In Brasile i primi due morti al mondo per febbre Oropouche

In Italia il numero di infezioni confermate è fermo a quattro, tutte riscontrate in persone rientrate dal Brasile o da Cuba
Un esemplare di Culex quinquefasciatus
Un esemplare di Culex quinquefasciatusSmith Collection/Gado/Getty Images

Dal Brasile è arrivata la notizia dei primi due decessi al mondo legati alla febbre Oropouche. La malattia è causata dall’omonimo virus, che può essere trasmesso all’essere umano attraverso la puntura di un tipo di moscerino o di zanzara. Le agenzie di stampa e le testate internazionali parlano di due donne di età inferiore ai 30 anni che vivevano nello stato di Bahia, nel nord-est del paese. Le due vittime presentavano sintomi simili a quelli causati dalla forma grave della febbre dengue e non sarebbero state affette da malattie pregresse. Le autorità starebbero inoltre indagando sulle cause di un terzo decesso registrato nello stato di Santa Catarina, nel sud del Brasile.

La situazione in Italia

Per quanto riguarda l'Italia, il numero di infezioni da febbre Oropuche è attualmente fermo a quattro. Dopo i due casi identificati fra maggio e giugno, uno in Veneto e l’altro in Emilia-Romagna, la scorsa settimana era infatti arrivata la notizia dei due casi diagnosticati presso l’ospedale Sacco di Milano. Si trattava, analogamente ai precedenti, di due pazienti che erano in rientro dal Brasile o da Cuba, paesi in cui la malattia è diffusa o sta iniziando a diffondersi.

Gli esperti dell'ospedale Spallanzani di Roma hanno diffuso una nota nella quale si invita a considerare la possibilità di infezione da Oropuche, oltre che da Dengue, Zika e Chikungunya, in caso di sintomatologia febbrile acuta in pazienti che rientrano da aree endemiche per questo tipo di arbovirosi.

Cos'è la febbre Oropouche

La febbre Oropouche è una delle arbovirosi più diffuse del Sud-America, con oltre 500 mila casi diagnosticati dal 1955 a oggi, un numero probabilmente sottostimato viste le limitate risorse diagnostiche disponibili nell’area di diffusione”, spiega Federico Giovanni Gobbi nel comunicato in cui veniva data notizia del primo caso in Italia (e in Europa) di febbre Oropouche. Gobbi è direttore del dipartimento di Malattie infettive, tropicali e microbiologia dell’Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona) e professore associato all’Università di Brescia. “Dall’ultimo aggiornamento epidemiologico - prosegue - risultano tra la fine del 2023 ed il 2024 più di 5mila casi di febbre Oropouche in Bolivia, Brasile, Colombia e Perù, ed ultimamente anche a Cuba”.

Si tratta di una malattia causata dall’omonimo virus, scoperto nel 1955 nel sangue di un lavoratore forestale di Trinidad e Tobago. La trasmissione all’essere umano avviene di solito attraverso la puntura del moscerino Culicoides paraensis o delle zanzare Culex quinquefasciatus, specie diffuse in aree boschive o acquitrinose e al momento non presenti in Italia. Secondo l’Oms, al momento non esistono prove di trasmissione diretta fra esseri umani, ma la Paho (Pan American Health Organization) sta indagando la possibilità di trasmissione del virus da madre a feto durante la gravidanza.

Sintomi, diagnosi e cure

I sintomi della febbre Oropouche si manifestano di solito dopo 3-8 giorni dalla puntura dell’insetto vettore e sono simili a quelli di altre febbri virali tropicali come dengue, Zika o chikungunya: febbre alta, mal di testa, malessere generale, dolore articolare e muscolare, nausea, vomito, brividi, dolore retrorbitale, cioè nella parte profonda dell'occhio. “Sono stati inoltre registrati sporadici casi di interessamento del sistema nervoso centrale, come meningite ed encefalite - spiega ancora Gobbi -. Nel 60% circa dei casi dopo la prima fase acuta i sintomi si ripresentano, in forma meno grave: di solito da due a dieci giorni, ma anche dopo un mese dalla prima comparsa”.

Al momento non esistono cure specifiche o vaccini contro la febbre Oropouche e i pazienti vengono sottoposti a trattamenti sintomatici. La diagnosi viene fatta considerando i sintomi e i viaggi effettuati di recente e sottoponendo i campioni dei pazienti a esami molecolari di laboratorio (come la Pcr). Ad oggi non esistono test diagnostici specifici, ad eccezione di quello “home-made” recentemente sviluppato presso l’ospedale Sacco di Milano, come aveva raccontato Maria Rita Gismondo, responsabile del reparto di Microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze, a La Repubblica.