Carbon Neutral

La circolarità che non ti aspetti: come l’economia circolare può aiutare la decarbonizzazione

Per rendere più sostenibile la transizione ecologica e contribuire a ridurre il consumo di risorse naturali, è necessario adottare un nuovo modello di produzione e consumo: l’economia circolare. Dai rifiuti urbani alla plastica, passando per l’anidride carbonica, ecco come gli scarti possono acquisire valore. Per la sezione Carbon Neutral, powered by Eni
La circolarità che non ti aspetti come leconomia circolare può aiutare la decarbonizzazione
foto: Lacey Williams/Unsplash

L’economia circolare è uno degli assi portanti del Green Deal, il piano che vuole trasformare l’Europa nel primo continente a zero emissioni nette entro il 2050, garantendo anche la dissociazione tra crescita e sfruttamento delle risorse naturali. La transizione energetica, infatti, non è di per sé un processo privo di impatto ambientale. Si pensi all’elevato fabbisogno di metalli come il litio, il cobalto e le terre rare utilizzati nelle energie rinnovabili (dall'eolico al fotovoltaico, passando per le batterie di accumulo), la cui estrazione può avere effetti negativi importanti sulla natura. Un veicolo elettrico richiede una quantità di minerali sei volte maggiore di un’automobile a benzina e una turbina eolica contiene nove volte tanto i minerali di una centrale a gas, ha scritto l’Agenzia internazionale dell’energia; l’espansione delle reti elettriche, poi, si basa sulla disponibilità di rame.

Per ridurre la pressione sull’ambiente e garantire una transizione maggiormente sostenibile, nel marzo 2020 la Commissione europea ha adottato un piano d’azione per l’economia circolare, volto a favorire il passaggio a un nuovo modello organizzativo e produttivo – circolare, appunto, anziché lineare – basato sulla riduzione del prelievo di materie prime, sulla valorizzazione dei rifiuti attraverso il riciclo e sulla riconversione degli impianti esistenti.

I biocarburanti per i trasporti

Un esempio di circolarità applicata ai trasporti, un settore responsabile di quasi un quarto delle emissioni di gas serra dell’Unione europea, sono i biocarburanti. Si tratta di combustibili analoghi per composizione chimica a quelli fossili ma ricavati da scarti organici: dagli oli vegetali esausti, ad esempio, oppure dai residui agroalimentari e forestali. Offrono il vantaggio di poter essere utilizzati nei motori e nei sistemi dedicati ai combustibili fossili – non richiedendo infrastrutture aggiuntive –, rispetto ai quali hanno un’impronta carbonica inferiore. I biocarburanti rilasciano pur sempre CO2 durante la combustione, ma si tratta della stessa CO2 assorbita in origine dai vegetali utilizzati per produrli: trattandosi di carbonio “riadoperato”, insomma, l’impatto dei biocarburanti è complessivamente inferiore.

I biocarburanti come l’HVO (Hydrotreated Vegetable Oil, olio vegetale idrogenato) possono dare un contributo immediato alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti del settore dei trasporti non solo su strada, ma anche per il trasporto aereo, marittimo e ferroviario, in quanto già oggi sono disponibili e utilizzano le infrastrutture esistenti. L'HVO, infatti, può essere utilizzato in purezza, nei motori compatibili, senza particolari impatti sulla manutenzione dei mezzi. Ai sensi dei criteri di calcolo delle emissioni stabiliti dalla normativa vigente (Direttiva sulle energie rinnovabili), l’unica CO₂ da conteggiare nel ciclo di vita dei biocarburanti è quella dovuta alla loro lavorazione e al loro trasporto, oltre ad eventuali emissioni prodotte nella fase di coltivazione della carica, permettendo una riduzione delle emissioni di CO₂ su tutta la catena del valore che va dal 60 al 90%, a seconda della materia prima lavorata, rispetto al fossile di riferimento.

Il biometano per l’energia

Gli scarti organici possono rientrare nel ciclo produttivo anche come materia prima per il biogas. Il biogas consiste in una miscela di gas (principalmente metano) ottenuti tramite la fermentazione batterica di rifiuti urbani, avanzi agroalimentari e reflui zootecnici; una volta purificato, il biogas si trasforma in biometano, un combustibile in grado di essere trasportato nei gasdotti esistenti e utilizzabile per il riscaldamento, per la produzione di elettricità o per l’alimentazione dei veicoli.

Come i biocarburanti, anche il biometano rilascia gas serra quando viene bruciato. Se si considera l’intero ciclo di vita, però, l’impatto è inferiore: la sua origine non è fossile ma organica e il suo processo produttivo è circolare perché basato sui rifiuti; oltre alle emissioni, il biometano permette anche di risparmiare sulle infrastrutture di trasporto e stoccaggio.

Il riciclo della plastica

L’economia circolare passa per l’estensione della vita utile dei prodotti, ma anche per la riduzione dei rifiuti non recuperabili. Per questo motivo l’eco-design deve essere affiancato da nuove e migliori tecnologie di riciclo, specialmente per quanto riguarda la plastica: si tratta di un materiale essenziale anche per la transizione energetica – le auto elettriche, i pannelli solari e le turbine eoliche la contengono – e di cui è previsto un forte aumento dei consumi a livello mondiale, ma che ancora troppo spesso viene conferito in discarica.

Il processo tradizionale del riciclo meccanico permette di riutilizzare solo alcune tipologie di plastica e solo per poche volte, prima che questa si degradi troppo. Mentre il riciclo chimico, in fase di sviluppo e basato sulla scomposizione dei polimeri, consente di recuperare anche le plastiche miste e di ottenere nuovamente materiali di alta qualità.

Il riutilizzo della CO2

L’esempio forse definitivo di economia circolare, perché consente di estrarre valore dal principale gas serra responsabile del riscaldamento globale, è la cattura del carbonio. Si tratta di una tecnologia che, come da nome, permette di “sequestrare” la CO2 emessa dalle fabbriche e dalle centrali elettriche prima che finisca nell’atmosfera – o anche di rimuovere quella già presente nell’aria –, per poi confinarla sottoterra oppure riutilizzarla. La CO2 catturata, una volta trasformata, ad esempio, può diventare una “materia prima seconda” per la produzione di calcestruzzo e ridurre così la necessità di cemento, un legante ad oggi fondamentale per l’edilizia ma responsabile di grandi emissioni.

L’Ipcc, il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, sostiene che il sequestro della CO2 dall’aria sia tanto fondamentale quanto la riduzione delle nuove emissioni. La Commissione europea stima che la cattura di 360-790 tonnellate di carbonio potrà generare un valore economico fino a 100 miliardi di euro dal 2030 in poi, sostenendo la creazione di 170.000 posti di lavoro nell’Unione.

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