Il commento

Il rigore sbagliato di Baggio ai Mondiali del 1994, 30 anni dopo

Il 17 luglio del 1994 la nazionale di Baggio, Baresi e Sacchi perde ai rigori, contro il Brasile, la finale del mondiale americano. Cosa ci resta di quella sera e come siamo cambiati
Roberto Baggio dopo il rigore sbagliato alla finale dei Mondiali Usa 1994 tra Brasile e Italia
Roberto Baggio dopo il rigore sbagliato alla finale dei Mondiali Usa 1994 tra Brasile e ItaliaMark Leech/Offside/Getty Images

È un dato di fatto. Sociologicamente parlando la finale di un mondiale di calcio è polarizzante. O ti interessa o non ti interessa, ma alla fine sono pochi – davvero pochi – quelli a cui non interessa. Anche i non appassionati è probabile che ricordino perfettamente dove erano (e con chi erano) nei grandi momenti collettivi che hanno riguardato la nazionale. Pensateci mentre leggete queste righe. In base alla vostra età sarete in grado di ricordare dove eravate l’11 luglio del 2021, quando abbiamo vinto gli Europei a Wembley o il 9 luglio del 2006, quando abbiamo trionfato al mondiale in Germania e anche il 17 luglio del 1994, la sera in cui sfiorammo il cielo con un dito ma - alla fine - in cielo ci finirono soltanto i rigori di Franco Baresi e Roberto Baggio. Sono passati esattamente trent’anni dalla finale di Usa 94, dalla notte di Pasadena.

Italia 1994

È un'estate bollente, quella. Nella classifica dei libri più venduti ci sono Susanna Tamaro con Va’ dove ti porta il cuore e Francesco Alberoni con il didascalico e benaugurate L’ottimismo. Sui giornali si parla del nuovo film di Gabriele Salvatores, Nirvana, e si dice che sarà ambientato nel futuro (nel 2001). Al Festivalbar risuonano le note di Serenata Rap e The Rhythm of the night. Silvio Berlusconi è sceso in campo da pochi mesi ed è già al governo; l’Italia e la politica stanno cambiando alla velocità della luce e intanto Bettino Craxi vola ad Hammamet con un biglietto di sola andata.

Nel giorno della semifinale Italia-Bulgaria (qualcuno dirà per approfittare di una distrazione di massa) il parlamento approva il decreto Biondi che impedisce di mettere in carcere preventivamente chi commette reati di corruzione. Siamo in piena Tangentopoli e un simile decreto cambia totalmente le regole del gioco. Questa è la foto dell’Italia durante i mondiali d'America anzi i mondiali Usa, l’unico posto del mondo dove il calcio non si può chiamare football perché tutti penserebbero a un altro sport. Si chiama invece soccer. Negli States fa un caldo infernale, ma si gioca a soccer all’ora di pranzo per consentire le dirette in prima serata in Europa. Qualcuno parlerà di pazzia, qualcun altro di showbiz.

Verso la finale

L’Italia ha in squadra il Pallone d’oro in carica, Roberto Baggio. Tutti si aspettano tanto da quella nazionale, nello specifico: risultati e bel gioco. Ma i risultati non arrivano e pure la parte estetica lascia a desiderare. Nella fase a gironi ci salviamo per il proverbiale e abusato rotto della cuffia, venendo ripescati tra le migliori terze. Durante gli ottavi di finale – contro la Nigeria - le cose non vanno meglio. A due minuti dalla fine siamo fuori, ma poi (finalmente) arriva Baggio che con una doppietta cambia il suo e il nostro mondiale. Da quel momento sembra tutto facile. Battiamo la Spagna (decisivo ancora Baggio) e poi la Bulgaria (doppietta di Baggio). Siamo in finale. Contro il Brasile. In palio c’è - per entrambe le formazioni - la conquista del quarto titolo iridato. Chi vince entra nella storia.

Brasile-Italia

Di quella finale, trent'anni dopo, tutti ricordiamo una cosa sola. L’atto conclusivo. L’ultimo pallone toccato. Insomma, il rigore sbagliato da Baggio. E poi le sue mani sui fianchi e il capo chino. In pochi, quasi nessuno, ricordano invece la partita monumentale di Baresi (Bruno Pizzul in telecronaca lo definì una roccia) rientrato dopo un menisco operato in fretta e furia, il sacrificio dello stesso Baggio con un ginocchio a pezzi e in dubbio fino all’ultimo secondo, le parate e la mezza papera di Gianluca Pagliuca con conseguente bacio al palo, il caldo torrido. La partita è tirata ed equilibrata. L'Italia decide di aspettare il Brasile (e forse non può fare diversamente) che però non è mai davvero pericoloso. Riguardandole oggi le immagini di quella partita sembra chiaro da subito che non poteva esserci una fine diversa dai calci di rigore. Ma col senno di poi è facile e siamo tutti critici impeccabili.

