arrestarlo.

Linklater immagina cosa potrebbe succedere se, in questo contesto, l’agente che si finge killer si sentisse attratto dalla donna che ha richiesto i suoi servizi, e che quindi lui deve arrestare. E cosa accadrebbe se in quell’incontro breve anche lei ne fosse palesemente attratta. Quando i due si incontrano noi abbiamo già visto come opera il protagonista, abbiamo visto come si traveste e come (con microfono nascosto) spinge i sospetti a confessare l’intenzione di commissionare un omicidio, e proprio perché abbiamo visto come procede notiamo che le cose stanno andando diversamente, cioè che un’operazione di polizia con i colleghi che ascoltano nel furgone pronti a intervenire, sta prendendo le pieghe di un appuntamento romantico. Tutto lentamente, scivolando nell’attrazione e suscitando in noi prima il sospetto e poi la sicurezza che qualcosa stia accadendo. È un momento magistrale, che ovviamente fa molto ridere e apre la parte esplosiva del film.

Glen Powell è l’attore in maggiore ascesa del momento, l’ha scoperto proprio Linklater con Tutti vogliono qualcosa (altro film fantastico), era in Top Gun: Maverick e con Sydney Sweeney è il protagonista di Tutti tranne te. In questo film interpreta il nerd che, recitando il duro, in un certo senso lo diventa, è perfetto in entrambe le parti e rende uno degli intenti del film: raccontare come, alle volte, la nostra identità sia quello che decidiamo di fare di essa, come a furia di fingersi qualcosa si possa credere di esserlo e come infine, questo cambi la realtà intorno a noi. Quest’amore conquistato fingendosi un assassino cambia anche la vita privata del protagonista, il suo atteggiamento con gli altri diventa più sicuro di sé e anche gli studenti lo guardano diversamente.

Dall’altra parte c’è Adria Arjona, femme fatale perfetta che entra in questo film come Jane Greer entra nel locale di Le catene della colpa (il film di Jacques Tourneur del 1947, tutto detective in bianco e nero, sigarette e impermeabili), unendo cioè un fascino irresistibile a un’intelligenza superiore. Ci saranno ovviamente problemi, rivali che potrebbero scoprire che l’agente ha una tresca con la sospettata e una serie di equivoci da gran commedia viennese. Hit Man è il raro film che prende una struttura classica, le basi della grande commedia, e la rende imprevedibile, nuova e accattivante.

Qui non è mai chiaro chi sia la preda e chi il predatore. Siamo portati a pensare (come sempre) che l’uomo stia conquistando la donna, fingendosi quello che non è, ma più volte sembra l’opposto. Forse è questa la vera natura dei due, forse è nel resto della vita che hanno recitato e forse, in una misura minore, tutti recitiamo una parte per conquistare qualcuno e nel farlo cambiamo. Al di sotto del primo, esilarante, livello di lettura Hit Man è anche un film che parla proprio di come si reciti nella vita di tutti i giorni, che mostra al pubblico come funzioni l’immedesimazione di un attore professionista, che conseguenze abbia e attraverso quali tecniche si diventi un altro. In ultima analisi, come fare qualcosa per finta abbia conseguenze reali e alla fine addirittura diventi la realtà (per chi l’ha visto, in fondo è lo stesso discorso di Un oscuro scrutare). E quando i due protagonisti dovranno fingere una conversazione, improvvisandola per non farsi beccare da chi li sta ascoltando, in una delle scene più divertenti, stiamo addirittura vedendo come si dirige un film, cioè stiamo vedendo due persone che recitano e che mettono in scena qualcosa che non sta accadendo realmente, a beneficio di un pubblico che ascolta. Il cinema non è qualcosa di remoto, è la nostra vita.