Come finisce la partita a questo punto lo sappiamo tutti. Baggio tira sopra la traversa l'ultimo rigore, il Brasile trionfa, festeggia, alza la coppa, dedica la vittoria ad Ayrton Senna scomparso due mesi prima durante il Gran premio di San Marino. Una carezza al cuore, almeno quel momento.

Negli anni ho conosciuto chi quella sera decise di non guardare i rigori, andando a cercare rifugio in un’altra stanza. Ho incontrato chi era in vacanza studio in California e trovò i biglietti per caso, pochi minuti prima dell’inizio, dai bagarini. Chi ha pianto tutta la notte. Chi si è chiuso in un mutismo per giorni. E pure chi è uscito per andare davanti al palazzo di giustizia di Milano a protestare contro il Decreto Biondi. L’appuntamento era generico, dopo la partita. I ricordi lo avrete capito sono tanti, il comun denominatore invece è uno solo: la tristezza. Eppure gli Azzurri di sconfitte toste, tostissime, se ne intendono. Quella ai rigori contro l’Argentina a Italia 90 (il nostro mondiale in casa), il golden goal a Euro 2000 subìto in finale dalla Francia o quello del 2002 contro la Corea del Sud, nella nefasta notte dell’arbitro Byron Moreno. Perché allora se ci guardiamo indietro vediamo soltanto questa finale? Soffriamo soltanto ricordando quei momenti? Pensiamo quasi esclusivamente al rigore sbagliato da Roberto Baggio (ma sbagliarono anche Daniele Massaro e Baresi)?

Il rigore generazionale

Una risposta forse esiste e sembra convincente. In quella calda estate del 1994 vivevamo un tempo sospeso tra due Italie, navigavamo verso la Seconda repubblica e non era chiaro a nessuno cosa saremmo diventati. Per molti quella sconfitta rappresentò un ingresso forzato in una nuova fase della vita. Chi quella notte era piccolo, ma grande abbastanza da avere ricordi nitidi, appartiene a quella generazione che crescendo sperimenterà le riforme scolastiche, il passaggio dalla lira all’euro, le crisi finanziarie, il precariato e la certezza di vivere una vita che per la prima volta non avrebbe alzato gli standard qualitativi rispetto a quella dei propri genitori. Chi - nella notte del rigore di Baggio - aveva dieci, dodici, tredici anni stava crescendo in un mondo caratterizzato dal sogno americano del se vuoi farlo puoi farlo e proprio in quel momento capì che quel sogno, forse, era una truffa. Tutto questo si può capire da una finale mondiale e da un rigore sbagliato? Ovviamente no, però se c’è un punto da cui tutto deve iniziare, questo è l’incipit perfetto e il rigore di Baggio che vola alto sopra la traversa è la versione sferica e di cuoio della celebre farfalla che sbatte le ali oltreoceano e scatena una tempesta a casa nostra.

Ho raggiunto al telefono Bruno Pizzul. Lui trent’anni fa era lì a Pasadena, dentro lo stadio Rose Bowl, ma anche dentro le case di tutti noi. All’epoca non c’erano seconde voci tecniche e canali satellitari o in streaming. La nazionale o la vedevi allo stadio o la vedevi in TV raccontata da lui (e soltanto da lui). Gli ho chiesto un ricordo. “Se ripenso a quella partita si sommano memorie e sensazioni differenti. Sia per l’andamento del match particolarmente ricco di episodi, sia per quel momento conclusivo caratterizzato dal rigore sbagliato da Roberto Baggio. Già, il rigore di Baggio. Torniamo sempre lì. È veramente paradossale che un ragazzo come lui – prosegue Pizzul - che ci ha regalato tanti ricordi e tante splendide giocate venga ricordato il più delle volte per quel calcio di rigore. Un momento che è rimasto e rimarrà scolpito nelle menti di tutti, anche nella mia. Ricordo che rimasi scioccato”.

Uno shock condiviso, subito entrato nell’immaginario collettivo nazionale tanto che qualche anno dopo lo spot di una compagnia telefonica ricorderà che scegliendo quel brand non si sbaglia mai. E per sottolinearlo ecco che il rigore di Baggio, con il giusto video-ritocco, entra in porta. Si fa festa. L'Italia è campione del mondo. Ma purtroppo è solo una pubblicità, anche abbastanza brutta. La realtà è un’altra. Il 17 luglio del 1994 il mondo rassicurante che conoscevamo iniziava un lento e inesorabile cambiamento. Chi era piccolo diventava grande e chi era grande diventava adulto. Ogni storia ha un suo inizio e questa comincia seguendo la traiettoria bislacca di un pallone lanciato troppo in alto da chi, fino a quel momento, era considerato il super eroe nazionale. Alla fine di quella notte capimmo di essere fallibili. Forse capimmo di essere umani.